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Autore: Destyno    03/05/2015    1 recensioni
Un Cacciatore che non ricorda il suo passato.
Una Strega che invece lo conosce.
O forse è il suo futuro?
"Partecipante al 'Fantasy Contest - Alternative Route' indetto da Mokochan sul forum Torre di Carta"
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Li amavo.
Ma dall’alto.
Da sopra la vita.
Dal futuro. Dove è sempre vuoto
E nulla è più facile che vedere la morte.
Mi spiace che la mia voce fosse dura.
Guardatevi dall’alto delle stelle - gridavo -
Guardatevi dall’alto delle stelle.
Sentivano e abbassavano gli occhi.
 
Monologo per Cassandra, Wisława Szymborska
 
 
 

 
 
 
Oltre il Tempo
 
 
 
 
Guzaşta si guardò intorno, i suoi sensi da predatore proiettati verso l’esterno a percepire qualsiasi rumore sospetto, mentre la sua mano scivolava automaticamente verso l’impugnatura della sua spada.
 
Indugiò per un istante dietro al suo nascondiglio, per poi riscuotersi.
Non poteva aspettare, non poteva rischiare che lei lo trovasse.
Che trovasse lui, il Cacciatore più abile, quello che non aveva mai mancato una preda, quello che, si diceva, sapesse sempre dove si sarebbe trovato il suo obiettivo l’istante successivo.
 
Scosse la testa, strizzando forte gli occhi grigi, segno distintivo di ogni Cacciatore.
 
Doveva smetterla di distrarsi.
 
Azzardò un’occhiata da oltre il masso dove si era raggomitolato.
 
Nel lungo corridoio della cripta non c’era nessuno.
Sospirò e si concesse un attimo per rilassarsi, mentre con la mente ripercorreva le vicende che lo avevano portato in quella cripta piena di Elfi essiccati.
Era stato un altro Elfo, un tale dal nome impronunciabile, a proporgli il lavoro.
Doveva essere una cosa semplice: doveva semplicemente liberare la cripta di famiglia di quell’Elfo dai mostri che l’avevano occupata.
Guzaşta sospirò, passandosi una mano tra i capelli neri. Aveva scovato un nido di Ombre Nere nella sala precedente, e non era stato semplice sconfiggerle.
Fortunatamente adesso aveva una bella scorta di fluido d’Ombra da rivendere a caro prezzo presso qualche Alchimista della Torre Lignea.
 
Inizialmente non sapeva che ci fosse una Strega a far compagnia ai cadaveri degli Elfi, in quella cripta.
Se lo sapeva ed era ancora vivo era dovuto solo ai suoi riflessi, che gli avevano permesso di schivare una serie di maledizioni provenienti dal soffitto, coperto di rune appartenenti alla branca della Magia Oscura.
Solo le Streghe usavano rune del genere, ed essendo piuttosto recenti, era da escludere che fossero state piazzate in precedenza da una Strega ormai morta.
 
Guzaşta sospirò, estraendo lentamente e senza far rumore la sua spada dal fodero.
Non era una splendida spada, come quella degli eroi delle leggende, che brillavano sotto la luce del sole e che conducevano battaglie leggendarie contro i draghi.
No, era una semplice spada d’acciaio ad una mano e mezza, né bella né brutta, dalla semplice guardia crociata e dal fodero di cuoio, senza decorazioni.
L’aveva comprata da un mercante che sosteneva provenisse dalle calde e lontane terre di Hankarya.
Lui personalmente non ci credeva, ma a volte si interrogava sul passato della sua spada.
 
Da chi era stata impugnata, prima di finire nelle sue mani?
Quante vite aveva stroncato, quanto sangue aveva bevuto, prima di arrivare fino a lui?
 
«So che sei lì.»
Una voce arcana e melodiosa, indiscutibilmente femminile, lo riscosse.
Immediatamente uscì dal suo nascondiglio e impugnò la spada, mettendosi in posizione di combattimento.
Davanti a lui si stagliava una figura di donna che gli dava le spalle.
Un lungo abito nero le fasciava la schiena, lasciandole scoperte le spalle.
La pelle della figura era candida come la neve, non così i suoi capelli, che scendevano come una cascata, occupando tutta la schiena e mimetizzandosi in mezzo all’abito.
Guzaşta non abbassò la guardia, tuttavia non potè esimersi da sbattere le palpebre quando la figura si voltò, come per essere sicuro che fosse veramente lì e non fosse solo un’allucinazione della sua mente provata.
 
La figura di fronte a lui aveva l’aspetto di una ragazza nel fiore degli anni. Il suo volto custodiva un’oscura bellezza, antica eppure nuova.
Lo colpirono i suoi occhi.
Occhi tristi del colore del mare, profondi ed antichissimi che custodivano storie mai raccontate di uomini che dovevano ancora nascere.
Rimase stregato da quegli occhi, così diversi dai suoi, occhi che non vivevano di certezze fugaci – come le sue – ma di dubbi.
Si riscosse in un istante.
 
Non doveva farsi distrarre dalla bellezza eterea della donna.
 
«Mi ucciderai? O forse mi hai già ucciso?»
 
