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Autore: road chan    03/05/2015    9 recensioni
Lo storico Bellamy Blake ha bisogno di fare colpo sui suoi futuri datori di lavoro.
Possiede tutto ciò che l’Ark Enterprises sta cercando, eccetto una fidanzata, che – secondo la migliore amica di Bellamy – lo farà brillare.
Ma è tutto perfetto perché Raven ha appena trovato la ragazza giusta.
C’è solo un problema.
Bellamy Blake e Clarke Griffin si odiano davvero, davvero tanto.
[STORIA AGGIORNATA E MODIFICATA]
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Otto

In viaggio o

How I met our mother

 

 

Ben cinque persone, ammassate all’interno di Achille, la macchina della famiglia Blake, raggiunsero l’aeroporto centrale di Londra.

Octavia li aveva seguiti per augurare buon viaggio a suo fratello e per ringraziare Clarke di averle permesso di sorvegliare l’appartamento nella zona più elegante della città.

Raven era l’unica persona di cui i Blake si fidassero abbastanza da lasciarle guidare la loro auto mentre Lexa, che si trovava assieme a Raven quando il trio dei Blake-Griffin era sopraggiunto, si era offerta di accompagnarli anche lei.

Alla fine, sia Bellamy che Raven avevano occupato i sedili anteriori, con Clarke, Octavia e Lexa schiacciate contro quelli posteriori a mo’ di sandwich.

Bellamy aveva usufruito della pausa dal lavoro del giorno precedente per rinchiudersi dentro la casa di Raven e per raccontarle, così, quello che era successo.

Aveva trovato anche Lexa, logico, e il ragazzo aveva avuto una mezza idea di domandare loro se si stessero frequentando, tipo Monty e Nate, ma il pensiero gli era scivolato di mente quando – una volta rivelato a Raven del bacio con Clarke – lei aveva alzato gli occhi al cielo e brontolato: “Sono l’unica a non aver mai limonato con quella ragazza?”

La mascella spalancata di Bellamy aveva raggiunto il terreno e il ragazzo aveva fissato Lexa, che nel frattempo stava ridacchiando, nascosta dietro alla sua stessa mano.

Lui doveva incarnare la perfetta personificazione del punto interrogativo, poiché il Comandante gli aveva suggerito: “Te l’avevo detto, no? Che parlavo per esperienza quando ti avevo avvisato riguardo a Clarke.”

Bellamy aveva mormorato un semplice “Uhm”, incapace di reagire sul momento ma una volta realizzata la situazione, aveva domandato confusamente: “Sei uscita con Clarke?”

Raven era scoppiata a ridere.

“È stata alle conferenze di simulazione dell’ONU con Clarke e si sono baciate una volta. Non so se questo abbia davvero contato come frequentazione.

“Non è giusto” decise Lexa, con un leggero incurvamento delle labbra. “Avremmo potuto.”

“Dovrei chiedere” disse Raven, annuendo a Lexa. “Pensi che sarebbe strano?”

“Cosa? Più strano di te e Clarke che avete avuto una fidanzata in comune?” aveva scherzato Lexa.

Bellamy aveva aggrottato le sopracciglia. “Ho ancora qualche amico etero?”

Raven aveva scosso le spalle. “Wick è etero.”

“Wow, grazie, Raven – esempio grandioso – il laureato in Ingegneria con cui sei andata a letto al college.”

Bellamy aveva serrato le labbra. 

“Abbiamo parlato una volta sola. Ma è così che abbiamo conosciuto Monty” lo contestò Raven, puntualizzandone l’aspetto positivo.

Era vero: Monty andava in un’altra università in città (assieme a Jasper, realizzò dopo Bellamy) e lui e Wick si erano conosciuti ai corsi di scienze della scuola. Tramite Monty, Raven aveva incontrato Clarke – che già conosceva Finn.

Ma riflettere su Monty lo fece pensare a Miller e per estensione a Clarke, portandolo al punto di partenza.

