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Autore: Soul of Paper    04/05/2015    4 recensioni
Il mio finale della quinta serie. Cosa sarebbe successo se dopo aver ricevuto quella telefonata notturna a casa di Madame Mille Lire nella quinta puntata ed essersi seduti su quel divano, le cose fossero andate diversamente? Cosa sarebbe successo se Gaetano non avesse permesso a Camilla di "fuggire" di nuovo? Da lì in poi la storia si sviluppa prendendo anche spunto da eventi delle ultime due puntate, ma deviando in maniera sempre più netta, per arrivare al finale che tutte noi avremmo voluto vedere...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Camilla Baudino, Gaetano Berardi, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 47: “Playing with Fire – prima parte”
 

Nota: Speravo di riuscire a pubblicare prima ma… eventi inattesi mi hanno costretta ad accelerare i tempi di un trasloco che era nell’aria ormai da mesi e che mi ha portato e mi porterà via tempo ancora per alcune settimane. Mi scuso ancora con voi per i tempi di pubblicazione che, lo so, non sono dei più celeri, ma purtroppo da qualche mese a questa parte non riesco a fare altrimenti… non vi faccio perdere altro tempo e vi do appuntamento alle note a fine capitolo ;).
 

 
Un suono improvviso la sveglia di soprassalto. Cerca di mettersi a sedere ma qualcosa glielo impedisce. O meglio qualcuno.
 
Solleva il viso e non può evitare di sorridere quando lo vede, ancora mezzo addormentato, gli occhi che si aprono lentamente, mentre mugugna qualcosa di inintelligibile, le sue braccia che ancora la cingono con forza e sembrano non voler lasciarla andare.
 
“Mmm… Camilla…” bofonchia, prima di aprire del tutto gli occhi e guardarla realmente, “che… che ore sono?”
 
“Sono le… le otto??!!” esclama, leggendo i numeri sul display, per poi guardarlo, mortificata, “e oggi è venerdì! Oddio, scusa, non ho pensato di mettere la sveglia! È che… non credevo di… di riuscire a dormire, figuriamoci di rimanere addormentata.”
 
“Ehi, tranquilla: la colpa al limite è mia. Anzi, sono felice che ti sei riposata almeno un po’,” la rassicura, abbassando il capo per darle un rapido bacio del buongiorno, per poi aggiungere, con un mezzo sorrisetto, “e per quanto riguarda il lavoro… ho fatto gli straordinari questa settimana, quindi direi che posso entrare un po’ più tardi. Nessuno mi farà rapporto, non ti preoccupare.”
 
“Spiritoso!” ribatte lei, mordicchiandogli lievemente il labbro inferiore, prima di sussurrargli sulle labbra, “e comunque, se sono riuscita a dormire è tutto merito tuo: sei la cura contro l’insonnia più efficace che ci sia.”
 
“Non so se prenderlo come un complimento o come un insulto…” replica Gaetano, con un sopracciglio alzato, fingendosi offeso.
 
“Dimenticavo di dire che sei anche la causa più frequente, e soprattutto più piacevole, di insonnia per me,” lo provoca, rubandogli un altro rapido bacio, prima di sollevare ancora di più il capo per guardarlo dritto negli occhi ed ammettere, più seria, “la sai una cosa? Quando sono tra le tue braccia… riesci sempre a darmi, a trasmettermi esattamente quello di cui ho bisogno in quel momento. Non so come fai, ma è così.”
 
“Camilla…” mormora, sentendo nuovamente quel dolore piacevole nel petto, stringendola più forte e giocando con le sue labbra, con la sua bocca, in maniera dolce, languida e profonda.
 
Un altro rumore, come di stoviglie, ed entrambi interrompono quel contatto, in maniera quasi brusca, per guardarsi negli occhi.
 
“Livietta…” pronunciano all’unisono, prima di precipitarsi fuori dal letto e avviarsi rapidamente verso la cucina.
 
“Livietta!”
 
La ragazza fa quasi un salto, presa di sorpresa, il pentolino del latte che le sfugge di mano cadendo fragorosamente a terra.
 
“Mamma!” esclama voltandosi, una mano sul cuore, “ma che è?! Vi siete messi tutti d’accordo per farmi venire un infarto in questi giorni?!”
 
“No, scusami, scusami, è che… abbiamo sentito rumori e… da quanto sei rientrata?”
 
“Cinque minuti? Il tempo di cercare di preparare la colazione… che disastro! Sembro uscita da una stalla!” si lamenta, guardando la pozza di latte sul pavimento, accompagnata da schizzi sugli armadietti bassi della cucina, sul forno e sui suoi pantaloni, per poi osservare meglio Camilla e Gaetano e lasciarsi sfuggire un mezzo sorriso, “certo che pure voi state conciati male! Ma avete dormito vestiti?!”
 
