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Autore: moonlight96    30/04/2015    1 recensioni
Questa storia partecipa al contest "Viva la mamma"
"Là infondo, celata dall’oscurità, si nascondeva la sua prima prova.
Di che si trattava? Draghi? Combattimenti con altri maghi? Mollicci?
Estrasse lentamente la bacchetta dall’uniforme. Non sapeva cosa l’aspettava ma lì, circondata da ogni lato dai suoi amici, si sentiva pronta."
Chi non ha mai sognato di essere famoso? Ma è davvero tutta rosa e fiori come sembra la vita di una celebrità? E soprattutto quella dei figli delle celebrità?
Il Torneo Tremaghi sarà l'ennesima sfida per i figli del Trio D'oro. Ma per vincere, Rose, dovrà fare i conti con qualcosa di molto più grande.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Weasley, Hermione Granger, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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LA SFIDA PIÙ GRANDE







 

 

 

Era una lieta sera di Ottobre, le nubi inglesi avevano raramente lasciato spazio a una veduta così luminosa.
La luna, perfettamente tonda e immobile, rischiarava il prato sotto di lei e attirava lo sguardo di molti studenti, giunti alla finestra nel tentativo di scorgere qualche indizio.

Di indizi non se ne vedevano molti comunque. Le cravatte, fossero rosse, gialle, verdi o blu non aveva importanza, schiacciavano tutte il loro naso alla finestra, sperando di intravedere una zampa, un verso acuto o magari il bagliore di una fiamma. Ma la cupa vegetazione mai come in quel momento appariva come un nebbioso cancello invalicabile.
Sembrava quasi prendersi gioco di chi la osservava, emanando una fitta aurea di mistero, ma non lasciando intravedere nulla.
Le informazioni rimanevano sempre quelle: la mattina dopo si sarebbe svolta la prima prova del Torneo Tremaghi e tre studenti l’avrebbero affrontata, cercando di sopravvivere.

Dopo quasi trent’anni, il calice era stato riesposto ed, esplodendo in un variopinto incendio, una sera aveva scelto i suoi concorrenti, segnando per sempre il loro destino.
Forti dell’aspettativa che sapevano incombere sulle loro figure, i rivali del Durmstrang e del Beauxbatons dormivano già da un pezzo. Lo studente di Hogwards invece, era ancora nella Sala Comune e non sembrava avere la minima intenzione di dormire.
In quei giorni, nei titoli dei giornali di tutto il mondo, il cognome Wealsey aveva insolitamente superato quello di Potter e questo era solo perché il concorrente inglese era un membro di quella famiglia, anzi, la concorrente.


In quel momento, insieme a Rose nella Torre di Grifondoro, c’erano solo libri ed i fantasmi dei consigli che gli erano stati dati, ormai liberi di volteggiare nella sua mente.

Tonf.

La ragazza aveva chiuso con un tonfo un pesante libro, interrompendo per un secondo la lettura frenetica. I suoi compagni l’avevano riempita d’incoraggiamenti e sorrisi per tutta la sera poi, via via che i contorni della notte si definivano, la stanza si era svuotata, finché non era rimasta solo lei.
Non se la sentiva di andare a dormire e quindi aveva preferito restare lì, a studiare stratagemmi ed incantesimi.


Distratta momentaneamente dallo studio e lontana da occhi indiscreti aprì una borsa, che aveva lasciato in un angolo fino a quel momento. Il bagliore del camino colpì l’oggetto al suo interno, dandogli una sfumatura dorata e solenne.
Rose scacciò il vecchio libro dalle sue ginocchia e vi appoggiò un bauletto. Era una semplice scatola di legno, eppure aveva per lei un valore inestimabile. Un pezzetto di casa, che aveva portato con sé una mattina prendendo il treno per Hogwards.
Ne accarezzò la superficie e lentamente lo aprì.
Conteneva i suoi ricordi più belli: la prima penna; il cappello di carta che aveva indossato per il suo compleanno e molti altri oggetti di quando era ancora una bambina.
Quante cose erano cambiate da quando suo padre la portava in groppa, fingendo di essere un unicorno.
Crescendo era nata in lei quella passione sfrenata per lo studio, insieme alla speranza di essere migliore.
Perfino in quel momento, era lì quasi per abitudine e perché non sarebbe bastata tutta la preparazione del mondo a farla sentire sicura di sé, figuriamoci una notte.


