Capitolo 6
Quella
notte non dormii. Ripensavo al combattimento con Mason e non riuscivo a trovare
pace. C’era qualcosa che non andava in me, e lo sapevo.
Era
ancora presto per alzarsi, ma stare a letto sembrava un’utopia così misi una
tenuta da ginnastica e dopo un paio di giri di corsa, andai in palestra. Sapevo
che anche qui dovevano avere una sala coi manichini e non mi fu difficile
trovarla. I luoghi erano suddivisi, più o meno, con la logica che c’era anche
nella mia accademia. Guardai il manichino senza viso davanti a me e iniziai a
prenderlo a pugni lentamente, poi come spesso ultimamente accadeva, scattai
d’ira e iniziai a sfogare la mia rabbia sul fantoccio.
“Non è così che
risolverai i tuoi problemi”.
Quella
voce.
Mi voltai colta in flagrante, mentre il mio cuore sussultava un po’. Non avevo più ripensato a lui.
Il
guardiano Belikov era in piedi all’ingresso in tenuta d’allenamento,
ma per un nano secondo, non so perché, ebbi la sensazione di vedere Nikolai.
Mi
tirai indietro dal manichino scioccata, mentre ansimavo.
Si
avvicinò silenzioso, fissandomi e soppesandomi con lo sguardo.
“Dovresti
parlare con qualcuno.”
Sgranai
gli occhi, mentre il sudore mi gocciolava ai lati del viso. Sembrava un modo
carino per dirmi di andare dallo psicologo. Arretrai alle sue parole.
“Non
spaventarti, lo dico per te, per il tuo bene. Così non risolverai nulla, e sarà
sempre peggio!”.
Sembrava
parlasse per esperienza o forse sembrava solo molto convincente, ma io non ero
pazza dannazione. Io stavo bene avevo solo… bisogno di tempo.
“Guardami
bene. Gli altri guardiani sbagliano a pensare che quando sarai pronta tornerai
in te. So cosa ti sta accadendo e lasciarti ad affrontare tutto da sola sarà la
tua rovina.”
Stava
cominciando ad innervosirmi. Volevo andarmene, non volevo ascoltare.
Feci
altri passi all’indietro, verso l’uscita. Lui dallo sguardo duro intese la mia
posizione.
“Non
diventerai mai un buon guardiano così. Di questo passo, non lo diventerai
mai!”.
Questa
sua frase mi infuriò. Chi credeva di essere, non mi conosceva nemmeno.
Vidi
il suo sguardo brillare furbo, sapeva di aver toccato il punto giusto.
“Si
aspettano tutti grandi cose, perché sei figlia del guardiano Hathaway, ma per
quanto mi riguarda, resteranno molto delusi!”.
La
sua bocca si storse in un ghigno compiaciuto. Mi stava praticamente dicendo che
non sarei mai diventata come mia madre, che non sarei mai diventata un
guardiano, che non sarei diventata nessuno.
Qualcosa
in me esplose, quella cattiveria che arginavo da giorni fuoriuscì e mi accecò
dalla rabbia. Nemmeno mi accorsi che avevo attaccato il guardiano Belikov.
Lui
sembrava aspettarselo perché parò subito i miei colpi. Tutte le lezioni di
Nikolai mi frullavano per la testa ed io, colma di adrenalina, le stavo
provando tutte, ma il mio avversario sembrava anticiparmi qualsiasi mossa.
“E’
questo il meglio che sai fare?” mi disse dopo un paio di attacchi, ma il suo
tono era cambiato e non era più cattivo come prima, sembrava speranzoso quasi.
D’altro canto dopo un po’ mi accorsi che anche io ero cambiata, non era più la
rabbia a guidarmi, bensì la frustrazione che lui sapesse in anticipo ogni mia
mossa. Il mio scopo prima era farlo tacere, ora era sopraffarlo. Tutta me stessa
si aggrappò su ciò.
Dopo
non so quanto tempo, cominciai a risentirne, tutta l’adrenalina stava scemando
e sentivo il mio corpo abbandonarmi a poco a poco. Lui mi colpiva, ma sapevo
per certo che si stesse trattenendo. Non capivo perché in tutto questo, la
sensazione familiare che provavo in sua presenza continuasse ad invadermi.
Ormai
per la mente non avevo più niente da sfoggiare, mi passava per la testa solo
una finta che mi aveva insegnato Nikolai qualche giorno prima del… .