“Senti chi parla, signorina!” la punzecchia Camilla, avvicinandosi e toccandole la maglietta, spiegazzata esattamente quanto i loro abiti, per poi pizzicarle il naso tra due dita e vederla sorridere per un secondo prima di ritrovarsi stretta in un abbraccio che sa di pace, di amore puro, ma anche di un’innegabile malinconia.
 
“Ma hai comprato i cornetti?” le chiede poi, quando infine si staccano e nota il sacchetto aperto sul bancone, vicino al cartone del latte e ad un vassoio con su tre tazze e una zuccheriera.
 
“Volevo portarvi la colazione a letto per… per farmi perdonare almeno un po’ per quello che è successo ieri sera. Mi dispiace mamma: so che vi ho fatto spaventare e… vedendovi combinati così mi sento ancora più in colpa,” ammette con un sospiro, “anche se, se vi può consolare, nemmeno io ho dormito molto.”
 
“No, che non mi consola, Livietta, tutt’altro,” risponde Camilla, passandole un braccio intorno alle spalle, “anche perché noi in realtà poi siamo rimasti addormentati…”
 
“Meglio così… e meglio anche che vi siete alzati voi da soli, che altrimenti mi toccava bussare per due ore pregando di non trovarvi in… situazioni imbarazzanti,” ironizza, guadagnandosi un pizzicotto sul braccio, “ahi! Ma adesso mi tocca invece andare a comprare di nuovo il latte!”
 
“Non ti preoccupare, Livietta, ne ho un brik pieno a casa,” interviene Gaetano con un sorriso, aggiungendo, di fronte al loro sguardo stupito, “ehi, va beh che vivo da solo adesso, ma non ho il deserto dei Tartari in frigo. Non più almeno. E poi… ne avevo comprate un paio di confezioni in più per precauzione, metti che bruciavo il bunet.”
 
“Ah, ecco, mi sembrava strano,” scherza Camilla, notando però come il volto di Livietta si rabbui leggermente nel sentire nominare, anche se indirettamente, la cena di ieri sera.
 
“Va beh… vado, mi faccio una doccia, mi cambio e torno, ok? Così voi avete… un po’ di tempo per sistemarvi e fare le vostre cose e-“
 
“E pulire la cucina,” commenta Camilla facendogli però un occhiolino e rivolgendogli uno sguardo grato, avendo capito perfettamente la mossa di Gaetano per lasciarle da sole a parlare.
 
Gaetano annuisce e fa per voltarsi, quando sente la voce di Camilla che lo richiama con un, “ehi, non stai dimenticando qualcosa?”
 
Non fa in tempo a reagire, perché si ritrova con due labbra sulle sue in un bacio rapido ma dolcissimo che, nuovamente, lo sorprende. Non è abituato al fatto che Camilla si lasci andare a dimostrazioni pubbliche d’affetto, per quanto caste, di fronte a Livietta, ma è già la seconda volta che succede in un paio di giorni. Come se Camilla fosse finalmente a suo agio, forse perché sente che Livietta è a suo agio, con lui, con loro, come se fosse normale, naturale, anche se non scontato, mai scontato, non dopo tutto quello che ha passato, che hanno passato per arrivare fin qui. Non dopo tutto quello che dovranno ancora affrontare.
 
Le sorride, stringendole lievemente il braccio prima di lasciarla andare e girare un’altra volta sui tacchi. Fa giusto un passo perché, di nuovo, una voce femminile lo fa bloccare sui suoi passi, con un “ehi, non stai dimenticando qualcosa?”, pronunciato scimmiottando quasi perfettamente la voce di Camilla.
 
Si volta verso Livietta, guardandola sbigottito, non capendo dove voglia andare a parare, lanciando un’occhiata anche a Camilla che sembra sbalordita quanto lui.
 
“Non starai dimenticando queste?” gli domanda, con voce questa volta normale, Livietta, facendo penzolare le chiavi di casa di Gaetano tra due dita e aggiungendo con una mezza risata, “o volevi scassinare o sfondare la porta?”
 
Riesce ad afferrarle al volo appena prima che lo colpiscano sul petto.
 
“Non sai che i poliziotti in queste cose sono quasi meglio dei ladri?” commenta Camilla, alzando un angolo della bocca e guardandolo in quel modo che lo fa impazzire, mentre lui coglie perfettamente il riferimento al primo scambio di battute in assoluto che avevano avuto. Ricorda benissimo che aveva solo desiderato di riuscire a farla stare zitta almeno per un secondo, non aveva ancora capito – ma l’avrebbe fatto presto – come avrebbe voluto riuscire a farla stare zitta.
 
