Capitolo 14: Buona fortuna, capitano!
I |
l
colonnello John Bart Richardson stava rapidamente scorrendo il rapporto appena
steso dal comandante del personale di terra alla base di Lafayette, sede del 22° Gruppo da Bombardamento Strategico. Le
notizie erano buone: tutti gli aerei erano stati rimessi in condizione di
volare ed il reparto, sebbene ancora leggermente incompleto, avrebbe potuto
intraprendere senza intoppi la missione del mattino dopo.
“A
posto, sergente-maggiore” gli disse, restituendogli il modulo “un ottimo lavoro,
come sempre.”
“Grazie,
signor colonnello” rispose il giovane Daniel Horrop “è sempre un piacere
lavorare per lei!”
I
due si sorrisero. Fra il comandante del 22° BG e il capo-meccanico della base esisteva
da sempre una totale e reciproca fiducia. Richardson era molto affezionato a
quel giovane, che gli era stato passato in consegna lo stesso giorno in cui i
24 bombardieri del reparto avevano lasciato gli Stati Uniti alla volta
dell’Inghilterra, nel Febbraio del ‘42. Il suo predecessore, l’anziano Gregor
Macinski, mandato - a suo dire - “prematuramente” in pensione, lo aveva
rassicurato, prima del decollo, che il giovane Horrop avrebbe saputo occuparsi
egregiamente del suo apparecchio, poiché lui stesso lo aveva istruito a dovere!
E
così era stato, effettivamente… anche se il colonnello Richardson aveva dovuto
attendere un bel po’ prima di constatare la perizia del suo nuovo
capo-meccanico. Durante il volo di trasferimento via Nuova Scozia, Groenlandia
e Islanda, infatti, il B-24 Liberator
del capo-gruppo, a causa di un guasto alla bussola magnetica, aveva subito una
malaugurata deviazione verso il Polo Nord, conclusasi con un atterraggio di
fortuna sul pack, una volta esaurito il carburante. Se lui ed i suoi nove
compagni di viaggio non erano morti assiderati, lo si era dovuto ad uno di quegli
strambi casi che confermano, alle volte, come l’immaginazione venga superata
dalla realtà… un U-Boat tedesco aveva captato i disperati mayday del sergente Steve Davis (il marconista dell’aereo, poi perito
nel violento impatto con la banchisa) e li aveva raccolti a bordo, vivi, anche
se prigionieri!
L’equipaggio
del Joltin’ Josie (nel cui ruolo di
navigatore era presente anche il tenente Nancy Wilson, ex WAAF[1] e attuale consorte del
colonnello) non avrebbe mai dimenticato i mesi trascorsi a bordo di quel
claustrofobico battello, il cui comandante, korvettenkapitan Herbert Thyssen,
era un individuo tanto cavalleresco quanto determinato… al punto da
intraprendere un’incursione nel porto di New York quella stessa mattina di
venerdì 20 Febbraio 1942, nella quale il compagno d’Accademia di Richardson (l’allora
maggiore Greason) aveva avuto la felice opportunità di conoscere la notevole
ragazza, ora immortalata sul muso del nuovo B-17
del 22° Gruppo.[2]
Il
volto del colonnello si rabbuiò all’improvviso… già, il Candy Candy: la nuova Fortezza arrivata proprio quel pomeriggio. Ma
che accidente gli era preso a quei dannati pazzi? Non s’era mai vista una cosa
del genere! Per fortuna il generale Eaker, comandante dell’Ottava Forza Aerea e
il generale Spaatz, comandante dell’USAAF
a Londra, provavano molta stima (il secondo anche amicizia) verso il comandante
della Decima e probabilmente sarebbero riusciti ad insabbiare la cosa. Perché c’era
da scommettere che, se la notizia fosse arrivata a Washington, il generale Hap
Arnold non l’avrebbe fatta passare liscia né a lui, né allo stesso Andy
Greason: quell’uomo, quand’era il caso, sapeva sostituire la sua gioviale
comprensione con la severità più dura!
Naturalmente,
quando il Candy Candy era tornato
indietro ed era nuovamente atterrato (non prima che il sergente Johnson,
l’operatore della torre, riuscisse faticosamente a persuadere il marconista,
sergente Evans, che nel campo non c’erano più infermiere bionde in giro…) il
bombardiere era stato circondato dagli MP e l’equipaggio messo immediatamente agli
arresti di rigore: gli ufficiali in una cella, i sottufficiali in un’altra. Il
puntatore, tenente Boyle, era abbastanza divertito dall’episodio, memore del
suo passato da teppista negli slums
di New York… anzi, quando il capitano Legan aveva ridato motore per filarsela,
aveva fatto in tempo a riconoscere la loro inconsapevole “madrina” e a
salutarla sorridendo con la mano agitata, del tutto incurante dello sguardo
incenerente di costei! Dopo aver poi capito perché i loro piloti si fossero
comportati in quel modo, avrebbe voluto farsi una bella risata, ma fece del suo
meglio per contenersi, frenato dall’aria cupa del comandante e dal forte
sgomento del co-pilota Curtright.
Di
tutti i loro compagni, l’unico che non avesse capito era il mitragliere di
coda, sergente Malone, che, stando dietro, non aveva visto nulla ed ora continuava
a tampinare il collega Smith, mitragliere di fusoliera, del tutto riluttante a
spiegarglielo. A parte quei due, tutti gli altri se ne stavano taciturni, immerso
ciascuno nei propri pensieri, fino al momento in cui tre MP aprirono la porta
della cella, informandoli che il primo e il secondo pilota erano attesi dal
comandante del reparto.
I
due si riscossero e seguirono docilmente le guardie, seguiti dallo sguardo
preoccupato del navigatore Laffey e dal viatico canzonatorio di Boyle: “Buona
fortuna, fratelli!”
“Va’
a farti fottere…!” ribatté Legan.
“Magari…!”
rispose l’altro, a mezza voce.
***
Il
sergente-maggiore Horrop se n’era appena andato, quando i piloti del fox-otto-uno-cinque[3]
furono introdotti nell’ufficio del colonnello Richardson, seduto alla sua scrivania
mentre consultava con attenzione alcuni sinistri fascicoli, contenenti (com’era
facile intuire) i curriculum di servizio dei nuovi arrivati. Accanto al tavolo,
eretto ed impettito con le braccia conserte, il maggiore Buck Lang, loro nuovo
comandante di squadriglia, li fissava trucemente con tutta la sua severità
teutonica.
Uditi
i loro passi, il colonnello alzò gli occhi dalle scartoffie e li piantò sulle due
figure che gli stavano di fronte, rigide nel saluto militare.
“Capitano
Neal Legan a rapporto, signore!” disse il più anziano dei due, un ragazzo dai rossi
capelli arruffati e dalla carnagione leggermente scura.
“Tenente
James Curtright a rapporto, signore!” gli fece eco il suo compagno più giovane,
quasi un ragazzino, come denunciava la sua faccia imberbe, sormontata da un
ciuffo di capelli castani.