“Sì, ho baciato Clarke. Beh – no – Clarke ha baciato me e le cose si sono fatte imbarazzanti ma adesso sono tornate più o meno normali. Aiuto?”

Raven lo aveva fatto sedere sopra uno degli sgabelli in cucina e Lexa gli aveva versato da bere.

“Quindi” aveva iniziato Raven, sollevando delicatamente un sopracciglio. “Ti piace Clarke.”

Bellamy aveva compresso le labbra. “Non mi piace Clarke.”

Lexa aveva scosso le spalle, non credendo a una singola parola del moro. “Io penso che a te piaccia Clarke.”

“È una ragazza facile da gradire, il più delle volte” aveva aggiunto Raven. (Lei e Lexa si erano date il cinque, continuando a guardare Bellamy).

“Forse dovreste frequentarla voi due.”

Entrambe avevano scrollato le spalle.

“Probabilmente ti direi di comportarti in maniera normale” gli aveva detto Raven, dopo una lunga pausa.

“Tipo, torna a essere quello che eri prima di iniziare ad avere un po’ di sale in zucca. Goditi la Grecia con una bella ragazza, le sue tette grandiose e ringrazia il cielo di aver ottenuto il lavoro e di aver fatto credere a tutti che ti stai scopando Clarke.”

Lexa aveva annuito, a labbra serrate. “Potresti scopartela per davvero”, gli aveva suggerito. “Se capita l’occasione e siete entrambi d’accordo.”

Bellamy non lo avrebbe mai ammesso, ma da sotto le lentiggini era arrossito.

Si era schiarito la gola e aveva borbottato: “Giusto. Uh – sì. Buona idea.”

Raven aveva sollevato il sopracciglio, con un sorrisetto compiaciuto.

“La prima parte” si era corretto il moro, velocemente. “Non quello che ha detto Lexa dopo.”

E adesso si era ritrovato mentre stava abbracciando sua sorella e Raven, e Lexa non era tipo da abbracci perciò si erano limitati a scambiarsi un cenno convinto, finché non s’incamminò con un paio di valigie e la sua finta fidanzata all’interno dell’aeroporto.

Clarke si accostò più vicina al ragazzo, una volta raggiunto il bancone della reception, afferrando la mano di Bellamy e intrecciandone le dita tra le sue. Malgrado l’apparente imperturbabilità dinanzi all’inusuale gesto affettuoso, il moro scrutò la ragazza dagli occhi blu, sollevando leggermente le sopracciglia, incuriosito.

“Riesco a vedere Jasper e Maya” spiegò Clarke.

Lui le sorrise, come se lei gli avesse appena comunicato qualcosa in grado di ricordargli quanto profondamente la amasse.

Quando raggiunsero Jasper e Maya, Bellamy stava ancora sorridendo.

“Maya!” esclamò Clarke, emozionata. “Sei dei nostri anche tu?”

Maya fece un largo sorriso, annuendo. “Prendo lezioni di educazione artistica alla galleria, quindi non potevo perdere quest’occasione – finirò probabilmente per realizzare un’orrenda e vergognosa scultura di una qualche statua greca.”

Clarke scoppiò a ridere. “Bellamy mi aveva detto del corso d’arte ma adesso che vieni possiamo lavorarci su insieme. Ci terrà occupate mentre i ragazzi qui presenti saranno fuori a disseppellire Teseo.”

Bellamy aprì la bocca per correggerla ma la bionda lo precedette rapidamente: “Sì, Bellamy, so che tecnicamente Teseo è una figura mit…”

Poi si voltò verso Jasper. “Ho sentito che abbiamo un amico in comune.”

Gli occhi di Jasper s’illuminarono. “Monty! Sì! Che figata!”

Perciò iniziarono a discutere su quanto perfetto fosse Monty Green, finché Bellamy posò una mano sulla schiena di Clarke e mormorò: “Dobbiamo fare il check-in, Principessa.”

