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Autore: Katie Who    29/04/2015    1 recensioni
[Seguito di: Promise me you'll come back]
La storia è ambientata nel post 4x10 di TVD e si sviluppa prendendo spunto dagli eventi di The Originals pur non seguendone esattamente l'ordine temporale.
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"L’ultima cosa che Kol vide prima di sentirsi andare in fiamme il cuore e tutto il resto, fu la faccia di suo fratello Nik, attonito, appena arrivato davanti alla porta dei Gilbert, ma ormai troppo tardi. Si chiese se suoi fratelli avrebbero sentito la sua mancanza o se lui avrebbe sentito la loro. In quanti atroci modi avrebbero distrutto le vite di Elena e Jeremy vendicando quello che gli avevano fatto?"
E se invece ci si trovasse costretti a guardare i propri fratelli vivere perfino meglio di prima? Chi può soccorrerti quando è il tuo stesso sangue a ripudiarti?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elijah, Klaus, Kol Mikaelson, Nuovo personaggio, Rebekah Mikaelson
Note: Cross-over, OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Family Don't End With Blood.'
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Capitolo 25 – All You Need Is… Friends
 
 





 
"Amici si nasce, non si diventa."
Henry Adams.
 







 
Rebekah non aveva cambiato casa nonostante le sue possibilità economiche e di persuasione fossero illimitate. Era rimasta lì, a vivere nella stessa piccola palazzina dove viveva anche Monica a pochi chilometri dalla sede del Consiglio. In quell’appartamento con due camere da letto, bagno, cucina e salone. Il recinto bianco c’era, circondava quella presa in giro di un giardino condominiale che precedeva il portone del palazzo. Non era la casa dei sogni, ma la faceva sentire al sicuro e soprattutto le permetteva di tenere al sicuro Hope.
Quando aveva lasciato New Orleans, lasciandosi alle spalle i suoi fratelli non avrebbe mai immaginato che un giorno si sarebbe ritrovata ad avere l’occasione di poter crescere sua nipote e di farlo proprio nel modo in cui voleva lei. Era egoista da parte sua essere felice per quella situazione, quella bambina cresceva lontana dalla madre e dal padre, ma in compenso stava ricevendo qualcosa che con loro sarebbe stato impensabile, una parvenza di normalità. Immaginava come sarebbe stato accompagnarla al suo primo giorno di scuola, vederla entrare in un’aula con uno zainetto nuovo di zecca, magari anche piangere all’idea di trascorrere tutta una giornata senza la zia che era stata tutto il suo mondo. Mia era stata la prima persona a cui aveva pensato quando aveva portato via quella bambina da New Orleans, una strega fidata che avrebbe protetto entrambe senza fare troppe domande. Tutto quello che era seguito era stato molto di più. Una casa, degli amici, persone pronte a difenderti ed a combattere per il tuo bene, quello era esattamente il luogo in cui voleva far crescere Hope. Quelli erano i valori che voleva ereditasse, perché immaginava che Hayley li condividesse.
Sarebbero rimaste lì, almeno per tutto il primo ciclo scolastico della bambina, perché come aveva una volta sentito dire al padre di Mia, è importante la stabilità. E quella bambina aveva già patito fin troppa mobilità nella sua breve vita. Avevano da poco finito di cenare ed ora lei stava giocando con il computer, completamente presa da quel gioco che tanto le piaceva. Passava ore solo a guardarla, lì in casa, al parco, quando inventava storie infinite nel segreto della sua camera, mentre disegnava, non voleva perdersi nemmeno il più piccolo passo, immaginando il giorno in cui l’avrebbe riportata da suo fratello. Il momento in cui avrebbe dovuto raccontare a quei genitori quante cose si erano persi della loro piccola e voleva poterle raccontare così bene da fargliele quasi rivedere attraverso le sue parole. Se ne stava seduta sul divano, guardando Hope, aspettando che arrivasse suo fratello, non Klaus, ma Kol, che le aveva detto che sarebbe passato da loro quella sera e ancora non si decideva a comparire. Kol che si avvicinava ed allontanava da Hope a volte con autentico interesse ed affetto altre con distacco e noia. Affascinato, ma cauto nel permettersi di legarsi veramente a quella bambina che sapeva conquistarti con un solo sguardo, proprio come il padre. Forse perché in lei rivedeva Niklaus e dunque il loro rapporto di amore ed odio influenzava anche quello con lei. Ma Hope aveva un nome che era una promessa, era la speranza per la loro famiglia di poter tornare ad essere uniti come una volta ed allo stesso tempo quella di essere capaci di offrirle la vita che loro non avevano mai avuto. Una vita fatta di tutte quelle piccole cose che lei aveva iniziato a sperimentare solo in quei mesi.
Una delle tante volte in cui si era ritrovata a fare compagnia a Mia si erano trovate a parlare del futuro, di come sarebbero cresciuti quei bambini che ora avevano difficoltà perfino ad alzarsi in piedi.
«Credi che saranno amici?» - aveva chiesto guardando Hope tendere le mani verso Cloé cercando di tirarla su. Ignara che la forza di gravità era ancora troppo forte per quella piccola bambina con cui giocava.
«Penso che sarà possibile.» - le aveva risposto Mia. - «Anche se prima o poi voi ve ne andrete.»
«Potrebbero volerci anni!»
- se a New Orleans c’era un pericolo così profondo da spingere suo fratello ed Hayley a voler allontanare la loro bambina, non si sarebbe risolto in poco tempo.
«Anche se ci volessero dieci anni, resterebbero comunque troppo piccoli per coltivare un’amicizia duratura.» - Mia le aveva allungato il piatto con le patatine. - «Ma penso che finiranno con l’incontrarsi ancora, prima o poi… Un po’ come è successo a noi.» - un po’ come succede quando hai dalla tua l’eternità e qualcuno sempre pronto a minacciarti. Sia Mia che Rebekah speravano che quei bambini che ora giocavano così tranquillamente non avrebbero mai dovuto avere timore di qualcosa o qualcuno, che nulla li avrebbe spinti a cercare l’aiuto dell’altro, se non per ragioni d’affetto.

