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Autore: Jordan Hemingway    03/05/2015    1 recensioni
La Terra è stata conquistata: i nuovi padroni si fanno chiamare dèi e usano gli esseri umani come pedine nel loro eterno gioco di dominio. Solo due fratelli possono rovesciare la sorte, un uomo e una donna in grado di cambiare le carte in tavola… Se solo i loro eserciti non li considerassero empi traditori.
Si dice che siano gli dèi a governare il fato del mondo e, come dio, non ho mai avuto dubbi al riguardo: questo fino a quando il destino di Electra Bianca Lama non ha incrociato il mio.
Non che ne avessimo discusso: il vocabolario della ragazza, squisitamente vario per quel che concerneva armi e strumenti di distruzione di massa, era purtroppo limitato in ogni altro tipo di conversazione, soprattutto riguardo la filosofia.
Forse per questo quando introducevo l’argomento la sua spada si conficcava sempre a pochi millimetri dal mio orecchio destro.
Sto correndo troppo.
Prima che diventassimo così intimi, di Electra conoscevo solo quello che i suoi compagni dicevano di lei.
Traditrice della propria stirpe, assassina di regine.
La sorella dell’uomo che per un trono aveva ucciso la madre.

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Genere: Drammatico, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando gli schiavi chiudono gli occhi


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5.
 
 
ἀνέφελον ἐνέθαλες οῡ ποτε καταλύσιον, οὐδέ ποτε λησόμενον ἀμέτερον οῑον ἒφυ κακὀν
Hai risvegliato in me un limpido ricordo: il nostro male irreparabile, che non troverà mai oblio.
Electra, Sofocle
 
 
 
Ilio venne distrutta con l’inganno in una sera d’estate.
L’Athena attaccò a sorpresa dopo essersi resa invisibile ai radar, un trucco che fino ad allora era sconosciuto agli dèi: la dea sapiente voleva sempre essere un passo avanti a tutti noi.
Il palazzo di Priamo fu l’ultimo edificio a collassare su se stesso, donando la morte a chi non aveva il coraggio per vivere ancora dopo la devastazione.
Avrei voluto aver incontrato la stessa sorte, perché almeno sarei stato assieme a Cassandra quando Agamennone la raccolse tra i cadaveri che la dea sapiente aveva disseminato dietro a sé, il corpo ancora in vita nonostante le torture.
La sua mente era ormai folle da tempo.
 
L’alba aveva accolto l’esercito argivo con promesse di morte e di gloria.
Pilade aveva udito il suono dei corni di guerra, aveva visto i suoi uomini reggere tra le mani le armi che l’Athena aveva distribuito loro il giorno precedente, e aveva provato quella sensazione di paura, eccitazione e impazienza che precede ogni battaglia in cui si è sicuri di non ritornare dai propri cari.
In quel caso, tuttavia, l’unico dal quale Pilade avrebbe voluto fare ritorno sarebbe stato accanto a lui nella morte.
Oreste guardava i soldati pronti a combattere: secondo le istruzioni dell’Athena sarebbe stato un attacco frontale, in cui l’esercito argivo avrebbe dovuto impegnare quante più truppe ateniesi possibili, sfruttando la potenza di fuoco delle nuove armi fornite dalla dea sapiente. Quest’ultima avrebbe guidato personalmente la propria nave contro la Poseidon: solo Pilade ed Oreste sapevano che la dea avrebbe inoltre guidato a distanza un manipolo di uomini il cui compito era penetrare all’interno della Poseidon per prenderne il controllo.
Entrambi facevano parte di quel piano.
“Pronto a morire?” Sussurrò Pilade, mentre le due navi divine segnalavano di iniziare la battaglia.
Oreste sorrise. “Pronto a vincere.”
 
La tempesta di neve turbinava attorno ad Electra e Lykos che arrancavano sul sentiero. Era come se le streghe della Tessaglia si fossero risvegliate per accogliere degnamente gli stranieri che osavano arrampicarsi sulle loro montagne.
“Dove stiamo andando, comandante?” Urlò il soldato cercando di sovrastare l’ululato del vento. La Bianca Lama sfidava la tormente a testa alta: sembrava fendere la cortina di neve al suo passaggio.
“Comandante!”
“Siamo quasi arrivati.”
Il mercenario si guardò attorno. Niente nella montagna innevata faceva pensare che ci fosse qualche rifugio o qualche casa in attesa di accoglierli.
“Con tutto il rispetto, Bianca Lama, siamo nel mezzo del nulla!”
Electra non rispose e continuò ad avanzare controvento. Lykos non osò fermarsi.
 