John
B. Richardson li squadrò con faccia inespressiva, poi sbatté violentemente sul
tavolo il fascicolo che teneva in mano, si alzò dalla poltrona e appoggiò i
palmi sullo scrittoio, protendendosi in avanti con fare minaccioso…
“Bene
arrivati, signori… o meglio, ben tornati!”
esclamò, con ira mal repressa. Rimase in silenzio per un’altra manciata di
secondi, poi gridò “E ALLORA…?!! VOLETE AVERE LA COMPIACENZA DI DIRMI COSA
DIAVOLO V’ERA SALTATO IN MENTE?! O DEVO ASPETTARE FINO A DOMATTINA?”
Con
la fronte madida di sudore, il superiore di grado fece per aprir bocca, ma fu
preceduto dal subalterno: “È stata tutta colpa mia, colonnello. Non ho scuse e…
sono costernato!”
“E
anche indisciplinato” sentenziò il comandante di Gruppo aggrottando le
sopracciglia “visto che ruba la parola al suo superiore diretto: è lui che deve
rispondere, non lo conosce il regolamento?”
“Mi…
mi scusi…” farfugliò il ragazzino, sudando più di Neal.
“Mi scusi…?”
“…signore!”
rimediò il poveretto, con un guizzo.
“Così
va meglio” Richardson girò lo sguardo verso l’altro “allora, Legan…?”
Restando
rigido con le braccia lungo i fianchi e lo sguardo verso il soffitto (come il
regolamento prescriveva ci si comportasse durante il rimprovero di un
superiore) il fratello della nemesi di Candy deglutì e - cercando di scacciare
il ricordo di quando suo cugino Anthony lo aveva messo alle strette per fargli
confessare l’intrigo della sorella, teso ad accusare di furto la nostra eroina
- rispose con voce quasi ferma: “Mi assumo interamente la responsabilità di
quanto è successo, signore… ma, con tutto il rispetto, si tratta di una
responsabilità oggettiva: il nostro
puntatore s’era allarmato per l’avvicinamento irregolare di quel seguimi, che stava venendo a tagliarci
la strada… il qui presente tenente Curtright s’è affacciato al portello di prua
per controllare… ha lanciato un grido… ed io, temendo per l’incolumità dell’equipaggio
e dello stesso apparecchio, ho ritenuto opportuno allontanarmi.”
“Capisco”
rispose il colonnello con voce strascicata, tornando a rivolgere l’attenzione
al suo compagno “e perché ha gridato, signor Curtright?”
“Ecco,
colonnello… io…” balbettò l’ex giovane mandriano “…come ha detto poc’anzi il
mio comandante… quella jeep segnalatrice ci stava correndo addosso e…”
“Non
racconti balle, tenente” intervenne inaspettatamente Buck Lang “lo abbiamo
visto tutti che, quando lei ha spalancato la botola d’uscita, la jeep era già ferma
sulla pista!”
Il
giovanotto fu scosso da un brivido: “Sì, è vero, signor maggiore: la jeep era
ferma… però, quella donna…”
“…poteva
rappresentare una minaccia, signore!” il suo comandante concluse per lui.
Lang
e Richardson si scambiarono un’occhiata curiosa, poi tornarono a fissare i due
novellini: “Che genere di minaccia?”
s’informò il comandante del 22° Gruppo, squadrando Legan col sopracciglio destro
visibilmente alzato.
Raccogliendo
tutta la faccia tosta che s’era fabbricato fin dalla più tenera età per far
fronte alle sue due affettuose congiunte (almeno fino all’arrivo di Candy),
Neal rispose asciutto: “In tutta franchezza, non saprei dirglielo, signore…
tuttavia mi concederà che la presenza di una civile, a bordo di un mezzo militare
che invade il circuito d’atterraggio di una base aerea, rappresenta una
circostanza piuttosto ambigua… e del tutto meritevole di adottare le opportune
precauzioni.”
“Come
quella di ridecollare a serbatoi praticamente vuoti, col rischio di precipitare
poco dopo per l’esaurimento del carburante?” ribatté il colonnello, con veemenza
“Quel giocattolo costa trecentomila dollari,
lo sapevate?! Cosa direbbero i nostri contribuenti se sapessero come sprechiamo
i loro sudati quattrini?”
“In
quel caso, signore, ritengo che la mia famiglia avrebbe volentieri fatto fronte
a…”
“La
sua famiglia avrebbe fatto molto meglio
a non permetterle di arruolarsi, Legan!! Ma dal momento che oramai, purtroppo,
è qua, veda di mettersi in testa alla svelta che adesso lei appartiene all’aviazione
dell’esercito. Saremo noi a
rispondere del suo operato, d’ora in avanti e le garantisco che alla sua
prossima stronzata, anche molto più piccola, non ci limiteremo a sospenderle la
paghetta!! Sono stato chiaro…?!”
“Sì,
signore…!”
“È
chiaro anche per lei, tenente?”
“Chiarissimo,
signor colonnello” rispose Jimmy, nervosamente “le possiamo garantire che una
cosa del genere non si ripeterà mai più…!”
“Lo
spero per voi” ribadì il comandante del reparto “ad ogni modo, prima di
prendere servizio, starete agli arresti per altre 24 ore, tanto per schiarirvi
le idee. Toglietemeli dai piedi!” ordinò infine al tenente degli MP.
“Sissignore.
Scorta e prigionieri: per fianco destr… destr!! Avantiii… marsch!!”
Come
il gruppetto fu uscito, Richardson sbuffò sonoramente, scuotendo la testa,
prima di rivolgersi al maggiore Lang: “Te li affido, Buck. Mi raccomando: falli
filare!”
“Può
contarci, colonnello!” rispose costui, indossando il berretto prima di
congedarsi.
***
“Bah…
speriamo che gli alloggi per ufficiali offrano brande più confortevoli di
queste…!” brontolò Charlie Boyle, dopo essersi svegliato, mentre si
stiracchiava le membra indolenzite.
“Credevo
che ci fossi abituato!” osservò malignamente Cookie Laffey, alludendo ai
trascorsi di teppista del suo compagno di volo.
“Tappati
il boccaporto, marinaio” grugnì il puntatore del Candy Candy, punto sul vivo “per tua norma, la pula di New York è
riuscita a impacchettarmi soltanto una volta!”
“E
quella degli altri Stati?” insistette, divertito, l’ufficiale di rotta.
“Ah,
ma allora dillo, che ti prudono le mani…!” saltò su l’ex scapestrato,
avvicinandosi minacciosamente all’antico mozzo della Seagull.
“Dateci
un taglio, ragazzi” intervenne Jimmy Curtright, tra lo scocciato e il
preoccupato “vi sembra il momento per litigare?”
“Tu
non t’impicciare, cow-boy” replicò Charlie “potresti farti male!”
“Anche
tu, se è per questo…!” rispose l’ex capo dei trovatelli della Casa di Pony gettando però uno sguardo
verso il loro comandante, sperando intervenisse lui stesso per sedare il
litigio con la propria autorità… ma Neal Legan se ne rimase supino sulla branda, col volto coperto dal berretto
d’ordinanza, come se nemmeno si fosse accorto dell’alterco scoppiato.
Fortunatamente, prima che la situazione potesse degenerare, gli MP del giorno
prima vennero a riaprire la porta: “Fuori, siete liberi!”