“Siamo spiritose stamattina, eh?” le canzona, prima di alzare le mani in segno di resa, “ho capito, mi conviene arrendermi e andarmene, visto che sono in minoranza.”
 
Un ultimo sorriso e si avvia verso la porta di ingresso, chiudendola dietro di sé.
 
“Pavimento e poi doccia?” propone Camilla, mentre Livietta si limita ad annuire.
 
Puliscono la cucina in un silenzio quasi perfetto, mentre il clima tra loro ritorna decisamente più serio e più triste.
 
“Livietta, ascolta…” esordisce Camilla, trovando finalmente il coraggio di parlare, ma la figlia la interrompe subito.
 
“Mamma, lo so quello che vuoi dirmi…” sospira Livietta, smettendo di asciugare il mobile e guardandola negli occhi, “che papà è nell’appartamento qui sotto e che dovrei andarci a parlare ma-“
 
“Come fai a saperlo?”
 
“Se intendi di papà, me l’ha detto Gaetano ieri sera. Se intendi come faccio a sapere quello che avresti voluto dirmi… ti conosco, mamma!” replica Livietta con un mezzo sorriso agrodolce, “ma non mi sento pronta per… per affrontarlo, non stamattina. E poi… vorrei che fosse lui a venire da me, lo capisci? Sarà stupido ma… io gli ho detto quello che gli dovevo dire… forse avrò esagerato ma… ma ora tocca a lui, se davvero vuole chiarire con me… deve avere almeno il coraggio di affrontarmi, di affrontare il problema.”
 
“Livietta, è che-“
 
“Secondo te pretendo troppo, mamma?!” la interrompe trafiggendola con un’occhiata tra il polemico e il malinconico.
 
“No… però… forse pretendi troppo da tuo padre per come… per come sta in questo momento, Livietta: ieri sera era davvero distrutto. Non lo dico per farti sentire in colpa ma perché è la verità. Non so se tuo padre riesce ad affrontarti in questo momento, già non è nel suo carattere affrontare i problemi di petto e meno che mai adesso,” le spiega, poggiandole una mano sulla spalla, “voglio solo che tu sappia che ti ha ascoltata ieri sera, Livietta, e secondo me ha capito quello che volevi dirgli. Come ti ho ascoltata e ti ho capita anch’io, ma… qualunque cosa succeda, vorrei che anche tu capissi una cosa.”
 
“Che cosa?” domanda Livietta, non spostando di un millimetro lo sguardo dai suoi occhi.
 
“Tuo padre con… con Passarelli e poi Barcellona, Carmen… tuo padre si è allontanato da me, non da te e-“
 
“Mamma, per favore, basta con queste scuse, queste frasi da manuale: tuo padre ha lasciato me e non te, saremo sempre una famiglia, anche se non siamo più una coppia, tutte palle e lo sai,” sbotta Livietta, scostandosi dal suo tocco.
 
“Lo so, lo so, che suona come una frase fatta ma è così, Livietta. Era… la convivenza con me che tuo padre evidentemente non sopportava più, Livietta, non te e-“
 
“E anche se fosse, a me che me ne frega, mamma, visto che il risultato finale non cambia? Papà avrà voluto allontanarsi da te, ma si è allontanato anche da me, quindi...”
 
“Quindi ha sbagliato, ma succede, Livietta. Siamo esseri umani e facciamo errori, tutti i giorni. Però… quando stava con Carmen, soprattutto poi quando è venuto a Roma, avevate un bel rapporto, no? A lui faceva piacere passare il suo tempo con te e a te con lui, non-“
 
“Peccato che non facesse piacere a Carmen, mamma! Non così spesso, almeno,” le fa notare, sarcastica.
 
“Ma tuo padre comunque ti avrebbe sempre tenuta con sé, se avesse potuto. E tra Carmen e te, Livietta, tuo padre ha scelto te e sceglierà sempre te!”
 
“In teoria, forse, ma in pratica non è così, mamma, e lo sai anche tu, visto quello che è successo anche qui a Torino. Vorrei solo che almeno fosse onesto e lo ammettesse…”
 
“Il problema di nuovo ero io e non tu, Livietta. Probabilmente né io né tuo padre riuscivamo ad accettare che… non riuscivamo più a stare bene insieme, che stavamo meglio separati. Che eravamo due genitori migliori da separati. E abbiamo preso al volo ogni scusa possibile per non stare insieme nella stessa casa troppo a lungo, per… per rimandare il momento in cui avremo dovuto guardare in faccia la realtà. Lo so che ci sei andata di mezzo tu, Livietta, e mi dispiace, ma è stata anche colpa mia, non solo di tuo padre.”
 
