Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: fra_eater    03/05/2015    1 recensioni
nel vedere i suoi sottoposti privi di vita, il capitano Levi invoca la morte, ma qualcun'altro si presenta d'avanti a lui sotto la pioggia incessante.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Petra Ral, Rivaille, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’acqua scendeva veloce, sferzava il suo viso colmo di ferite e lo ripuliva dal sangue che lo solcava inevitabilmente vermiglio e brillante. Gli stivali neri affondano nel fango e l’uomo non poté far a meno di fare una smorfia di disgusto per quel lerciume,ma nonostante le ferite, nonostante il dolore lancinante alla gamba destra che lo faceva zoppicare, doveva andare avanti, doveva riuscire almeno a mandare il suo cavallo all’accampamento per avvisare che tutto era andato storto, che i titani avevano vinto.
Cercò di correre ma era impossibile, le fitte al fianco e alla gamba rendevano anche il minimo movimento uno sforzo immenso, ma era tutto nelle sue mani.
Zoppicava e affondava, sorpassando i corpi riversi nel fango e bagnati dalla pioggia dei suoi compagni, dei suoi sottoposti. Non c’era tempo per assicurarsi se erano vivi o morti.
Eccolo lì. Il manto scuro bagnato, come un bravo destriero attendeva impassibile il suo padrone anche sotto quel diluvio che gli faceva sferzare la coda e scuotere le orecchie infastidito.
Lo vide e, per un attimo, il  volto apatico dell’uomo parve illuminarsi. Contò sulle sue ultime forze e lo raggiunse sforzandosi fino allo sfinimento.
“Vai all’accampamento!” urlò, certo che l’animale lo capisse. Per anni aveva percorso strade e selciati e corso per salvare la vita al suo padrone, per dare una speranza all’umanità.
Il cavallo lo fissa con i suoi grandi occhi tondi, sbattendo le palpebre per l’acqua fastidiosa.
“VAI!” ripeté nuovamente e l’animale partì al galoppo, veloce come il vento che impervia verso le mura. Certamente, vedendolo, Hanji o Erwin avrebbero capito subito che la spedizione era andata a rotoli. Nessuno si aspettava tanti titani anomali. Nemmeno Eren trasformato era riuscito a contrastarli.
L’uomo si guardò in giro con l’affanno, i polmoni in fiamme. Quel movimento repertino gli provoncò un forte dolore al fianco. Vi posò la mano tremante e con orrore constatò la forte emorragia che stava macchiando le sue vesti e la sua pelle. Imprecò a denti stretti e cercò i suoi sottoposti per quanto la pioggia incessante glielo permettesse.
Poco lontano da lui vide il corpo di una ragazza con il volto nella melma. I capelli biondi sporchi di fango, il corpo minuto, la camicia bianca bagnata e un braccio in una posizione innaturale. L’uomo pensò che si trattasse di Historia Reiss e, poco lontano da lei, riconobbe il corpo a terra di Jean Kirschstein, anche lui riverso nella terra.
Il suo sguardo si posò oltre alla ricerca degli altri. I più lontani erano certamente Sasha e Connie, l’una stesa contro un albero spoglio, l’altro riverso accanto a delle rocce, difficile dire se fossero vivi.
Con un guizzo i suoi occhi si spostarono su una macchia rossa, sgargiante nonostante il buio provocato dalle nubi. Mikasa Ackerman era lì, la camicia strappata,la giacca marrone senza una manica, il volto verso l’alto e gli occhi chiusi. Teneva il braccio teso e, poco lontano dalle sue dita piegate, il corpo di lato di Eren Jaeger, anche lui gli occhi chiusi rivolti verso la ragazza così come la mano. Poco lontano dai due un'altra figura immobile sotto le lacrime incessanti della natura. Il caschetto biondo di Armin Arelet non lasciava dubbi nel riconoscerlo.
L’uomo cadde in ginocchio nel fango, picchiando i pugni sul terreno fangoso. Dei giganti non c’era più nemmeno l’ombra, loro erano andati via e avevano lasciato in quel modo la scia del loro passaggio. Quei corpi, difficile che si fossero salvati. Ragazzi pieni di vita, di speranza, di desideri di un mondo migliore lontani dalle mura, da quella rete di bugie e mattoni che nascondeva qualcosa di più grande. Con loro tutto era perduto.
Voleva morire.
Non si sentiva degno di quelle ali che portava sulle spalle. In base a cosa veniva chiamato eroe se ancora una volta non era riuscito a salvare i suoi uomini, dopo che quella volta non era riuscito a salvare lei?
“Sono un miserabile!” urlò, venendo contro i suoi principi, il suo orgoglio, cadendo in una fragilità che aveva sempre odiato e che mai aveva dimostrato.
