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Autore: flatwhat    04/05/2015    2 recensioni
“Javert!”.
La figura, in piedi sul parapetto, si voltò appena alla chiamata, quasi non fosse sorpresa al suono di quella voce.
Valjean era sorpreso, invece.
Numerose volte, in tutti quegli anni, Ispettore e prigioniero, cacciatore e preda, erano stati spinti l'uno contro l'altro dal destino, e, eccezion fatta per l'incontro alla barricata di quello che era ormai il giorno prima, la situazione era stata invariata. Valjean in fuga e Javert all'inseguimento.

Javert viene salvato.
(Ma a caro prezzo).
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Cosette, Javert, Jean Valjean, Marius Pontmercy
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Autrice: attenzione questa storia tratta di tematiche quali lutto, suicidio e morte.
 

“Javert!”.

La figura, in piedi sul parapetto, si voltò appena alla chiamata, quasi non fosse sorpresa al suono di quella voce.
Valjean era sorpreso, invece.

Numerose volte, in tutti quegli anni, Ispettore e prigioniero, cacciatore e preda, erano stati spinti l'uno contro l'altro dal destino, e, eccezion fatta per l'incontro alla barricata di quello che era ormai il giorno prima, la situazione era stata invariata. Valjean in fuga e Javert all'inseguimento.

Per cui, era normale che ora Valjean fosse sorpreso. Lo era stato da quando Javert se ne era silenziosamente andato dopo avergli concesso un ultimo saluto a Cosette. Spinto dalla curiosità per un comportamento così strano – e forse volendo evitare che il suo vecchio rivale giocasse con la sua psiche e lo torturasse rimandando il più possibile il momento dell'arresto – Valjean si era concesso solo una rapida ripulita dalla melma delle fogne, aveva scritto un breve messaggio alla figlia ancora dormiente – “Perdonami. Non potremo rivederci più, ma Marius è vivo, si trova a Filles du Calvaire n. 6, presso suo nonno. Ti voglio bene” – e si era ripromesso di ritrovare l'Ispettore.

Le sue peregrinazioni lo avevano portato infine al lungo Senna, tra Pont-au-Change e Pont Notre-Dame. E lì aveva trovato Javert, in piedi sul parapetto. Solo il suo cappello era adagiato per terra.

L'idea che quell'uomo così ligio e rigido da non potersi quasi chiamare uomo, tanto si poteva facilmente scambiare per un automa, un golem a protezione della Legge, potesse considerare il suicidio non avrebbe mai attraversato la mente di Valjean, prima di quella notte.
La rivelazione lo colpì come l'acqua fredda delle rapide sotto di loro.

“Javert”, ripeté, perché l'Ispettore non gli aveva risposto. “Che state facendo?".
Javert emise un suono secco che, Valjean capì un momento dopo, si trattava di una risata. Una risata priva di qualsivoglia allegria.

“Cosa credete che io stia facendo, Valjean?”.

A queste parole, Valjean, che si era prima tenuto ad una certa distanza, si avvicinò velocemente al parapetto e serrò una mano attorno alla caviglia di Javert.

“Perché?”.

“Dovrei dirlo io”, disse lui, con voce stanca. “Perché insistete col perseguitarmi?”.

Non fosse stata una situazione così assurda e fosse stato Valjean un uomo capace di dire cose del genere, avrebbe potuto rispondere “Io perseguitare voi?”.

Invece, disse: “Javert, mi sono arreso. Sono vostro prigioniero”, quasi come questa terribile frase fosse una preghiera per far scendere quell'uomo da lì.

Valjean, che aveva conosciuto di persona la profondità della disperazione umana, ne riconosceva una traccia ora anche in quel suo acerrimo nemico, e questo lo turbava infinitamente.

Javert rimase in silenzio per alcuni secondi, infine disse: “Chi era il ragazzo?”.

Valjean esitò, al pensiero di quell'individuo e all'odio che gli procurava.

“Perché volete saperlo?”.

“Voglio saperlo e basta”.