Mi si formò un groppo allo stomaco al suo
pensiero.
Cercai
di non distrarmi e ricordai le parole del vecchio durante la sua spiegazione, e
dopo aver finto un attacco di lato, mi girai veloce per colpire la schiena del
mio avversario, ma chissà perché, neanche questo funzionò. Belikov riuscì ad
intuire anche questa mossa, e mi spedì al tappeto e nel cadere me lo trascinai
dietro.
I
suoi occhi stavano a poca distanza dai miei. Aveva parato tutti i miei
attacchi, riconoscevo che aveva combattuto in modo fantastico, quasi aggraziato
quanto una persona a me nota… Nikolai.
Questa
scoperta mi bloccò, mozzandomi il fiato, mentre ancora lo guardavo, e lui
faceva lo stesso. Quando smisi di respirare lui si destò all’improvviso, come
se solo allora si fosse accorto della nostra vicinanza. Io mi alzai lentamente,
ancora sgomenta e fissandolo. Ecco perché quella sensazione familiare, la sua
postura, il suo modo di combattere… impossibile… ma forse…
Lui
a disagio si voltò di spalle, stava per andarsene, ma qualcosa lo fece fermare.
Un nome. Una voce. La mia.
“Dimka!”.
Lui
si voltò con occhi sgranati, increduli. Questa era una risposta più che
sufficiente.
Io
lo guardavo scioccata, conscia forse di averlo sempre saputo.
“..
avrei dovuto capirlo subito...”.
Parlavo
più a me stessa.
Sorrisi
amara, tutte le mie difese si stavano abbassando.
Fissavo
lui, ma non lo guardavo davvero. Davanti a me altre scene. Nikolai che che mi
sgridava divertito e io che lo stuzzicavo come una monella.
“Lui mi parlava spesso di te…”
Era
ovvio chi fosse quel lui, ed ero
certa di avere ragione, perché gli occhi di Belikov iniziarono a brillare,
forse commosso, chi poteva dirlo.
In
quel momento mi accorsi cos’ero successo. Avevo parlato. Avevo scavalcato le
mie muraglie, per arrivare a lui… e lui, ora mi guardava sereno. Risentii le
sue parole quand’era entrato nella sala dei manichini, il suo provocarmi e solo
allora capii. Come sapeva fare il mio vecchio, Belikov-Dimka, aveva toccato
l’unico tasto che mi avrebbe fatto scattare, che mi avrebbe svegliata, che mi
avrebbe fatto reagire. E ora che le difese erano state aperte tutto ciò che mi
rimaneva dentro, si riversò fuori in lacrime amare. Tutte quelle lacrime che
avevo soffocato.
In
un primo momento vidi Belikov combattuto, ma poi si avvicinò e mi lasciò affondare
il viso sul suo petto.
“Sfogati,
Roza!”.
Quel
nome mi scatenò un’ondata di lacrime più furiosa della precedente, ma più
piangevo, più sentivo alleggerirmi, tanto che riuscii a dire ciò che non avevo
neanche mai avuto il coraggio di pensare per paura dell’intensità del significato
di quelle parole.
“E’
morto per colpa mia. È tutta colpa mia… Nikolai .. colpa… mia…”.
Deliravo.
Belikov
mi staccò da se, e i singhiozzi presero a rallentare mentre mi perdevo nel suo
sguardo serio.
“Non
puoi prenderti la colpa di tutto!” la sua voce risuonava alto sonante.
Rimbombava in quella sala e nella mia testa. “…puoi pentirti delle tue
decisioni e desiderare di aver fatto le cose in un altro modo, Rose, ma anche
il guardiano Lazar ha fatto le sue scelte, come altri quel giorno, e tu non puoi
essere responsabile per tutti loro. È ora che tu capisca ciò!”.
Rimasi
sconvolta dalle sue parole. Lui sapeva cosa provavo e aveva fatto in modo che
lo dicessi e che capissi. Aveva ragione, sapevo che era vero, e ora iniziavo a
vergognarmi per come mi ero comportata. Se volevo diventare un guardiano questo
genere di cose potevano succedere: perdere un amico, uccidere qualcuno…
“Io
ho ucciso…”. Ancora un singhiozzo lontano mi vibrò nel torace.
Lui
mi accennò un sorriso gentile.
