Arrivò all'improvviso, inaspettata. Veloce e incredibilmente
dolorosa.
Sfumò quasi all'istante, lasciandola con una strana sensazione di
vuoto e smarrimento.
Sentì un calcio arrivarle da sotto la sedia. Si voltò
lentamente e si accorse di essersi immobilizzata, attirando su di sé gli sguardi
di tutti quelli che le stavano attorno.
Chinò lo sguardo, confusa, a
osservare la matita che stringeva tra le mani solo qualche istante prima. Aprì
le dita, lasciando che le schegge di legno colorato cadessero sul pavimento.
Alice si lasciava trascinare silenziosamente, avvertendo appena la leggera
pressione esercitata dalla mano di Jasper sul suo braccio, presa com'era dalla
visione. Lui la conduceva con sicurezza attraverso i corridoi della scuola,
preceduto da Emmett e Rosalie che, ostentando indifferenza, gli aprivano la
strada.
La mensa era completamente vuota quando entrarono, così Jasper non
si fece troppi problemi a sollevare la propria compagna e a portarla di peso al
tavolo che occupavano ogni giorno. Emmett si premurò di comprare del cibo
-semplice arredamento scenico- anche per Alice e Jasper, poi s'affrettò a
raggiungere i fratelli.
“Alice... tutto bene?” domandò in fretta, chinandosi
verso di lei, che annuì.
“Sì, non c'è nulla di cui preoccuparsi.”
“Che
cos'hai visto?” chiese invece Jasper, accigliato.
“Nulla di interessante. A
quanto pare, Edward resterà in Florida più del previsto.” Non le sembrava così
terribile riciclare la visione del giorno prima per sviare i fratelli; in fin
dei conti, nonostante avesse capito che c'era qualcosa che non andava,
non era ancora riuscita a distinguere la scena che le si ripeteva nella testa da
quella mattina all'alba.
“Tutto qui?” Rosalie non sembrava molto convinta
dalla spiegazione della sorella. “Se è una cosa così sciocca, perché eri
conciata in quel modo, in classe? Non ti era mai successo, prima.”
“Conciata
come?” Jasper si mosse a disagio sulla sedia. Fissava Rosalie con intensità,
ignorando volutamente Alice.
“Si è immobilizzata.” spiegò l'altra. “Ha
stretta la matita fino a disintegrarla e quando si è ripresa sembrava che non
capisse nemmeno in che parte del mondo fosse. Tutti la fissavano, e credimi,
avevano ragione; aveva ben poco di umano.”
Jasper si voltò a guardare Alice,
che scrollò le spalle e non rispose. Prese a giocherellare, distratta, con un
pezzo di pane, cercando di ignorare le domande di Rosalie ed Emmett e,
soprattutto, lo sguardo di Jasper, che si sentiva addosso e che la rendeva
nervosa. Sapeva che non aveva creduto alla sua menzogna, e che probabilmente
aveva intuito che qualcosa non andava, ma non se la sentiva di dirgli ciò che le
stava accadendo. Qualcosa, dentro di lei, le suggeriva di mantenere il silenzio
almeno fino a che non avesse capito con cosa e, soprattutto, con chi avesse a
che fare.
Odiava dovergli mentire, ma, con gli anni, aveva imparato a fidarsi
del proprio istinto.
“Forse dovremmo portarla a casa.” suggerì Emmett
alzandosi in fretta e piazzandosi di fronte ad Alice, in modo da nascondere, con
la sua mole, la sorella dagli occhi dei curiosi. Spostò lo sguardo dal muro
dietro al tavolo alla ragazza, che stava immobile, con gli occhi sbarrati,
piegata in avanti sul tavolo, stringendone convulsamente i bordi, colta
dall'ennesima visione.
“Credo che abbia ragione, Jasper. Non può tornare in
classe così. Se la vedono in queste condizioni crederanno che sia sul punto di
sentirsi male e chiamerebbero l'ospedale, e non sarebbe per niente una buona
idea.” Aggiunse Rosalie.