“Ma tu ci sei sempre stata, mamma, sempre. Quando sei stata lasciata, quando hai lasciato tu, quando lavoravi, quando non lavoravi, tu c’eri, mamma, sei sempre stata con me!”
 
“Perché… perché vivevi con me, Livietta, perché, per mia immensa fortuna, sei sempre stata affidata a me in maniera prevalente e-“
 
“Non è solo questo, mamma, e lo sai. Tu non avresti mai accettato di andare a lavorare a centinaia di chilometri di distanza da me, piuttosto avresti rinunciato al tuo lavoro e-“
 
“È vero, l’avrei fatto, l’ho fatto. Ma sono stata davvero male a Barcellona, Livietta. Non perché non ti volessi bene, o non mi bastassi tu, ma perché… ognuno di noi ha bisogno di… di diverse cose nella vita, Livietta. Anche tu, pure se io e tuo padre fossimo sempre qui a tua disposizione, a casa, felici, sereni, disposti a fare tutto quello che vuoi, vorresti passare tutto il tempo con noi?” le domanda, poggiandole di nuovo la mano sulla spalla.
 
“Beh… no…. Ho i miei amici, la mia vita, non ho più cinque anni e-“
 
“Ed è giusto, Livietta, è sano! È sano che tu abbia altri interessi, abbia una vita, a parte noi, che noi siamo parte della tua vita ma non tutta la tua vita. E non perché ci vuoi meno bene di quando avevi cinque anni, ma perché hai esigenze diverse, bisogni diversi. E lo stesso vale per chiunque, superati forse i primissimi anni dell’infanzia. Se dovessi scegliere tra te e il mondo, Livietta, sceglierei sempre te, ma ciò non toglie che… che ho bisogno anche del mondo, che abbiamo bisogno anche del mondo, di altre persone, di altri interessi, per essere persone soddisfatte, equilibrate, serene. E quando sono serena, sono anche una madre migliore per te, Livietta, me ne sono resa conto ancora di più in questi ultimi due mesi. Credo che… che nonostante tutto il nostro rapporto sia migliorato, no?”
 
“Sì, è vero… perché… perché ti vedo che sei contenta, che… che non sei più finta, che non reciti davanti a me. Che hai voglia e le energie di stare con me, e soprattutto che sei davvero con me, al cento per cento, anche con la testa, che non stai da un’altra parte con i pensieri. È anche per questo che… che sono grata a Gaetano, mamma, perché ti rende felice e… e ha migliorato l’atmosfera in casa,” concede Livietta con un sospiro, abbassando lo sguardo.
 
“Livietta, lo so che da quando siamo arrivati a Torino, fino a… fino a due mesi fa, anche io ho passato più tempo fuori casa che in casa. Più tempo a casa di Gaetano che qui, forse più tempo con Tommy che con te,” ammette, anche se a fatica, sollevandole il mento per guardarla negli occhi, “e non l’ho fatto certo perché… perché due mesi fa ti volessi meno bene che adesso, o perché voglia più bene a Tommy che a te o a Gaetano che a te. Tu sei e sarai sempre la persona più importante della mia vita, Livietta, la cosa più bella che abbia mai fatto in vita mia. Però… se passavo tanto tempo con loro non era solo perché Gaetano aveva bisogno di una mano con Tommy, come mi dicevo, ma perché… perché Gaetano mi dava quello che… che ormai io e tuo padre non riuscivamo più a darci a vicenda e-“
 
“Mamma, i dettagli no, per favore!” la interrompe Livietta con un mezzo sorriso commosso e un tono fintamente scandalizzato.
 
“Non intendo quello, Livietta!” ribatte con una mezza risata, dandole un buffetto sul braccio, “intendo il… supporto emotivo, il parlarsi, il condividere, il consolarsi – di nuovo, non in quel senso – il farsi forza a vicenda, il… il riuscire a dirsi in faccia tutto quello che le altre persone non riusciranno mai a dirti, nel bene e nel male. Io e tuo padre non ci riuscivamo più, da tanti anni, Livietta, forse ci riuscivamo di più quando eravamo separati di quando stavamo insieme. E quando me ne sono resa conto… è stato allora che ho capito che il matrimonio tra me e tuo padre era davvero finito. E anche tuo padre, come me, aveva bisogno di tutto questo, e l’ha cercato e trovato in Carmen, nel loro lavoro.”
 