Kol alla fine era davvero passato da loro, era arrivato a notte fonda e la mattina dopo lo aveva trovato buttato nel letto accanto ad Hope. La bambina era sveglia mentre lui continuava a dormire profondamente. Puzzava di alcool. Era felice di vederlo, sembrava ancora avere qualche ferita mal cicatrizzata addosso, ma come sempre alla fine se l’era cavata. Non lo svegliò uscendo per portare la bambina al parco, passando davanti all’officina di Luca, anche se allungava notevolmente il percorso. Apriva presto la mattina, alle otto la serranda era già sollevata e lui ed il padre già sporchi di grasso infilati sotto o dentro a qualche auto. Non stavano insieme, non si consideravano fidanzati perché entrambi preferivano evitare di classificarsi in alcun modo. Eppure suo padre li lasciava sempre soli quando la vedeva arrivare e teneva sempre una caramella da dare ad Hope.
«Non toccare niente mi raccomando!» - disse alla bambina sapendo già che quel comando sarebbe stato ignorato. Si fermava lì quasi tutte le mattine a parlare con Luca per qualche minuto e poi risaliva in macchina per raggiungere la vera meta delle loro uscite. C’erano giorni in cui riusciva a sentire suo fratello, a fargli sapere di corsa come stava sua figlia. Erano conversazioni strane, fatte di una dolcezza ed un’apprensione che entrambi i Mikaelson sperimentavano per la prima volta.  A volte passava il telefono ad Hope che distrattamente e senza capire veramente l’importanza di quel momento, spiccicava qualche traballante parola all’orecchio proteso e bisognoso del padre. Ormai non piangeva più quando lo sentiva, aveva trovato una sorta di equilibrio, ma nonostante questo, lei continuava una consuetudine nata per consolare il pianto dirotto dei primi mesi. La portava fuori e le comprava la prima cosa che la bambina le chiedeva. A volte erano giocattoli, altre volte accessori che non avrebbe comunque indossato prima di una quindicina di anni, almeno. Continuavano così passeggiando per i palazzi storici e monumentali di Roma finché Hope non iniziava a stancarsi, allora la sollevava e se l teneva in braccio stretta in un abbraccio materno. Quando tornavano a casa da quei loro pomeriggi si fermavano sempre al Consiglio per salutare Monica che era spesso loro ospite. L’unica vicina con cui avessero veramente un minimo di rapporto. Quando le avevano detto che Rebekah ed Hope Mikaelson sarebbero diventate sue condomine, Monica non aveva opposto particolare resistenza. Lavorava al Consiglio da anni, circondata da vampiri e creature di ogni genere, i Mikaelson non la turbavano più di tanto. Anzi col tempo Rebekah era diventata un’amica e la piccola Hope un’adorabile compagnia. Da quando aveva troncato la sua relazione con Luis il lavoro e le amicizie erano tutto ciò che le aveva riempito le giornate, divise a metà fra la scrivania da segretaria ed il divano di Mia. A volte le sembrava quasi comico che proprio quando tutte le sue migliori amiche erano finalmente riuscite a trovare una stabilità emotiva lei fosse l’unica a non volerne. Per anni le aveva viste rigettare l’idea di un impegno così importante e poi eccole lì, tutte e tre inguaiate fino al collo e lei libera e felice. Quando Mia aveva presentato loro Steven l’aveva capito subito che stava tentando “la manovra”, e visto il genere di ragazzo sia lei che Francesca non ebbero dubbi su chi di loro sarebbe capitolata. A fasi alterne tutte avevano provato a spingerla verso una nuova relazione, le avevano presentato una infinità di ragazzi, ma nessuno per cui valesse veramente la pena rinunciare alla sua ritrovata serenità. Forse avevano ragione, a lei piacevano solo i vecchi irrisolti con problemi ad autogestire la loro vita. E chissà perché poi, a lei che piaceva tanto la vita, l’essere giovani, il divertirsi. Gli opposti si attraggono e quindi lei era attratta dai tristoni? Bella merda. C’era anche da dire che quando lavori dalle otto del mattino alle sei del pomeriggio tutti i giorni della settimana e spesso anche nei weekend, circondata da persone comuni solo all’apparenza, risulta difficile incontrare quello giusto. Ogni volta che le capitava di conoscere qualcuno la prima cosa che faceva era inserire il suo nome nel database del Consiglio ed assicurarsi che non fosse uno dei vampiri schedati o chissà quale altra diavoleria. Era diventata titubante ad invitare a casa le persone, si vedeva sempre con le solite, aveva perso i contatti con praticamente tutti i presenti a quella sua festa di compleanno di cui ancora conservava la foto nell’ingresso. Eppure adesso tutto sarebbe nuovamente cambiato. Era diventata ciò che aveva sempre con timore cercato negli altri, adesso che la casa era stata intestata a sua madre era lei ad aver dovuto ricevere l'invito ad entrare. Adesso, quando finiva il turno da segretaria doveva attaccare quello serale nelle strutture distaccate seguendo i corsi per l’Integrazione. Le era capitato spesso in  passato di assegnarvi dei novizi, ma era tutto diverso se il novizio eri tu e dovevi fare le prove su dei manichini per capire quando smettere di nutrirti di qualcuno. Aveva anche cominciato a lavorare in modo diverso, spesso la mattina non andava più in sede perché se si svegliava troppo tardi, ovvero dopo l’alba quando diventava impossibile mettere un piede fuori casa. Dormiva molto meno, cosa che le dispiaceva un sacco, aveva molta più fame, e questo le dispiaceva perfino di più. Ancora non aveva avuto il coraggio di dire nulla a Mia, stava aspettando che Lisa tornasse dal suo viaggio, per dare la notizia a tutte loro insieme. Rebekah era l’unica a sapere e si era rivelata veramente d’aiuto e di sostegno. Anche al corso dicevano che nessuna lezione era meglio di ciò che un vampiro più anziano può insegnarti sul campo e durante le loro cene incrociate, non le risparmiava i consigli.
«Andy io vado, ci vediamo domani.» - disse al telefono comunicando con il ragazzo chiuso nel suo studio.
«Ok, buona serata.» - rispose lui con il suo solito tono calmo. Lo aveva trovato già lì quella mattina quando era arrivata in ufficio. Già sommerso dal lavoro ed era probabile che non fosse proprio uscito dalla sera prima. Stava lavorando su qualcosa di grosso, aveva fatto riesumare tutti i vecchi fascicoli, molti dei quali ancora in versione cartacea e non trasferiti in forma digitale. Ne aveva decine di pile sparse per l’ufficio, e ogni volta che qualcuno di quei fascicoli tornava indietro, altrettanti gli venivano consegnati. Aveva messo Veronika ad occuparsi del personale della struttura, facendole ricoprire un ruolo che poco si addiceva alla personalità combattiva della donna. Gran parte dello staff del palazzo del Consiglio era stato rimandato nel servizio di Inserimento e Formazione o direttamente trasferito in altre sedi. Era cambiato tutto da quando era tornato dal suo viaggio in giro per l’Europa e tutto avrebbe continuato a cambiare. Era cambiato anche il ruolo ricoperto da Dimitri che doveva essersi veramente dimostrato all’altezza delle loro aspettative dal momento che Andrev gli