L'altro annuì, si alzò lentamente e si avvicinò ad
Alice. Le coprì le mani con le proprie e sciolse la presa dal tavolo. La aiutò
ad alzarsi, poi le posò delicatamente le mani sulle spalle.
“Cosa vedi,
Alice?” tentò, parlando a bassa voce.
“Non lo so.” mormorò lei, talmente
veloce che gli umani che eventualmente si fossero trovati lì vicino non
sarebbero stati in grado di comprendere le sue parole. Si sentiva estremamente
confusa; la sua mente, bloccata a metà tra il futuro e il presente, non riusciva
a concentrarsi a sufficienza da eludere completamente le domande di Jasper, che
stava approfittando del suo stato semi-incosciente per estorcerle informazioni
che lei non voleva dargli.
L'immagine futura svanì, e lei si trovò a fissare
gli occhi dorati di Jasper.
“Non farlo mai più.” sibilò.
“Scusa, Alice.
Davvero. Ma siamo preoccupati.”
“Non è nulla.” ribadì la ragazza, poi gli
concesse un mezzo sorriso. “Fidati di me, Jasper. Ne ho davvero,
davvero bisogno.”
“Ti porto a casa, Alice.” la interruppe Emmett.
“Non va bene che tu stia a scuola se ti riduci così ogni cinque minuti.”
Lei
annuì. Lanciò una breve occhiata a Jasper, ma lui si stava già allontanando
insieme a Rosalie. Sapeva quanto lo faceva soffrire sentirsi il più vulnerabile.
Aveva acconsentito a lasciare che la accompagnasse Emmett, in fondo, perché
sapeva che la necessaria tappa in segreteria, impregnata dell'odore di sangue
umano, sarebbe stata per lui pericolosa e avventata. Se Alice fosse stata colta
da una visione proprio in quella stanzetta piccola e calda, non ci sarebbe stato
nessuno in grado di trattenerlo. Avrebbe attaccato la signorina Cope, e dopo
aver assaggiato il suo sangue difficilmente sarebbe stato in grado di
trattenersi dall'andare a cercare qualche altro umano.
Emmett attese che
tutti abbandonassero la mensa, prima di voltarsi verso la sorella che, di nuovo,
era immobile, con lo sguardo vuoto fisso davanti a sé e le mani chiuse in
pugni.
Un po' a parole e un po' di peso la fece uscire e la portò in
segreteria, la aiutò a sedersi e si rivolse alla segretaria. Le sue parole
arrivavano confuse a Alice, che però riuscì a seguire la
discussione.
“Signorina Cope, ha un minuto?” la voce di Emmett sembrava
stranamente dolce, e poteva solo immaginare che sguardo stesse sfoderando. Se,
di solito, era Edward quello che incantava le persone, non si poteva negare che
anche Emmett, Jasper e Carlisle avessero un notevole ascendente sulla parte
femminile della popolazione mondiale, quando si mettevano d'impegno. Alice
dubitava fortemente che al mondo ci fosse una donna in grado di dire di no a uno
di loro, davanti a quegli occhi stupefacenti che sapevano sfoderare
all'occasione e quella voce melodiosa che ognuno di loro sapeva sfruttare al
meglio.
“Alice non si sente molto bene, credo che sarebbe meglio se la
portassi a casa. Potrebbe prepararle una giustificazione, per
cortesia?”
Alice non sentì la risposta della segretaria, ma, una volta messa
nuovamente a fuoco la stanza, riuscì a scorgere il sorriso soddisfatto di
Emmett.
“La ringrazio, signorina Cope.”
Si avvicinò gongolante ad Alice e
le posò la mano sulla spalla.
Si avviarono alla macchina in silenzio, ma
Alice sapeva che Emmett avrebbe solo aspettato di essere al riparo da orecchie
indiscrete prima di tormentarla.
