Capitolo VII
Italia, I^ metà del XX secolo
«Vuoi giocare con me?»
«I tuoi amici non vogliono far giocare una bambina»
«Il pallone è mio e decido io. Vuoi giocare?»
Era con questo scambio di battute che Vittoria conobbe Carlos, figlio del calzolaio in fondo alla strada.
Vittoria si fermava tutte le volte che tornava da scuola a osservare il gruppo di bambini giocare a calcio, scrutandoli con occhi curiosi e pieni di invidia.
Non aveva mai avuto il coraggio di chiedere se potesse giocare con loro, fino a quel giorno.
Era tornata a casa senza fermarsi, aveva posato la cartella ed era corsa in strada, raggiungendoli. Aveva chiesto, raccogliendo tutto il coraggio che aveva, se poteva giocare con loro. Avevano riso e le avevano detto che il calcio non era per una bambina, tutti tranne un ragazzino che la guardava incantato.
Poi il figlio del calzolaio le si era avvicinato e le aveva chiesto se voleva giocare con lui.
«Se gioco gli altri se ne vanno»
«Allora vieni a giocare con me in spiaggia!» sorrise indicandole il mare che si vedeva tra i palazzi.
Vittoria ci pensò qualche secondo, poi annuì e lo seguì fino alla spiaggia dove, benché gli costasse ammetterlo, si era divertita moltissimo con Carlos.
A fine giornata gli aveva regalato una conchiglia come lei non ne aveva mai trovate. Quella conchiglia era nascosta sotto il suo letto, al sicuro.
Da quel giorno, lei e Carlos erano stati spesso insieme e qualche volta erano pure riusciti a farla giocare a calcio con gli altri bambini, ma principalmente passavano le loro giornate in spiaggia, a cercare le conchiglie più belle. Chi trovava la migliore vinceva la migliore dell'altro. Carlos però rinunciava spesso alle conchiglie, per lasciarle a lei.
«Vittoria, sai che mi piaci?»
La bambina bionda alzò lo sguardo dalle sue conchiglie, confusa «Ti… Piaccio?»
«Sì» sorrise Carlos, raccogliendo l'ennesima conchiglia e tornando a guardarla.
«In che senso?»
«Nel senso che voglio sposarti. Mi vuoi sposare Vittoria?»
Lei arrossì violentemente, il ciuffo che non riusciva mai a tenere giù che mostrava il suo disagio «Non sono discorsi da bambini questi!»
«E se te lo chiedo quando siamo grandi?»
«Non lo so… Non siamo grandi»
«Un giorno lo saremo! E tu sarai mia moglie!»
«E se non volessi?!»
«Allora mi dirai di no!» ridacchiò, guardandola nei suoi occhi ambrati «Ma non credo che lo farai!»
Vittoria gli diede un pungo sulla spalla «Smettila di dire cazzate!»
Carlos sbatté le ciglia e sorrise dolcemente «Querida, non è un linguaggio consono ad una bimba come te!»
«Morissi!»
Vittoria e Carlos stavano sempre insieme. Non che lei volesse la sua compagnia, ma Carlos non la lasciava sola un momento.
Neanche quella notte.
Quella notte quando le bombe degli alleati caddero dal cielo.
Vittoria dormiva e la sirena non avvisò nessuno, quella notte.
Fu un attimo.
Pochi secondi prima dormiva beata e tranquilla nel suo letto, sognando un bambino abbronzato dai capelli castani che le chiedeva di sposarlo, un attimo dopo si trovava sotto tonnellate di materie.
Ma non era morta.
Era rimasta bloccata con una gamba, ma al riparo sotto delle macerie accavallate una sull'altra.
Piangeva, per il dolore, per la paura, per la morte che stava al suo fianco, pronta a portarla via nei suoi anni migliori.
Vittoria si ritrovò a pensare all'ironia che la colpiva. Lei, che era stata chiamata così per avere qualche riconoscimento dallo stato, per essere di buon auspicio all'Italia, stava morendo. Chissà quante Vittoria erano già morte in quella stupida guerra.
Non seppe quanto tempo era passato dal suo brusco risveglio. Sapeva solo che sentiva la gamba torturata dalle fitte di dolore, il sangue colarle sulla tempia, le lacrime sul viso e le orecchie che ancora fischiavano, le bombe che continuavano a cadere in lontanza.
Chiuse gli occhi e subito sentì qualcosa di caldo carezzargli il volto. Non ebbe la forza di aprire gli occhi ma, per quanto la mente le dicesse che era impossibile, in cuor suo era convinta che fosse Carlos.
Sorrise appena e sentì le calde labbra del bambino posarsi sulla sua guancia, sulla fronte e sulla mano che veniva poi tenuta stretta.
Vittoria ricambiò la stretta, smettendo momentaneamente di piangere.
«Vederti sparire così giovane, mi amor,» mormorò Carlos alla bambina che lo sentì normalmente, come se il fischio fosse sparito «è una tortura come poche…» sospirò.
Carlos osservò Vittoria sorridendole dolcemente, finché non sentì il suo battito fermarsi. Lasciò la presa sulla sua mano e le diede un ultimo bacio sulla fronte «Che la prossima volta, il Fato ci doni più tempo…»
Altro giro, altra coppietta!
Questa, putroppo, sparisce dalla circolazione decisamente presto, stroncata sul nascere per colpa della Seconda Guerra Mondiale :(
Povera Vittoria, il suo nome non le ha portato fortuna come si sperava u.u"
Non sono cattiva, vee, non guardatemi male perché ho ucciso una bimba! *corre a nascondersi* sono state le bombe, non io.
Manca davvero poco alla fine di questa fanfiction :D
Tre capitoli e tra poco si avranno tutte le spiegazioni del caso <3
Spero la fiction continui ad interessarvi ^^
Un bacione <3
Cocol
P.s. Se volete fare domande a questi pg della mia ff fatele pure qui --> e con qui intendevo QUI