Maya si offrì di aspettarli mentre i ragazzi si univano alla fila ma Jasper desiderava un menù medio da Burger King – che si trovava al piano di sopra – e il ragazzo diventava abbastanza piagnucoloso quando voleva, perciò i due fidanzati si allontanarono insieme.

Clarke e Bellamy, invece, s’intrattennero chiacchierando piacevolmente con l’addetta al check-in, finché qualcuno non gridò “Clarke!” ghiacciando il sangue nelle vene della bionda.

Bellamy notò il sorriso scomparire dal volto di Clarke, contemporaneamente alla pronuncia del suo nome.

Non era sicuro del perché la donna che l’aveva chiamata – una donna dai capelli castani, si era reso conto solo adesso – era stata la causa di una tale reazione, specialmente se accompagnata da… oh, Cristo. Certo.

A procedere verso di loro, insieme a Thelonious Jaha, altri non era che la madre di Clarke.

Bellamy afferrò la mano della bionda, per la seconda volta, e le diede una stretta veloce.

“Mamma” disse la ragazza, chiaramente sorpresa.

La donna dai capelli scuri fissò prima la figlia, poi Bellamy, e infine le loro mani intrecciate.

“Abby, questo è Bellamy Blake” comunicò Thelonious alla mamma di Clarke, annuendo in direzione dello storico in questione.

“Il ragazzo di cui ti ho parlato.”

Abby annuì a sua volta e Bellamy sollevò le sopracciglia.

Dopo una pausa imbarazzante, il moro lasciò la mano di Clarke per stringere quella della donna, con un sorriso ingessato sul viso.

“Signora Griffin, è un onore.”

Abby allargò le labbra, quasi severamente, e accettò la mano di Bellamy.

Lo trafisse con gli occhi. “Per favore, chiamami Abby.”

“Mamma” ripeté Clarke, ancora congelata sul posto. “Che ci fai, qui?”

“Solo augurarti buona fortuna e vederti partire.”

Clarke non stava affatto sorridendo. “Vedere qualcuno partire comporta che tu lo abbia anche frequentato prima.”

Abby iniziò a scuotere la testa. “Tesoro, non qui…”

“Abbiamo già salutato tutti, vero Bellamy?” domandò la bionda, agganciandosi al suo braccio e guardandolo.

“Clarke, forse dovresti ritagliarti un po’ di tempo con tua – ”

“ – Octavia, la sorella di Bellamy, è venuta a salutarci” lo interruppe Clarke, girandosi verso la madre. “Va alla Brown ed è bravissima. Ti ho raccontato di lei al telefono. E Raven, e Lexa.”

L’espressione si fece dura come l’acciaio non appena disse: “Non mi pare ti sia mai piaciuta.”

“Non è questione di piacere, Clarke, ma di fiducia e io – ”

Bellamy si allontanò dalla ragazza per prenderle la mano. “Beh, lei e Raven sono molto felici insieme, quindi alla fine si è risolto tutto per il meglio.”

Abby alzò un sopracciglio.

Clarke strinse la mano di Bellamy più forte e lui tentò di ignorare il battito accelerato del cuore.

“Lexa esce con Raven? Raven Reyes?”

“Sì, mamma” rispose Clarke stancamente, nonostante lo avesse scoperto da appena un paio di minuti. “La stessa Raven Reyes che ti ha aiutato a sistemare un velivolo durante l’estate prima del terzo anno di college, adesso frequenta Lexa.”

Abby deglutì. “Oh, va bene.”

Thelonious, rimasto miracolosamente in silenzio durante l’intera discussione, si fece avanti.

“Dovrei controllare il resto del gruppo. Posso lasciarti qui, Abby?”

Abby annuì a Thelonious, a labbra serrate.

Clarke e sua madre continuarono a fissarsi e Bellamy avrebbe potuto tagliare la tensione con un coltello.

Apparentemente, i finti convenevoli venivano prima di quelli veri, in questa famiglia.

Almeno c’era ancora una famiglia.