“Siamo preoccupati, Alice.” esordì con un
tono incredibilmente serio. “Non ti abbiamo mai vista così. E fai impazzire
Jasper. Non lo hai visto, a pranzo, com'era preoccupato? Aspetta solo che Edward
torni dalla Florida e ti toccherà fare un resoconto dettagliato di tutto quello
che hai visto nelle ultime due settimane.”
“Edward tarderà abbastanza perché
queste visioni passino.” replicò lei, secca. “Non è nulla di cui preoccuparsi.”
mentì, e per un secondo ebbe l'impressione che Emmett le avesse creduto. Ma
quando lui scoppiò a ridere, nervoso, capì di essersi sbagliata.
“Senti,
mentre eri immersa in chissà quali pensieri, -che non so quali siano, dato che
non vuoi dirci cosa vedi- Jasper ha detto che non ti capitava di avere così
tante visioni una di seguito all'altra, e così potenti, da quando hai iniziato a
vedere Carlisle e noi altri e hai capito che vi sareste uniti a noi. Lui dice
che quella è una delle cose più importanti che siano successe da quando ti
conosce, e se quello che sta succedendo adesso è simile, allora ci dobbiamo
preoccupare...”
“Non hai notato che Jasper ha la tendenza a preoccuparsi un
po' troppo?”
“Sì, ma credo che questa volta abbia ragione.” ribattè serio,
lasciandola senza parole. Non era abituata a vedere Emmett con quell'espressione
concentrata sul viso, e soprattutto, non l'aveva mai visto così preoccupato. Il
suo turbamento era davvero così evidente? Avevano davvero capito che c'era
qualcosa che non andava, o erano solo sbalorditi dal suo strano comportamento?
Improvvisamente ebbe la sensazione di soffocare, e, per la prima volta nella sua
vita, si accorse che non aveva la minima idea di cosa dovesse fare.
Sentì le mani di Emmett che la trascinavano giù dal sedile, poi avvertì la
pressione del petto granitico del fratello contro il proprio corpo minuto. Si
accorse che la stava portando in casa in braccio solo quando realizzò di non
avere più i piedi appoggiati al pavimento. Riuscì a distinguere i colori chiari
del salotto, e ben presto anche l'ultimo spiraglio dell'ultima visione che
l'aveva colpita l'abbandonò.
“Che cosa è successo? Perché siete già a casa?”
Carlisle arrivò in fretta dalla cucina, la voce tesa.
“Alice è strana.”
rispose Emmett prima ancora che lei potesse aprire bocca. In un istante,
Carlisle era a pochi centimetri da Alice ed Esme si era materializzata accanto a
lui.
“Strana?” ripeté senza capire. Emmett annuì.
“Più del solito.”
specificò con un sorrisetto. “In realtà” proseguì tornando serio “continua ad
avere visioni di cui non vuole parlare. S'immobilizza e distrugge quello che ha
in mano, così abbiamo pensato che non fosse una buona idea lasciare che gli
umani la vedessero. In classe, prima di pranzo, sembra che abbia attirato
l'attenzione abbastanza.”
Lo sguardo di Carlisle s'incupì.
“Sta succedendo
qualcosa?”
Alice scosse il capo, esasperata, sperando che quella fosse
l'ultima volta che le veniva posta una domanda a cui non voleva
rispondere.
“No, davvero. Non è niente di preoccupante.”
E fu proprio
allora che lo vide chiaramente.
Il salone in cui i Volturi l'avevano accolta,
l'anno prima, quando era andata a salvare Edward. Era semivuoto, e solo tre
persone confabulavano tra loro a bassa voce, guardandosi intorno con aria
circospetta. Riconobbe i volti senza tempo di Aro e Jane, mentre non riuscì a
capire chi fosse il terzo. Appariva come un giovane di una ventina d'anni, e lei
era sicura di non averlo mai visto. Annuiva piano alle parole di Jane, che gli
mostrava un disegno e contemporaneamente gli porgeva degli oggetti, che lui
annusava, meticoloso.