“Nessuno
si riprende facilmente dalla sua prima uccisione, anche se la vittima è un
mostro a tutti gli effetti. Tutti noi abbiamo dovuto farci i conti la prima
volta, ma la cosa importante è non perdere di vista il nostro obiettivo, non
perdere di vista chi siamo e perché facciamo queste cose. Non perdere di vista
noi stessi. E il più delle volte la cura migliore è proprio parlarne. Non tenersi
tutto dentro!”.
Dopo
non so quando la mia bocca si curvò in un sorriso, con un retro gusto amaro.
“Quel
vecchiaccio mi diceva sempre di dovermi controllare…”.
Lui
mi guardò strabuzzando gli occhi.
“Vecchiaccio?”.
Sembrava
davvero imbarazzato per il modo in cui chiamavo Nikolai, tanto che la sua
faccia mi fece ridere, e ridere, e ridere…
Da
quanto non sentivo la mia risata, mi ero dimenticata il suo suono, come mi ero
dimenticata l’emozione che ne suscitava.
Quando
smisi mi sentii rinata, mi sentii di nuovo me stessa ed era una sensazione
bellissima.
Avevo
toccato il fondo, ora non potevo far altro che risalire.
Lo
guardai e una domanda stupida mi affiorò sulla labbra.
“Che
significa Dimka?”.
Lui
sorrise.
“E’
il diminutivo del mio nome. Dimitri.”.
Dimitri
Belikov. Suonava divinamente.
“Non
aveva più senso, che ne so, Dimi?”.
Lui
curvò le labbra in un accenno di sorriso.
“Non
funziona così nella lingua Russa!”.
“Già,
di sicuro. Beh, a me piace di più Dimitri.”
E
detto ciò, il mondo tornò al proprio posto. Dimitri mi portò alla realtà
ricordandomi l’ora. Feci per andarmene, ma prima di uscire, mi voltai e gli
dissi grazie.
Grazie
a lui avevo ripreso a vivere e di sicuro non lo avrei dimenticato mai.
Risciacquavo
i capelli dallo shampoo, e non potei non rendermi conto dei miei giorni passati
in quello stato comatoso. Dimitri mi aveva riattivato il cuore, riportato in
vita. Prima ero solo un automa. Ero arrivata ad essere lo zimbello della St.
Vladimir e questo doveva cambiare. La gente avrebbe dovuto ricordare il mio
nome per ben altri motivi, non certo perché momentaneamente non in grado di
intendere e di volere.
Il
mio cuore sembrava esplodermi nel petto, ero carica come non lo ero da tempo,
sapevo che avevo ancora molta strada da percorrere, prima di divenire un
guardiano a tutti gli effetti, ma dovevo farcela a tutti i costi, per me
stessa, e per quel vecchiaccio che aveva creduto così tanto in me.
Camminavo
sotto le arcate che aggiravano i giardini
per recarmi in mensa per la colazione, o almeno speravo di trovare ancora
qualcosa, perché ero in dannato ritardo, quando a metà strada notai che c’erano
dei moroi, presumibilmente reali nel loro atteggiarsi, che stavano intimorendo
un’altra moroi. La riconobbi quasi subito. Era la moroi dagli occhio tristi, a
cui avevo raccolto il libro.
Avviccinandomi sentii cosa si dicevano.
“E
tu saresti una reale? Per fortuna non sei rimasta che tu!”.
Era
stata una moroi dalla voce nasale e cattiva a dire queste parole. Si era tirata
indietro i capelli rossicci, lisci come seta, aveva l’aria di una stronza
ricercata, e si atteggiava come capo combriccola. La moroi bionda parve
risentirne parecchio, perché i suoi occhi già tristi di suo, si riempirono di
lacrime. Stava cominciando a respirare affannosamente, sembrava avere una crisi
di panico.
Non
mi erano mai piaciute queste cose. Prendersela con gli indifesi e
dispensare
cattiveria gratuita. Non era solo un capriccio il sogno di diventare un
ottimo guardiano, bensì la possibilità che diventando un
nome riconsciuto, avrei
ricevuto così tante richieste da poter decidere io chi servire.
Proteggere i
moroi, che davvero ne avevano bisogno.
Giunsi
in quel gruppetto, dove la folla stava aumentando, e mi misi a scudo davanti
alla moroi bionda.
La
stronza panteta si spaventò al mio arrivo, ma quando mi riconobbe rise
aspramente.