“Quindi, Bellamy” proclamò Abby. “Lavorerai per l’Ark?”

Bellamy sollevò un sopracciglio. “Si spera” replicò.

Dopodiché, gli fece una serie di domande riguardo molteplici argomenti.

Gli chiese della sua occupazione, per quanto tempo sarebbe stato oltremare e dove sarebbe andato, quanti soldi avrebbe guadagnato e cosa avrebbero significato per i suoi amici, per sua sorella, per la sua fidanzata.

Bellamy non sapeva cosa gli sarebbe potuto scappare dalla bocca senza un’attenta riflessione, ma era consapevole dell’autenticità di ogni singola parola grazie a una fastidiosa e familiare secchezza che si era formata all’interno della bocca.

“Voglio stare con Clarke più di quanto io voglia lavorare con l’Ark, se è qui che la conversazione sta andando a parare.”

Non guardò la bionda, perché altrimenti sarebbe stato reale, perciò mantenne la concentrazione su Abby, anch’essa allibita.

“Vi lascio da sole” decise, dopo un momento. “È stato un piacere incontrati, Abby.”

Si piegò e stampò un bacio sulla guancia di Clarke. 

“Sarò da Burger King con Jasper e Maya. Vienimi a salvare il prima possibile.”

Clarke scivolò sullo sgabello del Burger King vicino a Bellamy, con uno sguardo omicida. Era il suo sguardo da dura, quello che indossava quando sentiva di stare per crollare.

“Come ha potuto intrappolarmi così.”

“Non penso intendesse farlo, Clarke.”

“Oh, ma questo non l’ha mai fermata prima d’ora” lo aggredì la ragazza, sempre a voce bassa, anche se Jasper e Maya stavano davanti al bancone a ordinare altro cibo.

“Lo fa sempre – e la cosa peggiore, questa volta, è che ha messo in mezzo anche te!”

Le sopracciglia di Bellamy si toccarono. “Che intendi?”

Clarke alzò gli occhi al cielo e Bellamy tolse velocemente le mani dalla schiena della bionda per paura che lei potesse scacciarlo.

“Ho pensato che le cose che hai affermato, di me al di sopra dell’Ark, siano state un tantino melodrammatiche ma comunque efficaci. Sfortunatamente, lei l’ha percepito come il segno che tu tenga a me più di quanto io tenga a te, perché se sei stato capace di farle un discorso del genere ed io non mi sono nemmeno mai degnata di menzionarti alla mia stessa madre” pronunciò le ultime parole in tono quasi sarcastico, “c’è sicuramente qualcosa di sbagliato nella nostra relazione.”

“Clarke, dubito fortemente che ci sia qualcosa di sbagliato nella nostra relazione, e se tua madre la pensa così, allora, forse, dovrebbe riesaminare quella che ha con te.”

Clarke sollevò un sopracciglio. “Ti rendi conto che sono qui solo per una vacanza gratis e per un’eventuale pomiciata, vero?”

“Divertente” rispose Bellamy.

“Già, specialmente la seconda parte. Comica. L’ultima volta che è successo, per poco non ti sei messo a piangere.”

Bellamy serrò la mascella.

“Non mi hai mai concesso il permesso di spiegarti.”

“Spiegare cosa?” s’intromise Jasper, tornando assieme a Maya e a un secondo panino.

“Niente” disse Bellamy.

Il volo verso Atene era un diretto: non si fermava, così come la recita che Bellamy e Clarke avrebbero dovuto portare avanti.

Si rilassarono un pochino sull’aereo ma erano in seconda classe, perciò non avevano a disposizione abbastanza spazio.

In più, tutti i sedili in prossimità del proprio posto erano occupati da un membro dell’Ark.

Nemmeno a dirlo, la mano di Clarke era rimasta dentro quella di Bellamy durante l’intero viaggio.

A un certo punto, lui si era addormentato contro la spalla di lei e la bionda si era accoccolata accanto a lui, stringendo forte la sua mano e lasciandosi circondare dalle braccia del moro.