La sua voce era impregnata di un sentimento che Guzaşta  non seppe riconoscere.
Forse malinconia, forse nostalgia per un passato che non c’era più.
 
«Tu sei una Strega?»
 
Le Streghe non possono mentire, non ad una domanda diretta.
Alcune cose, del suo addestramento da Cacciatore, non le aveva dimenticate.
 
«Ci avete chiamato così.»
Perfetto, pensò l’uomo.
I capelli di Strega valgono una fortuna.
 
«Allora preparati a pagare per tutte le anime che hai divorato, Figlia del Demonio!»
E si lanciò in avanti, con la lama in pugno.
La Strega non si mosse.
La spada le passò attraverso.
 
«Perché mi odi?» chiese, guardandolo tristemente.
Il Cacciatore non rispose, provando nuovamente a colpirla e fallendo miseramente.
«Cosa farò per meritarmi il tuo odio?»
Ignorare le chiacchiere dei Figli del Demonio. Confondono e appannano la mente.
La prima regola per cacciare i Discendenti della Grande Tenebra.
 
 
Guzaşta si appoggiò al muro, abbandonando la spada.
Aveva perso il conto di quante volte aveva provato a colpirla, e di quante volte la sua daga era scivolata oltre la Strega, come se lei non fosse veramente lì.
Eppure, mai lei aveva reagito.
Era rimasta lì, a guardarlo, con i suoi occhi tristi del colore del mare.
Era desiderabile. Non poteva negarlo. Ma era una Figlia del Demonio, una Discendente della Grande Tenebra, una Strega.
 
Lei è il peccato, l’ombra che la luce non può rischiarare.
 
«Ma la luce potrebbe esistere senza l’ombra?»
«Mi hai letto nella mente?»
«Forse. O forse lo farò. »
Lui non capì, così le chiese qualcos’altro, per dare una risposta a quella domanda che martellava la sua mente senza sosta.
 
«Perché non cerchi di uccidermi? Io ci ho provato.»
La Strega sorrise, scoprendo i denti candidi come perle.
«Non ne ricaverei nulla, e avrei le mani sporche del sangue di un innocente.»
 
È… splendida.
 
Arrossì puerilmente, quando ricordò che la Strega poteva leggere i suoi pensieri.
Ma lei non disse nulla.
Semplicemente, si chinò su di lui e lo baciò.
 
 
«Perché io?»
Il Cacciatore la guardava intensamente, con i suoi occhi grigi.
La Figlia del Demonio abbassò gli occhi, colpevole.
«Ti ricordi di chi eri? Prima di stringere il Patto?»
 
Cacciatori si diventava, non si nasceva.
Chiunque poteva diventare un Cacciatore, dopo aver stretto il Patto con Vedr, il dio delle bestie, delle foreste, della caccia e del ciclo naturale della Vita e della Morte.
Il Patto era semplice: Vedr ti donava una nuova vita ed un nuovo nome, assieme ai sensi acuti di un predatore.
In cambio, la tua vita era consacrata interamente alla caccia. Non potevi smettere, era impossibile resistere alla brama di sangue.
Alcuni non riuscivano a contenere quel desiderio e finivano per trasformarsi completamente in animali, perdendo la loro umanità.
In tempi lontani i Licantropi erano considerati Cacciatori corrotti e venivano brutalmente uccisi dagli Uomini.
Erano sopravvissuti, fortunatamente, ma erano rimasti in pochi.
 
«Non rispondere ad una domanda con un’altra domanda.»
Ma le parole della donna avevano insinuato il tarlo del dubbio nella mente del Cacciatore.
Non si era mai soffermato sul suo passato. Era normale, dicevano gli Alti Sacerdoti del Dio delle Bestie, che il Patto con Vedr cancellasse i ricordi.
La Strega sorrise amaramente.
 
«Non te lo ricordi.»
 
Guzaşta non parlò. Chiuse gli occhi grigi e  si distese nuovamente sul letto di paglia che la Strega aveva costruito nella sala più oscura della cripta.
 
«Tu lo sai?»
 
Fu la Strega a rimanere in silenzio, questa volta.
«Rispondimi!» urlò il Cacciatore, aprendo gli occhi e fissando duro la Strega che giaceva accanto a lui.
Lei abbassò lo sguardo.
«Streghe, Demoni, Vampiri, Ombre Senzienti, Ghoul, e Stregoni Non-Morti, che voi chiamate Lich. Ci avete additato come dei malvagi a prescindere, senza andare a vedere il singolo. Ci avete chiamati Figli del Demonio, Prole del Buio. Ci avete maltrattato, odiato, perseguitato e sterminato come se fossimo delle bestie.»
«Perché siete pericolosi.»
La Strega rialzò lo sguardo, blu dentro grigio.
«Non siamo più pericolosi di un Alchimista, che con il Fluido d’Ombra che gli venderai potrebbe creare un veleno silenzioso e mortale.
Non siamo più pericolosi del fabbro dal quale hai comprato la tua spada, che potrebbe imbracciare le sue creazioni per uccidere, invece che per proteggere.
Non siamo più pericolosi di Kantàra, l’Arcimago, che con un gesto potrebbe uccidere tutti i maghi delle Nove Torri mentre dormono.
Non ci uccidono perché siamo un pericolo. Ci uccidono perché hanno paura di noi, perché siamo diversi, perché noi viviamo nelle ombre e voi vivete nel bagliore fulgente del sole.
Perché noi siamo i Discendenti della Grande Tenebra e voi i Discendenti della Grande Luce.»
Guzaşta le rivolse uno sguardo duro e fermo.
«Furono le Streghe a distruggere la città di Gheera»
La Strega abbassò nuovamente lo sguardo, colpevole.
«Non siamo tutti buoni, è vero. Ma non siamo nemmeno tutti cattivi. Ognuno di noi, proprio come quelli che vivono nella Luce, possiede il libero arbitrio, Guzaşta.»
 
