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Autore: tixit    03/05/2015    5 recensioni
Missing moment di un missing moment - quello delle possibilità da valutare, per intendersi.
Molto irreale, molto non canon, sicuramente poco settecentesco per la Normandia - in Scozia sarebbe stato normale.
André porta Oscar a vedere una partita, la sua prima partita, a un gioco che lei non conosce.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: AU, Missing Moments, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro. 
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: Boh! Spin-off? Missing moment di Missing moment vagamente AU e OOC?
Vabbè, ha senso se si è letta la sbirciatina dei ricordi di André, in Hai valutato tutte le possibilità, ancora in corso. Quindi dedicata alle solite 5, o forse 6, ma scritta per me, per una serata divertente e per tante partite viste a bordo campo.
 


 

La sua prima partita

 


Oscar chiese impermalita “... e perché no? Perché non posso fare il giocatore di movimento?”

Il ragazzo massiccio  scattò contro di lei, senza preavviso e la caricò, dandole una spallata. Si sentì letteralmente volare, per un attimo, un attimo lunghissimo, mentre pensava che non era preparata, che non era giusto... e poi si ritrovò nel fango senza fiato.
Non era preparata, non era giusto, e faceva pure male.

“Per questo motivo.” le disse brusco, senza nemmeno guardarla.

Fu André che le tese la mano per rialzarsi, preoccupato.

“Riprovaci!”sibilò Oscar irritata, fissando con aria di sfida il ragazzo massiccio.

“Non serve... Giunco!” il ragazzo massiccio si strinse nelle spalle “E Grandier, se tu vuoi giocare, tu giochi, lo so chi sei e cosa sai fare, ma tuo cugino non gioca solo perché è tuo cugino. Tuo cugino non gioca perché non può.”

“Il Giunco non gioca” disse un altro del gruppo, “può fare il tifo durante, e bere con noi dopo, e pure ballare con mia sorella visto che lo trova così carino, ma il Giunco non gioca.”

Un ragazzo mingherlino si strinse nelle spalle e, sorridendo, disse conciliante ad André: ”Lo sai che in questo gioco non ci sono sostituzioni e non possiamo giocare con uomo in meno. Non questa partita. A un’altra gioca. Gioca a tutte quelle che vuole, se ci tieni tanto. Tuo cugino gioca in squadra con me, se vuole, a me non interessa vincere sempre; ma non a questa.”

André sospirò tra sé: se l’era portata alla festa, di nascosto, vestita coi suoi vestiti vecchi, ché con quelli di lei, per quanto semplici, qui lei avrebbe davvero stonato; e l’aveva presentata come suo cugino, quello di città, tanto per coprire i suoi modi, di sicuro un po’ strambi per gli altri ragazzi, così come il suo accento privo di accento. 
Voleva tanto che vedesse la partita con lui, glielo aveva promesso, e come erano tornati in Normandia, al mare, si era organizzato per questa fuga; ma non aveva valutato che, dopo aver provato, lei volesse addirittura giocare.
La solita peste.

“Riprovaci!” disse lei fredda al ragazzo massiccio, stringendo i pugni.

Il gruppetto mormorò divertito. Uno dei ragazzi miagolò e gli altri risero. “Il Giunco lancia una sfida!”

Odiava quel nomignolo, ma il ragazzo massiccio glielo aveva affibbiato là per là, e ora, lo capiva, per quei ragazzi, alcuni onestamente più grossi di lei, leri era diventata "il Giunco". Accidenti!

Il ragazzo massiccio la guardò irritato, poi guardò André con aria interrogativa. Che vuoi che faccia? dissero i suoi occhi. Che fai dopo tu? Lo sai che io non ce l’ho con te, vero? Devo per forza rispettare tuo cugino per via che è “tuo”?

André guardò lei e poi lui, soppesandoli irritato, poi si strinse nelle spalle “Aspetta solo un attimo,” disse.
La prese per un braccio e la attirò a sé, “Usa quello che hai, se ce l’hai," le disse brusco, "soprattutto, se ci riesci... almeno per questa volta, usa la testa! Metaforicamente intendo...” la stava prendendo in giro.

Lei annuì infastidita.