A questo, si costrinse a rispondere, disposto a tutto pur di strappare l'Ispettore al destino che si era scelto.

“L'amato di mia figlia. Marius Pontmercy”.

“Vostra figlia”, disse allora Javert. “Cosette, giusto?”.

“Sì”.

“Avete mantenuto la promessa”.

“Sì”.

“Come pensavo”, sospirò Javert. “Non che mi ci volessero altri motivi. Vogliate lasciare andare la mia caviglia, Monsieur”.

Valjean divenne sempre più atterrito.

“Perché?”, ripeté per l'ennesima volta, stavolta esclamando con tono isterico.

“Siete libero. Non ho alcun diritto di arrestarvi. Ma, d'altra parte, non ho neanche il diritto di continuare a svolgere il mio servizio se ora lascio andare un uomo ricercato. Non c'è altra via, per me”.

“Javert”, stavolta la supplica era in un tono più dolce. Valjean fece due profondi respiri, poi scosse la testa.

“So che fa male”.

Questo sembrò attirare l'attenzione di Javert.

“Fa male, vivere così, nel dubbio”, continuò Valjean. “Ma non fatevi questo, Javert. Vi prego”.

Javert lo guardava ora attentamente, ma non accennava a volersi muovere. Valjean sospirò.

“Se adesso vi lascio andare la caviglia e mi sposto un po', accetterete la proposta di un tè a casa mia?”.

“Forse”, fu la risposta che ricevette. Lo sguardo di Javert si era fatto meno duro, e questo spinse Valjean a fare come aveva detto.

Si spostò di un passo, ma gli offrì comunque la mano, per aiutarlo a scendere dal parapetto.

Javert, girando leggermente il busto, aveva continuato a guardarlo.

Poi disse: “Perdonatemi, Valjean”, e si gettò in avanti.

Non ci volle neanche un attimo, prima che Valjean si arrampicasse sul parapetto e lo seguisse.

*

Javert era vivo.

Valjean se ne rese conto quando aprì gli occhi. La corrente si era abbattuta anche su di lui con tutta la sua violenza, e aveva ingoiato molta acqua, ma era riuscito ad afferrare Javert e, facendo appello a tutte le sue forze, lo aveva portato in salvo.

La sua memoria, da qui in poi era confusa, ma si era probabilmente accasciato a sua volta sul terreno e aveva perso i sensi. Quando si era risvegliato, gli era prima sembrato di vedere una sagoma nell'oscurità, la sagoma del corpo di Javert accanto a lui, ma quando si era ripreso del tutto e si era rialzato, mettendosi sulle ginocchia mentre tossiva, aveva visto che Javert era nella sua stessa posizione, a pochi passi da lui.

Anche lui era scosso da colpi di tosse, e da tremiti, ma era vivo, e Valjean fu così felice che si sentì improvvisamente guarito del tutto. Non sentiva più il bruciore alla gola e l'impulso di tossire.

“Javert”, mormorò. “Sono contento che siate vivo”.

I lunghi capelli di Javert gli ricadevano sulla fronte e gli fu impossibile vedere la sua espressione. Ma quando i colpi di tosse furono cessati e Javert ebbe alzato la testa, scostandosi i capelli con una mano, Valjean, in quegli occhi vide il terrore.

“No”, sussurrò.

“Javert”, disse di nuovo Valjean, affranto.

“No. Perché questo? Valjean?”, ansimò Javert, l'isteria crescente nella sua voce.

“Javert, vi prego”, provò a dire Valjean, ma Javert sembrava non sentire quelle parole. “Vi prego, non odiatemi per avervi salvato. La vostra vita è importante e questo è davvero un miracolo”.

“Vi prego”, disse ancora, mentre Javert cominciava a scuotere freneticamente la testa, e si afferrava ciocche di capelli come volesse strapparle.

“No, no”, continuava a ripetere. “Perché vivo?”.

Desiderando confortarlo, Valjean si chinò in avanti e allungò una mano.