“Prendili vivi.” si raccomandava Aro con voce
spettrale. L'eco di quella frase rimbombò per qualche istante nella mente di
Alice. “Memorizza bene i loro volti e fai attenzione: è difficile coglierli
impreparati.”
Il giovane vampiro annuì.
“Se rifiutano l'offerta?”
domandò con voce atona.
“Trova una scusa e uccidili.” rispose all'istante
Jane. “I loro poteri sono molto interessanti e ci farebbero comodo, ma se li
usassero contro di noi sarebbe un problema. Ci troveremmo senza dubbio in
difficoltà, e ora che perdono tempo con quell'umana avrebbero motivo di
schierarsi contro di noi. Non possiamo correre rischi di nessun tipo.”
“Farò
come dite.” assicurò. “Nessuno di loro riuscirà a sfuggirmi.”
Il peso della
menzogna che aveva raccontato le crollò addosso, doloroso e insostenibile.
Rimise lentamente a fuoco la stanza. Vide il volto preoccupato di Carlisle a
pochi centimetri dal suo e si accorse che lui le stava tenendo le mani,
tremanti, tra le proprie. Si accorse di boccheggiare; si sentiva soffocare e mai
come in quel momento l'aria le era sembrata tanto essenziale. Cercò di tirare un
profondo respiro, ma ottenne solo una fitta al petto. Sotto lo sguardo attento
di Esme e Carlisle, che ancora non la lasciava né si allontanava da lei, tentò
di riprendere la calma. Distinse il lieve, regolare rumore del respiro di
Carlisle e cercò di coordinare il proprio rantolo affannato con il suo, calmo e
tranquillo.
“Alice?” la chiamò lui quando lei riuscì a riprendere a
respirare normalmente.
“Va tutto bene. Davvero. Non è niente.” replicò Alice
con voce rotta e si allontanò da Carlisle, che le lasciò andare all'istante le
mani e rimase a fissarla per qualche istante.
“Sicura?” Lei
annuì.
Carlisle si scambiò una breve occhiata con Esme, poi si alzò dal
divano su cui si era seduto e si diresse verso la cucina.
“D'accordo.”
sospirò, poi si eclissò nell'altra stanza. Esme lo seguì dopo solo qualche
istante, lasciando Alice da sola. Emmett era scomparso.
Si alzò dal divano e
salì velocemente nella sua stanza. Ora che aveva capito cosa stava succedendo,
il bisogno di mantenere il segreto si faceva più pressante. Cosa sarebbe
successo se avesse raccontato agli altri quello che stava per accadere? Esme si
sarebbe fatta prendere dal panico, ne era certa. Avrebbe cercato di mostrarsi
forte, come faceva sempre, e avrebbe sofferto in silenzio. Carlisle avrebbe
cercato un modo per aiutarli frugando tra mille e più possibilità, che avrebbe
snocciolato una dietro all'altra con voce tesa. Emmett avrebbe ringhiato che se
volevano uno scontro l'avrebbero avuto, avrebbe sentenziato che tutto si sarebbe
concluso con una battaglia e si sarebbe abbandonato sul divano a guardare la
partita di baseball. Rosalie, come suo solito, sarebbe rimasta in silenzio ad
ascoltare le proposte degli altri, prima di annunciare che non c'erano
possibilità di vincita e che avrebbero dovuto arrendersi al volere dei Volturi.
E forse, tra tutte le proposte che sarebbero state fatte, la sua sarebbe stata
la più sensata. Edward sarebbe tornato immediatamente dalla Florida, sarebbe
stato l'unico a partecipare attivamente ai ragionamenti di Carlisle, e avrebbe
aggiunto proprie idee per assicurarsi che Bella fosse al sicuro. Jasper,
invece... avrebbe avvertito il suo tormento, e subito avrebbe utilizzato il
proprio potere per tranquillizzarla. Ma l'avrebbe fissata con gli occhi
sbarrati, dentro cui sarebbe riuscita a scorgere solo dolore e preoccupazione.