“E’ una cosa tra di voi, niente di personale, io non intervengo, ma quando ti dice di fermarsi, o quando te lo dico io” sottolineò molto freddamente, parlando con il ragazzo massiccio ”... soprattutto quando te lo dico io, tu ti fermi all’istante e la chiudiamo lì.”

“Grandier, l’ha chiesto tuo cugino, a me non interessa sbatterlo nel fango. Vivo bene lo stesso.”

“E allora, se non ti interessa sbattercelo, come è nel fango, ti fermi.”

“Ma si che mi fermo...”

“All’istante.”

“Se non gli piace prendercele non deve nemmeno chiedere, mi pare.”

“Prendercele è una cosa che gli piace da pazzi – fallo felice. E a me che non piace.”

“Te lo porto in Paradiso, allora” disse il ragazzo massiccio grattandosi la testa.
 
La caricò, ma lei si spostò leggermente di fianco e lui si ritrovò a caricare a vuoto.

I ragazzi mormorano divertiti. Qualcuno fischiò.

La caricò da destra e poi da sinistra, veloce e senza tanti complimenti. André guardava attento, pronto a intervenire per raccogliere i pezzi, ma lei ogni volta si spostava.

Ad un certo punto il ragazzo la fissò negli occhi e le fece una finta, ma lei lo anticipò, istintivamente. André annuì divertito, gli occhi sempre sul ragazzo massiccio.
Il ragazzo accanto a lui gli diede una gomitata nelle costole “Il Giunco non ha tanta carne su quelle ossa, ma quello che ha direi che basta.”

“hmmm... forse.”

Il ragazzo massiccio stavolta la caricò direttamente, lei arretrò e scivolò, il colpo fu meno forte per quello, ma lo sentì, comunque, tutto. Il ragazzo massiccio la teneva giù nel fango, bloccandola con il suo peso. “Lasciami “protestò senza fiato, furibonda. Lui le afferrò i polsi per tenerla ferma, mentre scalciava inviperita.

Andrè come un’ombra si stava avvicinando, con la faccia seria.

“Questo in una partita non ti dovrebbe capitare, volontariamente, per cui non conta.” disse il ragazzo massiccio, poi si spostò di lato “però potrebbe... può essere che sì, può essere che no.” riprese fiato, seduto accanto a  lei “Tu chiedi la cosa sbagliata...” guardò André, che torreggiava imperscrutabile su di lui, “Perché diavolo vuole fare il giocatore di movimento?”

“Non capisce molto” annuì André divertito “è il suo difetto più grosso. Capisce molte cose, eh! ma altre...” scosse la testa “altre non le capisce proprio...Ma sono tutti così nella sua famiglia: non tanto svegli... si fissano sulle cretinate.”

“Pure i miei cugini...” sospirò il ragazzo massiccio, “tonti senza rimedio.”

Oscar  si sentì sollevare da terra dal ragazzo massiccio “Io sono Meulnes, Le Gros Meaulnes.” Le tese la mano, dopo essersela pulita – senza molto successo – sul panciotto.

Oscar lo guardò insospettita, gliela strinse incerta, dopo aver pulito la sua sul pesante panciotto di fustagno che le aveva prestato André. Gli scoccò uno sguardo di scusa, ma lui si strinse nelle spalle.

“Tu non sei un giocatore di movimento, non in questa squadra... magari nella squadra di casa tua,” concesse facendo un gesto magnanimo con la mano, Le Gros Meaulnes ”forse... non lo so, può essere che sì, può essere che no, ma non in questa squadra. In questa squadra come giocatore di movimento vali uno sputo.”

Oscar si strinse nelle spalle “Tifo per voi lo stesso, stasera, visto che André gioca con voi, che ti credi?”

“Non hai tempo per fare il tifo” disse Meaulnes allontanandosi, “tu sei il portiere.”
 

Il gioco era cattivo. I ragazzi con cui aveva scelto di giocare André erano i figli dei piccoli contrabbandieri della costa, alcuni erano figli di marinai di un altro paese che andavano e venivano, doppia lingua, se non tripla, tra il francese, il dialetto della zona,  alcuni, figli di marinai delle isole, parlavano anche il jerriais, altri avevano padri che venivano da molto più lontano.

