Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Altariah    03/05/2015    0 recensioni
"Il ragazzo trovò la forza di sorridere. Ce la stavano facendo. Ce la stavano davvero facendo. Cullato da quella consapevolezza socchiuse gli occhi, lasciandosi andare a una sensazione che ricordava la serenità, mischiata in modo inquietante al dolore fisico che gli riverberava per ogni nervo."
Un piccolo ragionamento sugli ultimi momenti di vita di Marco.
-Accenni JeanMarco, non posso farne a meno-
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Marco Bodt
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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Youth
 


Non seppe dire cosa accadde in quel momento. Forse troppe cose tutte insieme, forse nulla. Forse doveva semplicemente andare così.
Sentì un cavo spezzarsi, modificando la direzione della sua corsa, del suo volo, facendo precipitare il suo corpo verso un tetto più basso. L’impatto gli distrusse i legamenti della caviglia con la quale era atterrato e lui finì per crollare sulle tegole, mentre l’attrito iniziava ad avere la meglio sul moto che lo spingeva ancora in avanti. Rallentò gradualmente, abbandonandosi mentre rotolava, consapevole che tentare di bloccare la scivolata con le braccia o le gambe gli avrebbe solamente rotto qualche osso in più. Si accorse di essere fermo dopo molti istanti di incoscienza, ritrovandosi a pancia in giù. Chiuse la mano a pugno osservando come solo quel gesto gli riuscisse difficile tanto era il tremore che scuoteva tutti i suoi muscoli.
Mosse la testa verso destra, sforzandosi di liberare il braccio dal peso del proprio corpo. Lo allungò verso l’esterno, sperando di trovare sollievo per le sue ossa ammaccate, ma il suo arto non trovò alcun appoggio. Solamente allora Marco si rese conto di essersi fermato sul bordo del tetto, e che quella stabilità che aveva trovato per caso fosse qualcosa di puramente temporaneo. Una tegola debole pronta a cedere sotto il suo peso, un movimento incondizionato dettato dal dolore. Tutto avrebbe potuto gettarlo a terra, facendogli percorrere quei nove metri di dislivello che sarebbero stati potenzialmente in grado distruggergli il cranio, o spezzargli l’osso del collo.
Una voce che lo chiamava per nome destò la sua attenzione. Non sapeva a chi appartenesse, non conosceva il suo proprietario o era soltanto un’amnesia causata dalla botta in testa che aveva preso con la caduta?
 
And if you’re still breathing, you’re the lucky ones.
Because most of us are heaving through corrupted lungs.
 
“Respiri, respiri ancora!” Ripeteva in lontananza, piangendo, quella voce. Era un timbro femminile. Doveva essere una compagna di addestramento taciturna, una di quelle che non si era mai distinta e aveva fatto di tutto per stare nell’anonimato, ma aveva avuto il tempo di osservare chiunque con attenzione. Doveva per forza essere una di loro, pensò, svogliatamente.
“Sto arrivando!” Gli disse dopo essersi improvvisamente zittita per capire il significato delle grida di altri più distanti e, con sorpresa di entrambe le reclute, non erano solamente indicazioni. “Ne mancano solamente tre, Marco! Hai sentito? Sto arrivando!”
Il ragazzo trovò la forza di sorridere. Ce la stavano facendo. Ce la stavano davvero facendo. Cullato da quella consapevolezza socchiuse gli occhi, lasciandosi andare a una sensazione che ricordava la serenità, mischiata in modo inquietante al dolore fisico che gli riverberava per ogni nervo.
I passi svelti della ragazza senza nome andavano via via avvicinandosi, dietro di lui, ma si sovrappose un altro suono, in quel momento. Qualcosa si mosse nel suo campo visivo, riempiendolo sempre di più. Degli occhi enormi lo trovarono, e si dilatarono come riflesso incondizionato.
Era un gigante e, nella confusione del momento, il moro non se n’era neppure reso conto. Uno di quegli ultimi tre maledetti giganti rimasti in circolazione per Trost.
La giovane urlò il suo nome più volte, ma ormai era tardi. Il braccio del ragazzo che pendeva dalla grondaia era già per intero nella bocca spalancata del mostro, il suo fiato caldo gli si riversò su tutto il corpo. Voltandosi, Marco poté finalmente dare un volto alla voce femminile che ora stava fissando i ganci sul muro di fronte a lei, in un vano e disperato tentativo di uccidere il gigante in tempo.
Eva.
Accadde allora. Non seppe dire se si svolse in un attimo o se durò tanto quanto la sua vita, ma si ritrovò a casa, a cinque anni.