Il Cacciatore rabbrividì. Era la prima volta che usava il suo nome.
 
Era stato un Alto Sacerdote a darglielo, ma a lui non era mai piaciuto. Un suono troppo aspro, duro, sibilante, per piacergli.
Se l’era tenuto solo perché non ne aveva un altro.
Ma il modo con il quale lo aveva pronunciato lei, in un certo senso, lo rendeva più bello. Non meno aspro, ma più gentile.
 
«Sta a noi decidere la nostra vita. Vedr te ne ha donata una nuova. Io posso farti sapere chi eri prima, ma starà a te decidere se rimanere ciò che sei ora o tornare ad essere ciò che eri»
O che sarai, concluse nella sua mente
Guzaşta deglutì.
Era arrivato ad un punto di svolta nella sua vita.
 
E poi, lo chiese.
Pose la domanda che avrebbe cambiato irreversibilmente il suo futuro ed il suo passato, legandolo con un nodo indissolubile a quello della Strega e di tutti i Discendenti della Grande Tenebra.
 
«Chi ero prima?»
 
La Strega alzò gli occhi.
 
 
«Eri un Demone.»
 
 
Non può essere.
 
«Stai mentendo!» ruggì il Cacciatore.
 
Non posso aver ucciso i miei fratelli.
 
«Sai anche tu che non posso.»
 
«Io… un Demone? Ma… loro… io…»
 
La Strega comprese quella domanda che Guzaşta aveva taciuto, soffocandola tra le sue labbra.
 
«Non hai mai ucciso uno dei Discendenti della Grande Luce»
 
«Tu… mi conoscevi?»
 
«Sì. O forse no. Dipende… dipende dal Tempo che scorre davanti ai miei occhi»
 
Il Cacciatore non sentì quella frase.
 
«Non posso essere stato un Demone…» disse in un soffio.
 
Forse lo sei stato. Ma resterà il dubbio, per colpa della mia vista.
 
Guzaşta, improvvisamente silenzioso, si alzò e iniziò a rivestirsi della sua armatura di cuoio.
Ad un certo punto, infilandosi gli stivali, si ricordò di una cosa.
«Non hai ancora risposto alla mia prima domanda.»
 
La Strega abbassò lo sguardo.
«Ricordi il mio nome? »
 
«… no.»
 
La Strega chiuse gli occhi, mentre una piccola lacrima, limpida come un diamante, scendeva dai suoi occhi per scavare un solco in quel viso di porcellana.
 
Guzaşta sentì una strana stretta allo stomaco, vedendola piangere.
Si riavvicinò a lei, posandole una mano sul volto.
 
«Perché non lo ricordi? Perché non ti ricordi di me, di noi? Sono io, vero? La colpa è dietro i miei occhi…» sussurrò lei, talmente piano che Guzaşta la udì solo grazie ai suoi sensi affinati.
 
«Cosa vuoi dire?»
La Strega non rispose, ma lo guardò a lungo.
 
Fu allora che Guzaşta lo notò.
Non ci aveva fatto caso prima, perché era troppo lontano dal suo viso per vederlo, ma le pupille della Strega avevano un simbolo al loro interno.
 
Un otto rovesciato, il simbolo dell’infinito.
 
Rabbrividì.
 
«Qual è il tuo nome?»
 
La Strega scostò con un gesto la sua mano.
«Io Vedo. Vedo i moti del Futuro, e questa è al contempo la mia vita, e la mia condanna.
Perché non posso distinguere ciò che è stato da ciò che sarà.
Perché nel Futuro di ognuno non c’è nient’altro che la Morte. Un Vuoto immenso ed eterno.
Perché io sono la Strega del Futuro, Guzaşta.
Perché il mio nome è Cassandra.»


Note dell'Autore post-giudizio:
Decimo classificato! Per essere il primo contest a cui partecipo, mi va bene XD
Volevo fare i complimenti a Himenoshirotsuki, che si è classificata seconda (e non lamentarti: almeno tu sei sul podio è_é)
Volevo anche ringraziare la giudiciA, che ha organizzato davvero un bel contest! (come se potessi fare paragoni XD)
Well, ho poco altro da dire!
Grazie per aver letto questa piccola storia (chissà, magari un giorno scriverò il seguito - non ci conterei, ho tremila altre robe da fare prima XD)
Con affetto,
Destyno.
   
 
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