Le mura risplendevano delle fiamme nel camino. Un colore rossastro inondava la sua divisa e lo spazio intorno a lei, dandole una senso di calore.
Immersa in quel tepore, pensò al giorno seguente. Le bandiere, i cori indistinti, le facce di aspettativa, di scherno (soprattutto quella di Zabini) e solo qualcuna realmente impaurita.
“Forse è meglio che vada a dormire,” ripeté fra sé persuasiva “O domani non sarà necessario usare draghi o mostri per spaventare la folla.”
S’immaginò l’espressione di Scorpius nello scoprire che era ancora sveglia. Vide perfettamente i suoi occhi pungenti assottigliati in una minaccia, ma che non le aveva mai fatto paura.
Al pensiero di quelle attenzioni impacciate le sue labbra si tesero in un sorriso. Sentendosi veramente leggera per la prima volta da giorni.


Come era buffo, avere spazio per le cose semplici, a qualche ora da una prova mortale. E forse lo era ancora di più, essere circondata dagli sguardi di tutti e sentirsi comunque sola.

Sola…

Abbassò lo guardo sulla piccola scatola e di nuovo sentì il calore avvolgerla. “Che dico, non sono sola.”

Fra quei frammenti d’allegria scorse una foto.
L’avevano scattata qualche anno prima e da allora la guardava ogni volta che sentiva di non sapere più bene chi essere.
La cornice racchiudeva un tipico quadretto famigliare, attorniato dagli addobbi babbani e colorati di uno dei tanti Natali alla Tana.
Col passare degli anni le era successo sempre più spesso di sedersi a gambe incrociate sul letto, con le molle che cigolavano sotto di lei e contemplare quel foglio di carta. Non restava mai molto a lungo fra le sue dita comunque. Le bastava vedere il sorriso fiero e lentigginoso di suo padre e l’espressione luminosa e brillante di sua madre per recuperare quel pezzetto di sé, che chissà perché aveva smarrito.



Lei era Rose Weasley, era semplice capire chi doveva essere. Il suo futuro era stato scolpito nella pietra dal primo giorno in cui aveva visto con i propri occhi il mondo. All’inizio, quei solchi, non erano altro che un accenno sottile ma ben definito. Un accenno che si era ingrandito giorno dopo giorno.

E non era un semplice formicolio quello che aveva sentito quando, prima di ogni altro bambino nella sua classe, aveva impugnato la piuma e scritto per la prima volta.

E a pungere, il giorno in cui aveva letto il suo tema davanti amici di famiglia e le avevano detto che era proprio come sua madre, non era una zanzara.

Era lo scalpello che sprofondava nella roccia e che rimarcava con convinzione sempre la stessa frase:

Tu sei Rose Weasley e sarai perfetta. Sarai grande, come lo sono i tuoi genitori.



Un miagolio sommesso richiamò la sua attenzione. Assomigliava più al verso di una cornacchia in realtà.

“Che c’è Grattastinchi? Sei venuto a far compagnia alla tua pazza padrona?” Un gatto grasso e spelacchiato avanzò zoppicando.
“La palla di pelo assatanata” come lo definivano sua padre e Hugo la guardava da dietro i suoi occhi gialli.

“Oh non vorrai farmi la ramanzina anche tu, vero? Non sono pronta per dormire, non ancora almeno…”

Era vero, prese quel che restava di quel micio ultra ventenne e se lo portò sulle gambe. Il gatto si accoccolò,
intorpidendola con le sue fusa.
Accarezzando distrattamente l’animale, si perse nell’immagine delle fiamme, che si abbracciavano e si lasciavano di continuo.



Avvicinò ancora la foto, scoprendosi le iridi incendiate riflesse nella pellicola fotografica.
Era così bello, pensò, quando lei era ancora una bambina e le cose erano facili, spontanee.
Quando poteva semplicemente dire “Voglio quello”, permettersi di combinare anche lei qualche guaio e il mondo l’avrebbe comunque avvolta in un abbraccio rassicurante, come le fusa di Grattastinchi.
Quel periodo era già finito da qualche mese quando avevano posato per quella foto.

