Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: TimesNewMozzi    03/05/2015    0 recensioni
Quando la mente è preparata basta poco per rendere la più piccola finzione una gigantesca realtà.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Tutti dicevano che la Caverna era un posto da non visitare, da evitare assolutamente e se possibile da schivare completamente, da cancellare dai propri tragitti, dalle mappe e dai navigatori.
La chiamavano tutti la Caverna in onore dell’atmosfera che trasmetteva e dell’ombra di ignominia che la gente vi aveva buttato addosso.
In realtà, più che l’oscura tana di un mostro o un avido Drago la Caverna era un ammasso di legno e pietra, una normale locanda di un normale villaggio. Una locanda in un vicolo un po’ buio di un normale villaggio, e un po’ sporca, o almeno così sembrava da fuori, l’interno quasi nessuno l’aveva visto.
La Caverna era, in sostanza, un edificio abbandonato, e come tale era stato riconosciuto e dipinto, il problema è che anni di Hollywood avevano trasformato radicalmente l’idea di cosa “abbandonato” significasse.
In questo normale villaggio di campagna dove tutto resta immobile e anche i sassi lanciati in aria sembrano tentare di fermarsi e levitare per qualche istante sull’arco di parabola da loro inferto dai ragazzini che li lanciano cercando di colpirsi a vicenda, o di dimostrare la propria abilità nei lanci lunghi, o qualcun altro di questi rituali di passaggio e di affermazione della propria dominanza;
in questo accampamento d’uomini, tra questi cuccioli d’uomini impegnati nella più uoma delle attività, il gioco di potere, stava un ragazzino troppo stupido per parteciparvi e troppo intelligente per non farsene una colpa. Stava perché più che esserci, più che partecipare all’essere villaggio o alla vita dei suoi coetanei, lui stava lì, ci era finito per caso e non volendo andarsene, non sapendo neanche come farlo, si limitava a rimanerci, a starci.
Non che non volesse essere parte della comunità, ma non era bravo né a lanciare né a fingere di saperlo fare, non che fingere in generale gli riuscisse male, era la sua occupazione principale, ma quando si trattava di fisicità e muscoli e tendini che scattano in successione lui viveva in un altro mondo.
Gli uomini sono corpo e anima, muscoli e cervello, realtà e illusione, il nostro ragazzo era più concentrato sulle seconde opzioni, le prime avevano un che di estraneo, alieno alla sua stessa natura, alla sua struttura di base che sembrava opposta a quella di tutti i suoi simili più grandi o più piccoli che fossero. Era un attore con poca consapevolezza del proprio corpo e un enorme talento per l’improvvisazione.
Questa sua attitudine al non fisico, al meno in vista, gli provocò nel corso degli anni alcune noie, nessuno scappa ai bulletti delle medie, ma più di essi i suoi guai erano portati dai suoi presunti amici, la compagnia con cui si trascinava e che gli esercitava la più terribile delle crudeltà giovanili, quella pressione invisibile che porta ad agire non come agenti della propria mente, ma come marionette di quella altrui.
"Andiamo alla caverna?" gli dissero un giorno in quel tono che non ha eguali per capacità di non far trasparire quanto imperativo sia. Andiamo in caverna? E quel punto si maschera da interrogativo ma non riesce a non sembrare dritto più di una spada, più esclamativo di un gallo a colazione.
"Non… Non è un bel posto, cosa andiamo a farci?"
"Giusto a vedere com’è, tutte queste storie sono delle leggende, secondo me è solo un pub in malora. Voglio capire se tutti in città sono solo dei frignoni" Ecco un altro enorme difetto degli abitanti del paese: vivendo lontani da quasi qualsiasi altro insediamento urbano avevano perso, o mai acquisito, il senso di cosa fosse una città e finivano per attribuirlo a qualsiasi agglomerato di più di una decina di case. Bastava che avesse un supermercato, una chiesa e una scuola perché qualsiasi villaggiucolo venisse considerato una città.
"Mmh…"
L’esitazione non piacque particolarmente a Marco, il capobanda.
"Domani alle 21, qui al parco. Se ti caghi sotto puoi sempre farci da palo"
Il ragazzo sospirò, non che avesse molta scelta, sarebbe venuto.
Si lasciarono con la raccomandazione di portare delle torce e i telefonini, sia mai che le storie fossero vere e gli fosse capitato di riprendere un fantasma o magari un alieno, chi poteva sapere cosa si nascondesse tra quelle mura decadenti?
 

***
Per cena c’erano Hamburger e patate al forno.
"Quindi domani c’andrai?" Chiese suo padre.
"Non posso evitarlo, me lo rinfaccerebbero fino alla morte dell’Universo…" non sembrava particolarmente shockato né segnato dall’esperienza, era più che altro annoiato, scocciato di dover perdere del tempo a fare da balia ad un gruppo di adolescenti investiti da una tempesta ormonale.
Suo padre stava sghignazzando sotto la barba leggermente incolta.
