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Autore: f9v5    04/05/2015    3 recensioni
[Crossover; Full Metal Panic/Black Lagoon] [Linguaggio scurrile "gentilmente" concesso da Revy e anche da altri, astenersi finti moralisti]
Un nuovo incarico per i Fattorini che ogni tanto si scontrano con la legge, un rapimento che nasconde più trame di quante ne mostri all'apparenza.
Una Whispered incolpevole il cui unico peccato e avere concetti tecnologici in testa che lei neanche ha chiesto e un fissato delle armi che si crede sempre in guerra.
Attraverso la frazione rossa che porta al "Domani".
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kaname Chidori, Sousuke Sagara, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Rowan Cliff si accomodò sulla poltrona dello studio e si accese un sigaro.

-È certo che sia stata una mossa saggia presentarsi di persona, capo?- dalle ombre che occupavano la stanza uscì un’imponente massa.

Rowan prese il sigaro tra le mani e abbandonò il morbido cuoio della sua postazione avvicinandosi all’unica finestra della stanza, alzando le tapparelle così che un po’ di luce occupasse il suo campo visivo, anche se lo faceva più per scacciare la puzza di fumo che altrimenti avrebbe permeato troppo a lungo li dentro.

Diede solo una rapida occhiata allo squallido paesaggio della città di Roanapur, prima di allontanarsi e tornare alla sua postazione.

-Questa città è un porcile, Nick! Anche attività banali e quotidiane come affacciarsi ad una finestra possono portarti ad un incontro con la morte. Qui si uccide per tutto e per niente.-

-Da quanto mi ha detto, anche nella sua precedente organizzazione vi erano delle leggi molto ferree che non rendevano la situazione idilliaca, se non sbaglio.-

Un altro sbuffo di fumo da parte dell’uomo in cappotto.

-Diciamo solo che… i fallimenti non erano molto graditi.- non c’era rimorso o nostalgia nella sua voce, quanto piuttosto una ben celata rabbia e frustrazione.

-Ma d’altronde non ha alcun senso rimembrare certi fatti. Ho abbandonato quel gruppo per ragioni personali.-

Il possente uomo chiamato Nick assottigliò leggermente gli occhi, la sua domanda non aveva ancora avuto risposta e aveva scalato abbastanza le gerarchie della loro organizzazione da permettersi di farlo notare.

-Non mi ha ancora detto perché ha scelto di presentarsi di persona ai membri della Lagoon per commissionargli l’incarico.-

-In realtà è più semplice di quanto sembri.- l’uomo si passò una mano tra i corti capelli castani e poggiò il sigaro sul posacenere appositamente messo sulla sua scrivania. -In questa fogna vige la tacita regola che non ci si può fidare di nessuno, figurarsi di quelli che, come noi, non si sono mai visti qui intorno. Se mi fossi limitato ad inviare uno dei miei sottoposti avrei creato sospetti. Presentandomi di persona ho fatto si di creare intorno a me un’aura di grande sicurezza, abbastanza da far pensare loro di non aver nulla da nascondere. E anche se alla fine dovessero venirgli dubbi a mio riguardo, a quel punto noi non saremo più qui.-

Nick si limitò ad annuire, un’idea semplice ma efficace.

-Quindi, a conti fatti, tutto quello che dobbiamo fare è aspettare.-

Rowan riprese il suo sigaro, fissando il vuoto con perversa luce negli occhi neri.

-Esattamente.-

 

 

 

In certi momenti Kaname si chiedeva se davvero Sagara fosse un fissato che si credeva sempre in guerra o piuttosto un bambino capriccioso che faceva tutto alla perfezione per soddisfare inconsciamente il suo ego.

Perché nell’osservarlo lì nel cortile a correre al fianco di Tsubaki (una delle loro assurde sfide prive di senso) non riusciva a vederlo come il sergente di un’organizzazione mercenaria inviato lì a Tokyo per proteggerla, quanto piuttosto come un bambino intrappolato in un corpo troppo grande per lui.

D’altronde era quello, che erano soliti fare i bambini: intrattenersi in giochi e discussioni che gli adulti tendevano troppo superficialmente a giudicare puerili e un po’ sciocchi, cose da bambini avrebbero detto.