Poi, quando entrambi erano si concentrati nel guardare gli intrattenimenti offerti dall’aereo – Bellamy CSI: New York e Clarke l’originario CSI: Las Vegas, perché sì, loro amavano CSI, e sì, CSI: Miami era il peggiore a causa di Horatio Caine e dei suoi occhiali da sole ridicoli, e no, loro non avevano ancora visto CSI: Cyber ma forse lo avrebbero fatto insieme – Clarke aveva posato una mano sopra il ginocchio di Bellamy.

Più tardi, quando la testa di Clarke era dolcemente seppellita contro il sedile, con gli occhi chiusi e il respiro regolare, Bellamy si era messo a studiarla, incuriosito. Erano talmente vicini che non avrebbe dovuto impegnarsi più di tanto per posare le labbra sui capelli biondi di lei.

La recita era andata avanti anche in aeroporto, con Bellamy che afferrava la loro valigia condivisa dal nastro trasportatore (Raven aveva detto che era una cosa che facevano solo le vere coppie malate – la valigia condivisa – ma Clarke si era sentita leggermente in imbarazzo al pensiero di Bellamy che guardava la sua biancheria intima, quindi, fortunatamente, si era impossessata di una valigia a doppio scomparto) e sul pullman, in direzione dell’hotel, con Clarke spaparanzata contro la schiena di Bellamy mentre chiacchierava con Marcus Kane.

L’hotel era straordinario; il tipo di posto che i genitori di lei avrebbero senz’altro adorato.

C’era inoltre una vista spettacolare dalla camera di Bellamy e Clarke, che si affacciava in direzione dell’Acropoli e del Partenone.

Dopo aver cenato con il resto del gruppo (erano rientrati in camera, entrambi parecchio esausti), Bellamy aveva raccontato a Clarke della Pallade Atena e della maestosa iconografia situata sul frontone occidentale del Partenone; opera che in quel periodo non era possibile osservare ma che se la bionda avesse potuto vedere, ne sarebbe rimasta certamente ammaliata.

Lei si era fatta pericolosamente vicina dal confessargli che era questo ciò che la ammaliava maggiormente: parlare con Bellamy del più e del meno e che forse era solo a causa della stanchezza mentale, ma ciò non rendeva i suoi sentimenti meno autentici.

Alla fine rimase in silenzio. Ad ascoltarlo.

Il moro chiese se la stava annoiando, una volta arrivato al mito di Demetra e Persefone e quando Clarke scosse la testa, lui tacque comunque.

“Cosa?” domandò Clarke, con gli occhi semichiusi.

Allungò una mano per istigarlo a continuare ma finì per tastargli il viso.

“Perché ti sei fermato?”

Bellamy espirò profondamente. “Dovresti parlare con tua madre.”

Clarke si ghiacciò.

“Stai rovinando una serata diversamente piacevole dicendomi questo perché?”

“Perché dovresti e sai che ho ragione.”

Clarke sospirò, voltandosi dalla parte opposta del letto.

“Non sai niente, Bellamy.”

Lui esitò un momento.

“So che riparando adesso il rapporto con tua madre ti eviterai una serie di conseguenze orrende che ti perseguiteranno se non lo farai.”

“Che diavolo significa?”

“Avere l’opportunità di passare del tempo con tua mamma e scegliere di non farlo è letteralmente la cosa peggiore che potresti commettere, Clarke.”

“E perché mai?” gridò lei, più forte di quando avesse immaginato.

“Perché alcuni di noi non hanno avuto quest’occasione.”

Rimasero in silenzio, finché la bionda non si girò dalla parte di Bellamy, comprensiva.

Le si spezzò il cuore a guardarlo.

“Bellamy, mi dispiace, non intendevo – ”

“ – Va tutto bene” replicò. “Solo… concedile un tentativo, Clarke. Almeno provaci, così potrai dire di aver fatto davvero il possibile.”