"Senti… ti va di sentire una storia sul Nonno?"
Non dormì molto quella notte, i crampi alla pancia lo avevano esaurito. Aveva riso troppo.
La strada dall’angolo di paese dove solitamente si accampavano alla Caverna era di qualche centinaio di metri, quanto bastava per controllare l’armamentario di tutto il quartetto e il livello di batteria dei loro tecnologicissimi occhi sul mondo.
Il gruppo si era sfoltito già prima che al nostro ragazzo venisse chiesto di prendere parte all’avventura, evidentemente non tutti erano così attaccati alla faccia.
Il gruppo da quattro dei sopravvissuti alla leggenda della Caverna era ormai prossimo ad essa. Marco, il maggiorenne, camminava davanti agli altri, Andrea e Davide ai lati lo seguivano precedendo il ragazzo che, in ogni movimento di ogni angolo del corpo dimostrava quanto poco eccitato fosse da tutta questa faccenda.
Sulle braccia e i volti degli altri era invece ben presente l’eccitazione dei bambini di fronte al proibito, al pericolo non capito, e forse non capibile, che suona per questo talmente invitante.
"Siamo arrivati"
"Ottima deduzione"
"Andrea non fare l’esperto, lo vedrebbe una talpa che ti stanno tremando le ginocchia"
"Beh, voi due non riuscite neanche a stare fermi, direi che siamo pari"
Si voltarono simultaneamente sul Ragazzo.
"Vai tu per primo, sei il nostro uomo migliore" Marco quasi si ruppe sull’ultima sillaba soffocando una risata inappropriata.
C’era tanto di sbagliato in quella frase sia in quell’”uomo” che non si addiceva per niente al ragazzo magro e appuntito nascosto nel suo maglione, che nell’ovvia presa per il culo contenuta nei “nostro” e “migliore”.
"Mi ripeto: facciamo in fretta, non ho voglia di sprecare tempo qui…" La u e la i furono talmente flebili che se i suoi tre compagni non fossero stati tesi come un generale all’alba della battaglia non le avrebbero nemmeno sentite.
La maniglia della Caverna era di quel metallo dorato, forse ottone, diffuso ormai in tutto il villaggio, la porta era di un legno laccato e decorato da un'unica placca annerita che doveva, una volta, aver mostrato il nome e il logo del locale e ora, al massimo, ne ridava allo spettatore l’immagine al tempo passato, e del tempo passato.
Così pure fecero i cardini che scricchiolarono con precisione e acutezza degne del miglior film dell’orrore.
L’interno non era meno vecchio e degno delle leggende di quanto non fosse l’esterno, se possibile lo era in misura ancor maggiore. La sala principale, vuota di anime e animata solo dalla luce di un paio di finestre ingrigite, ospitava sei tavoli che dovevano essere stati una volta quasi belli, si notavano ancora delle decorazioni e le dolci curve dei loro bordi nonostante il tutto fosse coperto da uno spesso strato di quel pulviscolo quasi sabbioso degli ambienti disabitati, quella polvere d’ossa degli edifici diversa dalle matasse di lana grigia che popolano i pavimenti della case vive e respiranti.
"La Caverna è, alla fine, solo una caverna, vecchia e lercia"  il contrasto tra il flebile suono delle spalle vibranti di Marco e le sue parole spavalde era quasi comico, il Ragazzo, rimasto sull’uscio, se ne accorse e si trattenne del ridere.
Qualcosa scricchiolò al piano superiore. Non vi fecero troppo caso, viste le condizioni dell’edificio, gli scricchiolii dovevano essere può comuni dei silenzi.
Nonostante ciò la frequenza di oscillazione delle ginocchia dei tre esploratori entrati nella Caverna aumentò impercettibilmente.
"Vado a vedere se c’è ancora qualcosa nel bar" disse Andrea che più di tutti aveva aspettato con ansia l’arrivo della maggiore età per qualcuno del loro gruppo semplicemente per la voglia di provare a capire quale magia si nascondesse in quei bicchieri, o boccali, per farli svuotare tanto velocemente.
Il Bar, purtroppo era completamente vuoto.
Perché chiunque avrebbe dovuto lasciarci dell’alcool era comunque un mistero che solo alla mente di Andrea poteva risultare di ovvia soluzione.
"Questa è una locanda, per avere da bere bisogna rivolgersi all’oste."
Il vocione barbuto echeggiò tra le schegge di vetro e legno come un colpo di batteria.
I quattro moschettieri improvvisati si guardarono pronti a ridere l’uno dell’altro al primo segno di colpevolezza.
L’uno nell’altro rividero la propria inquietudine, come specchi incapaci di mostrare a chi li osserva l’immagine desiderata.
"Desiderate ordinare qualcosa?"
Questa cortesia fu troppo per i tre quarti del coraggioso plotone che in una nuvola di vecchia polvere e urla scomposte si dileguarono ad una velocità che, normalmente, gli avrebbe fatto guadagnare come minimo un record olimpico.
