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Autore: thecapitolFB    01/05/2015    0 recensioni
Raccolta di brevi flash-fictions create attraverso una sfida a turni proposta su un gruppo facebook.
O1. Il prompt • «Guardami negli occhi. No, PIÙ SU. Non sono quelli i miei occhi!»;
O2. La canzone • «Dream» degli Imagine Dragons;
O3. Bonus • Tutti i grandi sono stati bambini, una volta...
O4. Il genere • «Introspettivo»;
O5. Coppie improbabili • Coppie di personaggi scelte in maniera casuale;
O6. Le AU • I personaggi in un contesto differente, scelto dagli utenti;
O7. Io a te e tu a me • Sfida a coppie, in cui gli utenti dovevano scambiarsi i prompt;
O8. Prompt dati dagli utenti • «Do you remember how did you became who you are now? Do you remember how did it felt to breath without gasping with all your might?» Da "Live free or let me die" degli Skillet;
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Finnick Odair, Gale Hawthorne, Johanna Mason, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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The Capitol Tales
 
 
Turno Bonus – Amici a Quattro Zampe
In questo turno, i partecipanti dovevano scrivere in circa dodici minuti una storia in cui faceva comparsa un animale selezionato casualmente da un sito apposito.
 
 
M4rt1
 
[Oca – Haymitch/Effie]
 
Quella sera, Haymitch era ubriaco.
Aveva bevuto qualcosa, poi qualcos'altro e infine un altro paio di bicchierini. Si era ritrovato chino sul water a vomitare anche l'anima in meno di due ore. Eppure, nonostante il velo dell'alcool e la bocca pastosa, si era reso conto che c'era qualcosa di diverso, qualcosa come una mano fresca che gli teneva la fronte e una bocca che emetteva suoni acuti e fastidiosi.
 
Effie.
 
E si era ritrovato seduto sul pavimento del bagno accanto a lei - lei, che nonostante il vestito rosso porpora costosissimo, si tolse i tacchi e gli si inginocchiò accanto provando a non far entrare le gambe a contatto con le piastrelle bianco lucido. E parlava, ovviamente, perché Effie non era Effie se non chiacchierava ininterrottamente.
"Sembri un'oca" aveva sbottato l'uomo all'improvviso. "Starnazzi come un'oca".
La donna aveva trattenuto rumorosamente il fiato, l'espressione offesa. Non aveva detto nulla, ma si capiva che stava meditando un'atroce vendetta: si era aggiustata la parrucca e aveva fatto per alzarsi, riinfilandosi le scarpe e sistemandosi come se dovesse partecipare a un galà.
Era quasi sulla porta quando la voce di Haymitch gli era giunta di nuovo, questa volta un po' più acuta.
 
"Io ho paura delle oche".
 
A quel punto, Effie aveva riso. "E' assurdo! Come si fa ad aver paura delle oche?"
 
L'uomo teneva lo sguardo fisso in avanti, perso. Si grattò la fronte.
 
"Ho paura degli uccelli, sai? Di tutti gli uccelli".
 
Effie aveva alzato gli occhi al cielo. "Se è un doppio senso, Haymitch-" aveva cominciato, ma era stata subito interrotta.
"Loro hanno ucciso Maysilee".
 
Lo sapeva. Aveva visto i video di molte Edizioni degli Hunger Games, tra cui quella. Sapeva dei fenicotteri che avevano sgozzato la sua Alleata, la sua migliore amica in quell'Arena.
"Scusa, non ci avevo pensato" aveva quindi mormorato, tornando indietro. Senza pensarci, aveva teso una mano (dotata di unghie lunghe cinque centimetri color rosa shocking) verso l'uomo, gli aveva accarezzato la testa. "Non tutti gli uccelli sono cattivi, però" aveva aggiunto. Si era tirata su la gonna e aveva preso posto sul bidet, le gambe da un lato come in un'assurda cavalcata - sarà pur stata in un bagno, ma doveva mantenere un contegno, lei.
"I fenicotteri sì" aveva risposto Haymitch. "E anche le oche come te".
Effie aveva incassato il colpo. "Haymitch, sei ubriaco" aveva invece osservato, provando a tirarlo in piedi.
 
"Lo so".
"Perché non vai a letto?"
"Perché sono ubriaco".
 
A quel punto, Effie si era alzata con decisione e gli aveva stretto le mani, trascinandolo per qualche centimetro. "Vieni a letto, altrimenti domani le oche te le trovi in giardino".
Lui si era mosso appena, trascinandosi verso il corridoio.
"Almeno ci faccio uno stufato decente" aveva borbottato, mentre la seguiva in camera.