Neal
sollevò col pollice la visiera del berretto, strizzando gli occhi alla luce del
tramonto. Quindi si levò anche lui, borbottando, raccattò il suo giubbotto di
volo e infilò la porta della cella senza degnare d’uno sguardo i suoi colleghi,
che gli avevano fatto largo. Appena fuori dal Corpo di Guardia, i quattro
ufficiali del Candy Candy trovarono
ad attenderli i loro sei compagni, in piedi accanto a tre ufficiali della base.
“Spero
che abbiate riposato bene, signori” li apostrofò ironicamente il più alto in
grado “sono il maggiore O’Connor, coadiutore del colonnello Richardson. Il qui
presente tenente Miller scorterà i sergenti al blocco sottufficiali e truppa,
mentre il capitano Ferguson scorterà gli altri al blocco per gli ufficiali. Quanto
a lei, capitano, abbia la compiacenza di seguirmi.”
“Per
quale motivo?” non si trattenne dal domandare Neal, con la sua ancora non
sopita impertinenza.
“Ordini, comandante” gli rispose
duramente il superiore, lanciandogli uno sguardo d’acciaio “è tempo che
assimili a fondo il significato di questa parola!”
Il
fratello di Iriza strinse la mascella, ma si sforzò di bofonchiare:
“Signorsì…!” fece un rapido cenno di saluto al suo equipaggio, che cominciava a
perdersi in congetture e si diresse verso la jeep indicatagli, già occupata da
un autiere e da un altro MP.
*Dannati
bastardi* imprecò mentalmente, mentre saliva sul divanetto posteriore *che ne
sanno, loro? Credono davvero che da civile fossi un uomo libero?! Imbecilli…!*
Mentre
la vettura si dirigeva verso l’uscita della base, un cupo rombo crescente cominciò
a farsi sentire. Perso nei propri pensieri, il comandante del Candy Candy non vi prestò attenzione, finché
un improvviso e vicinissimo scoppiettare di motori non gli fece alzare la testa:
una Fortezza Volante col sottoala sinistro imbrattato d’olio e quello destro
squarciato in più punti, incrociò dall’alto il suo veicolo, mentre completava
la discesa verso la pista d’emergenza. Un paio di razzi giallastri partirono da
una delle aperture per l’armamento difensivo e, subito dopo, il lamento delle
sirene proveniente dalle ambulanze, iniziò ad accompagnare il rumore degli
aerei che rientravano dall’odierna missione sul territorio nemico.[4]
Il
nuovo acquisto della Decima Air Force rabbrividì, pensando a quanti suoi
coetanei, feriti o magari già morti, stavano scendendo assieme ai quei
bombardieri, manifestamente tartassati dalla Luftwaffe…
*Questa
sì che è stata una mossa furba, Neal
Legan* disse a sé stesso, mentre si accendeva una sigaretta *quando la finirai
di combinare cazzate, in questa tua vita di merda?!*
***
Quando
la jeep varcò l’ingresso della base di Grant
Field, sede del 99° Gruppo Caccia, il nipote meno preferito di William
Andrew aveva già capito da chi lo
stavano portando, nonostante il suo acume non avesse mai particolarmente brillato…
e la cosa non gli andava particolarmente a genio, per lo meno in quel preciso momento.
In
tutti i suoi ventuno anni era stato avvezzo ad essere continuamente disistimato:
dalla madre che l’avrebbe voluto più distinto, dal padre che lo avrebbe voluto
più intelligente, dalla sorella maggiore che lo considerava una nullità (e quella era stata la ferita peggiore[5]), dai
cugini che ne detestavano il carattere (rovinato per il motivo precedente) e dagli
amici che ne invidiavano la ricchezza. Per non parlare di quella persona, la cui
effige faceva bella mostra di sé, proprio sul muso del suo apparecchio. Già… ma lei, almeno, aveva delle valide ragioni
per non apprezzarlo, dopo tutto quel che le aveva combinato, al solo scopo di
compiacere quell’arpia della sorella! E infatti quella persona era
l’unica che lui non avesse mai detestato
(almeno in cuor suo), tanto che avrebbe fatto volentieri un patto col Diavolo,
pur di poter tornare indietro nel tempo e rovesciare addosso alla sua amata sorellina quel maledetto secchio d’acqua,
che invece aveva dovuto rovesciare sulla povera Candy!
Era
stato un folle - lo riconosceva tranquillamente - a credere di poterla
conquistare con un mazzo di fiori e due complimenti, come sempre riusciva a
fare con qualunque sciacquetta dell’alta società ed i suoi tentativi ulteriori erano
stati, malauguratamente, sempre più meschini… molto meno i moventi, il più
rispettabile dei quali era stato il genuino desiderio di trasformarsi in un
gentiluomo, grazie soprattutto all’energia positiva che emanava da lei.
Dopotutto,
più d’uno fra i suoi stessi compagni di volo era diventato una persona
migliore, frequentandola anche solo per poco tempo: vedi Gil, il suo marconista
o Bob, il suo mitragliere di coda. Per non parlare del suo stesso co-pilota
Jimmy o persino di quel pezzo da galera di Charlie, il suo puntatore.
Dannazione,
perché lui no? Perché non dare anche
a lui una possibilità, una sola?!
Cos’aveva
poi fatto di così irreparabile? Non
le aveva mica gettato via una borsa di documenti dal treno, rischiando di farla
licenziare, come Gil… o fattole venire un mezzo infarto costruendole la croce della
sua benefattrice, come Bob. D’accordo, c’era stata quella cattura alla Saint Paul School… ma era stata una ragazzata, in fondo! Poi… vabbé, le
aveva stracciato il biglietto della Prima di quell’attorucolo da strapazzo, a Broadway…
ma, in fondo, di quello, si era poi pentito e lo spettacolo era riuscita a
vederlo ugualmente, no?
Scosse
la testa, gettando via disgustato il mozzicone mentre scendeva dalla jeep, che
s’era arrestata presso il bordo della pista principale dell’aerodromo.
“Lei
aspetti qui, signore!” gli disse l’MP.
Ma
chi voleva prendere in giro? C’era stato ben di peggio, purtroppo… passi pure
(si fa per dire) lo sporco tiro di farsi passare per Terence e farla venire di
sera tardi in quella villa, sul lago… ma obbligare Candy a chiedere scusa in ginocchio per una colpa non commessa,
affinché Dorothy (la loro cameriera) non venisse licenziata… o il complotto per
farla apparire una ladra e mandare in Messico per punizione, erano atti
assolutamente imperdonabili! E che di tali scelleratezze non ne fosse stato
l’ideatore, ma unicamente il mero esecutore, non costituiva purtroppo
un’attenuante... anzi, agli stessi occhi della donna che tuttora bramava, rappresentava
piuttosto un’aggravante, come ulteriore patente di vigliaccheria!
Una
sera, dopo essersi scolati un paio di bottiglie di gin, lo stesso Charlie gli
aveva consigliato: “Dammi retta, capo: dimenticala e trovatene un’altra come
lei. Ormai hai sopportato abbastanza!”