aveva affidato la gestione dei corsi avanzati degli agenti. Sembrava che si stessero preparando ad una guerra, ma non le era chiaro chi fosse questa volta il nemico. Quando Lisa sarebbe tornata si sarebbero sedute intorno ad un tavolo ed avrebbero torturato Mia fino a che non avesse sputato il rospo. Avrebbero finalmente fatto fermare il vorticoso girare della Terra per qualche ora, per tornare a capire ed a capirsi, per recuperare l’equilibrio e la tranquillità che gli eventi gli avevano sottratto. Perché quando una cosa sfuggiva a loro sicuramente lei lo sapeva, era la seconda legge fondamentale del loro universo. Vista la sua nuova natura, Andrev aveva modificato alcuni degli incarichi che solitamente svolgeva per lui, facendo in modo che i contatti con gli esseri umani fossero il più possibile limitati, sembrava che non volesse rischiare di metterla in tentazione. In compenso però le aveva  affidato il controllo di Janelle, un vampiro ricoverato nei laboratori ai primi piani del palazzo. Non aveva mai visto un vampiro incosciente, eppure quella ragazza non aveva mosso un muscolo per due interi giorni. Quando lo aveva fatto aveva aggredito ed atterrato due del personale medico, venendo poi fermata da una delle guardie di sicurezza con l’iniezione di un potente narcotico. Forse era quello il nemico, o forse faceva parte di tutto quello che ancora nessuno aveva sentito il bisogno di spiegarle dettagliatamente circa il finto/vero viaggio in Europa. Spiegazioni che mancavano a lei ed allo stesso modo a Francesca che aveva decisamente raggiunto il suo punto limite.
«Quanta pazienza pensi che io abbia?» - aveva detto la ragazza ad Andrev quando lo aveva visto ricomparire davanti ai suoi occhi, appoggiato alla sua piccola Smart blu elettrico. Lui non le aveva risposto, perché tanto era inutile. - «Sono troppo esigente?» - aveva domandato ancora avvicinandosi ed accarezzandogli quel viso che non era cambiato di un millesimo in quegli ormai oltre quattro anni di conoscenza.
«No è colpa mia.» - le aveva risposto lui abbracciandola, immergendo i suoi boccoli castani nei ricci neri di lei, ispirandone il profumo.
«Lo dici ogni volta, ma poi non cambia niente.» - sapeva di rassegnazione il tono che Francesca aveva quella sera.
«Lo so.» - mentre quello di Andrev sapeva di scuse, di quelle sincere, perché lui sapeva farle solo così.
«Ho paura che se mi abituassi all’idea che riuscirai sempre a ricomparire, poi arriverà quel giorno-» - e Francesca piangeva solo per due cose, Supernatural e Ghost. Però il blocco alla gola mentre stringeva Andrev e quel sapore strano nella bocca le ricordavano proprio la sensazione del pianto. - «Ma l’alternativa è che non ce la faccio…» - ed anche lei sapeva dire solo la verità. E per quanto fosse brutta quella era esattamente la chiara, nitida, pura e semplice verità. Francesca non poteva abituarsi all’idea di vederlo ricomparire perché l’incognita che gravava sulla vita di un vampiro che conduceva la vita di Andrev era più grande di quella di chiunque altro. Lui giocava a freccette con la morte, e non era Kol. Bastava un paletto di legno nel cuore, piantato con la giusta forza e direzione per togliergli la vita. Un metodo originale e particolare, ma poteva morire. Quando frequentava i corsi di autodifesa, era stato proprio lui ingenuamente a dire che era facile. E quello era anche stato il suo ultimo giorno di lezione, perché se fosse diventato facile per una come lei uccidere un vampiro, quanto semplice poteva risultare alle persone con cui lui aveva a che fare? Non ce l’aveva proprio fatta a continuare così come non ce la faceva ad aspettare settimane e settimane di silenzi mentre lui subiva chissà che cosa chissà dove. Perché anche se tornava da lei sempre pulito e privo di qualunque graffio o livido, glielo leggeva negli occhi cos’era successo. Era lì che Andrev nascondeva tutte le sue cicatrici. Erano quelli l’unica cosa cambiata in quegli anni.
«Lo so.» - continuava a dire lui senza lasciarla andare da quella presa. Perché dopo tanta distanza dopo tanta mancanza, in così tante scuse avevano bisogno di stare vicini. E se fosse stata diversa, si sarebbe arrabbiata, perché lui era rassegnato quanto lei in quei “lo so” consapevoli. Bisognava essere molto più forti di lei per poter stare accanto alla vita di Andrev, lo aveva capito quando non era riuscita a difendersi giorni prima, quando una delle sue migliori amiche era morta. Lo aveva capito realizzando che Andrev era in pericolo, e lo sarebbe sempre stato e lei non aveva né la tempra per voler sapere né quella per rimanere all’oscuro. Per fortuna anche questa volta c’era stata Mia, che se ne era andata chissà dove a riprenderle il fidanzato a farglielo riavere lì, sano e salvo. Perché era quello che Mia faceva per lei, colmava le sue debolezze, con quel carattere autoritario e per certi versi insopportabile, perché in quelle cose c’era tutto il loro affetto.
«Sono contenta che sei tornato.» - un passo indietro ed era più distante da lui di quanto ogni sua molecola potesse tollerare. - «Devo tornare dentro, domani ho la consegna di un progetto…» - il lavoro, le responsabilità, la Francesca equilibrata, con la vita che era in grado di gestire.
«Certo vai.» - Andrev non sorrideva quasi mai, eppure c’erano alcune sue espressioni, alcuni modi in cui i suoi occhi si muovevano e la sua bocca si distendeva che a lei davano l’impressione che fosse felice. Aveva le mani ancora appoggiate sul suo collo, né freddo né caldo, una temperatura così terribilmente costante che le ricordava immediatamente la realtà. L’aspetto era quello di un giovane uomo, ma aveva davanti qualcosa di più. Se solo avesse potuto lasciarsi alle spalle il Consiglio e tutte quelle responsabilità, forse allora le cose avrebbero davvero funzionato fra loro. Forse lei non avrebbe violentato la sua natura calma e per nulla litigiosa, in ogni lite in cui si erano trascinati sempre per gli stessi motivi. Aveva le mani annerite dalla matita con cui aveva scarabocchiato e scritto gli appunti fino a che il suo cellulare non aveva squillato. Era scesa subito, quasi correndo, scavalcando i suoi due cani che pensavano fosse arrivato il momento di una passeggiata serale. Erano ancora lì attaccati al cancello di casa a guardarli in silenzio. Due bellissimi cani bianchi e neri, non di razza, ma due membri della sua famiglia. Suo fratello era fuori, aveva la stessa età di Mattia, ma a differenza del ragazzo, non sapeva nulla di tutta quella storia. Nemmeno sua madre e suo padre conoscevano la verità, per loro Andrev era un normalissimo ragazzo.
E’ facile nascondere la verità, quello che è difficile è portare il peso delle menzogne.