Anche le loro canzoni popolari erano doppie canzoni, mentre i fratelli, di solito, in numero maggiore di due.

Quasi tutti partecipavano al contrabbando del sale per arrotondare le entrate – lì in Normandia, dove in fondo si produceva, le tasse erano alte, erano le provincie delle tasse pesanti sul sale.
Entravano e uscivano per brevi soggiorni nella prigione. Ragazzini già uomini.

Gli altri erano... quelli che ce li mettevano. Quelli che pur non facendo le regole, le facevano rispettare.

La partita era diventata un rituale – ad un certo punto, tra i fiumi di birra e sidro di una festa e le solite spacconate, c’era stata una lite sulla choule e qualcuno aveva detto che quel gioco era meglio: poteva far giocare gente di tutte le dimensioni, non solo quelli grossi come un bue. E scemi come un bue.
La cosa era degenerata, all’epoca, ma poi ci avevano preso gusto – in fondo erano gente di frontiera, abituati a dividere e a catturare abitudini, accenti, attraversare il mare e lasciare spose non sposate in attesa di un ritorno... se ti piace una canzone te la prendi, se ti piace una donna, pure...  che sarà mai un gioco?

E così ogni anno, loro, giocavano La Partita.

Non era una partita, però: era un pareggiamento di conti, sull’unico terreno in cui i conti si potevano pareggiare e poi dimenticare. Che se uno non dimentica poi non vive più. 
Arbitrava il curato, perché aveva potere sulle loro anime e sull’inferno – e per chi credeva in una anima immortale  non c’era autorità maggiore.
Il secondo arbitro era il farmacista perché aveva potere sui loro corpi – le sue ricette misteriose quanto le preghiere del curato - e per chi credeva in un’anima mortale (pochi, per altro) non c’era autorità maggiore.
 
 

Oscar si scoprì brava. Guardandoli scivolare nel fango per un attimo si illuse che l’avessero sottovalutata, ma poi capì: oltre a non essere affatto così brava nel movimento, quelli non giocavano solo per vincere, stavano litigandosi l’orgoglio con delle regole per non  farlo tracimare. E in quello, in tutto quello, lei non c’entrava niente, di quello che c’era dietro lei non sapeva niente, non sapeva il prima e non sapeva il perché.
Lei aveva solo scelto il campo di André, e basta. Forse un po’ stupidamente.
Si chiese solo, perplessa, cosa c’entrasse lui e perché avesse scelto, tra le due squadre, proprio quella dei perdenti. Erano quelli i suoi amici, quando se ne sgusciava per  i fatti suoi?

Però in questo, dove serviva essere freddi, concentrati, molto istintivi, lei era brava. E lo stava dimostrando.

I cori al bordo del campo, capì che li conoscevano tutti, sentì gli sfottò che rimbalzavano da un gruppo all’altro – uno pure diretto  a lei. Ma non ci fece caso. Scoprì divertita che c’era una canzone apposta per Grandier, André a quanto pare era un nome troppo comune, e che c’era una ragazza dalle labbra rosse ed i capelli mori, a bordo campo, che cantava per lui, sfacciata, con la sua amica.

Quando l’uomo la investì, mentre lei era a terra dopo la parata, capì che non l’aveva fatto per caso. Sentì il colpo del caman sul braccio e si indignò. Ma tenne duro e stette zitta.

Fu un istante dopo che vide Gros Meaulnes investire l’uomo su di lei e spostarlo di peso. Alzò lo sguardo senza fiato e li vide rissare, nel fango, a bordo del campo, con il curato e il farmacista che fermavano il tempo.
 
André comparve accanto a lei, un taglio sul sopracciglio, che sanguinava - lei rabbrividì preoccupata. Lui, si inginocchiò, e le tastò il braccio impensierito, ma lei non lo lasciò fare.

“Non voglio un trattamento di favore!” sibilò indignata indicando Gros Meaulnes, che veniva trascinato via dal curato, senza protestare.