Ma Javert, come aveva ignorato le sue parole, ignorò anche quella mano sulla sua spalla.

Fu in quel momento che Valjean abbassò lo sguardo e si accorse che c'era qualcosa, tra loro due.

Era la stessa sagoma che Valjean aveva visto prima e aveva scambiato per il corpo senza vita di Javert.  Ma Javert era davanti a lui.

La sagoma era Valjean stesso.

Valjean si sentì improvvisamente mancare le forze. Abbassò la mano che non aveva mai toccato veramente Javert e si accasciò, la testa fra le mani.

Fu in questo preciso istante che Javert cominciò a gridare.

Spinto da quest'agonia, Valjean si costrinse ad alzare la testa e a guardare la faccia tumefatta del proprio corpo annegato, e ad accettare come vera quella visione.

Stavolta, l'ennesima volta in quella fatidica notte, le posizioni si invertirono. Fu Javert ad abbassare la testa sul quel corpo e a gridare e fu Valjean ad alzare la testa verso il cielo e a rivolgere una silenziosa preghiera alle stelle, ora, finalmente e tragicamente libero.

*

Era rimasto con Javert, che aveva gridato ancora e ancora, senza nessuno che sembrasse udirlo.

Lo aveva seguito quando si era deciso ad alzarsi, e aveva preso a vagare come un fantasma, per le strade, apparentemente incurante dei vestiti ancora bagnati.

Aveva continuato a seguirlo, quando, al sorgere dell'alba, si era prima recato al proprio appartamento per cambiarsi (fu la prima volta in cui Valjean vide il locale che Javert abitava) e, qualche tempo dopo, si era presentato alla porta del numero sette di Rue de l'Homme Armé e aveva bussato.

Era rimasto a guardare, con un peso sul cuore, mentre Cosette e Toussaint aprivano allo sconosciuto, entrambe svegliatesi da poco e chiaramente spaventate dall'ultimo messaggio che Valjean aveva lasciato, e che Cosette aveva stretto in mano.

Javert, che in quel momento dovette apparire come una visione spettrale venuta dagli inferi a quelle povere donne, aveva detto a Cosette: “Vostro padre è morto. Mi dispiace”, e quello fu uno dei tanti momenti in cui Valjean desiderò ardentemente di poter essere ascoltato, perché non riuscì a confortare la figlia, mentre lei si gettava ai piedi dell'Ispettore e scoppiava in un pianto a dirotto.

Cosette aveva fatto tante domande, aveva chiesto tanti “perché” e Javert le aveva dato solo il luogo, la Senna, e l'aveva accompagnata proprio lì, dove ormai una folla di curiosi, tra i quali anche alcuni poliziotti, si era radunata attorno al suo corpo.

A identificare quel corpo furono due persone:  Cosette, che a una domanda dei poliziotti era riuscita a rispondere solo in modo sconnesso tra i singhiozzi, mentre scuoteva il padre morto, e Javert, riconosciuto da uno degli agenti. Javert, che in vita sua non aveva mai mentito. Mai Valjean si sarebbe aspettato che mentisse per lui in questo modo.

Quel cadavere sarebbe stato seppellito con il nome di Ultime Fauchelevent. Benché Valjean fosse libero dalle catene della vita, era dunque il suo destino continuare con quella farsa anche nella tomba?

Ma era l’unica soluzione, e Valjean ne era comunque grato a Javert. Rivelare il suo vero nome avrebbe significato portare Cosette in rovina e gettare al vento ogni possibilità di un matrimonio con Marius– ora che Valjean era morto, sentiva che continuare ad odiare quel ragazzo fosse inutile, poiché si era strappato da solo a Cosette.

Quando l’agente ebbe ricevuto la risposta da Javert, si mise a parlottare con i suoi colleghi. Nel momento in cui si voltò di nuovo, Javert si era dileguato. Cosette era rimasta accanto al cadavere, dal quale due uomini anziani l’avevano prima strappata con la forza, e ora cercavano di consolarla facendole le condoglianze.