“Ma
guarda, la pazza-dhampir che arriva in difesa della pazza-moroi.”
La
sua combriccola rise dopo di lei.
Io
la guardavo minacciosa, poi mi rasserenai e gli volsi un sorriso amichevole,
che la fece smettere, ma non perdere, quel ghigno sul viso.
“Dovresti
sapere cosa si dice dei pazzi!”. Sorridevo ancora mentre mi avvicinavo al suo
viso, che ora parve incredulo nel sentirmi parlare. In fin dei conti ero sempre
la muta dell’accademia.
“I
pazzi sono così instabili, che non si sa mai come possano reagire!”. L’ultima
parola gliela sussurrai a pochi centimetri dal viso. Lei si era bloccata
incredula. Tutti in silenzio guardavano la scena. La muta pazza aveva parlato.
Qualcuno
da lontano disse che stavano arrivando i guardiani, così tutti si dispersero
velocemente. La ragazza moroi che avevo affrontato si era ripresa e prima di
allontarsi, guardò la moroi alle mie spalle, poi me e disse: “Vi siete scavate
la fossa da sole!” e se ne andò ancheggiando.
Doveva
intimorirmi? Perché a me aveva solo dato un pizzico di quotidianità normale
nella mia vita.
Mi
voltai ricordandomi della moroi alle mie spalle.
“Ehi,
tutto bene?”.
Lei
mi guardava incredula, le lacrime non erano scese, e questo mi bastava.
“N-nessuno
aveva mai preso le mie difese! Grazie.”.
Io
le sorrisi rassicurandola.
“Perché
non ci sono mai stata io!”.
Il
suo viso fu rischiarato da un timido sorriso. Era davvero la moroi più bella
che avessi mai visto. I suoi capelli, i suoi occhi, la sua pelle, tutto di lei
la faceva brillare.
“Io
sono Rose Hathaway, anche se forse lo sai già!”.
Come
sempre la mia peggior fama mi precedeva sempre.
“Il
mio nome è Vasilisa Dragomir, ma ti sarei grata se mi chiamassi solo Lissa!”.
Un
momento Dragomir? Conoscevo benissimo questo nome, anzi sfidavo tutti a non
saperlo. I Dragomir erano una delle casate che godevano di maggior rispetto tra
i reali, ma il destino aveva decimato i suoi componenti fino ad una sola
famiglia. E la disgrazia peggiore era arrivata qualche anno prima, dove i
rimanenti erano morti in un incidente stradale. Voci di corridoio parlava di
sopravissuti, altre dicevano che erano morti tutti. Ricordai le parole della
stronza di prima “Per fortuna non sei
rimasta che tu”. Come si può dire una cosa così spregevole?
Lei
parve capire l’impatto che avrebbe avuto su una che non la conosceva il suo
nome, e mi lasciò il mio tempo per apprendere ciò.
“Quella
rossa è stata davvero una grande stronza!” mi riferii a ciò che le aveva detto
prima.
Lei
non si aspettava che le dicessi così, probabilmente era solita sorbirsi domande
su suoi parenti, di certo io non le avrei chiesto niente. Figuriamoci.
Lei
mi sorrise e stava per rispondermi, ma i guardiani di cui si era nominato
l’arrivo prima, con tempismo splendido fecero la loro apparizione.
Erano Dimitri e il guardiano Alberta. Non so
se lo immaginai solo, il mio cuore, sussultare.
Lui
parlò non appena ci fu vicino.
“Principessa,
ci sono problemi?”.
“Nessuno,
guardiano Belikov, ho solo avuto il piacere di conoscere Rose.”
Era
sincera. Mi sorrise dolce, dopo aver parlato educatamente con Dimitri, il quale
mi guardava con sospetto. Perché sembrava aspettarsi che adesso ne combinassi ad
ogni passo? Io gli sorrisi angelicamente, e questo gli fece brillare gli occhi
di …divertimento? Ammonimento? Non avrei saputo dirlo. Contemporaneamente
ammirai Lissa, non sembrava nemmeno che un minuto prima una ragazza le stesse
ricordando di essere sola al mondo. Capii che doveva essere una persona che si
teneva tutto dentro, per non dare peso dei suoi problemi agli altri. Sbagliava, come io avevo capito
che sbagliavo. O meglio, come Dimitri mi aveva fatto capire che sbagliavo.