L'avrebbe implorata di stare tranquilla, di non uscire di casa. Non l'avrebbe
lasciata sola un istante, e all'arrivo dei Volturi si sarebbe parato davanti a
lei per proteggerla da qualunque cosa avesse potuto minare la sua
incolumità.
Alice sapeva di non potersi permettere di creare una confusione
simile. I Volturi avrebbero senza dubbio scoperto che i Cullen sprofondavano nel
caos, e ne avrebbero approfittato per eliminare quella famiglia di cui non
apprezzavano gli usi e per aggiungere tre nuovi elementi alla loro collezione,
proprio come supponeva il piano originario. Forse Carlisle avrebbe potuto
sperare di salvarsi, rifletté mentalmente Alice. L'amicizia che lo legava ad
Aro, Caius e Marcus l'avrebbe protetto dalla loro smania di potere. Ma gli
altri? Cosa avrebbe potuto fermare i Volturi?
“Alice.” la voce dolce di
Jasper la distrasse dai propri pensieri. “Come stai?”
“Va tutto bene.”
replicò lei tranquilla, e gli si avvicinò, cercando di controllare la propria
ansia. Ma sapeva che Jasper la conosceva meglio di chiunque altro, e che non si
sarebbe lasciato ingannare dal sorriso che gli aveva rivolto né dal bacio
leggero che gli aveva scoccato sulle labbra socchiuse.
Immediatamente avvertì
una sensazione di pace e tranquillità, e non poté fare a meno di ringraziarlo
mentalmente per tutta la premura che le riservava.
“Non ti chiederò di nuovo
cosa hai visto.” mormorò Jasper sedendosi sul letto e tirandola verso di sé. La
fece accomodare sulle proprie gambe e le sistemò una ciocca di capelli corti
dietro all'orecchio. “Ma mi stai facendo impazzire, Alice. Ho paura che ti
succeda qualcosa.”
“Va tutto bene.” ripeté lei con più convinzione,
poggiandosi al petto forte di Jasper, che la strinse a sé e le affondò il volto
tra i capelli. Alice lo sentì mentre inspirava il suo profumo.
Come poteva
metterlo in pericolo? Non sarebbe stata in grado di vederlo rischiare la vita a
causa di una sua visione. Cercò di ripetersi che tutto si sarebbe sistemato, che
nessuno si sarebbe fatto male. Ma sapeva di mentire a sé stessa. Solo una
visione era stata nitida come quella che aveva avuto poco prima, ed era il volto
di Jasper che la fissava, quando ancora i suoi occhi erano rossi e disperati.
Rimase pensierosa, immobile, per molto tempo. Jasper, rispettoso, non
interrompeva le sue riflessioni né faceva domande. Si limitava a
tranquillizzarla quando sentiva la tensione crescere, scrutandola attentamente
in cerca di qualche indizio che potesse aiutarlo a capire cosa stesse accadendo.
Ma non fu abbastanza veloce da bloccare sul nascere il terrore che avvertì
quando gli occhi di Alice si fecero vacui per l'ennesima volta, e non riuscì
nemmeno a ridimensionarlo prima che prendesse il sopravvento sulla moglie, che
gli strinse con forza la mano, il capo chino in avanti, talmente concentrata
sulla visione da non sentire le sue parole.
Quando iniziò a tremare la
strinse a sé con più forza, cullandola come se fosse stata una bambina,
aspettando, impotente, che accadesse qualcosa.
Spero che vi sia piaciuto, ma, anche se così non fosse, non abbiate paura di farmelo notare: apprezzo le critiche che possano aiutarmi a migliorare. Aggiungo comunque che, tra tutti i miei lavori, è uno di quelli che preferisco, probabilmente perchè è quella in cui ho messo più impegno e che mi ha divertita di più mentre scrivevo. In altre parole, ci sono davvero affezionatissima. Spero di non essere andata OOC, anche se ho paura che in alcuni punti sia proprio così. Ditemi che ne pensate a riguardo!
Baci,
rolly too