Nonostante sentisse un macigno nel suo animo a lasciare lì sua figlia, Jean Valjean, ancora una volta, seguì l’Ispettore Javert. Gli era venuto un brutto presentimento, nel vedere quell’uomo riprendere il suo atteggiamento di prima – atteggiamento che faceva passare lui per il vero fantasma – e desiderava vedere con i suoi occhi se si sarebbe realizzato o meno.

Lungo la strada, Valjean pregò per Javert.

Lo vide poi entrare nel suo piccolo, a dir poco spartano, appartamento. Non aveva oggetti particolari a cui sembrasse tenere particolarmente, niente di prezioso con cui decorare i mobili.

Forse fu questo il motivo della sua espressione assente, quando gettò alcuni libri sul pavimento.

Valjean lo vide andare alla toletta e afferrare il rasoio.

“Javert…”,  Valjean aveva capito le intenzioni di Javert prima ancora che questi avvicinasse alla propria gola lo strumento, che ora appariva spaventoso. Ma la sua voce non raggiunse Javert, proprio come non l’aveva raggiunto al fiume.

Valjean si avvicinò quindi all’Ispettore e posò la mano su quella che stringeva il rasoio, benché anche questo tentativo si fosse rivelato vano, precedentemente.

Javert fissava il vuoto e teneva la mano ferma. Valjean non mollava la presa.

“Vi prego. Non fatelo”, sussurrava Valjean. Javert rimaneva immobile.

Tutto ad un tratto, la sua mano cominciò a tremare, e Valjean vide una lacrima scorrere su quel duro profilo, e ne osservò molte altre cadere da quegli occhi che per tanti anni erano stati quelli del terrore in persona. Per Valjean era stato impossibile anche solo immaginare che quegli occhi fossero capaci di piangere.

Javert lasciò cadere il rasoio in silenzio e anche Valjean lasciò cadere il braccio lungo il fianco, ancora sconcertato da quella visione.

Sempre in silenzio, Javert si allontanò dalla toletta, raggiunse un angolo della stanza e lì vi si accucciò, tenendo la testa appoggiata al muro e le ginocchia strette al petto. Finalmente, si lasciò scappare un suono, un singhiozzo e Valjean assistette, impotente, mentre Javert cedeva e si abbandonava a un pianto disperato.

Un pianto per se stesso e per lui, Jean Valjean.

*

Javert era rimasto in quella posizione a lungo, e Valjean a sua volta era rimasto immobile ad osservarlo. A un certo punto, l’Ispettore aveva chinato la testa, e Valjean, avvicinandosi, aveva constatato che si era addormentato. Una posizione scomoda, ma non c’era alcun modo di svegliarlo.

Così Jean Valjean, decidendo di lasciare l’uomo al proprio riposo (se di riposo si potesse realmente parlare) si era svegliato dalla propria immobilità e aveva desiderato sapere cosa stesse facendo sua figlia, scoprendo così che gli bastava volerlo per apparire immediatamente davanti a lei.

Non la trovò in condizioni migliori.

Seduta al tavolo dove aveva mangiato con il padre fino al giorno prima, leggeva e rileggeva la lettera, e continuava a singhiozzare.

Toussaint stava appoggiata al muro con un’espressione addolorata, poco lontano da lei, e non diceva nulla.

“Cosette”, sussurrò Valjean, ma le due donne non poterono sentirlo.

Amareggiato, si diresse fuori dall’appartamento, per strada.

Camminare era diventato strano. Le porte chiuse non lo fermavano e non sentiva il terreno sotto i piedi. Gli venne in mente che forse camminava per pura abitudine ormai, così come quando sentiva di non aver bisogno della bocca per parlare, e che se avesse voluto avrebbe potuto sprofondare nel centro del mondo o alzarsi fino a toccare il cielo, ma in quel momento di malinconia desiderava soltanto sentirsi ancorato alla terra il più possibile. Era la sua unica certezza.

Tutto il resto era fonte di grandissima amarezza.