Già,
faceva presto, lui… tanto, quelle come lei
le vendevano in liquidazione! Maledizione, possibile che non capissero che se
non fosse riuscito, non dico a farsi amare,
ma almeno a farsi perdonare da lei,
non avrebbe potuto più amare nessuna?
In qualunque altra donna che lo
avesse considerato per qualsiasi cosa che non fossero i suoi soldi, avrebbe
inesorabilmente rivisto lei, anche se
non fosse stata bionda, coi codini, le lentiggini e quei dannatissimi occhi azzurri!
Solo
risalendo in qualche dannato modo la china della sua considerazione avrebbe potuto guardarsi allo specchio senza
provare più quel maledetto disgusto per sé stesso, che non lo aveva più mollato
dal giorno in cui era fuggito in lacrime da quel maledetto ricevimento![6]
E
vestire la divisa gli era sembrato un modo per riuscirci. Magari il più
balordo, ma era l’unico che aveva saputo o potuto trovare. Che il motivo si
celasse nella volontà di allacciare un filo col defunto cugino maggiore (anche
lui invaghitosi di Candy, lo sapeva bene) o di espiare le sue colpe attraverso
la crudezza della vita militare (codici
rossi[7] compresi
e da burba ne aveva subiti non pochi)
o anche - nel peggiore dei casi - nel trovare la morte in battaglia come
riscatto di una vita sbagliata, non avrebbe potuto saperlo nemmeno lui. Ciò che
invece sapeva con certezza era che, presto o tardi, avrebbe dovuto affrontare
di nuovo quella donna e risolvere quella maledetta faccenda una volta per tutte!
Fino ad allora rimaneva sicuro di non potersi aspettare nessuna considerazione
da chicchessia, per il semplice motivo che non ne meritava e non ne aveva mai meritata!
O
almeno questo era quanto aveva da sempre constatato… fino a quando quell’imbelle
di suo padre non gli aveva fatto recapitare quel modulo con la richiesta di
trasferimento dalla Fanteria al Corpo Aereo dell’Esercito, firmata - per di più
- da quel maggiore Andrew S. Greason
della Quarta FA, già famoso per avere abbattuto una cinquantina di apparecchi
giapponesi mentre volava con le Tigri
Volanti sui cieli cinesi (guarda caso, lo stesso identico corpo dove s’era
arruolato volontario suo cugino).
L’ex-pretendente
della bionda orfanella era rimasto per un’ora nella camerata deserta, seduto
sulla branda, a rileggere quel modulo, quella firma e la lettera con le
istruzioni del padre su dove spedirlo, una volta compilato. Assieme alla
preghiera di farlo al più presto.
“Da quando sei venuto al mondo, non ho mai saputo
far nulla di buono, per te. Ora ne ho, forse, l’ultima l’occasione. Ti supplico
perciò di non sprecarla e di attenuare così il mio rimorso per essere stato un genitore
inadeguato. Dio ti protegga, figlio mio!”
Solo
questo. Nessuna supplica di ritornare a casa, nessuna raccomandazione di farsi
onore per difendere il “buon nome” della famiglia. Soltanto il desiderio di
essergli utile in qualche modo. Per la prima
volta…
Qualcosa
era scattato nel cervello del secondogenito dei Legan, nonché quinto nipote del
facoltoso William Albert Andrew (figlio del magnate Jacob Reginald): una
scintilla d’orgoglio - finalmente positivo
- che l’aveva spinto ad afferrare quell’esigua opportunità di rendere decente la
sua arida esistenza. La possibilità di diventare una persona rispettabile… e tutto questo gli aveva anche
fornito la volontà sufficiente per superare i duri allenamenti e i relativi
test, guadagnando così quelle ali dorate che aveva poi contemplato per ore,
appuntate sulla giacca della sua nuova uniforme da cadetto.
Ah,
se Candy l’avesse potuto vedere, in quel momento… chissà!
Quando
poi, diciotto mesi dopo, s’era visto assegnare al 22° Gruppo Bombardieri della
neo-costituita Decima FA, diretta da quello stesso Andrew S. Greason che aveva
avallato la sua richiesta di trasferimento, aveva ricevuto un’ulteriore
smentita al fatto che nessuno al mondo avrebbe mai potuto apprezzarlo se prima
non lo avesse fatto la piccola Candy.
Com’era
possibile che l’asso degli assi dell’aviazione, l’aquila americana in persona, volesse proprio lui, l’insignificante Neal Legan, nella sua nuova organizzazione? Che
suo cugino, in Cina, gli avesse parlato bene di lui? Piuttosto improbabile!
Eppure…
Eppure
il primo colloquio che aveva avuto con quell’uomo aveva rappresentato la
migliore esperienza della sua vita. Neal se la ricordava bene ed ecco perché
non avrebbe voluto rincontrarlo proprio adesso, dopo quella sciagurata
performance sull’aeroporto di Lafayette:
sarebbe stato disastroso perdere la stima della prima persona al mondo che
aveva dimostrato uno scampolo di fiducia in lui!
*Invece,
a quanto pare, non c’è verso di scamparla…!* si disse amaro, assistendo
all’atterraggio dei caccia del 99° Gruppo, reduci dalla scorta ai bombardieri
del 22° durante l’incursione sulle acciaierie francesi di Clermont-Ferrand…
Mentre,
sulla più lontana pista n° 2 stavano scendendo i P-51 Mustang della 30a Squadriglia, sulla pista dov’era
stato scodellato Legan cominciarono ad atterrare i P-47 della 10a, la medesima in cui volava il comandante
dell’intera Forza Aerea. Ben presto, a dispetto della sua cospicua mole, un Thunderbolt con la NACA ricoperta da una
vistosa scacchiera ed un’aquila ad ali spiegate, riprodotta dietro i flabelli
del motore, si posò con la grazia di una leggiadra colomba a meno di cinquanta
metri dal comandante del Delta-Fox,
che si vide nel contempo superare da una jeep, occupata da un piccolo team di
specialisti. Il loro capo arrestò la vettura praticamente davanti al carrello
sinistro del caccia, per poi sbrigarsi ad arrampicarsi sull’ala per aprire il
tettuccio dell’abitacolo.
“Bentornato,
generale! Tutto OK…?”
Il
pilota mostrò per conferma la mano col pollice alzato.
“Quanti,
oggi?” domandò ancora il tenente Jonathan Carling, con la voce alta per coprire
il rombo del motore.
Per
tutta risposta, Andrew Steve Greason alzò anche indice, medio e anulare. Poi
abbassò la mano per togliere il contatto.
“Super…
altri quattro” esclamò entusiasta il fedele meccanico “dirò a Bruce di
aggiornare il punteggio su Juggy,[8]
finché c’è ancora spazio disponibile! Le ha dato qualche noia?”
L’asso
scosse la testa mentre scavalcava il bordo dell’abitacolo: “Un vero zuccherino.
Niente da stupirsi, finché ci metti le mani tu!” specificò, dando a Carling
un’affettuosa pacca sulla schiena.
“Piacere
mio, generale!”
Andy
saltò giù dall’ala e si diresse lentamente verso quell’ufficiale che stava
avvicinandosi a sua volta, con passo misurato. Come si trovarono a mezzo metro l’uno
dall’altro, Neal s’irrigidì sull’attenti, eseguendo un saluto da manuale: “Buon
pomeriggio, generale. Sono il capitano Legan. A rapporto, signore…!”