“Peccato che il suo lavoro e Carmen escludano me, mamma-“
 
“Non è detto… forse non si adattavano tanto alle esigenze che avevi quando eri più piccola, ma ora secondo me tu e tuo padre potreste trovare un punto di incontro, no? Lui ha bisogno di te e vorrebbe passare più tempo con te, te lo sta dicendo in ogni modo, forse dovresti dargliene la possibilità e-“
 
“Ed è troppo comodo, mamma, non credi? Che ora che si sente solo gli torna la voglia di stare con me! Dov’era negli scorsi mesi, negli scorsi anni, eh? Quando avevo io bisogno di lui e mi dovevo accontentare di vederlo a volte tre o quattro giorni al mese, se andava bene!” esclama Livietta, alzando la voce, triste e rabbiosa.
 
“Livietta, lo so, ti ripeto, tuo padre ha sbagliato, come del resto anche io ho sbagliato. E il passato non si cancella, non si cambia, ormai è lì, è andata così, che ci piaccia o no. Ma possiamo imparare dai nostri errori, voltare pagina e fare qualcosa per cambiare in meglio, Livietta, per essere genitori migliori per te, da adesso in poi. E tu hai ancora bisogno di tuo padre, Livietta, tanto quanto lui ha bisogno di te, e se tu per rabbia, per ripicca, per orgoglio, non gli dai la possibilità di avvicinarsi a te, se lo allontani definitivamente, non sarà solo lui a perderci, ma anche e soprattutto tu,” le ricorda, accarezzandole i capelli, “riflettici, ok?”
 
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“Hola?!”
 
“Carmen?”
 
“Renzo?! Por dios, estás loco? Aquì son las dos de la mañana!” esclama la voce rauca ed impastata dal sonno, in Spagnolo, come, lo sa bene, succede sempre quando è mezza addormentata, per poi aggiungere, in un sussurro preoccupato, “te pasa algo?”
 
“Lo so che lì a New York è notte fonda ma… ho bisogno di parlare con qualcuno o impazzisco e…”
 
“Che succede? Non stai bene? Livietta? Camilla?” domanda la donna, che ormai lo conosce fin troppo bene.
 
“Who the hell is calling you at these hours?!” sbotta una voce maschile, un po’ attutita ma decisamente assonnata ed arrabbiata.
 
“Renzo… he’s-“
 
 “The Italian again?! What the hell does he want now?! It’s-”
 
“Honey, please, it’s an emergency… go back to sleep, I’ll be back in a minute, ok?” la sente rassicurarlo nel suo inglese con la tipica pronuncia spagnola. Rumore di passi ed una porta che si chiude.
 
“Allora? Non farmi preoccupare, che è successo?”
 
“Scusami, lo so che ti creo sempre problemi, ma-“
 
“Renzo, che è successo?!” taglia corto, l’ansia evidente nel tono di voce.
 
“Ho litigato con Livietta e-“
 
“Renzo, tu litighi con Livietta un giorno sì e quello dopo pure! E mi chiami alle due di notte per questo?!” esclama, con tono incredulo e a dir poco alterato, “non potevi aspettare qualche ora?!”
 
“No, Carmen, non è come le altre volte… mia figlia mi odia a morte e… non so più cosa fare…” ammette, sentendo le lacrime pungergli gli occhi e tentare nuovamente di uscire, “scusami, ho sbagliato a chiamare, io-“
 
“No, aspetta, aspetta,” lo interrompe, prima che ceda all’impulso di riagganciare, “scusami tu. Lo so che non mi avresti telefonato a quest’ora se non era importante. Dai, raccontami tutto…”
 
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“Buonissimi, grazie Livietta! E grazie Camilla per il cappuccino: fare colazione qui è meglio che al bar!”
 
“Adulatore! Diciamo che fingo di crederci…” ribatte Camilla con un sorriso, toccandogli il ginocchio sotto all’isola della cucina.
 
“No, mamma, Gaetano ha ragione: sei bravissima a fare il cappuccino. Peccato che la maggior parte delle mattine rimani addormentata e quindi al massimo ci dobbiamo accontentare di latte e cereali. Quindi, Gaetano, non illuderti: di solito mia madre prima delle otto del mattino o di un caffè doppio non connette,” la punzecchia Livietta, guadagnandosi un pizzicotto sull’avambraccio.
 
“Ah, se è per quello nemmeno io: se potessi mi sveglierei tardissimo e andrei a dormire tardissimo. Sono un po’ nottambulo…”
 
“Ma se ti ho visto tornare da correre alle sette del mattino!” gli fa notare Livietta con un sorriso, per poi aggiungere, ironica, facendo loro l’occhiolino, “anche se la tua solidarietà nei confronti di mamma è quasi commovente.”
 
