Terzo Giorno - II
Chiunque avrebbe pensato che quel ragazzo col braccio interamente tatuato fosse fuori luogo in mezzo a tutti quei bambini, ma Sara non vedeva altro che un bambino in mezzo ad altri. Aveva lo zucchero filato attaccato alla barba rossa e la bambina accanto alla quale era accovacciato lo indicava, chiamandolo Babbo Natale. Lei, con la manina bianca, gli puliva i resti con un fazzoletto, ridendo della faccia di quel signore strano col braccio colorato. Anche la signorina che era con lui era strana, indossava quel grande cappello di paglia anche se non c’era più il sole, poi lei le disse di tornare dalla mamma che la stava chiamando. Si allontanò, salutandoli con la mano.
- La smetti di sorridere come un beota?
- È più carina di te!
- Certo, certo. Adesso dammi la mia parte di zucchero filato.
- Ecco a te, piccola mocciosa.
Ed portò a termine la sua esibizione con un inchino, per poi togliersi il cappello per passarsi una mano tra i capelli spettinati. I ciuffi arancioni gli sfioravano la fronte.
- Cosa facciamo stasera?
- Non saprei. – disse alla fine.
- Magari potremmo mangiare qualcosa.
- Mio Dio, Ed, ma fai sul serio? – affermò ad alta voce, allargando le braccia.
- Che c’è? Io ho fame! E va bene, allora cosa proponi?
- Ti va un film?
- Uhm. Che film?
- Qualunque tu voglia.
- Va bene. Cerco il cinema più vicino? – Già prendeva il cellulare dalla tasca.
- No, non ce n’è bisogno. Andiamo a casa mia.
- I tuoi non ci sono?
- No, sono ad una festa. Torneranno molto tardi.
- Fa come a casa tua.
- Grazie, se non ti dispiace uso il bagno.
Ecco, si era data la zappa sui piedi da sola: Ed Sheeran era a casa sua per vedere un film. Sapeva che non sarebbe potuto succedere alcunché, ma che poteva farci se lui le piaceva? Molto presto sarebbe andato via, quindi doveva attuare un’opera preventiva, per il suo bene. Erano soltanto amici. In realtà non lo sapeva, ma a molti poteva sembrare così. Entrò in camera sua e si tolse le scarpe. La luce fioca illuminava le pareti azzurre e le fecero notare quel disegno di lui formato gigantografia che occupava buona parte della parete proprio dinanzi alla porta. Doveva assolutamente toglierlo da lì prima che fosse troppo tardi, ma la sua voce la paralizzò sul posto. Davvero una giornata intensa per il suo cuoricino.
- Questa è la tua stanza?
- Ehm, sì. Ti piace? – fece spallucce.
- È molto…azzurra. E piena.
- Già, sono un po’ cleptomane. – rispose, fingendo di essere occupata a guardare tra le sue scartoffie.
- L’hai fatto tu?
- Questo? – disse indicando il disegno con l’indice – Si, qualche tempo fa.
- Davvero bello.
- Allora anche tu hai un talento.
- È l’unica cosa che abbia mai avuto la costanza di portare avanti.
- Perché non studi arte? Potrebbe essere la tua vera strada. – disse, con tono serio.
- Sai, mia madre mi ha impedito di frequentare un istituto artistico quando ero al liceo. Probabilmente, se lo avessi fatto, a quest’ora sarei all’Accademia delle Belle Arti, ma evidentemente non era il mio destino. E poi mi piace quello che faccio. – disse alla fine, voltandosi. – Non rimpiango nulla. Anche se non saprò mai come sarebbe stato.
- Questo è il mio preferito, ma se vuoi possiamo vedere altro, non farti problemi.
- Non sei un po’ grande per questo genere di film?
- Scherzi? Io lo adoro! – contestò, agitando le mani in quel modo che lui non sempre comprendeva.
Finirono per scegliere quel film, nonostante il padre di Sara fosse un appassionato di cinema e collezionasse dvd. Erano tutti esposti sulle mensole, disposti ordinatamente e classificati per genere. Sara escluse i film horror a prescindere, senza ammettere repliche.
- Tu non mi hai fatto andare sulla giostra di Dumbo!
- Ti dispiace se tolgo le scarpe?
- Fa pure.
Rise mentalmente per quelle parole. Aveva capito molte cose di lui, anche se non lo dava a vedere. Lei si accomodò alla sua sinistra, col telecomando in mano e schiacciò il tasto play. La mezzaluna della DreamWorks apparve sullo schermo dando inizio alla visione e alla cena di Ed.