Solo il Ragazzo rimase fermo  dov’era.
La voce rise.
"No-non saprei cosa ordinare…  non sono maggiorenne quindi… forse è meglio che vada a casa" si mosse leggermente più verso l’esterno, rimanendo comunque sull’uscio.
"Nessun cliente va a casa a bocca asciutta dalla mia locanda" Rispose asciutta e imperativa la voce che, dopo qualche attimo si materializzò uscendo dall’ombra di un pilastro semi crepato.
La vista del piccolo oste ingiacchettato sconvolse il ragazzo su più livelli di quanti ci si potrebbe aspettare.
La voce, per quanto cortese, non sembrava uscire da un ometto brizzolato, quanto da un gigante barbuto con un grembiule di pelle, uno di quegli osti stereotipati in grado di servire boccali di birra e calmare risse a colpi di rutti, uno di quegli Hagrid votati all’alcool più che all’alleviamento di belve infernali e potenzialmente assassine.
L’uomo che gli si presentava davanti non sembrava nemmeno in grado di produrlo un rutto senza fratturarsi la cassa toracica, figurarsi usarlo per placare una rissa.
"È più difficile sanare la sete di un ragazzo, non avete nemmeno voi idea di cosa state cercando e questo rende il lavoro dell’oste ancora più complicato e ancora più importante. Vieni a sederti al bancone, vediamo cosa fare…"
L’ipnosi involontaria dell’oste, perché ormai anche il ragazzo aveva compreso di non trovarsi in un pub o in un bar ma in una vera e propria locanda, una di quelle locande da incontrare andando per via durante l’esplorazione di una terra magica, tra l’uccisione di un Drago e la deposizione di un signore della guerra; fu fin troppo efficace. Il ragazzo si mosse quasi automaticamente verso in bancone e andò a sedersi esattamente al centro, nell’unico posto che, magicamente, era completamente privo della patina pulviscolare tipica del resto del locale.
Il sedile in pelle era stranamente comodo pur non essendo soffice. Il bancone era, nell’area adibita al servizio del ragazzo, abbastanza pulito da rivaleggiare con uno specchio.
Non c’era stato per l’oste il tempo di pulire la postazione, né di indovinare quale il ragazzo avrebbe scelto.
"Mi piace l’Ananas…" Disse guardando oltre il bancone verso l’angolo in cui l’oste sembrava star trafficando con alcuni vetri vuoti di colori e forme differenti e, ora che le osservava attentamente, inusuali. Più ampolle che bottiglie, più strumenti alchemici che alcoolici.
L’oste s’interruppe per un momento e guardando oltre la propria spalla e verso il ragazzo, stupito, ma piacevolmente.
"È un inizio" disse sorridendo ed estrasse dall’ammasso di sabbia fusa un paio di ampollette, bicchieri e una lunga bottiglia dall’aspetto strano: il vetro sembrava ripiegarsi su se stesso e dal becco un suo prolungamento cavo rientrava poi nella stessa dal lato opposto in modo tale che tra la superficie esterna e quella interna non vi fosse differenza e il dentro il fuori smettessero di avere senso. 
L’oste si mise di fronte al cliente e, disposto il suo armamentario iniziò ad armeggiare travasando e mescolando liquidi invisibili, sembrava fendere e catturare l’aria e poi inserirla nei suoi strani vetri e trasformarla, tanto che al ragazzo, quando sforzava la vista, sembrava di vedere quelle onde di calore, quelle vibrazioni che appaiono a chi viaggia per strada d’estate e guarda in fronte a sé e vede l’aria piegarsi.
"A te!" Disse infine l’oste dopo un paio di minuti di mescolamenti mostrando un bicchiere vuoto al suo cliente.
"Oh… grazie" Disse il ragazzo afferrando un bicchiere vuoto che sembrava così irragionevolmente pieno. Bevve fino all’ultimo sorso di quel nulla così ben nascosto nell’abito di un liquido celestiale, trangugiò l’aria come se stesse assaporando l’ambrosia degli dei e infine si pulì la bocca e sospirò.
Poi rise.
E rise anche l’oste. E risero in due finché tutto in qual palcoscenico, in quella farsa non iniziò a ridere con loro, a ridere di loro, a ridere dei tre che si erano fatti impensierire dai rumori di paese, dalla polvere e da un vocione proveniente da un vecchietto così gracile da essere scambiato con una gamba di un tavolo, un nonno barista e attore in pensione da qualche decade.
L’oste e il ragazzo si guardarono asciugandosi le istintive lacrime.
La porta della locanda era ancora aperta al freddo della sera dopo la corsa dei tre coraggiosi, e in quella sala, in quella scenografia ormai distrutta, mentre il sipario iniziava a calare risuonò un ultima battuta:
"Non c’è realtà migliore della finzione per chi ne capisce il gusto"
Il pubblico applaude. 
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: TimesNewMozzi