Invece che girarsi e tornare verso casa avrebbe dovuto dirgli che sarebbe passata al Consiglio domani appena finito in ufficio, ma non lo fece. Perché Francesca era così. Aveva tanta pazienza, era tanto buona, ma una volta raggiunto il limite, semplicemente si esauriva. Andrev lo sapeva che prima o poi sarebbe arrivato quel momento, che non ci sarebbero state urla, non ci sarebbe stata rabbia o rancore, perché era perfino difficile che lei gli desse dello stronzo quando litigavano, figurarsi portarla ad odiarlo. Sapeva che prima o poi avrebbe esaurito la pazienza di Francesca, che si sarebbe stancata di quelle attese, di quei pericoli, di quella vita che nemmeno lui aveva veramente scelto. Lo aveva sempre supportato ed aiutato, tornando indietro in quegli anni la ricordava sempre lì al suo fianco, pronta a dire la parola giusta nel momento giusto. A prendersi a parolacce solo con Mia e le ragazze e sempre e solo per gioco. A chiedergli sempre prima il perché e solo dopo arrabbiarsi. Ad aver accettato ogni sua singola scusa, senza mai veramente lamentarsene, a viversi i giorni in cui stavano insieme sempre mano nella mano e quelli separati in silenzio ad aspettare con sconfinata fiducia. A fargli pagare tutto, ma mai veramente niente di quegli sbagli che ostinato come un mulo, lui continuava a commettere. E non sarebbe stato giusto fermarla e baciarla contro il cancello di casa, come aveva fatto tante volte da conoscere l’esatto numero di foglie dell’albicocco in quel giardino. Non era giusto coglierla di sorpresa spaventando i cani, eppure ancora una volta lo aveva fatto e tutti quei rimproveri sarebbero arrivati sempre dopo il sapore delle sue labbra. Era il loro bacio d’addio, qualcuno doveva pur prenderselo. Francesca non aveva avuto il coraggio perché lei era la fifona del gruppo, quella che si spaventava vedendo Casper, che faceva gli incubi dopo i film di Ghostbuster. Quella che aveva avuto timore a guardare Cattivissimo Me, perché “il titolo non promette nulla di buono”. E c’erano sempre Mia e River che se la ridevano a crepapelle, perché invece loro si maratonavano Saw, l’Esorcista e tutti quei film che a lei avrebbero tolto il sonno di una vita. Loro che erano fatte di due tipi di coraggio molto diversi l’uno dall’altro. Mia che poteva, letteralmente, tirarti fuori da una tomba, prendersi una pugnalata per salvarti la vita e Dio solo sa cos’altro, ma del tutto incapace di ammettere quello che era fin troppo ovvio. Lisa che in nome dell’amore avrebbe aspettato ore sotto la pioggia solo per poi sentirsi dire che no, tutto sommato lui non aveva voglia di stare con lei, ma continuava ad avere il coraggio di sperare, di credere che da qualche parte doveva esserci il ragazzo giusto. Poi quelle rare volte in cui c’erano stati disaccordi fra di loro, tremava o piangeva alla sola idea che potesse esserci un vero e proprio litigio. Ci voleva una come Lisa per stare accanto ad uno come Andrev. Ci voleva qualcuno in grado di sopportare qualunque sofferenza per amore, qualcuno che non avesse paura di soffrire ancora o di più. Qualcuno di più spericolato, o forse no, ma sicuramente non lei, perché c’aveva provato ad aveva fallito. Ed aveva fallito proprio lei per cui, in teoria doveva essere tutto più semplice. Perché Lisa aveva attraversato un oceano e rischiava di vedersi sfumare fra le mani l’unica vera storia che avesse mai avuto un senso nella sua vita, per un qualcosa che, per certi versi, anche lei non aveva scelto. Non nello stesso senso di Andrev, lui era stato trasformato e non aveva idea di cosa gli fosse accaduto, mentre Lisa era stata guidata passo dopo passo. Ma chi a venticinque anni avrebbe scelto di morire piuttosto che avere l’eterna giovinezza? E’ davvero una scelta quella che aveva fatto? Chi al posto suo avrebbe abbandonato amici e parenti, perché per colpa della stramaledetta pioggia non aveva visto una buca nella strada? Se fosse possibile dare la stessa alternativa ad ogni singola persona morta in un incidente, non ci sarebbero più morti sulle strade. E lo stesso valeva per Monica. Perché non si tratta di una scelta quando si ha da un lato la morte e dall’altro la sopravvivenza. Eppure sopravvivere aveva incasinato la vita di Lisa, l’aveva resa perfino più fragile di ciò che era prima  e soprattutto la costringeva a fare ciò che sapeva fare peggio: mentire. Quando Steven le aveva chiesto di sposarlo, la bomba era stata detonata. Non si poteva più mentire a qualcuno pronto a legarsi a te per l’eternità, non quando la tua sarà così drasticamente diversa dalla sua. Non quando “sopravvivere” diventerà il verbo più idoneo a descriverti. Non quando dovrai spiegare perché non vuoi avere figli, ma che anche se li volessi non potresti. Non quando essere ciò che sei, è un qualcosa che può spingere perfino il migliore degli uomini a volerti avere a trecentomila miliardi di chilometri di distanza.
Erano un po’ tutte queste paure che l’avevano spinta a mantenere Steven all’oscuro così a lungo e che ora però la facevano trovare in una posizione scomodissima. Non aveva avuto modo di capire cosa stesse succedendo a casa, ma era sicura che qualcosa non andava perché Andrev non aveva risposto a nessuna delle sue chiamate e le ragazze scrivevano poco nel gruppo. Gli aggiornamenti erano per lo più i suoi, con informazioni random e del tutto inutili per loro. Aveva programmato di rimanere un paio di settimane da Steven e questa volta non si sarebbe salvata dall’incontro con il resto del parentame che le mancava. Ormai era ufficialmente la futura signora Reyes e Steven sembrava tirare fuori dal cilindro parenti da presentarle. Era una famiglia grande, numerosa e calorosa, nulla a che vedere con la sua, piccola e disastrata. Lui stava risparmiando per riuscire a compare finalmente una casa tutta sua e faceva sempre dei bellissimi progetti su come sarebbe stata la loro vita insieme. Non era più tornato a New Orleans da quando Kol aveva dato fuoco alla loro vecchia casa, erano riusciti a vendere praticamente a meno della metà del prezzo a cui l’avevano acquistata, ma nessuno di loro intendeva più mettervi piede. La signora Amalia era terribilmente superstiziosa, fissazione che condivideva con lei ed era sicura che quell’incendio fosse un presagio di altre sventure. Era un peccato non poterle dire quanto avesse ragione, ma l’importante era che nessuno dei Reyes mettesse mai più piede in quel di New Orleans. Le dava fastidio non sapere cosa stessero combinando le ragazze a casa, soprattutto dato che l’ultima volta che erano state insieme, avevano evocato spiriti dall’al di là. Poteva essere accaduto di tutto, da Liam con una piccola febbre, alla distruzione imminente dell’intero sistema solare. Mia ed Andrev nascondevano qualcosa ed erano così ovvi che lo aveva capito subito, Steven poteva continuare a ripeterle “Non ti preoccupare sicuramente non è niente, ti fidi di loro no? Allora sta tranquilla” anche fino alla fine delle loro vite, ormai lei era ufficialmente in modalità, ansia incontrollata. Se le era passate così quelle due settimane, nel modo forse meno giusto, perché avrebbe dovuto viversi quei giorni come se fossero stati gli ultimi, trovare le parole ed i modi giusti per dirgli la verità. Ma era tipico di lei fare degli errori e poi piangere sul latte versato e quella volta come tutte quelle prima, aveva fatto l’unica cosa che riusciva a tranquillizzarla.