Il
comandante della Decima restituì il saluto: “Ah… sì, sì…” disse poi, mentre si
sfilava i guantoni da volo, tirandoli lentamente, dito per dito “…alla
buon’ora. Bene, capitano, venga con me: faremo una piccola chiacchierata!”
“Sissignore…!”
rispose lui, con voce semispenta. I due montarono sulla jeep dei meccanici, che
si diresse subito, condotta dallo stesso Andy, verso il Quartier Generale. Anche
se il tragitto non superava il mezzo chilometro, a Neal sembrò interminabile,
soprattutto per la consapevolezza che stavolta la loro conversazione non
sarebbe stata così amichevole com’era stata quella del loro primo incontro…
***
Due
mesi prima (Febbraio 1944)…
“Grande,
capo… un atterraggio perfetto, come sempre!” sentenziò il giovane co-pilota,
mentre toglieva potenza ai motori.
“Ti
meravigli, marmocchio?” lo schernì il suo futuro comandante, guardandolo di
traverso, mentre iniziava a schiacciare i freni “Ormai potrei guidare questa
carretta ad occhi chiusi. È un aereo molto docile.”
“Sì,
va abbastanza bene” commentò una voce alle loro spalle “ma penso che saranno
necessari almeno due o tre voli supplementari, prima di dichiararvi idonei per
il fronte operativo.”
Il
primo pilota del B-17 si voltò
all’indietro, mostrando un’espressione alquanto strafottente: “Vuole scherzare,
colonnello? Siamo assolutamente pronti per iniziare a mollar bombe in testa ai
crucchi e lei lo sa!”
L’ufficiale
supervisore all’operatività dei nuovi equipaggi per il teatro europeo raffreddò
significativamente lo sguardo: “Legan, quando imparerà a dare ascolto a chi ne
sa più di lei?! Nel volo in formazione presentate ancora qualche leggera
carenza e i crauti non saranno così premurosi da indicarvi cosa c’è che non va,
se non a suon di pallottole e di granate esplosive! Non mi faccia perdere la
pazienza, se non vuole che i voli diventino il doppio, intesi?” detto ciò si
levò la cuffia e abbandonò la torretta difensiva superiore, che utilizzava come
posto di osservazione, infilandosi nell’apertura che comunicava con il vano
bombe.
“Agli
ordini, signor… coglione…!!” concluse
l’altro, a voce bassissima, ormai sicuro che il superiore non lo sentisse più.
Al che, il “piccolo” Jimmy si cacciò la mano in bocca per trattenere le risate,
per poi dire al suo collega: “Sai, Neal? Conosco una ragazza che ti avrebbe
preso a schiaffoni per una cosa simile!”
“Allora
presentamela.” ribatté l’altro, asciutto, con lo sguardo rivolto al pilota di
terra, che agitava le sue palette per indicargli la piazzola di parcheggio.
“Eh,
non credo che ti piacerebbe…!” lo avvisò il tenente Curtright, mentre iniziava
a staccare i contatti sul quadro superiore.
“Non
si può mai sapere!” commentò Neal mentre si calava nella botola fra i sedili di
guida che dava accesso allo scomparto sottostante. Nel frattempo un aviere,
dopo aver sistemato i tacchi d’arresto davanti alle ruote anteriori, aveva
spalancato il portello sotto il muso dell’aeroplano: “Capitano Legan?” chiese.
“Sì!”
rispose lui, seccato.
“La
vogliono nell’ufficio del comandante, signore.”
Dopo
avere infilato le gambe nel pertugio, sostenendosi con le braccia ai lati dello
stesso, il pilota si lasciò cadere a terra.
“Che
altro avrei combinato, questa volta?!” chiese poi allo specialista, mentre
sgomitava all’indietro per riscaldare i muscoli, intorpiditi dal volo.
“Niente
che io sappia, signore. Mi hanno semplicemente ordinato di riferirglielo.”
“Ok,
ma prima andrò a prendermi un caffè caldo: questo è poco, ma sicuro!”
“Con
rispetto, signore, ma il comandante sembrava piuttosto impaziente.”
“Non
me ne frega un…”
“Neal…!!”
“Che
vuoi, piccoletto?”
“Prendi
e non fare cazzate: ti sei già inguaiato abbastanza!”
Il
pilota afferrò al volo il termos che il suo secondo, sportosi dalla botola, gli
aveva lanciato.
“Avevo
detto caldo, vaquero del mio cuore!”
“Accontentati
e fila: non voglio giocarmi la partenza per colpa tua…!”
Neal
Legan lo squadrò con un ghigno divertito. Suo malgrado, s’era ormai affezionato
a quel piccolo impertinente.
“Ma
guarda quanta fretta d’andare a crepare che ha certa gente” disse, versandosi
il caffè, ormai piuttosto tiepido “se lo sapesse la tua direttrice…”
“Bevi
e sparisci, idiota…!” ribatté il compagno, disparendo all’interno.
Sghignazzando,
il capitano si diresse verso la palazzina dell’aeroporto, quindi salì
nell’ufficio del maggiore-generale Emmet O’Donnel, comandante della base di Quonset Field, nel Massachusetts, dove
venivano messi a punto i nuovi equipaggi destinati alle Forze Aeree
statunitensi basate in Gran Bretagna e nel Mediterraneo. Mentre la piacente
ausiliaria gli teneva aperto l’uscio, lui fece appena in tempo a sussurrarle:
“Nessun ripensamento per stasera…?”
Guardandolo
brutto, il tenente in gonnella richiuse l’anta, al che Neal si voltò per
avvicinarsi alla scrivania del comandante: “Mi voleva vedere, signore?” chiese
sbattendo i tacchi e salutando correttamente.
“Non
faccia dello spirito, capitano” lo freddò il generale, senza troppi complimenti
“lo sa meglio di me che meno la vedo e più sono contento! C’è un’altra persona
che desidera conoscerla…”
L’altro
si volse verso la figura che aveva intravisto vicino alla finestra, non appena
entrato, che a quelle parole si voltò, uscendo dalla penombra. Il rampollo dei
Legan ebbe un lieve sussulto, riconoscendo l’aviatore più famoso dell’emisfero
occidentale, il cui viso era scolpito nella memoria di tutto il Paese, grazie
alle frequenza con cui appariva sulle testate di Time, Life e Newsweek…[9]
Andrew
Steve Greason, indossando una divisa da brigadiere-generale nuova fiammante, i
cui nastrini saturavano lo spazio utile fra la tasca pettorale sinistra e la
spilla con le ali d’ottone, si avvicinò reggendo il berretto d’ordinanza col
braccio sinistro, mentre col destro tendeva la mano verso il nuovo venuto: “Il
capitano Legan, suppongo…”
“Io...
sì, signore…!” rispose costui, dopo un attimo di titubanza, intimorito dalla
fama dell’individuo che aveva di fronte. Anni ed anni d’indottrinamento
familiare sul rispetto dovuto alle persone più importanti si facevano sentire,
ben più dell’addestramento ricevuto - e spesso rafforzato dalle opportune
sanzioni - sull’osservanza del regolamento.