Eppure Kaname aveva l’impressione che quelle azioni stupide e bambinesche nascondessero ben di più, era attraverso esse, dopo tutto, che tra i bambini si stabilivano quei legami sinceri che, se sinceri lo erano davvero, rimanevano saldi per tutta la vita.

Per questo le venne spontaneo sorridere nell’osservare quella scena; era come se Sagara stesse inconsapevolmente vivendo quell’infanzia che guerre e conflitti gli avevano negato ingiustamente.

Forse lui neanche se ne rendeva conto, ma stava mostrando dei lati di se che probabilmente ignorava d’avere.

-Certo che Sagara è cambiato in questi mesi, non credi anche tu piccola Kana?- fu la domanda di Kyoko.

Solo in quel momento la ragazza si rese conto che anche la sua migliore amica stava osservando la scena in cortile.

-Voglio dire, io non credo che all’inizio lo avremmo mai visto così “intimo” con qualcuno, eppure a vederlo adesso non si può non notare quanto lui e Tsubaki siano diventati amici.-

-Credimi, è lui l’unico che non l’ha capito. Considerate le sue fisse militari, se glielo facessi notare sarebbe perfettamente capace di giustificare la cosa dicendo: “Un bravo soldato deve sempre mantenersi in forma così che i suoi sensi siano pronti a reagire ad ogni stimolo esterno”.- assumendo una postura rigida, con le mani rigorosamente unite dietro la schiena, la ragazza scimmiottò comicamente il bizzarro comportamento del ragazzo.

Le due risero insieme.

-Beh, sarà il caso che vada a richiamare quei due, tra breve cominceranno le lezioni.- e già stringeva l’harisen tra le mani, fremente dal desiderio di calarlo con “gentilezza” sulla testa di Sagara al minimo cenno di rappresaglia.

Uscendo dall’aula urtò leggermente un inserviente, non lo vide bene in faccia ma sembrava fosse nuovo.

-Mi scusi.- si giustificò in fretta prima di ritornare sui suoi passi.

L’uomo si calò il berretto e sospirò.

-Ok, evitiamo di dare nell’occhio.- lanciò un’occhiata alla ragazza che lo aveva appena superato.

Provò sincero dispiacere.

 

 

 

Sigaretta tra le labbra e sguardo annoiato perso tra le poche nubi che passavano  indisturbate per il cielo di Tokyo.

-Che palle!- sbottò Revy.

Se c’era una cosa che proprio odiava quella era la mancanza d’azione e quella missione non prometteva scintille fin dall’inizio.

Quella settimana aveva dato loro solo analisi dettagliate delle informazioni sul soggetto da rapire (fatte pervenir loro da Benny; l’ebreo era senza dubbio il migliore del gruppo quando si trattava di stare con le dita affondate in una tastiera) e pedinamenti a debita distanza per evitare di attirare l’attenzione o destare sospetti (a detta di Revy, Rock non sarebbe stato capace di farsi notare neanche se avesse voluto; ragion per cui se ne occupava lui), così da studiare un piano d’attacco che ben s’addicesse alla situazione.

La donna gettò un’occhiata alle Sword Cutlass lasciate sul letto matrimoniale della camera d’albergo in cui lei e il collega stavano temporaneamente alloggiando (quegli idioti della reception dovevano averli scambiati per una fottuta coppietta; per piacere); rigorosamente dentro al fodero e neanche un’occasione per far fumare le loro volate.

Quasi quasi  rimpiangeva di essersele fatte spedire, ma col cavolo che avrebbe preso parte ad un incarico senza le sue pistole e, se doveva dirla tutta, la donna delle pulizie che era passata poco prima le stava abbastanza sulle scatole, se fosse capitata lì di nuovo avrebbe anche potuto mandare al diavolo il non attirare l’attenzione e scaricarle addosso il caricatore di entrambe.

Una volta finita la sigaretta, la donna si spaparanzò in maniera totalmente sgraziata sul suo lato di letto, ma a giudicare dal fatto che ogni mattina Rock si ritrovava a “baciare” il pavimento si poteva affermare tranquillamente che Revy avesse dichiarato di sua proprietà anche l’altra metà e che, durante la notte, la facesse valere.