Jean Valjean esaminava la propria situazione e si trovava perso. Si era preparato a una possibile morte improvvisa alla barricata, ed aveva abbandonato la speranza di una vita lunga quando si era consegnato spontaneamente a Javert, ma la morte effettiva alla Senna lo aveva lasciato spiazzato.

Un momento prima, aveva parlato con Javert. Un momento prima, aveva sentito la forza e il freddo dell’acqua abbattersi su di lui. E un momento dopo, nessuno poteva più sentire la sua voce e il suo tocco. E lui avrebbe potuto dire che si sentiva esattamente uguale a prima, ma non sarebbe stato vero. Sentiva i sensi come ovattati, tutte le volte che aveva poggiato una mano su qualcosa aveva sentito solo una eco del tatto e – come abbiamo detto prima–la fisicità di questo mondo non lo legava più. Sapeva benissimo di non respirare più, eppure gli pareva lo stesso di farlo.

Più di tutto, si sentiva solo.

I sentimenti e la capacità di ragionare, quelli li manteneva ancora. Ed era quest’ultima a fargli considerare la propria situazione irrazionale. Dopotutto, la razionalità era una legge dei vivi, era solo un’altra abitudine da perdere. Ma il pensiero gli risultava spaventoso. Cosa doveva fare lui, ora? Doveva continuare a gironzolare così in eterno? Era questo, l’aldilà?

Si raccolse in se stesso, come avrebbe fatto in qualunque altro momento di dubbio, e sentì qualcosa, nel profondo della sua anima. Un calore, una luce. Nostalgia. Per cosa? Rifletté ancora e si rese conto di averla provata sin dal primo momento in cui si era ritrovato a fissare il proprio corpo, ma non vi aveva prestato attenzione, preso com’era da altri pensieri.

Ma ora che si era accorto di quel sentimento, improvvisamente si ritrovò a non poterlo più ignorare. Cos’era, dunque?

“Buongiorno”.

Valjean sobbalzò, interrotto così dalle proprie riflessioni, e per giunta ora che non si sarebbe più aspettato di venire visto da qualcuno.

Al primo sguardo, comprese che si trattava di una persona nella sua medesima situazione. Era la prima volta che gli capitava di incontrare un altro spettro, o che dir si voglia, come lui. Finora si era sentito come l’unico sulla Terra. Dopo, avrebbe riso di se stesso e di questa sciocca presunzione.

Il gentiluomo che lo aveva salutato, nella stradina, si illuminò e poco dopo scomparve.

Valjean capì. Quindi, c’era un posto dove doveva andare. Sul come fare, forse desiderarlo era tutto ciò di cui aveva bisogno.

Ma Valjean non lo desiderava, non ora. Sentiva di non potere lasciare così sua figlia, né la sua cameriera. Né Javert – era strano e doloroso allo stesso tempo, pensare che quell’uomo avesse pianto per lui. Ma non sarebbe stato in pace, finché Javert non si fosse ripreso. E finché Cosette non si fosse sposata.

“Mi chiedo se…”.

Si interruppe, non sapendo bene a chi stesse parlando. Congiunse le mani.

“Posso rimanere qui ancora un po?”.

Quando sentì una voce rispondergli, non gli servì guardarsi attorno alla ricerca di altri defunti, poiché essa rimbombava dentro di lui.

Era una voce di donna. Era Fantine.

Valjean avrebbe pianto se non fosse stato così scosso persino per piangere. Parte di lui si chiese brevemente se le lacrime sarebbero scese ad infrangersi per terra.

“Fantine”. Pronunciò quel nome con voce rotta. La voce dentro di lui gli rispose di rimando.

“Mio buon Monsieur”.

“Fantine”. Riprese lui, abbozzando un sorriso, “La vostra bambina è diventata grande, avete visto? Sono stato un buon padre?”.

“Il migliore che Cosette avrebbe potuto desiderare. Avete la mia eterna gratitudine”.