Mia madre ha occhi stanchi, distrutti come non ho mai visto. Mi incita ad avvicinarsi, per poter vedere per la prima volta il volto minuto della mia sorellina che ho aspettato per tanti mesi.
La stoffa si piega e la riesco a guardare: è perfetta. Talmente perfetta che provo una gelosia segreta mista a stupore, finalmente sono consapevole di cosa significhi dire “sorella”.
“Marco.” Bisbiglia mia madre. “Vuoi tenerla?”
Annuisco con la testa, emozionato, senza riuscire a smettere di guardarla. “Farò attenzione, mamma, lo prometto!”
“Ne sono certa.” Risponde lei, allungando verso di me il piccolo fagotto bianco e muto. Dorme, ed io la stringo delicatamente al petto. “È bellissima, mamma.”
“Il suo nome è Eva. Ti piace, tesoro?”
“E’ perfetto.” Confermo io, e papà mi sorride dall’angolo della stanza.
 
La ragazza dell’accademia, la sua compagna. Ora la ricordava vividamente: aveva i capelli corti e neri come la notte, i tratti spigolosi, gli occhi seri. Portava lo stesso nome di sua sorella, nonostante fossero così diverse; l’aveva notata per questo, tempo prima. Ed ora la stava guardando morire per salvare lui.
Gli enormi denti si chiusero su di lui come una morsa, colpendogli una guancia e la nuca, portandogli via il respiro e la luce.

L’angolo segreto fuori Jinae. Il luogo dove nascono i quadrifogli. Mi basta andare dietro una fattoria isolata dove mia madre puntualmente si ferma a comprare delle scorte e mi lascia esplorare. Dall’angolo posteriore conto dieci passi, poi mi giro verso sinistra e ne conto altri sei.
E’ il tre maggio, oggi.
Mi siedo a terra, tra gli steli, trovando poi tra le erbe selvatiche la vena che genera i quadrifogli. Ne colgo quanti più riesco a trovare, creando un piccolo mazzetto, già pianificando che li lascerò seccare tra le pagine del mio libro preferito; un libro che parla di grandi eroi fortunati.
 
And if you’re still bleeding, you’re the lucky ones.
Because most of our feelings, they are dead and they are gone.
 
Non provò immediatamente il dolore. Il fiato gli si spezzò, provò una pressione contro il suo corpo impossibile da descrivere, e prima ancora di iniziare a sanguinare, stava già cadendo verso terra. Nella caduta i sensi si erano già fatti deboli. Si chiese perché non fosse stato inghiottito, come fosse possibile. Il gigante, solo allora lo capì, gli aveva portato via il braccio destro, distruggendogli il busto e il viso. Toccò terra a pancia in giù e sentì lo sterno frantumarsi in mille pezzi, insieme al rumore del gigante che rovinava al suolo schiacciando Eva sotto il suo peso.
 
Le lacrime nascoste di mio padre il giorno della partenza.
Il primo giorno di addestramento.
Le guance lentigginose di mia madre la prima volta che torno a trovarla facendole sapere che sta andando tutto bene e che non mi sono pentito della mia decisione. Il suo orgoglio.
Il ragazzo dai capelli biondi che a mensa siede accanto a me.
 