Con uno sbuffo esagerato e per nulla femminile (gli unici casi in cui l’aggettivo femminile poteva essere accostato a Revy era quando si trattava del suo corpo, ma se l’argomento erano i suoi modi fare non lo si sarebbe mai potuto sentire) la donna si rimise in piedi ed entrò in bagno, tentata dall’idea di un doccia, non tanto per vero e proprio bisogno igienico quanto piuttosto per placare il suo desiderio di uccidere ammazzando il tempo; non la consolava granché, e doveva ammettere che come battuta faceva anche schifo.

Ragion per cui, quando tornò nella loro stanza d’albergo, Rock sentì lo scrosciare dell’acqua provenire dal bagno.

-Mi sono occupato di piazzare le cariche.- alzò la voce per esser certo che la compagna lo sentisse.

Pochi minuti dopo Revy uscì dal bagno con indosso solo l’intimo, consapevole che tanto Rock non si sarebbe permesso di fare commenti per paura di venire castrato (la minaccia era sempre valida).

Non che per lui fosse facile; tralasciando i modi di fare da scaricatore di porto (per usare un eufemismo), Revy era pur sempre una donna.

Per quanto ci provasse non riusciva, saltuariamente, a trattenersi dal lanciarle occhiate e deglutire per mantenere la calma.

Accidenti a lei, a quel corpo che si ritrovava e al fatto che fosse consapevole che non avrebbe mai fatto o detto niente; certe volte credeva che si lasciasse vedere in quel modo da lui apposta per torturarlo psicologicamente.

-Allora direi che è il caso di fare un po’ di botti. Fammi indovinare…- lanciò un’occhiata all’orologio che segnava le quattro di pomeriggio -sei tornato adesso di proposito. Rock, te l’avrò già detto cento e più volte che il nostro non è un lavoro dove si hanno scrupoli.-

-Beh, non rientra nell’incarico fare vittime, quindi pensavo che non ci fosse nulla di male nell’aspettare la fine delle lezioni.-

Altro sospiro da parte di Revy; dopo tutto Rock stava… dall’altra parte.

La donna decise che era meglio lasciar perdere; allungò la mano in direzione del collega che recepì all’istante il segnale e le passò un piccolo telecomando rettangolare dove svettava un unico e grande pulsante rosso circolare.

Rock deglutì, Revy non battè ciglio e non provò niente, aveva fatto di peggio.

-Boom!-

 

 

 

Kaname spense la televisione con sguardo scioccato.

I suoi occhi, seri e impazienti, puntarono Sagara, che aveva chiamato di corsa a casa sua non appena aveva scoperto la cosa.

-Te lo chiederò solo una volta e ti prego di essere sincero: è opera tua ma ti è sfuggito il controllo della situazione?-

Il telegiornale aveva dato la notizia pochi minuti primi: quel pomeriggio un’intera sezione del liceo Jindai era saltata in aria a causa di una forte esplosione.

La polizia, entrata in azione il più in fretta possibile, brancolava nel buio; per fortuna quella sezione dell’istituto era completamente vuota, nessun morto e nessun ferito.

Ma nessuno sapeva come interpretare la cosa: dai tragici ottimisti che la vedevano solo come una burla di qualche delinquente di poco conto (ma era ovvio che un esplosivo del genere non potesse essere in possesso di qualcuno con le tasche vuote o di qualcuno “esperto” nel settore che sapesse dove procurarselo)a chi temeva fosse l’avviso di un futuro attacco terroristico su vasta scala.

Per varie ragioni personali, Kaname in fondo pregava che Sagara le rispondesse positivamente; avrebbe preferito di gran lunga che si trattasse semplicemente di un “incidente di percorso” del ragazzo dove nessuno ci aveva rimesso la pelle che la prefazione di qualcosa di ben più grosso e temibile.

-No, giuro che io non sono coinvolto in questa faccenda!- e il tono non era quello di chi raccontava bugie.

