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Autore: Arielxx    03/05/2015    0 recensioni
Quanto spesso ci capita di sentirci prigionieri nel nostro stesso corpo? Quanto spesso ci sentiamo schiavi della nostra stessa mente?
[...]Preferisco esser parte dell'amnesia dell'umanità, se questa è la vita che condurrò per il resto dei miei giorni. Tuttavia i miracoli accadono. Ma se i miracoli accadono, chi stabilisce chi e chi non sia degno di riceverne uno? Potrei mai essere io?[...]
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giorno 365. Esattamente un anno da che il fruttivendolo dall'altra parte della strada non vede il mio viso, se non da lontano, o dall'ultima festa della mia cara vicina a cui ho partecipato; esattamente un anno che non sento l'aria calda dell'estate o fredda dell'inverno sul viso, per più di cinque brevi minuti. Definirei la mia situazione quasi paradossale: l'unico posto in cui mi sento sicuro è casa mia, la mia dolce dimora, in cui niente e nessuno può nuocermi in alcun modo, tuttavia mi mancano le passeggiate, gli incontri con gli amici o semplicemente andare al supermercato. Ma se provassi a fare queste cose, mi verrebbe a trovare il mio grande amico e alleato, che mai mi lascia solo e che decide per la mia vita: il panico. Insomma, sto male sia fuori che dentro, in tutti i sensi. Il pallore della mia pelle riflette bene quella mancanza di sole che il mio corpo, per più di quei cinque minuti al mattino, non vede mai. Il mio corpo è tutt'altro che atletico, non possiedo alcun attrezzo in casa mia e di andare in palestra proprio non se ne parla ovviamente, anche perchè se ci provassi, non riuscirei nemmeno a correre via di terrore su queste gambe graciline e sarebbe più umiliante di quanto non sia già. Mio padre mi prendeva sempre in giro per le mie gambe, diceva sempre che persino mia sorella era più forte di me, che poi a me cosa importava? le gambe mi servivano solo per camminare, non praticavo sport poichè i miei interessi erano perlopiù intellettuali e comunque allora, le gambe mi portavano molto più lontano di quanto facciano adesso, il cui unico tragitto spazia dalla camera al salotto, dal bagno alla cucina e dall'ingresso al cortile. 
Bel posto il cortile, sarebbe il mio spazio preferito della casa se solo non avesse il terribile difetto di essere all'aperto; è proprio lì in cui passo quei brevi cinque minuti. Ogni mattina alle dieci e trenta mi preparo ad uscire: mi metto le scarpe e mi apposto davanti alla porta, cercando il coraggio di varcare la porta. Quando finalmente mi sento pronto, esco sul cortile, assaporo l'aria del mattino e comincio a fissare il cielo; mi piace il sole, tuttavia quando il tempo è piovoso, mi sento molto più in armonia con il mondo: le strade sono vuote, i bambini non giocano all'aria aperta, i sorrisi sono spenti e gli umori meno sereni, un po' come il mio. Quando poi decido di distogliere lo sguardo dal cielo, sposto la mia attenzione sulla strada e le case vicine alla mia; troppe volte ho già  visto i profili dei piccoli edifici circostanti, sempre dalla stessa prospettiva, sempre uguali, immobili ma farciti di persone piene di vita. Dopo di che, faccio qualche piccolo passo avanti raggiungendo il vecchio cancelletto arruginito, a cui era appoggiata la cassetta della posta da cui prendo le bollette, le lettere e il giornale che la mia premurosa sorellina mi lascia quotidianamente prima di dirigersi al lavoro. Infine mi avvio verso la porta d'ingresso, sostandovi ancora un minuto o due, per poi rientrare e chiudermi il mondo dietro le spalle. 

Giorno 365. Esattamente un anno da che il fruttivendolo dall'altra parte della strada non vede il mio viso, se non da lontano, o dall'ultima festa della mia cara vicina a cui ho partecipato; esattamente un anno che non sento l'aria calda dell'estate o fredda dell'inverno sul viso, per più di cinque brevi minuti. Definirei la mia situazione quasi paradossale: l'unico posto in cui mi sento sicuro è casa mia, la mia dolce dimora, in cui niente e nessuno può nuocermi in alcun modo, tuttavia mi mancano le passeggiate, gli incontri con gli amici o semplicemente andare al supermercato. Ma se provassi a fare queste cose, mi verrebbe a trovare il mio grande amico e alleato, che mai mi lascia solo e che decide per la mia vita: il panico. Insomma, sto male sia fuori che dentro, in tutti i sensi. Il pallore della mia pelle riflette bene quella mancanza di sole che il mio corpo, per più di quei cinque minuti al mattino, non vede mai. Il mio corpo è tutt'altro che atletico, non possiedo alcun attrezzo in casa mia e di andare in palestra proprio non se ne parla ovviamente, anche perchè se ci provassi, non riuscirei nemmeno a correre via di terrore su queste gambe graciline e sarebbe più umiliante di quanto non sia già. Mio padre mi prendeva sempre in giro per le mie gambe, diceva sempre che persino mia sorella era più forte di me, che poi a me cosa importava? le gambe mi servivano solo per camminare, non praticavo sport poichè i miei interessi erano perlopiù intellettuali e comunque allora, le gambe mi portavano molto più lontano di quanto facciano adesso, il cui unico tragitto spazia dalla camera al salotto, dal bagno alla cucina e dall'ingresso al cortile.

Bel posto il cortile, sarebbe il mio spazio preferito della casa se solo non avesse il terribile difetto di essere all'aperto; è proprio lì in cui passo quei brevi cinque minuti. Ogni mattina alle dieci e trenta mi preparo ad uscire: mi metto le scarpe e mi apposto davanti alla porta, cercando il coraggio di varcare la porta. Quando finalmente mi sento pronto, esco sul cortile, assaporo l'aria del mattino e comincio a fissare il cielo; mi piace il sole, tuttavia quando il tempo è piovoso, mi sento molto più in armonia con il mondo: le strade sono vuote, i bambini non giocano all'aria aperta, i sorrisi sono spenti e gli umori meno sereni, un po' come il mio. Quando poi decido di distogliere lo sguardo dal cielo, sposto la mia attenzione sulla strada e le case vicine alla mia; troppe volte ho già  visto i profili dei piccoli edifici circostanti, sempre dalla stessa prospettiva, sempre uguali, immobili ma farciti di persone piene di vita. Dopo di che, faccio qualche piccolo passo avanti raggiungendo il vecchio cancelletto arruginito, a cui era appoggiata la cassetta della posta da cui prendo le bollette, le lettere e il giornale che la mia premurosa sorellina mi lascia quotidianamente prima di dirigersi al lavoro. Infine mi avvio verso la porta d'ingresso, sostandovi ancora un minuto o due, per poi rientrare e chiudermi il mondo dietro alle spalle. 

   
 
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