Guardò meglio il suo sorriso. Ricordava che l’aveva fatto nella speranza di assomigliare a sua madre e, allo sguardo distratto di un conoscente, si sarebbe potuto dire che ci era riuscita. Sembrava una bambina felice.
Le due Rose si guardarono negli occhi e per un attimo tutte le sofferenze di quelle iridi di carta le tornarono nitide,
come avesse di nuovo undici anni.




Era stato un momento difficile quello, il termine giusto forse era scioccante.
Quando, il primo di Settembre di quello stesso anno, aveva salutato entusiasta i suoi genitori dal vagone in movimento, non immaginava che avrebbe fatto una terribile scoperta. Non le era servito più di qualche giorno infatti, per capire che quella stele di pietra dove c’era scritto chi doveva essere, che lei aveva sempre portato con gioia perché prova di chi erano i suoi genitori, era in realtà un macigno. Un blocco pesante che in certi momenti le era sembrato impossibile da sostenere.

“D’altronde è questo il prezzo di essere figli di gente famosa, Rose.” le aveva confidato un giorno Albus.

“Tutti si aspettano cosa tu debba o non debba fare, non possiamo farci niente.”

La colpa non era di sua madre e suo padre, lei lo sapeva. Le avevano sempre dato lo stesso supporto che le
trasmettevano da quella foto.
Avevano fatto di tutto per regalarle un’infanzia lontana dal pettegolezzo, ma non potevano impedirle
l’accesso a Hogwards.
Eppure, nell’ingenuità della sua pre-adolescenza, non aveva potuto non sentire un nodo di rabbia contrarle lo stomaco, quando aveva li aveva rivisti per le vacanze di Natale.
Era un nevoso pomeriggio di Dicembre e loro l’avevano salutata come avevano fatto nel vederla partire.
Rose li aveva guardati, lentamente, aveva salutato anche lei. E Il nodino era rimasto inascoltato.
Aveva imprigionato i suoi sentimenti con un sorriso, nascondendoli più a fondo che poteva.



Quello stesso sorriso era quello che aveva indossato quel giorno di Natale, davanti il bagliore di una macchinetta.
Guardando bene però, si sarebbe notato che l’espressione non era proprio simile a quella di sua madre; le labbra erano un po’ forzate, quasi incrinate e gli occhi erano percorsi da una strana agitazione.
Ma Rose si era nascosta in camera con la scusa di studiare, le settimane che era rimasta a casa,
e nessuno aveva notato niente.
Nessuno tranne sua madre ovviamente, a cui non sfuggiva nulla.






Toc Toc.

Aveva fatto un giorno la porta.

Una chioma crespa raccolta in una treccia era entrata cautamente nella stanza. Si era avvicinata al letto, sedendosi affianco a lei.
Sua madre aveva aperto una conversazione con un sorriso, parlando di tutto come avevano sempre fatto,
apparentemente con la stessa sintonia.
Ma Rose sentiva qualcosa dentro di sé ribollire. E forse lo sentiva anche sua madre perché ad un certo punto smise di parlare. La guardò intensamente, lasciando cadere un silenzio stranamente carico di parole.

“Come stai?”

La ragazzina era rimasta spiazzata a quella frase.

“Beh, come vi ho detto di stare ieri e l’altro ieri: bene.” disse infine, ridendo imbarazzata.

L’altra però non smise di fissarla. “No Rose,” fece sorridendo comprensiva “Io intendo, come stai veramente.”
La vide abbassare gli occhi, insolitamente incapace di sostenere lo sguardo.

“Hogwards deve essere stata un’esperienza del tutto nuova per te, mi ricordo James al suo primo anno.
Non smetteva mai di raccontare quanto tutti l’adorassero, non lo sopportavamo più.” spostò esasperata lo guardo alla finestra al ricordo, ma invece di riprendere a fissarla vide i suoi occhi concentrarsi sulla neve che decorava il paesaggio.
Aveva smesso di sorridere, quando parlò la sua voce era seria.

“Tu non l’hai fatto ed ero sicura che avresti avuto tanto da dire…” le sopracciglia si crucciarono a quel pensiero.

“...Hai raccontato tutto in maniera generica ed evasiva, senza l’entusiasmo che hai solito. Il che mi fa supporre due cose.
Che forse non ti conosco così bene e mi sono sbagliata.
O che ci sono tanti pensieri nella tua testa ma che non vuoi raccontarceli.”