“Infatti ho detto, se potessi. Ma non posso: devo allenarmi e la sera quando torno dal lavoro preferisco di gran lunga dedicarmi ad altro e-“
 
“Diciamo pure ad un’altra,” lo punzecchia nuovamente Livietta, ridendo quando sua madre le dà un altro pizzicotto, questa volta alle costole.
 
“Siamo davvero spiritose stamattina… sono contento,” commenta Gaetano, sorridendo di fronte al modo affettuoso in cui madre e figlia si prendono in giro, sapendo che significa che il loro rapporto, almeno, non è stato intaccato da quello che è successo negli ultimi giorni, anzi sembra ancora più sereno e forte di prima.
 
“A proposito di lavoro… mi sento in colpa: non ti staremo facendo fare troppo tardi?” domanda Camilla, guardando l’orologio che ormai segna quasi le nove.
 
“No, tranquilla, Camilla: ho già parlato con Torre e andrò subito dopo pranzo, mi sono preso la mattinata libera. Questo significa però che tornerò un po’ più tardi stasera e non so se ci sarò per cena.”
 
“In realtà nemmeno io ci sono per cena: vado con Cristina e Lucrezia al pub a vedere Savino suonare. Ti ricordi, no, mamma? E prima andiamo a farci un aperitivo,” si inserisce Livietta con nonchalance: sarebbe sì andata a sentire Savino suonare, ma quella dell’aperitivo era una scusa per uscire prima ed andare all’allenamento extra con l’istruttore.
 
Al nominare Savino, Camilla e Gaetano si lanciano un’occhiata: sanno che dovranno ringraziare il ragazzo per l’aiuto loro dato. Gaetano l’aveva bloccato appena in tempo prima che partisse alla ricerca di Livietta nei locali di mezzo torinese.
 
“E ti ho già detto che vengo a prendervi al pub, prima che-“

“Che a papà venga un infarto lo so, lo so,” sbuffa Livietta, aggiungendo poi con un sorriso, “ma perché non venite anche voi a sentire Savino? Tanto inizia alle undici passate, tu mamma puoi aspettare Gaetano fino a che rientra dal lavoro, mangiate qualcosa da qualche altra parte se volete e poi ci raggiungete.”
 
“E a te sul serio non dà fastidio?” domanda Camilla, stupita da questa iniziativa della figlia.
 
“No, però a patto che vi mettete su un tavolo lontano dal nostro… più che altro almeno Lucrezia si tiene a distanza da Gaetano,” commenta con un sorrisetto sarcastico. La verità è che vuole essere sicura che sua madre dalle diciotto in poi rimanga a casa ad aspettare Gaetano e le raggiunga solo più tardi. E che entrambi si tengano alla larga da una certa palestra. Si sente un po’ in colpa, ma non vuole mettere nei guai l’istruttore.
 
“L’importante è che Lucrezia – e tutte voi – vi teniate lontane dall’alcol,” ribatte Camilla con un’occhiata eloquente, che fa capire sia a Livietta, sia a Gaetano, quanto è seria, “io un’altra scena come quella della discoteca non la voglio ripetere e non la voglio nemmeno infliggere a Gaetano – o alle sue scarpe.”
 
“Messaggio ricevuto, mamma,” sospira Livietta con un sorriso.
 
“Bene, tu Gaetano allora che fai adesso? Ti fermi con noi anche a pranzo?”
 
“No, grazie, Camilla. Magari il pranzo lo faccio con un panino al volo, così vado un po’ prima in ufficio e torno un po’ prima di quanto pensassi. Almeno non ti faccio aspettare troppo stasera… e adesso-“
 
“A proposito di correre ed allenarsi, perché non ci andiamo a fare una corsa insieme e ci alleniamo un po’? Se non ti scoccia… visto che hai la mattinata libera…” si inframmezza Livietta, aggiungendo, vedendo l’occhiata della madre, “mamma, no, non vado a parlare con papà stamattina, mi dispiace ma non ci riesco, è troppo presto.”
 
“D’accordo, d’accordo…” abbozza Camilla con un sospiro, sapendo che la cosa a Renzo non piacerà ma non potendo forzare Livietta.
 
“Allora… che facciamo? Ci cambiamo in qualcosa di più comodo e ci troviamo tutti giù tra… dieci minuti?” propone Gaetano rivolto soprattutto a Camilla.
 