 
 Giraffetta
 
[Oca – Haymitch/Effie]
 
Haymitch sprofondò ancor di più nella poltrona e scolò d'un fiato il sesto bicchiere di liquore come fosse acqua fresca.
Si stropicciò gli occhi con una mano e si voltò verso la finestra, soffermandosi ad osservare la stramba parrucca di Effie. Non riusciva a ricordare quando la donna l'avesse lasciata a casa sua, ma era decisamente troppo sbronzo per pensarci.
Era davvero una delle più brutte parrucche che avesse mai visto: completamente bianca, tonda e con una specie di tubo flessibile che oscillava ritmico.
Haymitch si grattò la testa, sghignazzando e versandosi un altro bicchiere.
A guardare meglio quella stramba acconciatura, pareva che fosse viva, che si muovesse quasi.
L'uomo provò ad alzarsi per raggiungere la finestra ed osservare da vicino quella cosa, ma barcollò e quasi cadde a terra.
 
"Ma cosa, cosa stai facendo?" lo apostrofò Effie, entrando nella stanza in quel momento.
Il mentore si girò e le scoppiò a ridere in faccia, gorgogliando parole insensate.
 
"Sei ubriaco, tanto tanto ubriaco!" lo rimbeccò la donna con espressione corrucciata. Si avvicinò per aiutarlo a stare in piedi e Haymitch si appese con forza al suo braccio.
 
"Hai...hai lasciato...la...la parrucca...lì! Sembra...viva!" le biascicò all'orecchio con voce impastata.
Effie lo guardò come se fosse ammattito e poi seguì la direzione del suo sguardo, verso la finestra.
 
"La...la vedi? Agita...agita quella specie di... di tubo!" continuò Haymitch.
 
Una risata fragorosa riempì la stanza prima che Effie esclamasse: "Certo che è viva, stupido. Non è affatto una parrucca, ma una delle tue oche! E quel tubo, è il suo collo, il suo collo, testone!"
 
 
 
Alaska_
 
[Cane - Niklas Brauer & Heiko (OCs|D9)]

La scena è ispirata ad una di "Sono il numero Quattro", libro di Pittacus Lore, da cui è stato tratto l'omonimo film. 

 
 
«L’hai sentito?»
Heiko balzò a sedere sul divano, guardandosi intorno. I suoi occhi verdi erano sbarrati, come se qualcuno gli avesse appena dato una scossa.
Niklas gli rivolse un’occhiata. «Sentito cosa?» domandò, abbassando il volume del televisore per poter udire meglio. Fu un gesto abbastanza inutile, perché il temporale all’esterno non consentiva di sentire granché, a parte la pioggia che si abbatteva contro le imposte serrate.
«C’è un rumore!» esclamò Heiko. Scese dal divano con un salto e andò verso la porta.
Niklas sbuffò, alzandosi per seguire il bambino. Spense la televisione e la faccia sorridente di Caesar Flickerman sparì con un guizzo, insieme all’immagine di un tributo moribondo alle sue spalle.
Il diciannovenne deglutì e scosse la testa, per cacciare via il corpo agonizzante di quel ragazzo dalla sua mente.
«Heiko…» chiamò debolmente il bambino, «stai fermo due secondi».
Il più piccolo si fermò davanti alla porta. Sbarrò ancora gli occhi, come se fosse successo qualcosa di grave e tornò verso il ragazzo.
«E se ci fosse un ladro?» bisbigliò.
Niklas alzò gli occhi al cielo. «Se ci fosse un ladro, non gli apriremmo».
«E se non fosse un ladro?»
«Non apriremmo comunque perché non ho voglia di vedere casa mia tutta bagnata».
Heiko strinse le labbra. Poi, si girò e aprì la porta.
«Heiko!»
Niklas era abituato al fatto che il bambino continuasse a disobbedire, ma, a volte, l’avrebbe volentieri legato ad una sedia e lasciato lì.
Se pensava che quella sera sarebbe stato a dormire da lui, sentiva solo i brividi al pensiero che potesse sentirlo urlare, o che potesse fare qualche cavolata e mettergli in disordine la casa – già non messa in buono stato.
«Heiko, cosa cazzo…» mormorò a mezza voce, uscendo fuori. Il bambino era sotto la pioggia, accanto ad un cespuglio nel giardino.
Niklas corse verso di lui, lo afferrò per la maglietta e lo costrinse ad alzarsi.
«Guarda!» esclamò Heiko, trionfante. Tra le mani aveva un cagnolino.
«Ma cosa cazzo ci fa un cane nel mio giardino?» sbottò Niklas, rivolgendosi a nessuno di preciso – le sue parole vennero coperte dall’ennesimo tuono.
Il ragazzo trascinò il più piccolo dentro casa; erano rimasti fuori pochi secondi, ma ormai erano fradici e avevano i corpi scossi dai brividi.
Niklas chiuse la porta dietro di sé.
«Guarda… sei tutto bagnato» commentò, tirando indietro i capelli biondi di Heiko, che gli si erano appiccicati alla fronte.
«Anche tu» replicò il bambino, inarcando un sopracciglio. Tra le braccia stringeva ancora l’animale.
Niklas si abbassò verso di lui. «Hai intenzione di tenere questa bestiaccia in casa mia?» domandò, sottolineando bene le ultime parole, mentre osservava l’animale trovato da Heiko. Non era molto bello, a parer suo: aveva il pelo bianco con macchie marroni e le orecchie – dello stesso colore delle macchie – afflosciate.
«Perché no?» Heiko fece spallucce. «Non possiamo mica lasciarlo lì fuori».
«Io un cane non lo tengo» replicò Niklas, alzandosi e spostandosi un ciuffo di capelli fradici. «Devo già curare te, un animale basta e avanza. E c’è pure quello squinternato di mio zio. Un cane è solo un altro impiccio».
«Ma è carino!» Heiko lo alzò, avvicinandoglielo al viso. L’animale lo guardava con aria supplichevole e per un istante – un brevissimo lasso di tempo che svanì com’era arrivato – Niklas provò pena per lui.
Scrollò le spalle. «Casa mia è già sporca, non mi serve anche lui» disse, indicandolo con un cenno del mento. «E tua madre non credo che te lo farà tenere. Le dà fastidio mentre sta con i suoi amichetti a divertirsi». Ormai commenti del genere non facevano più né caldo né freddo ad Heiko; Niklas lo capì dal modo in cui alzò le spalle con noncuranza.
«Magari potrebbe mordere le palle ad uno di loro» aggiunse il più grande, sogghignando. Si immaginò la scena e dovette trattenersi dal prorompere in una grassa risata.
Heiko fece un sorrisino. «Un giorno proviamo. Che ne dici, Bernie Kosar?» domandò, guardando il cane negli occhi.
«Bernie Kosar?» Niklas aggrottò la fronte.
«È il nome che voglio dargli».