►Appena atterro, meeting.

Aveva scritto alle sue tre anime gemelle. Perché quando lei mandava tutto all’aria loro riuscivano sempre a sistemare ogni cosa.

Mia: Ok.
Fra: Ok.
Momo: Ok.


E loro c’erano sempre. Non c’era esitazione, non c’erano domande.
Le sedici ore di volo che la separavano da loro le passò dormendo, perché Lisa riusciva a dormire in qualunque situazione, anche la più tragica. Era venuto a prenderla suo zio in aeroporto, sembrava essere talmente felice di rivederla che da un momento all’altro poteva scoppiargli il cuore. Suo zio era l’equivalente di un padre per lei, quel padre che non avrebbe voluto conoscere e che ringraziando il cielo non faceva più parte della sua vita. Zio Gianni era un uomo buono, disponibile, altruista, decisamente innamorato della sua nipotina, non le aveva mai fatto mancare nulla, anche quando le passava sottobanco dei soldi extra senza che sua zia se ne accorgesse. Lui, suo fratello ed il padre di Mia erano gli uomini di cui aveva maggior stima e rispetto. Ai quali aveva chiesto consiglio nei momenti brutti e che aveva sempre guardato con pura ammirazione. Poi c’era un’altra figura genitoriale che riconosceva e no, non era sua madre. Con sua madre condivideva un rapporto decisamente paritario, per il tipo di vita che avevano fatto e le situazioni che avevano affrontato non si relazionavano fra loro come avrebbero dovuto fare una madre ed una figlia. No, erano più due confidenti, non amiche, perché Lisa non tollerava e non condivideva affatto alcuni lati del carattere della madre, però sapeva di potersi fidare di lei. La donna per cui nutriva più stima ed affetto in assoluto era la nonna di Mia. Le aveva aperto le porte di casa sua con un calore che lei non ricordava d’aver mai più provato. E non potendo dire lo stesso della sua defunta nonna, considerava quella di Mia la sua. Suo zio la riportò a casa, restò a guardarla salire le scale, attese anche qualche minuto extra come a voler avere la certezza che fosse proprio andata a casa, ma Lisa sentiva il rumore del motore della vecchia punto anche dal settimo piano. Aspettò la messa in moto per afferrare le chiavi del motorino ed uscire di nuovo senza dire una parola a sua madre. Quei brevi cinque minuti in cui era stata in casa avevano permesso al suo telefono di collegarsi al wifi e farle ricevere i messaggi delle ragazze.
Momo: L’ho detto anche a Bex, va bene, vero?
Mia: Si.
Fra: Si.

E invece quei si erano dei no e Monica aveva commesso un’altra delle sue leggerezze. Solo che ormai sarebbe stato incredibilmente maleducato ritirare l’invito, quindi al diavolo la privacy e le recriminazioni, Rebekah si sarebbe beccata il battesimo di sangue per entrare definitivamente nel loro circolo ristretto. Avrebbe affrontato il suo primo tsunami Lisa, chissà se avrebbe retto.

►Va benissimo! Parto ora da casa!