“Non dica cosi, capitano”.
L’uomo spalancò gli occhi. Quella voce. Non poteva essere. Quella voce femminile e dolce non poteva essere la sua, non  poteva essere veramente lei. Lei era morta ormai da tempo.
Con uno scatto fulmineo, l’uomo afferrò il coltello che teneva nascosto nello stivale destro e si voltò di scatto, ignorando il dolore, e rimase stupefatto nel vedere a chi appartenesse quella voce.
Il coltello cadde alzando gocce di fango scuro, la pioggia zampillò allegra sulla lama lucente. L’uomo non riuscì a battere le palpebre. Mai un’espressione di più puro stupore si era  tinta sul suo volto.
La donna di fronte a lui sorride. Quel sorriso dolce che aveva anche in vita. Il suo corpo non sembrava essere toccato dall’acqua insistente. La camicia bianca e i pantaloni del medesimo colore sono perfettamente asciutti, così come il mantello verde e i suoi capelli ramati.
“Petra…” sussurrò.
 La ragazza sorrise “Mi ha riconosciuto, capitano Levi”
Levi allungò una mano grondante sangue , ma essa affondò non appena cercò di toccare il volto di lei.
Petra lo guardò dispiaciuta “Non sono viva” disse semplicemente.
“Sei venuta a prendermi?” chiese lui, beffardo “Certo che quel bastardo è davvero un infame per mandare te a prendermi per farmi bruciare nell’inferno”
“Non sia blasfemo!” lo rimproverò lei “Non sono qui per portarla via”
“E allora, che sei venuta a fare?”
“A sollevarle un po’ il morale”
Levi la guardò esterrefatto, che diamine voleva dire?
“Che cosa?”
Petra si guardò intorno, l’ambiente desolato, deserto, solo quei corpi riversi nella terra bagnata e qualche albero e roccia fracassati dal passaggio dei giganti “Come è triste qui” mormorò, poi guardò l’uomo “Ma lei lo ama questo mondo, vero?”
Levi non rispose, continuò a guardarla interrogativo. Petra sorrise e solo in quel momento Levi si accorse che era come se fosse illuminata,come se da lei provenisse una luce che risplendeva argentea come la luna.
“La sua ora non è giunta, capitano. Anche se lei la invoca”
“Sono morti tutti!” urlò l’uomo. I dolori di cui era vittima dilagavano in tutto il suo corpo, le forze lo stavano abbandonando, ma la rabbia no, la rabbia cresceva dentro di lui “Sono tutti morti!” ripeté “Come posso vivere se i miei uomini sono morti? Se la speranza di uscire da quelle mura è morta? Io ho permesso che loro morissero. Io non sono riuscito a salvarli. Io non sono riuscito a salvarti!”
Dovette riprendere fiato. Aveva sicuramente qualche costola rotta e sentiva che, se si fosse mosso troppo, si avrebbe sicuramente perforato un polmone.
Nella sua lotta nel tentativo di salvare i suoi sottoposti e di uccidere quei mostri assassini era stato scaraventato contro un albero, proprio come era successo a Petra, ma al contrario di lei, lui non era morto schiacciato.
Petra si inginocchiò nel fango e gli toccò il viso. Lei ci riuscì. Quella mano era fredda, più ghiacciata della pioggia che cadeva, era la mano di un cadavere.
“Io ho un solo rimpianto di questa vita” disse “Non essere riuscita a dirle che l’amavo e che la amo tutt’ora”
Levi rimase immobile, incerto su cosa dirle “Tu sei morta …” disse soltanto.
Nella sua mente c’era ancora l’immagine di lei contro un albero, gli occhi dorati vitrei rivolti al cielo, la pelle chiara macchiata dal sangue. A lei dedicò uno sguardo in più in quel momento di morte. Solo alla sua vista di corpo senza vita provò un colpo al cuore, non un sussulto come agli altri.
Era diventato cinico, incapace di manifestare dolore alla vista dei suoi compagni morti. Sapeva che quella guerra per la libertà comportava delle perdite, ma lei, lei era stata la perdita più grave per il suo animo.
Era stata la scelta più dura buttare i loro corpi, buttare il suo corpo. Se non fosse stata una decisione costretta per il bene degli altri sarebbe stato lui a farle varcare le mura tra le sue braccia, come ultimo saluto alla sua sottoposta più cara. Come ultimo saluto alla donna amata.
“Lo so” rispose lei con un sorriso tranquillo“Ma prima di morire scrissi a mio padre che avevo deciso di dedicare la mia vita a lei e…”
“Lo so” la interruppe lui, freddo. Lei non se la prese “Ha conservato il mio stemma, vero?”