 
 
Kary91

[Panda - Gale Hawthorne & Haley Mellark (figlioletta di Katniss e Peeta)]

 
 
“Ehi, papà di Joel!”
Haley Mellark saltellò fino al divano e si arrampicò su uno dei braccioli, per sedersi di fianco a Gale. Indicò il televisore, che in quel momento stava mandando in onda un documentario sui genitori delle varie specie animali. Joel e sua cugina Prim stavano seguendo con attenzione il filmato, ma Haley continuava a fare avanti e indietro dal tappeto di fronte allo schermo al divano, per poter riempire Gale di domande.
“Secondo te a quale animale assomiglio?”
Il pilota aggrottò perplesso le sopracciglia, prima di abbozzare un mezzo sorriso.
“A un pappagallino” la prese in giro, intrecciando le dita dietro la nuca. “Uno di quelli che parlano in continuazione.”
La bambina si strinse nelle spalle.
“Allora vuol dire che posso volare, mica male! E tu sai a chi somigli?” continuò, indirizzandogli un’occhiata malandrina.
Gale scosse la testa di malavoglia.
“A un capitano dell’aeronautica militare?”
“Macché! A quello!” esclamò la ragazzina, indicando il televisore: lo schermo stava mostrando l’immagine di un panda seduto a gambe divaricate, intento a sgranocchiare un germoglio di bambù.
I tre bambini ridacchiarono, sotto l’espressione interdetta di Gale.
“Zio Gale non è così grosso!” esordì a quel punto Prim, appoggiando la testa al ginocchio dell’uomo. Lo zio le fece una carezza.
“Però l’occhio nero qualche volta ce l’ha avuto…” osservò in risposta Joel, continuando a seguire il documentario con lo sguardo. “… Giocare alla lotta con Johanna è molto pericoloso!”
“No che non sei grosso!” intervenne in quel momento Haley, tornando a rivolgersi a Gale. “Però hai tanti muscoli, quindi hai le braccia come quelle di un panda, e sei anche alto. E poi loro sono un bellissimi, ma un po’ musoni, proprio come te” aggiunse, arrossendo leggermente. “Sei proprio un panda, papà di Joel” concluse, dandogli un colpetto sulla spalla.
L’espressione perplessa dell’uomo si spostò dal sorriso birichino della bambina al suo pugno.
“Non assomiglio per niente a un panda. Ma neanche se mi osservassi a trenta metri di distanza ci assomiglierei…” asserì infine, afferrandola per i fianchi. “I panda, secondo te, fanno questo?” chiese, facendole il solletico. La bambina rise, incominciando a divincolarsi.
“Nossignore!” concluse infine, stringendosi le ginocchia al petto per difendersi. “Però secondo me danno tanti abbracci caldi e stretti stretti. E io amo i caldi abbracci… ” ammise infine, allungandosi per  allacciare le braccia al collo dell’uomo. “… Che bello! Sto abbracciando un panda!” esclamò a quel punto, tornando a sorridere malandrina.
Gale sospirò con fare rassegnato, prima di abbozzare un breve sorriso.
“Ed io un pappagallino.”
La bambina scoppiò a ridere.
 
 
   
 
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