Tornò finalmente a fissarla, gli occhi intelligenti intrisi di preoccupazione.
Sotto il magico potere di quello sguardo, che era sempre riuscito a vederla nel profondo più di chiunque altro, non volle più fingere.
Sapevano entrambe che lei non sbagliava mai.
Parlarono per davvero, a lungo, e ricominciarono a sentirsi connesse come un tempo.




Quel momento però, per quanto bello, non aveva cambiato la situazione. Rose era rimasta Rose e il mondo sarebbe sempre stato così complicato.
Ma quando aveva rimesso piede nelle vecchie mura del castello l’aveva fatto con una nuova forza. Perché ora sapeva di non essere sola.
Dentro il baule giaceva una scatoletta di legno, in cui aveva riposto con cura i suoi più bei ricordi.





L’orologio sopra il camino scoccò. Segnava le tre. La schiena di Grattastinchi si alzava e si abbassava lentamente. I numerosi libri aperti giacevano abbandonati per terra.
Ecco, qualcosa di buono questa competizione l’aveva portato, stava facendo qualcosa assolutamente non da lei.
Era sveglia ad una tarda ora la notte prima di un importante esame e non stava studiando.
Gongolò realizzando che era il genere di cosa che tutti avrebbe disapprovato; perfino quello scansafatiche di James, che aveva già scommesso su di lei.
Quante volte aveva spiato, dall’alto della biblioteca, i ragazzi che giocavano e si divertivano in cortile?
Un paio di volte era arrivata perfino ad alzarsi e mollare lo studio per unirsi a loro.
Ma non era mai riuscita ad ignorare l’idea degli sguardi riprovevoli dei professori e degli adulti che conosceva e ogni volta correvaa implorare ai propri libri di perdonarla per un simile abbandono.
I commenti dei suoi coetanei, che dicevano che era una secchiona soporifera, facevano meno male di una D.
Solo di tanto in tanto, le dispiaceva non poter dimostrare a tutti che anche lei aveva il suo lato giovane e spensierato.

“Non ci credo.”

Una voce parlò dal nulla e la rossa balzò per lo spavento. Il povero gatto fece appena in tempo ad atterrare sulle zampe, soffiando inviperito.

“Al, ma che…” ansimò con una mano sul cuore. Il cugino si era tolto il mantello e la fissava allibito.

“Hai minimamente idea di che ore sono?! Non sono io che domani parteciperò al Torneo Tremaghi.”

“Non ho sonno e poi…come hai fatto ad entrare? Tu non sei di questa casa!”

“Un buon Serpeverde ha sempre i suoi metodi.” rispose con noncuranza, sedendosi sul divano vicino a lei.

“Perché non hai sonno?”

“Pensieri…”

“Mhn capisco…Ora dimmi, perché hai deciso di partecipare a questo stupido torneo?”

La cugina sbuffò. “Ancora, Al? Te l’ho già detto: mi andava di farlo e basta. Volevo far capire a tutti che nonsolo i maschi Potter se la sanno cavare nei duelli.”

“Non è vero! Non mentirmi, lo sai che ti conosco. E’ per il commento di Patil, non è così?” insistette il moro, accorciando la distanza fra i due.
“Lei ha detto che non hai abbastanza coraggio per essere figlia di zia Hermione e zio Ron e così hai messo il
tuo nome in quel dannato calice.”

Rose rimase in silenzio.

“Rose, guardami.”

L’altra, lentamente, acconsentì.

Al la osservava, i suoi occhi erano verdi più che mai.

“Sei una persona stupenda. Lo sanno tutti quelli che ti conoscono bene, per primi i tuoi genitori.
So che forse non crederai alle parole che ti dirò, ma non potrei essere più sincero. Ogni volta che ti mostri per quella che sei realmente, lasci tutti senza fiato.
Non hai bisogno un torneo per dimostrarlo.”

Si fissarono per un momento, in quella maniera unica che avevano di capirsi con un solo sguardo.

“Però…” iniziò cautamente la Grifondoro “Chi non mi conosce non lo sa…e sono stufa di questi stupidi pettegolezzi. Solo perché non brandisco una bacchetta da mattina a sera!”