“Andate pure solo voi due, io per stavolta passo. Forse è meglio se questi allenamenti li facciamo… separatamente,” ammette Camilla con un sorriso imbarazzato, per poi aggiungere, ricambiando lo sguardo di Gaetano, “e così sistemo un paio di cose e preparo qualcosa per te da portarti via e mangiare in ufficio e il pranzo per noi.”
 
“Grazie, però… adesso sei tu che mi fai sentire in colpa! E così mi vizi, professoressa,” replica Gaetano, chiedendosi se Camilla voglia lasciarlo da solo con Livietta perché le parli o se vuole stare da sola per andare a parlare con Renzo. O forse entrambe le cose.
 
“Goditela, finché dura, Gaetano, dammi retta! Prima che ritorni alla fettina della professoressa o, peggio, alle uova al tegamino,” commenta Livietta, ridendo quando si prende l’ennesimo pizzicotto dalla madre.
 
“Guarda, Livietta, rispetto a quello che mangio di solito, non potrei in ogni caso lamentarmi,” ammette Gaetano, non potendo evitare un’esclamazione di sorpresa mista a dolore quando Camilla gli assesta una lieve gomitata nel fianco.
 
“Quindi mi stai dicendo che la mia cucina ti piace solo perché è meglio del cibo carbonizzato?” gli domanda con un sopracciglio alzato ed aria fintamente offesa.
 
“No, la tua cucina mi piace perché cucini bene, sia quando fai piatti elaborati, sia quando cucini per tutti i giorni. Ma mi piace soprattutto perché lo fai con il cuore e… è la prima volta da anni che… che qualcuno impiega parte del suo tempo, delle sue energie per… per farmi stare bene, Camilla. Che qualcuno si preoccupa così per me… non solo che io mangi ma… che io stia bene, in tutti i sensi. E soprattutto è la prima volta in assoluto che mi sento così… coccolato da qualcuno e che mi sento accolto in una famiglia che non sia quella di mia sorella. Quindi anche se fosse tutto carbonizzato… sarei comunque grato e proverei ad assaggiarlo, come del resto tu hai provato ad assaggiare i miei terribili biscotti,” proclama, stupendosi delle sue stesse parole mano a mano che escono dalla sua bocca, ma non potendo evitarlo, per poi cercare di sdrammatizzare, vedendo lo sguardo commosso di Camilla, “poi ovviamente ti manderei il conto del medico e della lavanda gastrica.”

“Scemo…” sussurra, profondamente toccata, cedendo all’impulso di buttargli le braccia al collo e stringerlo più forte che può.
 
“Va beh, voi due ormai siete irrecuperabili! Mi sa che è meglio se vado a correre da sola!” commenta Livietta sarcastica, ma con gli occhi che sembrano un po’ lucidi, mentre loro sciolgono l’abbraccio e la guardano, imbarazzati.
 
“No, no, adesso vado… vado a cambiarmi e ci vediamo giù tra cinque minuti, ok? Noi ci vediamo dopo,” risponde Gaetano, rosso come un peperone, scambiandosi un ultimo sguardo con Camilla e sparendo nel corridoio d’ingresso e poi oltre la porta.
 
“Che c’è?” chiede Camilla a Livietta, vedendo che la figlia non si muove per andarsi a cambiare e anzi, continua a fissarla.
 
“C’è che a volte mi piacerebbe sapere come ti vede lui, mamma. Vederti per un attimo come ti vede lui. E mi chiedo se troverò mai qualcuno che… che mi guarda come lui guarda te, che mi vede come lui vede te,” ammette Livietta, aggiungendo poi con un sorriso, “ovviamente da sobrio e senza l’aiuto di… strane sostanze. Se no è facile!”
 
“Ah, ah,” ribatte Camilla, fingendo una risata risentita, per poi sollevarle il viso con il mento e guardarla negli occhi, “Livietta, non so come Gaetano mi veda esattamente e me lo chiedo spesso anche io. Di sicuro molto meglio di come sono in realtà. Ma tu… tu sei bellissima e buona e intelligente, quindi ti basterà trovare qualcuno che ti veda esattamente come sei e che sappia apprezzare l’immensa fortuna che è averti accanto. E succederà prima o poi, devi solo avere un po’ di pazienza e di prudenza. Anche perché hai tutta la vita davanti.”
 
Livietta annuisce con un sorriso, per poi abbracciarla nuovamente ed avviarsi con lei verso la sua stanza.
 
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“Capisci? Io non so più cosa fare!” sbotta prima di aggiungere, sentendo solo silenzio dall’altra parte della cornetta, “Carmen ci sei?”
 
“Sì, Renzo, ci sono, come sempre…” sospira Carmen dall’altra parte della linea.
 