Clarke incontrò il suo sguardo; si contemplarono tacitamente.

Poi, sul volto di lei, apparve un piccolo sorrisetto e Bellamy le chiese il motivo.

“Perché sono qui ad Atene con te” affermò onestamente. “Un mese fa ci odiavamo.”

Il moro accartocciò il viso. “Uscivamo insieme un mese fa.”

“Già, ma vorrei ancora commettere un omicidio.”

“Mi pare giusto” disse Bellamy. “Io stavo scherzando sul veleno.”

“Sì, l’hai fatto.”

Clarke lo studiò sospettosa. “Ci odiavamo. Tu eri uno stronzo.”

Bellamy sogghignò.

“Sarai d’accordo con me sul fatto che io sia ancora uno stronzo. E tu sei ancora la Principessa.”

“Credo che a fare la differenza, qui” analizzò lei “sia il fatto che io sia nella tua stessa squadra.”

Bellamy sollevò un sopracciglio.

“Nessuno dei due è più solo, adesso” spiegò la bionda.

Dopo un minuto cambiò idea, scuotendo la testa.

“Non esattamente. Tu non – tu non sei mai stato solo…tu hai Octavia, e…”

“No, ho capito.” Bellamy si puntellò su un gomito e la guardò, intontito dalla stanchezza e dal jet lag.

Eppure, sarebbe rimasto sveglio altri cento anni se questo avesse significato parlare sinceramente con Clarke Griffin.

Lui non aveva mai amato le conversazioni profonde, ma con Clarke, nulla era lo stesso.

Siamo una squadra, tu ed io.”

“La Principessa e il suo cavaliere dall’armatura scintillante?”

Bellamy sorrise. “Non hai bisogno di un cavaliere, Clarke. Riesci a proteggerti benissimo da sola.”

“Questo non significa che io non voglia il tuo aiuto” replicò. “È faticoso governare un regno da soli, sai.”

“Forse non sono un cavaliere, allora” disse il moro, con un sorriso sghembo sul volto. “Forse sono il re.”

Clarke scosse la testa. “Sei troppo anarchico per essere un re.”

“Che c’è di male in un po’ di caos?”

“Tanto” obiettò la ragazza.

Bellamy si chiese se Clarke stesse pensando alla morte del suo migliore amico o all’autobus rovesciato. Forse stava solo pensando a lui.

Si schiarì la gola, augurandosi lo stesso per la sua testa.

“Uh – dovremmo dormire. Abbiamo la sveglia presto. Starai tutto il giorno con Maya?”

Clarke sospirò. “Non lo so – a che ora dovresti tornare?”

Bellamy si abbandonò a peso morto contro il materasso. “Non ne sono sicuro ma se t’impedisce di fare ciò che desideri, non pensare a me.”

“Ti dimentichi che sei il mio fidanzato, Bellamy. Sei tu che desidero.”

Forse era davvero stanca, ecco perché aveva formulato la frase in quel modo. Comunque sia, quelle quattro parole avevano continuato a vorticare all’interno del cervello di Bellamy per parecchio tempo.

Se solo fossero state vere. Se solo fossero appartenute alla vera Clarke e non all’attrice.

Smettere di fingere sarebbe stato un miracolo.

“Buono a sapersi, Principessa.”

Si schiarì nuovamente la gola non appena Clarke spense l’interruttore del lume accanto al comodino.

Sarebbe stato facile allungarsi e baciarla adesso, solo per il gusto di augurarle la buonanotte – ma no.

Lei non voleva; lei non voleva lui e non c’era nessuno attorno per costringerla a recitare. Dio, cosa gli stava succedendo?

“Ci inventeremo qualcosa domani a colazione, ok?”

Clarke sospirò contro il cuscino, spalancando gli occhi blu dopo averli tenuti chiusi.

“Ok, Bellamy.”

“Notte, Clarke.”

Una pausa infinita e poi: “Notte, Bellamy.”

  
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