-Avrei preferito il contrario, almeno lì la questione si sarebbe risolta con una sventagliata sulla tua testa e fine dei giochi.- disse la ragazza con triste umorismo.

Volendo vedere la cosa positiva, nessuno si era fatto male, ci sarebbero volute settimane (per non dire anche mesi) per riparare la sezione distrutta dell’edificio, ma nessuna vita innocente era rimasta coinvolta.

La ragazza squadrò il proprio appartamento con leggera esitazione; in un istante tutte quelle sensazioni che aveva provato quando Sagara era stato costretto ad andarsene tornarono a pizzicarla a fior di pelle gettandole addosso una quantità incalcolabile di dubbi e paure.

Non sapeva neanche perché, eppure sentiva che quella faccenda la coinvolgesse.

Un bussare improvviso alla porta, un fremito da parte di entrambi.

Sagara si appostò dietro la porta, intimando alla ragazza di restare dietro di lui.

Qualunque cosa sarebbe successa, chiunque fosse dall’altro lato, avrebbe dovuto passare prima su di lui.

Ma persino l’esperto soldato avvertiva una strana sensazione, come se dall’altra parte non vi fosse una persona, ma un predatore in attesa del momento opportuno per sfoderare le zanne e piantarle nel collo della preda.

Per istinto, mise mano alla pistola.

 

 

-Cavoli, non ci era mai capitato di occuparci di un rapimento.- commentò Rock distrattamente.

-Tsk, ricordati che sei l’ultimo arrivato Rock. Ne è passata eccome di gente tra le nostre mani. E poi c’è stato il moccioso Lovelace o sbaglio? Ancora ricordo le sue fottute lagne.-

-Beh sì, però in quel caso noi abbiamo più fatto da corriere, non l’abbiamo effettivamente rapito noi.-

Revy non vide chissà quale differenza, si trattava pur sempre di lavoro e nulla di più.

Mentre salivano le scale del complesso, la mercenaria lanciò un’occhiata distratta al cielo notturno e in attimo la sua espressione mutò.

Se prima ostentava noia e calma, il volto di Revy dava ora mostra di un ghigno sadico e perverso che causò un sussulto nel suo collega.

Conosceva quello sguardo e sapeva bene ormai quali erano le cose che prometteva: proiettili a profusione e sangue che scorre.

In certi momenti Revy sembrava più una belva che una donna, era come se lei percepisse la presenza della sua preda per istinto, come se i sensi li possedesse tanto per essere ritenuta “umana”.

-Sembra che il piano dovrà subire una piccola modifica, potrebbe scorrere sangue stanotte.- e dentro di lei sperava fosse così.

Rock non si volle (o meglio, dovette sforzarsi) chiedere cosa le avesse dato quell’improvvisa convinzione, facendola passare nella sua modalità feroce; non aveva mai capito davvero cosa passasse per la mente della collega e mai ci avrebbe provato.

Poteva solo immaginare che, evidentemente, il loro obiettivo non fosse da solo.

E lo diede per scontato quando, dopo aver “cortesemente” bussato, Revy mise subito mano alle Sword Cutlass.

Si leccò il labbro superiore con gioia perversa, dietro quella porta c’era qualcuno che avrebbe lottato come un demonio, glielo diceva l’istinto.

-È ora di fare bordello, baby!-

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’autore:

Potreste pensare che abbattere un’intera sezione del liceo Jindai sia stato esagerato, ma chi conosce Black Lagoon sa già che gente come Revy sarebbe capace di cose ben peggiori, è una fortuna che, col passare del tempo, l’influenza di Rock l’abbia resa un po’ meno irruenta, seppur sia rimasta una letale bomba sexy che non si fa problemi ad aprire buchi in fronte.

Ovviamente non hanno abbattuto un liceo tanto per fare, la loro era una mossa strategica.

Quello che è certo è che Revy e Sousuke potrebbero fare parecchio casino, se non subito nei prossimi capitoli.

Ultima annotazione che nel primo capitolo non ho fatto; dal punto di vista cronologico questa long si colloca dopo “The Second Raid” (per Full Metal Panic) e dopo “The Second Barrage” (per Black Lagoon).

Ok, al prossimo capitolo ragazzi.

 

  
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