 
Il fumo dei colpi provenienti dalle navi celesti presto calò su tutta la pianura antistante Atene, rendendo impossibile per gli eserciti distinguere qualcosa oltre il raggio di tre metri.
Persino i botti degli spari e le urla di agonia arrivavano ovattati alle orecchie degli opliti: un dono inaspettato in una battaglia che non avrebbe avuto altri sopravvissuti che gli dèi.
Oreste premette un pulsante nell’arma consegnatagli dalla dea sapiente in persona: dal fusto circolare esplose una fiamma ardente che consumò i tre ateniesi davanti a lui.
Percepì un movimento alle proprie spalle e si girò caricando un nuovo tiro, pur sapendo di avere alcuni istanti di ritardo, ma il cadavere nemico cadde ai suoi piedi, già aperto dall’inguine alla clavicola.
Pilade non perse tempo a guardare il sangue sgocciolare dalla sua spada, e si lanciò ad arrestare l’avanzata di parte della fanteria ateniese.
Osservando i lembi di carne accartocciarsi per effetto del forte calore prodotto dal combattimento, Oreste rabbrividì, e fulminò l’oplita che gli si parò innanzi.
 
 
Agamennone non poteva ricordare i tempi antichi, ma c’era chi lo aveva fatto al suo posto: i racconti che entusiasmavano Cassandra erano stati molto più che semplici storie per lui e per il fratello.
Storie dove gli umani erano protagonisti e non pedine, in grado di prosperare anche nelle condizioni più estreme. Favole in cui la tecnologia umana non era solo un vago ricordo: tempi in cui ogni essere umano aveva accesso ad una conoscenza infinita, bastava chiudere gli occhi.
Prima che gli dèi scendessero sulla Terra l’uomo stesso era un dio.
Ultimo erede di una stirpe di sognatori capaci di dare vita ai propri pensieri, Agamennone aveva ereditato un destino pesante, ma che sapeva di poter portare a termine.
Le nevi della Tessaglia avevano assistito ai giochi infantili dei due fratelli, le montagne delle streghe per loro non avevano segreti, dal momento che custodivano assieme il mistero più importante di tutti.
Ciò che ognuno di noi dèi aveva ritenuto ormai dimenticato.
Il ricordo del torto più grande.
Un’eredità in grado di cambiare la sorte del mondo e di distruggere la nostra presenza sulla Terra.
Una speranza.
 
 
Infine il sentiero si interruppe di fronte ad una parete di roccia.
“Non possiamo proseguire.”
“Ho due occhi proprio come te, soldato.”
Lykos sbuffò. “Pensavo potesse esserti sfuggito qualche dettaglio, ad esempio la tormenta, il gelo, lo strapiombo qui a lato…”
“Parli troppo per un uomo semi-assiderato.”
Electra si spinse fino alla lastra di roccia che si estendeva sopra di loro liscia e inviolata.
“Non dirmelo.” Il mercenario chiuse gli occhi. “C’è una porta, non è così?”
“Pensavo che il dio luminoso fosse più sveglio.” Commentò la donna, premendo un invisibile pulsante: nella parete si aprì una fenditura, lunga all’incirca quanto la bocca spalancata di Lykos.
“Lo hai sempre saputo.” Il dio scosse la testa, incredulo. “Un corpo creato per ingannare uomini e dèi, e tu lo hai capito subito. Come?”
La Bianca Lama estrasse la propria spada dalla guaina e la inserì nella fenditura: con un rumore metallico la lastra di roccia si alzò, proiettando oscurità sulla neve immacolata.
“Seguimi.”
 
 
Ora il fetore della carne bruciata impediva di respirare.
Pilade premette sulla propria bocca una pezza imbevuta di acqua e sangue e inalò con forza. Era una strage, completa e totale.
Pareva che anche la Poseidon avesse adottato la stessa strategia dell’Athena, mandando al macello gli ateniesi, in minoranza numerica ma che potevano contare sulle armi del dio marino, molto più potenti di quelle della dea sapiente.
E questo la dea lo sapeva quando aveva comandato l’attacco.
“Ricordati il piano.” Oreste passò accanto a lui, coperto di sangue e ustioni da capo a piedi. La sua armatura aveva subito i colpi nemici, e parte delle cinghie laterali pendevano inutili sul fianco destro.
“L’Athena non ha ancora dato il segnale.” Il re di Argo percepì la disperazione nel tono dell’altro. “Forse non ci sarà nessun segnale, e tutto questo sarà inutile.”
“Dubiti degli dèi, umano?” Pilade si voltò di scatto, credendo di essere al cospetto della dea sapiente. Oreste lo fermò e gli mostrò un piccolo congegno metallico che teneva legato al polso.
Un’altra trovata divina.
“E’ il momento.”
Una luce ultraterrena avvolse i due uomini, che scomparvero dal campo di battaglia.
 