Lui annuì “Un gesto egoistico da parte mia. Un futile capriccio”
“Non c’è bisogno che finga con me, capitano” Petra ridacchiò e Levi abbozzò un sorriso. Lei lo conosceva bene, era sempre riuscita a guardare il cuore oltre l’armatura che si era cucito addosso.
“Non è ancora la sua ora, capitano” ripetè lei “La speranza non è ancora morta, le ali della libertà torneranno nel cielo”
“Come puoi dirlo?” Levi non aveva la forza di replicare oltre, non voleva ripeterle che ormai tutti erano morti e che si sentiva un inetto.
Lei sorrise “Guardi” e indicò un punto alle sue spalle.
Levi si voltò, batté le palpebre più volte nel tentativo di scacciare l’acqua e lo vide.
Eren si stava alzando.
Era carponi nel fango e li dava le spalle. Lo vide fare leva prima su una gamba e poi sull’altra e rimanere lì, sul posto, malfermo, completamente bagnato.
Lo vide cercare l’equilibrio e avvicinarsi a Mikasa per scuoterla.
Vide la ragazza alzarsi e cercare velocemente le sue spade nella terra bagnata mentre Eren scuoteva Armin. Anche lui si alzò piano e insieme a Mikasa andarono subito a riscuotere gli altri.
Sasha, Connie, Jean, Historia. Tutti si rimisero in piedi, malconci e traballanti, chi si teneva un braccio, chi aiutava gli altri, chi teneva la testa dolorante.
 Nessuno guardò nella direzione di Levi e Petra, andarono tutti a posizionarsi dietro Eren e alzarono le lame al cielo, quasi a sfidare la pioggia, quasi a farle capire che erano ancora vivi a dispetto di lei che voleva consumarli.
“Ha visto, capitano?”
Levi si voltò nuovamente verso Petra che piangeva. Piangeva commossa e anche lui si rese conto che aveva cominciato a piangere mentre la pioggia aveva smesso di cadere come intimorita dalla voglia di vivere di quei ragazzi.
“Le ali della liberà spazzano via anche la pioggia” disse “Continui a volare con loro, capitano”.
“Petra, aspetta” esclamò l’uomo e provò a prenderle un polso, ma la sua mano cadde dato che era incorporea.
Petra sorrise e si mise sulla punta dei piedi per baciare le labbra del suo amato capitano che rispose a quel contatto freddo e flebile e tanto agognato.
 
Levi aprì gli occhi nel suo letto nella base della legione esplorativa.   
Era stato tutto un sogno.
Era la prima volta che la sognava. La prima volta che i suoi desideri di rivederla e le sue paure si erano manifestate d’avanti ai suoi occhi come un desiderio di speranza.
Bevve un sorso d’acqua dal comodino rimpiangendo il caffè che ogni mattina gli portava la ragazza.
Si alzò dal letto ed andò verso la finestra illuminata da un sole alto. Chissà quanto aveva dormito quella notte.
Guardò attraverso il vetro e vide i suoi sottoposti impiegati in diverse faccende.
Sasha stendeva il bucato. Jean e Connie strigliavano i cavalli mentre Historia si faceva strada nel giardino verde e brillante con un vassoio pieno di bicchieri in mano. A giudicare dalla sciarpa allentata intorno al collo di Mikasa che spaccava legna come se nulla fosse doveva fare molto caldo.
Eren portava la legna alla ragazza mentre Armin era intento a studiare un libro sotto un albero.
Fu proprio lui ad accorgersi della sua presenza alla finestra del secondo piano e sorrise urlando “Buongiorno, capitano!” presto seguito da tutti gli altri che guardavano e ripetevano il saluto con degli enormi sorrisi carichi di aspettative.
Levi si limitò a salutarli con un gesto della mano,poi i suoi occhi caddero sul piccolo davanzale della finestra.
Due piume, una bianca e l’altra nera, erano poggiate su di esso.
Il capitano aprì la finestra ed ignorò la polvere su di esse per prenderle e scrutarle bene.
Quelle piume…
Velocemente si diresse verso la scrivania ed aprì il secondo cassetto. Prese lo stemma che aveva scucito dalla giacca di Petra che era posizionata sopra la sua lettera.
Le ali della libertà continuavano a farla volare con le sue ali bianche e nere, le stesse ali che si aspettava di vedere alle sue spalle il giorno in cui quel mondo non avrebbe più avuto bisogno di lui.
“Quando morirò dovrai essere tu a venire a prendermi,Petra” disse rivolto alla stoffa ricamata “Questo è un ordine!”
Un’improvvisa folata di vento entrò dalla finestra aperta e gli scompigliò i capelli, facendo alzare le piume e facendole roteare nella stanza per poi posarsi sul pavimento, incrociate.
Levi sorrise.
Petra era sempre accanto a lui.
  
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