“Ma…”

“Niente “ma” Al e poi ormai il calice mi ha scelto, non posso più tirarmi indietro.”

Nella sala cadde il silenzio, rotto solo dai battiti dell’orologio.

“Promettimi una cosa, allora” sentì pronunciare Al, con un tono incredibilmente determinato.
“Che vincerai questo torneo e, poi, imparerai a fregartene di quello che pensa la gente.”
I suoi occhi, fissi su di lei nello sforzo di esprimere ciò che provava, lasciavano trapelare una decisione incontestabile.
E Rose seppe che ascoltarlo era la cosa giusta da fare.
Si guardarono, in un muto sodalizio.

“Scorpius dorme?” Fece la ragazza per distrarsi.

“Ho aspettato che ronfasse.” ghignò l’altro.

Rose sorrise, sentendosi in realtà un po’ delusa dal fatto che non fosse venuto a controllare.

“Davvero non so come hai fatto a finire in Serpeverde, sei talmente ottuso!” rispose secca una voce
strascicata. Scorpius emerse dall’oscurità, con un’espressione imbronciata.
“E poi io non russo, dovresti saperlo! Aspettavo solo che ti addormentassi, ma hai avuto la mia stessa idea.”
Fece per sedersi ma parve ricordarsi di una cosa “Comunque, Rose, ero sicuro che fossi sveglia.” e la
ammonì con un’occhiata che sapeva di rimprovero.

“Ma non potevate venire insieme se avevate le stesse intenzioni?” intervenne la ragazza, ancora con un mezzo sorriso sorpreso.

“Se non ti ho interpellato è perché dovevo dirle una cosa privata, non l’avevi intuito?” sbottò Al turbato dall’invasione di privacy “E da quanto tempo sei qui?”

Scorpius accarezzava Grattastinchi e, quando rispose, lo fece con un sorrisetto compiaciuto.

“Non serve avere un mantello dell’invisibilità per girare di nascosto, basta un incantesimo Occlumante. Sono qui da un po’, ma che importa, fra le persone che la conoscono bene ci sono anch’io…Comunque, condivido ciò che hai detto.” disse guardando intensamente il pelo fulvo del gatto, ma colorandosi di un leggero colorito roseo.


La ragazza li raggiunse sul divano e parlarono tranquillamente. I due amici sarebbero rimasti svegli finché lei non si fosse addormentata, le assicurarono. Inutile dire che nel giro di dieci minuti sonnecchiavano entrambi sulle sue spalle.
Anche Rose sentiva finalmente le palpebre pesanti, ma prima di dormire rivolse gli occhi alla finestra.
L’oscurità ingoiava la vista e nello sfondo erano visibili solo la candida Luna e le Stelle luminose. Là infondo, celata dall’oscurità, si nascondeva la sua prima prova.
Di che si trattava? Draghi? Combattimenti con altri maghi? Mollicci?

Estrasse lentamente la bacchetta dall’uniforme. Non sapeva cosa l’aspettava ma lì, circondata da ogni lato dai suoi amici, si sentiva pronta.
E poi aveva una promessa da mantenere.
Qualcosa nei pressi della foresta fece muovere le chiome e lei s’incantò nell’osservare il mite ondeggiare delle foglie.
Avrebbe vinto la competizione e, dopo, avrebbe smesso di dare importanza al parere degli altri.

Che dicessero quello che volevano, c’erano persone che le volevano bene per quello che era, e nient’altro era importante.
Voleva molto bene a sua madre, ma troppo a lungo aveva cercato somigliarle e lei non era Hermione.
Era il momento di mostrare a tutti quanto speciale fosse Rose. Avrebbe fatto quello che le andava di fare, non sapeva ancora cosa, ma le sarebbe venuto in mente e non importava se tutti avessero detto che non era adatto a lei.
Voltò leggermente il capo verso la spalla destra, dove il bagliori lunari s’infrangevano nei capelli di Scorpius.
Dormiva pacificamente, con la bocca leggermente socchiusa. Mentre lo osservava, sentì le labbra tendersi all’insù.



Forse un’idea che l’aveva già.
















N.B. La virgola seguita da una "e" `sempre stata un punto controverso della grammatica. Mi sono informata e ho visto che può essere usata, seppur con cautela. Spero che nel testo appaia come tale :)

  
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