André la sollevò da terra sgarbatamente. “Piantala!” le disse, “questa non è casa tua, questa è una squadra! E tu sei il portiere! E il portiere non lo tocca nessuno! Ti è chiaro? Nessuno tocca il portiere! Nessuno sta litigando per te perché sei la figlia di qualcuno. O il figlio. O perché hai gli occhi blu... è solo perché sei il portiere! ! Il nostro portiere! Il nostro maledettissimo portiere! E ora rimettiti lì e continua a fare quello che sai fare!”
 

Dopo la vittoria i ragazzi se la portarono appresso – andarono a miagolare in giro “Volevano vincere...”, gli uomini più anziani ridevano, alcuni vollero vedere il livido sul braccio: il Gros Meaulnes la presentò come il Giunco – Oscar, le disse, era un nome troppo del cavolo, ma che avevano avuto in mente i tuoi quando ti avevano battezzato? Gente di città...

Bevve birra e sidro e ballò in cerchio mentre André suonava – il taglio sul sopracciglio sembrava avesse smesso di sanguinare, pensò sollevata.
Una ragazza bassina cercò di civettare con lei, maliziosa, ma Oscar non sapeva proprio cosa dirle, senza apparire maleducata.
Fu André che la recuperò, ridendo, quando la ragazza si stava facendo un po’ troppo insistente;  la prese per un polso e la trascinò via dal buio, scuotendo la testa.
 

Tornarono verso casa scroccando un passaggio ad un carretto. Come all’andata del resto.
Il carrettiere sapeva dove lavorava André e lo avrebbe scaricato al bivio più vicino casa.
Tutti e due sdraiati sul fondo guardavano le stelle, lei appoggiata alla spalla di lui.
 
“Allora, ti è piaciuto?”
“Fantastico!”
“Tu sei stata fantastica!”
Le circondò le spalle con un braccio e lei si sistemò meglio, la sua testa nell'incavo del braccio di lui, un incastro perfetto.

“Posso dirti una cosa? Non ti offendi vero?”
Lei scosse la testa, curiosa.
“Odori di birra, mele e fango... sei veramente ripugnante...”
“Ma va? Perché tu invece? Di cosa credi di odorare? Di Eau de la Reine de Hongrie?”
“Sei stomachevole... e non so proprio come spiegheremo questo a casa tua...”
“Se vuoi mi scosto...”
“No, ho freddo, resta qui!” la strinse a sé con un braccio. Lei lo abbracciò, per scaldarlo e scaldarsi.
“E allora accontentati! Domani, con un bagno caldo, va tutto a posto, non resta traccia di questa sera... via la birra, le mele, il fango... saremo presentabili! E poi il Generale arriva tra due giorni, tanto.. Piuttosto, fammi vedere...”
Si mise sopra di lui e gli scostò delicatamente i capelli dalla fronte, “Quel sopracciglio... solo un pochino più sotto... non ci voglio nemmeno pensare. Sei un deficiente! Perché hai voluto giocare quella partita?”

Lui le accarezzò distrattamente un fianco.

Lei sfiorò la ferita con la punta delle dita, intenta “Non è niente di che, ti sei fatto di peggio, ma a casa laviamo per bene e ci mettiamo qualcosa...”

“Si, mamma”, con la mano era risalito lentamente lungo la schiena, ma lei sembrava non farci caso.

Si ritrovò a osservarla perplesso, mentre lei guardava il sopracciglio e gli accarezzava distratta i capelli.
Lentamente la strinse anche con l’altro braccio, incerto.

La ruota del carretto sobbalzò in una buca, lei gli rotolò di lato ridendo, poi gli si raggomitolò accanto, con un sospiro soddisfatto e si addormentò.

Lui giocherellò pensoso, coi suoi capelli per tutta la strada, fino a che non arrivarono all’ultimo bivio e dovette svegliarla.

“Una peste,“ pensò tra sé, non molto convinto “è solo una piccola peste.”

Nota 2: ci avrei messo i cori - li ho sentiti per tutta la sera! Ma ho soprasseduto. Troppo volgari - "Volevano vincere..." so che lo cantano gli juventini... ed è stato mutuato da alcuni sport minori, tra cui quello che ieri pomeriggio stavo seguendo io.

   
 
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