L’ultima cosa che vide fu la luce del sole che inondava una testa dorata, i capelli legati dietro la nuca. Gli si stava avvicinando in fretta.
“Ann-ie” Provò a dire, ma la bocca non seguiva più la sua volontà.
 
And if you’re in love, then You are the lucky one,
because most of us are bitter over someone.
 
La notte in cui Jean scappa dai dormitori.
Lo seguo, preoccupato, trovandolo su un’altura nascosta alla vista da delle fronde fitte, seduto sull’erba umida.
“Marco.”
“Torna dentro.” Lo incito. “Fa freddo.”
“Dentro non si respira. Dovevo uscire, dovevo andarmene per un po’.” Si giustifica lui, la voce che trema.
“Hai fatto un incubo? Hai avuto un sonno agitato fino a che non te ne sei andato.” Osservo io, avvicinandomi e sedendomi al suo fianco.
Lui ride un’imprecazione. “È così… stupido. Vorrei dire di essere un uomo, vorrei dire di essere forte. Ma non riesco. Non riesco nemmeno a sopportare un brutto sogno.”
Vorrei chiedergli cosa lo abbia spaventato tanto, quale orribile visione sia stata capace di ridurlo così, ma non lo faccio. Me ne pento.
Si lascia andare contro la mia spalla, e io lo sorreggo volentieri. Quello che provo è troppo e tutto insieme, ma il contatto tra di noi mi da la forza di riordinare tutti i miei pensieri, o almeno, di provarci.
“Con te non ho bisogno di fingere, in nessun caso.” Bisbiglia, così piano da non farsi quasi sentire, passandomi poi una mano dietro la schiena stringendo la stoffa grezza della mia camicia.
Vorrei dirgli quanto valga la stessa cosa anche per me, mi sembra che mi abbia letto dentro, però taccio.
Mi volto a baciarlo, consapevole che sia l’unica cosa giusta da fare e lui mi accetta; io faccio l’errore di illudermi che ormai qualcosa sia cambiato per sempre tra di noi quando sento le sue dita tra i miei capelli, intente a tirarmi verso di lui. Lo imito.
 
Non ne riparlammo mai più, di quella volta. Io non lo pretesi mai.
 
Setting fire to our insides for fun,
to distract our hearts from ever missing them.
 
L’ultima cosa che sentì, fu la stretta dell’imbragatura sulle gambe che si allentava e delle mani che gli stringevano il polso sinistro iniziare a trascinarlo chissà dove.
Temette di perderlo, nel suo ultimo istante come abitante del mondo; ebbe paura di perdere per sempre i ricordi che aveva di lui. Ma una consapevolezza si materializzò dove prima c’era solo dolore e lo rassicurò e cullò mentre si lasciava scivolare nelle tenebre: nulla al mondo sarebbe stata capace di fargli scordare quegli occhi color ambra e quelle labbra sottili; di certo neppure la morte.
 
But I’m forever missing Him.
 
 
 
 

 
 
 
 
Ahia. Soffro. Ultimamente sto in fissa con Marco, cioè oddio, molto più del solito. Penso a lui e al suo rapporto con Jean, penso a come sia morto (solo cose felici nella mia vita). E per questo ho scritto sta roba, perché mi son data una spiegazione, sempliciotta e pessima, ma che segue i miei ragionamenti. Non credo che Annie in sé l’abbia ucciso, nonostante la vorrei vedere crocefissa su ogni lampione. Credo solo che abbia sfruttato l’accaduto, forse scegliendo apposta il 3dmg di Marco giusto perché la vedo come una di quelle persone che vogliono farsi odiare per star certa che nessuno si affezioni. O forse aveva trovato lui per primo, non ne ho idea.
La canzone che ho inserito: 
Youth - Daughter
E quando l’ho ascoltata è salito l’hype perché è semplicemente perfetta per ogni singola ship di shingeki. 
Grazie per aver letto questa storia, un mezzo abbraccio a tutti <3
  
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