“Molto
piacere: Andrew Steve Greason!”
Il
tono franco, la stretta virile, lo sguardo limpido del superiore e il suo
sorriso aperto misero quel giovane spostato curiosamente a suo agio come mai
s’era trovato davanti ad un suo simile, fin da quand’era nato.
O’Donnell
si mosse verso l’uscio: “Vi lascio soli.” annunciò.
“Grazie,
generale!” rispose Andy. Andò quindi a sedersi sulla poltrona del comandante della
base e fece cenno al capitano di servirsi della sedia, posta davanti alla
scrivania.
“Si
accomodi, capitano!”
“D’accordo”
rispose questi. Subito dopo si corresse “volevo dire… grazie, signore!”
Un
altro sorriso, percettibilmente più largo, tornò ad illuminare il volto del suo
interlocutore: “Mi piacciono gli uomini decisi a rimediare ai propri errori!”
“Mi
scusi…?” chiese Neal, lievemente spiazzato.
Greason
sollevò un modulo dallo scrittoio: “Ho letto che lei, da quand’è sotto le armi,
ha collezionato parecchie note negative. Nondimeno ha imparato, poco a poco,
che il rispetto per i superiori e fra i commilitoni - al di là della loro
estrazione sociale - possono portare anche dei ritorni positivi. Non ultima, una considerazione
disinteressata. Mi sbaglio…?”
Rialzandosi
dal foglio, gli occhi di quel giovane generale ad una stella si erano puntati
contro i suoi. Legan dovette schiarirsi la voce, prima di rispondere: “Beh,
ecco… sinceramente, credo di… credo di averlo constatato, signore.”
Andy
riposò il foglio sul tavolo e giunse le mani, appoggiandovi il mento: “E come
ci si è trovato?”
Sconcertato
da quel secondo contropiede, Neal corrugò le sopracciglia, percependo la netta
sensazione che quell’uomo, appena conosciuto, ne sapesse su di lui più di
quanto volesse far intendere. Ma questa sensazione, che normalmente gli sarebbe
apparsa piuttosto sgradevole, gli stava dando invece un insolito senso di sicurezza.
“Beh…
non male, devo ammetterlo! Certo,
all’inizio, non è stato facile… se avrà letto il mio curriculum, saprà che appartengo
a una famiglia altolocata. Essendo abituato a non sentirmi dare del tu, se non dai parenti più stretti, fin
da quando sapevo camminare… ho dovuto fare a pugni col mio orgoglio, per
abituarmi.”
“Sarà
stata dura, eh?”
Neal
raddrizzò il busto: “Abbastanza, signore! Ma, con tutto il rispetto, perché me
lo chiede?”
Greason
posò le mani sugli avambracci: “Non le hanno ancora detto nulla circa la sua
prossima destinazione?”
“Non
ancora. Soltanto che il mio equipaggio verrà assegnato all’ETO.”[10]
“Bene…
sappia allora che entrerete a far parte del Gruppo da Bombardamento Strategico
della mia nuova Decima Forza Aerea.”
Legan
rimase a bocca aperta, poi farfugliò: “Sta… sta scherzando, signore?!”
Andy
scosse la testa: “Niente affatto! Non ho l’abitudine di burlarmi dei miei
futuri collaboratori. Che invece, come ben comprenderà, desidero conoscere
personalmente.”
Quel
terzo contropiede fu davvero micidiale. Ma come? Andrew Steve Greason, l’aquila americana, l’eroe dell’aria
nazionale aveva scelto lui, Neal
Legan, il nipote degenere di William Albert Andrew, definito un buonannulla
dall’intero parentado, come capo-equipaggio del reparto cardine per lo
smantellamento delle retrovie tedesche nella Francia occupata? Ma lo sapeva con
quale soggetto aveva a che fare? Era
al corrente di tutto ciò che aveva combinato? Va bene, nella vita privata
sicuramente no… ma sarebbero comunque bastate le sue pessime note militari (se
non quelle tecniche, almeno quelle morali) per farlo rispedire a calcioni
dalla sua deliziosa famigliola!
Suo
malgrado, gli venne da ridere… cercò di frenarsi, ma senza successo; tutto quel
che poté fare fu tapparsi la bocca, ma gli inevitabili singulti durarono fin
tanto che ebbe fiato in gola. Dopodiché, cercando di ricomporsi, s’affrettò a
dichiarare: “Chiedo scusa, signore: è stato più forte di me! Tuttavia… sempre
col dovuto rispetto… insomma, è sicuro
di sentirsi bene?!”
“Ci
tengo particolarmente alla mia salute” gli rispose il generale, con una smorfia
divertita “non per nulla ho sposato un’infermiera.”
“Come…??!”
alzò la voce Neal, spalancando gli orecchi.
“Un’infermiera.
Mia moglie è infermiera.”
“Un’infermiera…?!” ripeté l’altro a mezza
voce, visibilmente sconvolto.
“Sì.”
“E…
come si chiama…??”
Stavolta
fu l’asso a restare spiazzato da quella domanda. Nondimeno si compiacque di
rispondere: “Flanny. Hamilton, da nubile. Perché?”
“Ah…
capisco. Bene, bene!” borbottò Neal, aspirando una buona boccata d’aria.
“Qualcosa
non va?” s’informò il superiore, premurosamente.
“No,
no… tutto a posto! Per un attimo ho creduto che… ma cosa vado a pensare?! Eh,
eh, eh…!”
Greason
tornò a scuotere la testa: “In effetti mi avevano avvertito che lei era un tipo
singolare!”
“Già…
me lo dicono tutti… ah, ah, ah…!” convenne Neal mettendosi - forse per la prima
volta in vita sua - la mano dietro la nuca.
“Bene.
A questo punto vorrei farle una domanda abbastanza personale…”
“Come
desidera, signore!” annuì il suo nuovo subordinato, tornato di colpo
completamente formale.
Volendo
invece riaccorciare le distanze, il nostro asso tornò a sorridergli, facendo un
gesto pacato con la mano: “Ascolti, Neal… vorrei che ci parlassimo francamente,
da uomo a uomo. Dimentichiamoci dei gradi, per il momento: se vuole, in via del
tutto eccezionale, può chiamarmi Andy. Che ne dice?”
“Se
la chiamo Andrew, fa lo stesso…?”
Il
nostro asso rimase spiazzato di nuovo. Quella conversazione stava diventando
una specie di partita a ping-pong, gioco nel quale il terrore della Luftwaffe era sempre stato un’emerita frana.
“Naturalmente”
rispose, perplesso “non le garbano i diminutivi?”
“No,
le pare? Solo certi suffissi…!”
Il
superiore lo squadrò attentamente, grattandosi il mento: “Le piacciono gli
indovinelli, eh?”
“Oh,
no, signore. Decisamente no!”
“A
me, invece, sì… scommettiamo dieci dollari che indovino l’iniziale del nome che
non le piace sentir richiamare foneticamente?”