Doveva ricredersi su quel film, gli stava piacendo. Probabilmente avrebbe desiderato un drago per tutta la sua vita senza poterlo mai avere, ma sapeva che non era l’unico. Sara recitava le battute a memoria.
- Miss, se non fa silenzio sarò costretto a portarla fuori dalla sala.
Ogni tanto lo richiamava affinché prestasse attenzione a delle scene in particolare, ma era particolarmente distratto quella sera, forse era solo stanco della lunga giornata, ma si sentiva comunque risollevato dal fatto che lei fosse serena nonostante quel piccolo incidente.
A proposito di quello, gli faceva ancora male la mano. Ogni tanto la muoveva per sciogliere i muscoli, sperava solo che quel dolore passasse presto. Non poteva certo incidere un album con una mano danneggiata, ma non le attribuiva alcuna colpa.
Si voltò a guardarla, illuminata soltanto dalla tv accesa, immersa nel suo mondo di draghi e vichinghi e ripensò al giorno prima, quando gli carezzò la guancia con le sue mani fredde. Gli si formò un nodo alla gola quando realizzò che in quel momento avrebbe voluto ricambiare quel gesto. Non importava come, voleva dimostrarle la sua…gratitudine? Riconoscenza? Chi lo sapeva. Il lunedì successivo sarebbe andato via e quella scadenza lo metteva in guardia da qualsiasi avventatezza, persino il guardarla troppo a lungo gli faceva paura. Non che si stesse innamorando, ma voleva evitare di legarsi. Probabilmente, al suo ritorno a Londra, J lo avrebbe riempito di impegni e lui non avrebbe avuto neanche il tempo di dormire, figuriamoci mantenere un rapporto d’amicizia a distanza. Doveva accontentarsi delle star che incontrava sul suo cammino, ma non era lui a sceglierle, per lo più gli andavano incontro per motivi professionali. Pochi si distinguevano creando un rapporto anche confidenziale con lui. Forse era per questo che quella Sara De Amicis gli andava così a genio: l’aveva scelta e si era rivelata una di quelle persone che non si limitano a tollerarti. Ti accettano.
Dovette sforzarsi di non sorridere anche durante le scene più tristi, altrimenti avrebbe potuto lasciar trasparire il suo reale stato d’animo. Un po’ si sentiva in colpa a fingere, ma doveva farlo. Se non per lei, per se stesso.
Sara, intanto, si godeva quella colonna sonora alzando il volume. Adorava quel film, non riusciva ad uscire dal tunnel della dipendenza, ma a chi importava quante volte lo vedesse. Le piaceva.
Ed era tranquillo, seduto comodamente alla sua destra, ogni tanto cambiava posizione strusciando i jeans sulla stoffa del divano. Nonostante gli eventi di quella giornata, non aveva più preoccupazioni: era a casa sua, in ciabatte e in compagnia di qualcuno di buono. Mangiò anche lei una brioche ad una certa ora, mentre Ed mangiava la terza.
Spesso la sua mente deviava l’attenzione alla sua mascella contratta. I suoi zigomi erano ancora più definiti alla luce diretta del televisore. Il film a volte non bastava a distrarla dalla sua presenza fisica su quel divano. Ed, era un oggetto che stava ancora studiando e questo spiegava la sua esigenza di guardarlo, anche se solo di sfuggita. Non stava certo cedendo ad una qualche tentazione che aveva solo lei. Certo, c’era stato tanto imbarazzo tra loro, ma era normale date le circostanze, non doveva entrare nel giro dei film mentali. Le parole e i gesti dovevano assumere il peso giusto, non quello che lei avrebbe voluto. Forse lui nemmeno si rese conto di quello che stava facendo, distratto dal film: alzò il braccio e lo poggiò sullo schienale, proprio dietro la sua testa. Non erano troppo vicini, non c’era tensione, ma all’interno del suo petto il cuore fece una capriola. Maledette fan-fiction: l’avevano plagiata.
Ormai il film era quasi al termine, mancava soltanto l’epilogo e l’ansia di cosa avrebbero detto dopo, la assaliva inspiegabilmente.
Alla fine i titoli di coda apparvero sullo schermo, una canzone di Jonsi li accompagnava e Sara non sapeva più se guardare quelli o guardare Ed. Lui non fece alcun commento, impegnandosi a leggere i nomi dei produttori e degli animatori che scorrevano velocemente, anche se in realtà non gli interessavano. Non in quel momento. Non davvero.