Valjean scosse la testa, troppo sconvolto per parlare. Si prese alcuni secondi per calmarsi, e finalmente poté riordinare i propri pensieri (poiché erano quelli che manifestavano la voce, non le corde vocali).

“Non posso lasciarla così, Fantine”. Disse, “Io… So che non posso fare più nulla per lei. Ma ugualmente, voglio rimanerle accanto”.

“Lo capisco”, disse lei. “Io ho fatto la medesima cosa, quando sono morta”.

Valjean sussultò.

“Davvero?”.

“Sì. Né voi né Cosette potevate vedermi, naturalmente, ma per un paio d’anni sono stata insieme a voi. Desideravo vederla crescere di persona, e me ne sono andata quando mi è stato chiaro che sarebbe stata felice”.

Valjean non seppe cosa offrire in risposta se non un altro sorriso. Sapere di aver avuto accanto Fantine, la donna verso cui era in debito in più di un modo, gli dava ora l’impressione di non aver vissuto da solo quei primi momenti con Cosette, in particolare quelli precedenti al convento, in cui in più occasioni aveva provato dubbi o paura.

“Quando sarete pronto, ci raggiungerete, Monsieur. Non preoccupatevi: la vostra dimora è questa”.

“Grazie, Fantine”. Era un grazie per tutto.

Non sentì più la voce di quella donna coraggiosa, ma in seguito si ritrovò a pensare a come era stato bello udirla felice e cristallina. La conversazione avuta lo fece ritornare alla sua nuova quotidianità con molta meno angoscia di prima.

*

Il giorno dopo, Jean Valjean assistette ad una scena curiosa.

Qualcuno aveva bussato alla porta del numero sette e Cosette, facendosi forza, era andata ad aprire di persona, per non scomodare Toussaint.

“Buongiorno”, disse con evidente imbarazzo quando le si presentò davanti Javert. Valjean fu altrettanto sorpreso di vederlo.

L’Ispettore era venuto solo per conoscere la data dei funerali di “Fauchelevent”, e questo, con ulteriore imbarazzo, stavolta da parte sua, aveva chiaramente fatto ridiventare triste Cosette (la quale, era parso a Valjean, aveva poi anche adocchiato per un attimo Javert con una punta di sospetto).

Cosette gli aveva dato le disposizioni, il funerale sarebbe stato il giorno stesso.

Quando Javert si fu congedato, Toussaint le chiese se prima della funzione, Cosette non volesse andare a trovare Marius.

Cosette scosse la testa: “Domani. Oggi sarei solo di intralcio”, disse.

Così Valjean assistette al proprio funerale. Fu una delle esperienze più strane e tragiche che gli fossero mai capitate. Immaginate, se potete, voi stessi ad assistere, senza poter dire o fare nulla, ai vostri cari che piangono la vostra morte, mentre voi vi trovate lì, proprio accanto a loro.

Gli unici presenti, che erano, per l’appunto, Cosette, Toussaint e Javert, non mutarono atteggiamento rispetto al giorno prima: le due donne singhiozzavano inconsolabili, Javert lo si sarebbe scambiato per una statua. Tuttavia, Valjean serbava ancora il ricordo – non l’avrebbe mai potuto dimenticare – di lacrime calde che scorrevano da occhi di ghiaccio.   

Quando la bara fu sepolta, le tre figure rimasero davanti a quella lapide che recava solo la dicitura F. “Che vile bugiardo, che sono. Che balordo”, pensò Valjean.

Al momento di salutarsi, Cosette e Javert si strinsero la mano.

“Scottate!”, esclamò Cosette.

“Sto benissimo”, rispose lui. Eppure, dopo un solo passo cadde in avanti.

In quello stesso giorno, Javert si ammalò.

 

Autrice: sì, lo so che ho un'altra long in corso. Il fatto è che questa doveva essere una one shot e poi è diventata... molto più lunga.  Non credo che i capitoli saranno molti, al momento penso che saranno due o tre. Certo, potrei sbagliarmi.
  
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