 
La montagna era cava: in realtà non era nemmeno una montagna.
Electra armeggiò per qualche istante con la sua spada, che li aveva guidati fin nelle viscere del luogo grazie alla sua luminosità, e riuscì ad infilarla in un buco alla parete.
Tutto venne pervaso dalla luce, e davanti agli occhi di Lykos, il dio sapiente, apparve il più grande laboratorio che mai avesse visto sulla Terra.
E di cui nessuna divinità conosceva l’esistenza.
“Che cos’è questo posto?”
“Agamennone lo chiamava Area Cinquantuno. Sembrava divertirlo molto.” La Bianca Lama si muoveva tra banchi coperti di polvere, di tubi trasparenti e di fiale ancora colme di liquidi colorati come se fosse a casa propria.
“Tu sei nata qui.” Lykos collegò le dicerie delle taverne con le informazioni provenienti dall’archivio della nave madre, l’Olympus. “O meglio, sei stata creata qui. Sbaglio?”
Concepita è il termine corretto.” Il laboratorio proseguiva stringendosi in un corridoio, alla fine del quale si trovava una porta sigillata. Electra ricorse ancora alla propria spada, il cui metallo reagiva illuminandosi per aprire loro la strada.
 
 
Gli occhi di Pilade si riabituarono a fatica alla ritrovata normalità della luce.
“Siamo dentro.” Oreste abbassò la sua testa a livello della propria. Si trovavano in uno stretto corridoio, percorso a intervalli regolari da oggetti volanti che emettevano un suono debole simile ad uno squittio.
“Radar di sorveglianza.” Il re di Argo aveva smesso di fingere di non conoscere quella tecnologia aliena, e Pilade si ritrovò ad annuire, anche se non capiva nulla di quello che l’altro diceva. “Dobbiamo riuscire ad infilarci nel condotto di aerazione e ad arrivare alla sala motori.”
“Esatto.” A quanto sembrava, la voce della dea sapiente li avrebbe perseguitati anche lassù. “Impari in fretta. Non preoccuparti troppo di questi termini tecnici, mio povero re: vi dirò io come avanzare.”
In silenzio, Oreste e Pilade scivolarono lungo il corridoio.
 
 
Un corpo umano è diverso dal nostro: il sangue vi scorre nelle vene per portare energia alla carne, i nervi si collegano per permettere di ricevere i segnali dell’ambiente che vi circonda, un cuore batte incessantemente per mantenere tutto in funzione.
Una macchina complessa dotata di vita: è straordinario che non collassiate su voi stessi, tanto siete complicati.
Ovvio che anche gli dèi hanno cercato di riprodurre questo vostro corpo: la condizione umana è qualcosa che ci ha sempre affascinato, seppure per tempi limitati, e tuttavia è difficile che un dio riesca a imitare perfettamente un uomo, le cui caratteristiche fisiche e mentali sono limitate se confrontate alle nostre.
La dea amante per esempio eccede in bellezza (come la maggior parte delle dee), il dio celeste in potenza, la dea sapiente si ammanta di un’aura in grado di sottomettere qualunque creatura a lei inferiore.
Con modelli simili capirete che anche il mio simulacro umano era alquanto carente in verosimiglianza, prima che Cassandra suggerisse le sue modifiche.
Il compito di rendermi il più simile possibile ad un vero umano sembrava divertirla: grazie a lei ho imparato che il dolore è una sensazione che non si può simulare, per cui è necessario attivare i gangli nervosi preposti a riceverlo (per testarne l’efficacia Cassandra batteva a tradimento il pomolo di una delle sue spade sulle mie ginocchia), e che una bruttezza eccessiva è dannosa quanto la troppa bellezza.
Ecco perché nessuno aveva mai messo in dubbio la mia identità: come sarebbe stato possibile? Anche gli dèi si fermavano all’esame della carne e dei centri nervosi.
Solo Electra fu in grado di riconoscermi: sapevo che sarebbe stata lei la mia nemesi.
Proprio come aveva predetto Cassandra.

 





NdA: Salve! Mi rendo conto che fin qui è stata una cosa piuttosto confusa, e ringrazio chi ha continuato a leggere! ^^' Mi sa che non ho mai specificato che il nome Lykos significa Lupo ed è uno degli epiteti tradizionali di Apollo nel pantheon greco. E dato che questa storia è pesantemente ispirata alla mitologia classica, l'ho usato.
Alla prossima!^^
  
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