Sentendosi
piccato da quell’atteggiamento (ma non aveva detto che non era suo costume
burlarsi dei collaboratori?) il mai del tutto placato orgoglio di Neal lo
spinse ad esclamare: “Ci sto, signore: ecco i miei” e sbatté un deca sopra il
tavolo “e i suoi…?” chiese poi, vedendo che il superiore non faceva altrettanto.
“Non
serve: è la C!” rispose l’asso, afferrando il verdone.
Legan
sbarrò tanto d’occhi: “Come ha fatto a…?”
“Semplice
esclusione, amico” rispose serafico l’altro, intascando la banconota “ci sono
soltanto quattro nomi abbreviati che finiscono come il mio, compreso il mio… e
sono tutti maschili, tranne uno!”[11]
“Lei
è diabolico…!” sibilò il capitano.
“No,
sono solo fortunato… e il fatto che ci abbia azzeccato mi porta alla domanda
che volevo farle…”
“Che
sarebbe?”
“Perché
ha deciso di arruolarsi?”
Il
giovane lo fissò a lungo, per poi ribattere: “Devo proprio rispondere?”
L’asso
scosse la testa ancora una volta: “Faccia come crede, Neal: non voglio
obbligarla.”
Legan
abbassò la testa, continuando a riflettere. Infine parlò: “Ero stanco di essere
scontento di me stesso… stanco del disprezzo suscitato in chi avrebbe dovuto
considerarmi… o che avrei voluto mi
considerasse! Così com’ero stanco dell’adulazione ipocrita delle persone di
cui, invece, non m’importava nulla. Non so, forse volevo anche punirmi... però…”
rialzò lo sguardo verso il suo nuovo comandante “…volevo anche rifarmi una
vita, signore!”
Andrew
Steve Greason lo fissò con espressione seria. Quindi si alzò per girare intorno
alla scrivania e avvicinarsi al suo interlocutore, che a sua volta si alzò in
piedi, di scatto.
“Okay,
Legan” cominciò, posandogli una mano sulla spalla, guardandolo bonariamente “forse
non sono bravo a indovinare tutte le
cose… e certo non posso assolverla io per quanto di sbagliato abbia fatto
finora. Per quello dovrà vedersela con la sua coscienza, anche se ritengo che,
da quanto ha passato come recluta, sia già stato abbastanza punito” lui fece un
mesto sorriso “comunque…” il viso di Andy si rifece serio “…per ciò che farà da
questo momento, dovrà risponderne a me… e se saprà mettere a frutto le lezioni
del passato, sono certo che troverà quell’equilibrio e quella rispettabilità
che ormai le spettano di diritto” gli lasciò la spalla e gli tese la mano “vuole
rifarsi una vita? Bene: la Decima Forza Aerea le darà quest’occasione!”
Avvertendo
un discreto pizzicore agli occhi, il cugino “acquisito” di Candy strinse
fortemente la mano di quell’individuo che, primo fra tutti, gli aveva rivolto
parole di autentico rispetto: “M’impegnerò al massimo per non deluderla,
generale. Glielo giuro!”
L’asso
annuì, sorridendo: “Buona fortuna, capitano: ci rivedremo in Inghilterra.”
“Arrivederci,
signore!”
Detto
ciò, il nuovo ufficiale del 22° Gruppo da Bombardamento, del 1° Stormo
Strategico della Decima Forza Aerea USA, salutò impeccabilmente, fece un
perfetto dietro-front ed uscì dalla stanza.
Quando
raggiunse nuovamente il suo co-pilota, questi lo abbordò scherzoso: “Tutto
bene, eccellenza?” era il titolo che ogni tanto gli affibbiava per sfotterlo
sul suo “nobile” casato “Mi ha detto un uccellino che hai visto il futuro
grande capo… non mi dirai che ti ha già mollato il suo primo cicchetto?!”
Il
compagno estrasse lo zippo e il pacchetto delle Camel, per poi accendersene una con le mani tremolanti.
“Mi
ha soffiato dieci dollari!” disse poi, osservando salire il fumo appena
espirato.
“Cosa…?!”
Neal
gli raccontò l’episodio della scommessa, ma il piccolo Jimmy non rimase troppo
convinto: “Senti, fratello: ti vedo troppo sconvolto per avere perso soltanto un
deca, soprattutto un creso come te. C’è dell’altro, quindi sputa!”
“Mi
ha parlato come un padre” disse allora Neal, con lo sguardo fisso nel cielo
“che sensazione strana!”
“Che
cosa vuoi dire?” insistette ancora l’ex piccolo cow-boy.
“Che
non c’ero abituato, Jim: non l’aveva mai fatto nessuno…!”
***
Ma
stavolta il generale Andrew Steve Greason, comandante della Decima Forza Aerea
in Gran Bretagna, non sarebbe stato così comprensivo e il capitano Legan,
comandante del Candy Candy lo sapeva
perfettamente.
*Sono
davvero un idiota incallito* si disse tristemente, intanto che lo seguiva nel
suo ufficio *come al solito, ho rovinato tutto!*
“Ti
spiace andarti a prendere un caffè, James?” disse l’asso al suo luogotenente
“avrei una faccenduola da sbrigare.”
“Nient’affatto”
rispose il colonnello Stone “ci vediamo più tardi.”
Scambiò
il saluto d’obbligo col capitano e uscì dalla stanza. Greason, invece, aperto
il mobiletto dietro la scrivania, estrasse la sua preziosa bottiglia di Scotch, insieme a due bicchieri. Li posò
sul tavolo, li riempì per metà e mentre si portava il proprio alla bocca,
ordinò al suo perplesso subalterno: “Beva, capitano.”
Meccanicamente,
Neal afferrò il bicchiere e se lo vuotò tutto d’un fiato…
“Niente
male” commentò l’asso “una volta ci riuscivo anch’io… ma da quando mi sono
sposato ho dovuto, via via, perderne l’abitudine” sorseggiò il suo whisky e incrociò
le braccia, rimanendo seduto sullo scrittoio “forza maggiore, caro Legan…!”
concluse, lanciandogli uno sguardo significativo.
“Sta
forse cercando di consolarmi, signore?” chiese Neal, ostentando un’amara ironia.
Il
suo superiore posò il bicchiere sul tavolo: “Non l’ho chiamata qui per parlare
dei suoi problemi sentimentali, capitano… ma solo per farle presente che il
governo degli Stati Uniti ha investito qualcosa come ventimila dollari nella
sua persona, per metterla in grado di compiere un determinato lavoro. La sua
felicità può anche starmi a cuore come uomo, ma come comandante in capo della
sua Forza Aerea, il mio preciso compito è quello di vigilare sulla sua
efficienza in combattimento. E, ancora di più, sulla sua attitudine ad avere
cura delle persone che le sono state affidate. Mi ha capito bene?”
Il
tono di Andy, pur non essendo incollerito, era però abbastanza tagliente da
penetrare a fondo nell’animo dell’interlocutore, che infatti arrossì,
abbassando colpevolmente lo sguardo: “Sono… davvero dispiaciuto per
quell’increscioso incidente. Le assicuro che non si ripeterà… e la prego di
accettare le mie più sincere scuse!”