Sarebbe arrivata da Mia nel giro di una mezz’ora, ormai conosceva alla perfezione tutte le scorciatoie per evitare il traffico congestionato della capitale.
Se ci fosse stato Eric, Mia avrebbe lasciato i bambini con lui e si sarebbero potute godere una serata fuori, ma farla uscire a quell’ora con i bambini, le avrebbe solo creato problemi. Tra l’altro quando doveva muoversi e portarseli dietro praticamente smontava casa. Prima o poi si sarebbe accordata con le altre per regalarle un camper. Come le era venuto in mente di fare due gemelli lo sapeva solo lei.
Arrivò davanti al cancello della casa di Mia quando questo si stava aprendo per lasciar entrare la macchina di Monica. Nemmeno quando si accordavano riuscivano ad essere così sincronizzate. Mia era sulla porta con alle spalle Francesca che teneva in braccio Liam. Aveva nello sguardo quella patina di consapevolezza che tradisce la lunga conoscenza. Sapeva che le ragazze dovevano aver fatto i salti mortali per liberarsi dal lavoro e che se Lisa si era fiondata lì subito dopo il volo era perché c’era qualche bomba che non poteva attendere.
«Mi sei mancata!» - le disse abbracciandola e mandandola a sbattere contro la porta socchiusa.
«Anche tu Riv, anche tu!» - era bello averla di nuovo lì, lei e quei suoi novantamila chilometri di capelli perfetti. Le fece largo lasciando che andasse a salutare anche Francesca mentre lei accoglieva Monica, Rebekah e la piccola Hope già addormentata sulla spalla della zia. - «La stanza di sopra è già pronta.»
«Grazie.»
- rispose la vampira salendo subito al secondo piano, dove Cloé già dormiva. L’aereo di Lisa era atterrato alle nove e tre quarti e solitamente sia i bambini di Mia che Hope verso le undici  al massimo iniziavano ad avere sonno.
«Prendo da mangiare e arrivo.» - Lisa stava scendendo al piano di sotto. - «Non ho mangiato e sto letteralmente morendo.»
«Io prendo da bere.»
- disse Monica iniziando a tirare fuori bottiglie sia dal frigo che dalla dispensa.
«Io mi siedo.» - Mia si era abbattuta sul divano in tutta la sua stanchezza. Aveva fatto una lavatrice e stirato una quantità inaudita di vestiti.  Francesca dondolava Liam che come sempre impiegava più della sorella a prendere sonno.
«Ho aperto la porta della stanza di Cloé, va bene?» - le disse Rebekah tornando da loro.
«Si hai fatto bene altrimenti se piange non la sento.» - rispose lei, mentre Monica appoggiava bicchieri e bottiglie sul tavolo e Lisa risaliva con tre sacche di sangue una delle quali lanciò a Rebekah.
«Grazie!» - disse quella.
«Due?» - domandò Francesca scoccando un’occhiata a Monica. Lei e Rebekah erano le uniche a sapere che c’era un vampiro in più in quella stanza e vedere Lisa con tutto quel sangue le fece temere per Monica.
«Ho fame…» - si giustificò la ragazza. - «Comunque ce ne sono alcune non mie.»
«Giusto dov’è Kol?»
- domandò Monica bevendo subito un bicchiere di vodka. La risposta sarebbe dovuta arrivare o da Mia o da Rebekah, ma entrambe tacevano.
«Col suo compagno di malefatte probabilmente.» - sentenziò Francesca. Sedendosi su una delle poltrone.
«L’ultima volta che eravamo in circolo davanti a questo tavolo abbiamo evocato un fantasma…» - disse Lisa sorseggiando beata il suo sangue appena riscaldato.
«Una serata interessante…» - commentò Rebekah.
«Chi comincia?» - domandò Mia, tagliando la testa al toro. Non le erano mai piaciuti i giri di parole e fra di loro non ce n’era bisogno. Era abbastanza da lei voler arrivare dritta al nocciolo della questione sorvolando sul fatto che forse, quelle chiacchiere elusive potessero in realtà servire loro per prepararsi a sputare fuori il rospo.
«Chi comincia cosa?» - la domanda di Rebekah trovò risposta nel silenzio delle altre tre.
«Ok dai.» - disse Monica mandando giù una patatina e poi un sorso di tequila. - «Voglio provare ad uscire con Dimitri.»
«Mi sembra un’ottima cosa…»
- disse Mia mangiando un po’ di noccioline e Francesca deglutì seguita a ruota da Rebekah perché entrambe aspettavano di sentire “l’altro”.
«E…» - continuò la rossa. - «Quando ci siamo occupati di Ivan ed i suoi qualcosa è andato storto.»
«Chi è Ivan?»
- domandò Lisa.
«Il figlio del vampiro psicopatico che aveva rapito Kol ed Andrev.» - rispose sbrigativa Francesca.
«Cosa è andato storto?» - domandò ancora Mia mentre Rebekah prendeva dei popcorn e Lisa cercava mentalmente di ricollegare gli eventi.
«Abbiamo avuto uno scontro e…» - non era semplice dire alle proprie migliori amiche di essere diventata un vampiro. - «Sono rimasta ferita quindi Dimitri mi ha dato il suo sangue.»
«Uhhhh bloodsharing?»
- disse Lisa sorridendo. - «Siete partiti con il turbo!»
«Sei un vampiro…»
- disse Mia.
Monica si era dimenticata che lei poteva vederlo ed in quel preciso istante Mia la stava vedendo. Era circondata da un’aurea rosso fuoco esattamente come quella di River e Rebekah. Solo per esserne sicura guardò Francesca e lei no, lei era ancora meravigliosamente azzurra.
«COSA!?!» - Lisa si era tirata su dalla sedia e la sacca di sangue era scivolata a terra iniziando a colare sul pavimento. Lo sguardo di Monica si annerì vedendo il liquido rosso, ne sentiva l’odore e poteva immaginarne il sapore.
«Prendi!» - le disse Rebekah passandole un bicchiere pieno di sangue che quella mandò giù tutto d’un fiato.
«Oh cristo!» - disse ancora Lisa prendendo dei tovaglioli per pulire per terra.
«Mi dispiace, ve lo volevo dire quando saremo state tutte insieme…» - disse la ragazza.
«A te…» - disse Mia con la voce incerta. - «Sta bene?»
«Per ora si, mi da fastidio non controllarmi quando vedo del sangue, ed anche questa storia del non poter entrare nelle case, ma mi ci abituerò…»
- le sembrava sincera anche perché arrivati a quel punto c’era ben poco che si potesse fare per cambiare le cose.
«L’altra cosa…» - le disse Francesca.
«Ah beh si poi ci sarebbe il problema del mio anello diurno…» - disse ancora la vampira.
«Andrev non te ne ha fatto avere uno?» - domandò River.
«Volevo che me lo facessi tu.» - disse a Mia.
«Sono tornata da una settimana e tu me lo chiedi solo ora?» - rispose lei.
«Beh non era proprio la prima notizia da darti dopo quel viaggetto…» - spiegò Rebekah.
«Credo di averne qualcuno di sotto…» - disse ancora la ragazza.
«Vorrei questo! E’ come quello di Riv.» - era il loro e trovava rassicurante che Monica le facesse quella richiesta. Non si sarebbe mai abituata al fatto che le persone potessero diventare dei vampiri e rimanere comunque le stesse meravigliose creature che erano prima.