Perché
diamine risolvere i problemi degli altri era sempre più facile che risolvere i
propri?
“Bene,
allora principessa se non le è un fastidio l’accompagnerò alla sua lezione,
dato che sono di strada. Tu, signorina Hathaway, proseguirai a Tecniche avanzate di combattimento con
il guardiano Belikov” disse Alberta.
“La
ringrazio” disse gentile Lissa, poi si rivolse a me “Rose, pranziamo assieme
oggi?”.
Mi
sarebbe piaciuto diventare sua amica.
“Volentieri. A dopo, Lissa!”. Lei mi sorrise, e un’Alberta alquanto solare la scortò via. Non potei non notare i capelli corti sbarazzini del guardiano, che permettevano di vedere benissimo i molnija e il marchio della promessa, una esse orizzontale.
Inconsciamente mi toccai la parte del collo in cui c’era il mio tatuaggio.
Dimitri
mi guardava pensieroso come il suo solito e io finta di niente presi a camminare
verso la palestra.
“Lo
nascondi!”.
La
sua voce calda iniziava ad essere familiare e mi faceva rabbrividire lungo la
schiena.
Si
stava riferendo al molnija. Aveva visto che avevo guardato il collo di Alberta
e che mi ero toccata il mio.
“Non
è vero.” Almeno credevo. “È solo che… non voglio tagliare i miei capelli, non
ancora.”
Tutti
i guardiani femmine li tagliavano, ma a me piacevano troppo i miei lunghi
capelli neri.
Sembrava
volesse confidarmi qualcosa, ma qualcosa lo bloccò, rimettendo la maschera
salda che avevo visto portare sempre in presenza della gente. Un guardiano
dall’aspetto fiero e intoccabile. Con me, anche quella mattina, sembrava fosse
stato più se stesso. Forse il fatto di aver avuto lo stesso mentore, ci univa
un po’.
“Puoi
sempre legarli!” e si indicò il codino che portava lui. Certo i suoi capelli
erano corti anche se sciolti, ma forse per non averli in viso li legava, almeno
pensavo io.
“Se
sciolti possono essere un’arma usata contro di te. Uno strigoi può prenderti
per i capelli e tirarli, così da farti perdere l’equilibrio e prenderti in
contropiede!” lo disse come se fossimo ad una lezione di combattimento.
“Grazie
per la dritta, compagno. Mi piacciono troppo i miei capelli.”
Non
lo guardai, e da lì in poi continuammo in silenzio sino in palestra. Da dove mi
era uscita compagno? Lui non aveva detto niente, e speravo non se ne fosse
accorto. Sapevo bene che non era Nikolai, eppure sentivo un feeling, qualcosa,
che mi faceva sentire tranquilla e al sicuro.
All’ingresso
mi fermai e lui dietro di me. Mi era tornato in mente il combattimento con
Mason il giorno prima.
“Come
sapevi che non mi sarei fermata ieri?”.
Non
specificai cosa, ma sapevo che lui mi avrebbe capita. Lui sembrava capirmi
sempre.
“I
tuoi occhi” disse, dopo una piccola pausa. “Erano inarrestabili.”.
Ricordai
chi credevo di combattere.
“Ai
miei occhi, vedevo uno strigoi”. Ammisi e lo guardai.
Lui
annuiva. Poi dal nulla lo vidi tornare nella sua solita postura da guardiano
intoccabile. Le confidenza era finite.
“Sai
vero che dovrò riportare il fatto che sei tornata nelle tue piene facoltà
mentali!”.
“Che
il mio momento pazzo è finito?” dissi ironica. “Si, lo sospettavo. So che i
guardiani vorranno sapere cosa è successo quella notte, ma riferisci loro che
lo dirò solo dopo che avranno risposto a delle mie domande!”.
Riuscii
a sorprenderlo e incuriosirlo.
“Quali
domande?”.
Oh,
molte domande. Quell’attacco non avrebbe mai dovuto verificarsi.
“Sono
sicura che sarai presente anche tu, perciò vedrai.”
E
lo lasciai ammutolito.
Un legame che sembrava già inspiegabilmente esistere, inizia a prendere forma per i nostri personaggi preferiti.
Che ne pensate di questo Dimitri che aiuta Rose a tornare in sè?
Rose sembra aver trovato anche un'amica sincera, contente?
Ditemi cosa ne pensate mie preziose lettrici <3.
Un bacio