Il
generale emise un leggero grugnito: “Neal, non mi servono le sue scuse… perché,
se non le avessi già accettate fin da ieri, a quest’ora lei si troverebbe già
imbarcato sopra un cargo: dritto sparato in Patria, verso le amorevoli grinfie
di sua madre e della sua deliziosa sorellina…!”
Un
brivido forte e secco scosse violentemente le membra dell’ufficiale pilota…
“Già…
sono sicuro che una sanzione del genere sarebbe molto più pesante di qualunque campo militare detentivo, non è
vero?” gli chiese, guardandolo di sottecchi. Lui non rispose, ma la sua
espressione era comunque abbastanza eloquente.
“D’altra
parte” continuò il generale, passeggiando per la stanza con le mani dietro la
schiena “sono altresì convinto che sarebbe un vero peccato mandare in malora
tutto il lavoro che abbiamo svolto fino ad oggi. Che gliene pare?” chiese,
infine, rivolgendogli uno sguardo acuto.
L’interessato
deglutì un paio di volte: “Credo che abbia ragione, signore…!”
“Crede…?”
“Cioè…
ne sono convinto!” si affrettò a precisare, sentendo le gocce di sudore che gli
scorrevano sulla fronte.
“Bene…”
il superiore si piantò davanti a lui, fissandolo intensamente “…e allora
s’impegni a mettere in pratica questa sua convinzione, in qualunque modo
possibile. E non solo in servizio… mi sono spiegato?”
“Perfettamente,
signore!”
Andy
tornò presso il tavolo e riempì nuovamente i bicchieri. Poi porse il suo al
capitano, dicendogli, con tono nuovamente bonario: “E adesso, se non le
dispiace, mi spieghi il motivo di quella fuga precipitosa, dopo il vostro
arrivo a Lafayette Field!”
Al
vecchio Neal, già lietamente convinto d’essersela cavata così a buon mercato,
andò naturalmente di traverso il whisky e ci vollero diverse pacche sulla
schiena da parte del suo benefattore per consentirgli di riprendere un respiro
regolare…
“Io…
io credevo che… sapesse già tutto, generale…!” ribatté, non appena gli fu
possibile.
“Non
si preoccupi di quello che so… è la sua
versione che m’interessa!”
“Beh,
ecco… vede, generale… io… anzi, tutti noi… avevamo avuto… qualche problemino
con quella donna, signore …!”
Andy
Greason aprì la bocca, mostrando un’espressione da finto mammalucco: “Ah, ora
capisco! Ma certo, adesso è tutto chiaro… poteva ben dirlo subito, no?”
L’altro
abbozzò un sorriso forzato: “La ringrazio per la sua comprensione, signore…!”
“Ma
si figuri, Neal” ribadì il superiore, sorridendo “dovere…”
Ma
il sorriso dell’ex damerino di casa Legan si spense all’unisono con la grinta
del generale, riabbuiatasi all’istante: “MA COSA DIAVOLO CREDEVATE CHE FOSSE,
QUESTA? LA LEGIONE STRANIERA? O UNA SPECIE DI SANATORIO PER GLI SPASIMANTI
RESPINTI?!” gridò, adesso veramente furioso.
“Mm…
ma signore, io…” balbettò il poveretto.
“Forse
voi non avete ancora ben chiaro di cosa
vi troverete di fronte, quando andrete in azione! Se vi basta una gonnella un
po’ incazzata per produrvi un effetto del genere, come credete di poter
sopravvivere alle raffiche da 30 dei caccia tedeschi o alle granate da 88 della
Flak?!”
Dopo
essere rimasto ammutolito per vari secondi, Neal Legan riuscì a trovare, caso
unico nella sua storia, la migliore risposta che poteva dare in quella
circostanza, anche se forse non era la più sensata: “Un proiettile può soltanto
uccidere, generale…!”
Ma
questi, pur intuendone l’intenzione ironica, decise di prenderla sul serio: “È
dunque la morte che è venuto a cercare qui, capitano?” gli chiese, aggrottando
la fronte.
L’altro
rimase sconcertato per un attimo: “Tempo addietro, forse sì…” rispose poi “…ma
ora non più!”
“E
allora si ricordi di tutto ciò che le ho detto: qui ci servono piloti vivi, non
sprovveduti morti…!” subito dopo, però, come pentendosi immediatamente di
quelle parole, Andy distolse lo sguardo e tornò alla scrivania, cominciando a
rimestare le carte posate lì sopra.[12]
Neal,
dal canto suo, non parve farci caso, limitandosi a promettere: “Me ne ricorderò,
signore…!”
“Può
andare.” lo congedò l’asso, sempre voltandogli la schiena.
“Signorsì!”
Dopo
essersi chiuso la porta alle spalle, Legan dovette appoggiarvisi colla schiena,
scivolando poi di qualche decimetro verso il basso…
“Porco
Giuda, Candy…” mormorò “…sta’ a vedere che ho trovato finalmente uno dei tuoi parenti…!”
Poco
dopo, nel dirigersi verso l’uscita dell’edificio, si concesse una seconda
battuta di spirito: “E adesso so anche perché ti avevano mollato alla Casa di Pony: eravate decisamente in troppi, tutti e due…!”
[1] Women's Auxiliary Air Force: il corpo ausiliario femminile dell’arma aerea.
[2] Come i lettori ricorderanno, l’incursione di quell’U-Boat fa da sfondo agli avvenimenti narrati nel capitolo 8 (Il giorno più lungo dei Greason). Se un giorno avrete l’opportunità di leggere il racconto Le Due Aquile, scritto a quattro mani con il mio migliore amico, scoprirete che Richardson ed i suoi compagni avevano approfittato di quell’occasione per scappare in città, anche se poi gli era andata a buca!
[3] Il codice di chiamata radio del Candy Candy, formato dalla lettera F (identificativa del velivolo) e dalle ultime tre cifre della matricola di fabbricazione.
[4] Con quei razzi gli equipaggi in arrivo segnalavano al personale della base la presenza di feriti a bordo.
[5] Almeno secondo la mia personale interpretazione (anche se potrei sbagliarmi).
[6] Nel corso del quale, secondo i piani della signora Legan e della zia Elroy, sarebbe stato annunciato il suo fidanzamento con Candy.
[7] Se volete sapere cos’è un Codice Rosso guardatevi il film Codice d’Onore, con Tom Cruise, Jack Nicholson e Demy Moore.
[8] Pronuncia giagghi: sarebbe una contrazione di Juggernaut (il carro di…), soprannome dato al P-47 per via della sua stazza massiccia (anche se spesso, come già accennato, il termine era abbreviato in Jug, che vuol dire brocca).
[9] Una volta, per fare uno scherzo a Flanny, alcune sue colleghe avevano riempito di baci una di quelle pubblicazioni, dopo essersi date il rossetto. Per fortuna Candy aveva intercettato la rivista in tempo e l’aveva gettata nell’inceneritore.
[10] European Theatre Operations (Teatro Europeo d’Operazioni).
[11] I nomi in questione sono: Andy (diminutivo di Andrew), Randy (diminutivo di Raymond), Sandy (diminutivo di Alexander) e Candy (diminutivo di Candice) unico nome femminile!
[12] Un pentimento certamente dovuto all’ancor doloroso ricordo del povero Stear Cornwell.