«Va bene. Farò cambiare la pietra e userò questo.» - era assurdo. Monica, la loro Monica era un vampiro. Se quella era la prima notizia, ovvero quella che si erano sentite di dire con più tranquillità, non osava immaginare il resto.
«Io e Andrev ci siamo lasciati.» - Francesca la sparò fuori senza bere e senza preavviso. Continuando a cullare Liam. Il WTF generale che si dipinse sulle loro facce la indusse ad aggiungere qualche ulteriore dettaglio. - «Non ce la facevo più.»
«No regà, ma voi state male!»
- disse Lisa con le mani nei capelli sull'orlo del pianto.
«Ma sei sicura?» - le domandò con tanta ingenuità Rebekah.
«Si. E’ meglio così.» - rispose l’altra.
«Gliel’ho sempre detto che aveva un atteggiamento del cazzo!» - sbottò Monica.
«Beh vabbé lo faceva per tenerla al sicuro.» - la incastrò Mia.
«No, ma siamo tranquilli. Se vogliamo farci una pizza tutti insieme, si può, niente rancori.» - Francesca e la sua maturità. Se si fosse trattata di una di loro sarebbe finita a lacrime e sangue.
«Lo porto su, non continuate senza di me!» - disse Mia prendendole Liam dalle braccia. Quel piccolo break fra le confessioni, gli ci voleva per mandare giù la notizia che la Frev era scoppiata e che Monica non era più un essere umano. Se ne stette appoggiata al lettino dei bambini per qualche istante, per riprendere fiato e lucidità, poi tornò giù.
«Non so quanto questo possa alleggerire l’atmosfera, ma io ho deciso che noi resteremo almeno per tutti i primi cinque anni di elementari di Hope.» - disse Rebekah e se ne rendeva conto perfino lei che se un gruppo di persone trovavano rassicurante l’idea di due Mikaelson che si stabilivano nella loro città, erano veramente fuori dal comune.
«Che bella notizia!» - disse Francesca. - «Mettila in guardia sui latin lover italiani… Cominciano presto!»
«Così posso continuare a rubarti i tuoi capi vintage.»
- ironizzò Lisa.
«Significa che resterà anche Kol?» - stasera Monica proprio non ce la faceva a non tirarlo in mezzo.
«Non ne ho idea. Di solito è molto volubile.» - rispose Rebekah lanciando un’occhiata a Mia.
«Quando ho detto la verità a Steven non solo ha quasi infartato, ma ha preso un crocefisso della madre lanciandomelo contro ed infine ha cercato di chiamare la polizia.» - era il turno di Lisa. - «Quindi l’ho soggiogato facendogli dimenticare tutto.»
«Hai fatto bene.»
- disse Rebekah, l’unica di loro ancora in grado di elaborare un qualche pensiero coerente. - «Fagli accettare la cosa lentamente manipolandolo…»
«Quello non è accettare, è farlo diventare la mia marionetta.»
- Lisa guardava verso Mia perché lei era quella che di solito si opponeva con più decisione quando si trattava di influenzare le scelte degli altri. - «Solo che davvero non so che fare…»
«Non puoi farglielo accettare soggiogandolo. A quel punto non ha proprio senso che tu gli dica la verità.»
- cominciò Mia. - «Se lo lobotomizzi tanto vale che te ne trovi uno qualunque.»
«E poi che succede se per qualunque ragione il tuo soggiogamento venisse interrotto?»
- domandò Monica.
«Vabbé ma quello non può succedere, dovrei morire per-» - Francesca la interruppe.
«Già proprio una di quelle cose che non ci succede mai!» - aveva ragione.
«Comunque la cosa più tragica è che se ha reagito in quel modo…» - Monica non aveva intenzione di terminare la frase perché era chiaro a tutti quale fosse l’epilogo.
«Beh, signore mie, fatemi i complimenti. Mollata ad un passo dall’altare… Ci scherzavamo tanto e alla fine è successo veramente.» - River aveva passato anni alla ricerca del ragazzo giusto convinta che sarebbe morta sola senza mai aver veramente potuto vivere una storia. Se ne usciva sempre con quella storia che sicuramente l’avrebbero piantata all’altare perché alla fine lei non sarebbe mai valsa la pena per nessuno e Mia le aveva ripetuto fino a farsi sanguinare la lingua che quelle erano tutte cazzate.
«Almeno tu ti ci sei avvicinata ad un altare…» - Rebekah riusciva a capire quella sensazione molto meglio di chiunque altro.
«Tu? Non hai niente da confessare?» - le domandò Francesca.
«Ha ancora valore ammettere che sapevo che Andrev non era affatto in giro per l’Europa, ma stava andando a massacrare gli ex membri del Consiglio?» - disse incassando la negazione silenziosa di tutte le presenti. - «Allora…» - aveva qualcos’altro da rivelare. - «Continuo a sognare quella voce che mi parla di una chiave.»
«Che chiave?»
- domandò Rebekah.
«E’ preoccupante… Ormai saranno mesi che fai questo sogno.» - commentò Lisa.
«Non lo so. Non riesco proprio a capire.» - disse lei. - «Però ammetto la sconfitta. Stasera avevate delle bombe…»
«Tra l’altro nessuno ci fa caso che appena Monica decide di tornare in ballo tutte le nostre storie finiscono?»
- disse Francesca allungando la ciotola con le patatine a Lisa che aveva finito le sue sacche, ma restava comunque affamata.
«Oddio… Inquietante.» - commentò quella addentando una crik crok.
«Non vi fate i film, ci vado solo a prendere un caffè.» - chiarì la rossa.
«Beh il fatto che tu non abbia aggiunto “alla macchinetta dell’ufficio” implica un appuntamento, il che è abbastanza destabilizzante…» - Mia aveva fatto posto a Francesca sul divano e mentre quella le si era sdraiata completamente addosso, lei giocava con i riccioli neri. Non ci poteva credere che non stava più con Andrev.
«Io voglio morire.» - disse Lisa buttandosi addosso a Monica. - «Non poteva semplicemente dire “Oh cazzo!” e poi accettare la cosa?»
«Se davvero ci tiene a te la accetterà.»
- e Rebekah si mostrava di nuovo come una inguaribile romantica. - «Forse aveva solo bisogno di tempo.»
«Si e mentre lui si prende tempo a pensare se farmi rinchiudere in qualche laboratorio della CIA, io cosa avrei dovuto fare? Mi sento pure in colpa…»
- rispose quella ancora abbattuta su Monica.
«Riv hai fatto bene a fargli dimenticare tutto, ed in un modo o nell’altro vedrai che la cosa si sistemerà.» - la consolò Monica.
«E se lo trasformassi?» - disse la ragazza.
«Ora stai delirando!» - la riprese Mia. - «Non è nemmeno una possibilità.»
«No, seriamente. Se lui fosse come me non avremmo più alcun problema!»
- rincarò la dose quella.
«Non ti voglio nemmeno rispondere…» - concluse tornando a concentrarsi sui capelli di Francesca.
«Riv un conto sarebbe se fosse lui a chiedertelo, ma così…» - c’era qualcosa della sua esperienza con Andrev in quell’affermazione perché Francesca sapeva esattamente ciò di cui stava parlando.