Pensò che stavano entrambi fuggendo da un momento che prima o poi avrebbero affrontato, così (– da uomo – pensò), si girò per primo, senza lasciar trasparire nulla. Sorrise, venendo ricambiato, come sempre, ma cosa dire? Cosa fare?
- Che ore sono? – chiese lei.
- Soltanto le 22. – rispose lui guardando il suo orologio.
- Fa caldo, eh? – provò lei.
Caldo, vero Ed? Sei seduto su questo divano, stanco morto, ma non osi andare via, tantomeno dire qualcosa. Hai anche il braccio intorno alle sue spalle. Cosa vuoi fare?
Niente.
Ti prego, non fare niente. Non guardarmi, non ignorarmi e non stare in silenzio. Fa troppo caldo stasera, in questa casa. Forse sarebbe il caso di mettere fine a questa storia, non va affatto bene.
Tra una settimana vai via, torni da J e ti rimetti a lavorare e a scrivere. Dimenticherai anche di essere stato qui. Non lo racconterai ai nipoti davanti al fuoco. Probabilmente basterebbe fare una battuta come quelle che hai fatto fin’ora, per rompere il ghiaccio. Allora perché non parli? Probabilmente a guardarla così, sarai diventato rosso quanto i tuoi capelli.
Forse non avrò una faccia molto convincente, ma perlomeno non smetto di sorridere. Sembra che lui invece stia per esplodere come una bomba ad orologeria, messa qui accanto a me per farmi saltare in aria una volta per tutte. Togli quel braccio, Ed, non facciamo cose strane. Tra pochi giorni vai via ed io devo partire, quindi togliamoci questi pensieri dalla testa.
Starà sicuramente pensando che sono impazzito. Non ho il controllo di niente, ora, mi dispiace, non posso trattenermi dall’allungare il collo. Fermami. Fallo per te.
Fermati, Ed. Io non so se riuscirò a farlo. Fermati.
Fallo per me!
Fermati.
E poi –BOOM- squillò il cellulare di Ed, facendo vibrare tutto il tavolino di vetro.
Probabilmente un infarto sarebbe stato meno doloroso per il cuore di Sara, che espirò tutta l’aria che stava inconsciamente trattenendo. Ed si alzò di scatto e si diresse verso il balcone aperto.
Non stava davvero ascoltando cosa gli stesse dicendo J, la sua mente non era in grado di recepire nulla, la sua pressione sanguigna era troppo alta. Probabilmente anche la barba era diventata più rossa. Rispondeva automaticamente al suo manager che si trovava in qualche paese in cui era giorno, in quel momento. Riusciva a pensare soltanto alla sensazione dei suoi occhi che si chiudevano. Non se ne era nemmeno accorto. Che figura aveva fatto? Come sarebbe tornato dentro? Cosa avrebbe detto? Quando J chiuse la telefonata, Ed fissava ancora lo stesso punto indefinito di poco prima, cercando di razionalizzare gli ultimi eventi: doveva entrare dentro e fare finta di niente? Doveva per forza. Tutto quello non era possibile. Non doveva accadere.
Sara quasi dovette chiudersi la bocca con le mani o ci sarebbe entrata una mosca. Rimase immobile, sperando di sprofondare in quel punto del divano senza emergerne mai più. Non era stata una buona idea. Niente film, era chiaro adesso. Ma cosa avrebbe fatto? Non aveva il coraggio di parlare normalmente, figurarsi in una situazione del genere. Pregò intensamente la sua buona stella di tirarsi fuori da quel casino prima possibile.
Quando rientrò, col volto teso, chiese direttamente cosa facessero domani.
- Domani – Sara deglutì prima di continuare – andiamo sulla bocca del Vesuvio, vestiti comodo.
- Bene, sarà una cosa faticosa. Forse è meglio che vada.
- Vengo a prenderti alle 8:30?
- Si – rispose con un sospiro.
- Allora, a domani. – Ed aveva il respiro pesante, come se avesse appena corso per mezza città. – Sarò puntuale.
Angolo autrice:
Fuori un altro!
Ecco a voi il parco divertimenti in questione:
il trenino con gli smarties:
la locandina del film che hanno visto:
e un esempio di come possa essere Ed che parla in italiano: https://www.youtube.com/watch?v=Vte5aNLVdQE&index=1&list=FLs1FCs8ClIJthN39AExJidQ.
Spero che questi piccoli input possano aiutarvi a calarvi nella storia e nella psiche dei personaggi. :)
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Alla prossima! :D