«Quindi cosa? Dovrei lasciare l’unico ragazzo che abbia davvero dimostrato di tenere a me e che si sia impegnato con dei progetti? Nessuno ha chiesto il mio parere quando sono diventata un vampiro eppure io non la faccio così lunga…» - era tipico di River, ad un certo punto di dolore, iniziava ad andare completamente fuori di testa.
«Stai paragonando due situazioni che non c’entrano niente l’una con l’altra…» - le disse Monica.
«Senza contare che una volta divenuto uno di noi, potrebbe non essere più la persona di cui sei innamorata adesso. La trasformazione ti cambia, dovresti saperlo bene…» - Rebekah, proprio come Francesca poco prima, conosceva fin troppo bene i rischi che comportava la trasformazione.
«Magari invece di cominciare da voi, che a parte i presenti, siete creature abbastanza inquietanti, potevi iniziare con qualcosa di più soft…» - Mia era tornata a parlare perché alla fine quando Lisa cominciava a spararle troppo grosse a lei esplodeva il nervoso.
«La mia solita fortuna… Proprio un vampiro dovevo diventare?» - disse la ragazza.
«Mi dispiace la scocciatura, ma all’epoca ero proprio a corto di soluzioni!» - le aveva risposto con un tono eccessivamente accusatorio, doveva essere la stanchezza. Ed il fatto che Liam al piano di sopra si fosse svegliato suonava come un rimprovero per quel volume di voce troppo alto. Era salita facendo cadere la testa di Francesca e tutti i suoi ricci disordinatamente sul divano. Lisa l’aveva raggiunta subito dopo, perché non poteva esserle sfuggito quella piccola vena di nervosismo nella sua voce.
«Oh ma che hai?» - le chiese mentre lei sollevava il bambino dalla culla e cercava di evitare che svegliasse la sorella.
«Niente…» - rispose richiudendosi alle spalle la porta della camera dei bambini.
«Non mi stavo mica lamentando, mi hai salvato la vita.» - le disse abbracciando lei ed anche il piccolo incastrato fra di loro.
«Si, ma è colpa mia se ti hanno uccisa innescando la transizione…» - disse lei.
«Ti ho vomitato nella macchina nuova, ce l’hai ancora con me?» - ci mise un po’ a ricordare quell’evento. I suoi genitori le avevano da poco comprato la macchina e lei e le ragazze stavano tornando a casa dopo la serata fuori. Lisa si era improvvisamente sentita male a causa del troppo alcool e le aveva rifatto la tappezzeria del sedile. Aveva passato le prime ore del giorno a togliere il vomito dal sedile armata di fazzoletti e bottiglietta d’acqua frizzante. Ad un certo punto si era perfino tolta le scarpe perché i tacchi le davano fastidio. C’erano voluti almeno due lavaggi ed un numero infinito di deodoranti per auto per togliere la puzza.
«Come ti viene in mente?» - le domandò.
«Perché per me è la stessa cosa!» - stava seriamente paragonando l’averle vomitato in macchina ad averla fatta uccidere. I suoi metri di giudizio erano decisamente particolari.
«Ma cosa c’entra! Tu sei stata male non ci potevi fare niente!» - Liam si stava riaddormentando sentendole bisbigliare.
«Appunto tu mica potevi farci qualcosa se il vecchio Consiglio voleva ucciderti! Quindi dai non ne parliamo più…» - le veniva da ridere, le era perfino passato il nervoso.
«E tu non dire più stronzate sul trasformare la gente!» - le disse rimettendo il bambino nella stanza.
«Io comunque mi ammazzo veramente.» - aggiunse mentre tornavano di sotto.
«Ancora con questa storia di morire Riv?» - le disse Francesca e Monica le tirò un cuscino.
«Si, ma non per Steven!» - disse lei prendendo il posto di Mia sul divano mentre lei si accucciava sulla poltrona. - «Io non posso sopravvivere a voi.»
«Ce la stai tirando?»
- domandò Monica, mentre Rebekah sorrideva.
«A parte che ora tu non conti più, ma comunque no però io mi ammazzo il giorno in cui l’ultima di voi morirà.» - disse ancora più convinta.
«Allora penso che dovremmo ringraziare Rebekah di esistere!» - suggerì sorridendo Mia.
«No dai avete capito che intendo…» - lo avevano capito ed il brutto era che non c’era nemmeno il minimo dubbio che Lisa stesse parlando seriamente.
«Ma perché facciamo sempre questi discorsi allegri?» - domandò Francesca alzandosi e prendendo della coca cola. - «Tra l’altro stando ai fatti la prima a tirare le piume sarò io e  sarò tutta rugosa vecchia e brutta mentre voi sarete ancora quattro stragnocche!» - e le fece ridere quell’idea così lontana.
«In effetti che discorsi del cazzo.» - la assecondò Rebekah.
«Andiamocene a dormire, che mi pare abbiamo fatto il pieno di disgrazie…» - le sollecitò Monica dirigendosi di sopra. - «Io dormo a destra!» - urlò facendo scattare Francesca come una lepre.
«Io a sinistra!» - urlò la ragazza.
«Io arrivo prima quindi scelgo il posto che mi pare!» - Lisa era scomparsa al piano superiore.
«Mai nessuna che faccia a gara per dormire con me eh?!»  - gli disse Mia salendo seguita da Rebekah.
«Per fortuna che ho la scusa di Hope…» - le disse superandola.
Maledette, solo perché ogni tanto si agitava nel sonno.
Erano belle tutte con dei pigiami spaiati e dai colori improponibili mentre si alternavano nei bagni. Lisa era tornata, erano di nuovo tutte insieme, il cerchio era chiuso. Mia si sentiva più tranquilla, anche se continuava a mancarle il profumo di Eric nella loro stanza. Il respiro profondo che aveva quando dormiva, il calore del suo corpo quando la stringeva la mattina. Sarebbe impazzito a stare in casa con tutte le ragazze, trovava sempre una scusa per filarsela quando organizzavano quelle riunioni.
«Se ti senti sola lì, vieni da noi!» - le urlò Lisa dall’altra stanza prendendosi qualche calcio da Monica e Francesca.
«SHHHHHHHHHHHHHHHH!» - fu il coro unanime che si sollevò dalle stanze seguito da sommesse risate. Chissà se si rendevano conto di quanto fossero potenti quelle risate e quelle proposte indecenti. Allontanavano la malinconia ed il dolore, nell’angolo più remoto della stanza. 


 


Con anticipo, ma auguro a tutti un buon 1 Maggio :) 
Mi sembrava giusto pubblicare questo capitolo, piuttosto leggero e poco impegnativo e colgo l'occasione per dire che sto correggendo i prossimi 3 capitoli. Ultimamente ho scritto... Ugh... Ho scritto veramente tanto ahahahahah 
Come sempre grazie a tutti quelli che seguono la storia, a chi la recensisce a chi mi scrive il privato a chi legge e basta, insomma grazie mille a tutti perché siete un continuo stimolo a proseguire :) 
E si non vi preoccupate esiste una fine alla storia ed è anche già parzialmente scritta X°D Dobbiamo solo arrivarci... Facendo il giro più lungo, ovviamente!

 
   
 
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