“Scusami, lo so che forse non avrei dovuto raccontarti quello che ha detto Livietta su di te e… su noi due quando stavamo insieme, ma non so con chi parlarne e-“
 
“Con lei magari?” lo interrompe Carmen, con un tono vagamente sarcastico.
 
“Sei arrabbiata?”
 
“Con chi? Con te per avermi svegliata alle due di notte? Ancora non lo so. Con Livietta per avere detto la verità? No,” risponde con un altro sospiro.
 
“La verità? Ma-“
 
“La verità, Renzo, la verità. Figli non ne ho e non so se voglio averne, non mi sono mai mancati. Livietta mi è sempre stata simpatica, le voglio bene, non ho nulla contro i bambini, anzi, mi piacciono, ma mi piace anche il mio lavoro, la mia indipendenza, poter pensare che se domani ho un progetto dall’altra parte del mondo che mi interessa, posso trasferirmi senza problemi. Questo non mi rende la mamma ideale, la moglie o la compagna ideale, un sacco di uomini mi hanno mollata o io ho mollato loro quando mi sono stancata di dovermi giustificare per essere quella che sono e fare quello che mi rende felice. Le uniche relazioni che hanno funzionato per più tempo, sono state quelle con te, perché lavoravamo insieme, e con Jack, perché anche lui ama la sua indipendenza, anche se a volte penso che non mi sopporta più.”
 
“Carmen, io-“
 
“Almeno io so chi sono e guardo in faccia la realtà: non sono una santa ma non sono nemmeno il demonio. E forse dovresti farlo anche tu, Renzo, per una volta!”
 
“Cosa, ma che vuoi dire?” domanda lui, non capendoci più niente, stupito e imbarazzato dalla piega che ha preso questa telefonata.
 
“Che non sei il marito e il padre perfetto, tutto casa e famiglia, che ti sei sempre messo in testa di essere, Renzo. Che vuoi bene a tua figlia, sì, ma non vivi solo per lei. Che ti piace anche il tuo lavoro, i progetti, il successo, viaggiare. Che quando stavi con me a Barcellona, senza Camilla e vedendo poco Livietta, non stavi male. Che quando eravamo a Roma tutti insieme, ti piaceva anche passare del tempo solo con me, senza Livietta, e a volte la lasciavi volentieri a Camilla. Che ti piaceva passare del tempo con lei, ovviamente, e avevi voglia di vederla, ma avevi bisogno anche di altro. Che se ti fossi raccontato meno palle nell’ultimo anno, se avessi accettato il fatto che non sopportavi più la convivenza con tua moglie e il suo rapporto con Gaetano, forse avresti passato più tempo con Livietta e meno a lamentarti con me. Che è quello che dovresti fare anche adesso, Renzo: mettere giù questo telefono, andare da tua figlia e dirle che le vuoi bene e passare del tempo con lei, senza farti tante paranoie e-“
 
“E la fai facile tu, ma Livietta non mi ascolta, non vuole passare del tempo con me, lei-“
 
“Se non volesse passare del tempo con te, Renzo, non si sarebbe lamentata del fatto che le sei mancato in questi anni, in questi mesi, no? Vai da lei e stai con lei, anche in silenzio, fino a che non ti ascolta. Proponile di fare qualcosa che piace a lei e stai con lei fino a che non si stufa e vuole andarsene dai suoi amici o dal suo fidanzatino o da-“
 
“Gaetano!”
 
“Eh?! Che c’entra Gaetano?”
 
“Livietta è… è in cortile con Gaetano stanno… stanno andando a correre! Maledizione! Devo andare, Carmen, io-“
 
“No, ferma, ferma… fermati, maldita sea, Renzo!” quasi urla quando lo sente incamminarsi, bloccandolo sui suoi passi, “Livietta è andata a correre con Gaetano, e allora?! Che vuoi fare? Correre dietro a loro che corrono? Estás loco?! Le parlerai quando torna, no? Senza metterla in imbarazzo in mezzo ad una strada o ad un parco o dove diavolo stanno andando!”
 
“Non capisci… è che… Livietta passa troppo tempo con… con quello lì! O non hai capito che tutte le cose che mi ha detto su di te e su di me le ha dette per difendere lui e-“
 
“Livietta quelle cose le ha dette per colpire te, Renzo, non per difendere Gaetano, che mi sembra che si difende benissimo da solo. E anche se Livietta passa del tempo con Gaetano, che problema c’è? Non dirmi che sei geloso! Gaetano non è suo padre e non prenderà mai il tuo posto, Renzo.”
 
“Appunto!”
 
“Appunto?”
 
“Appunto che non è suo padre, Carmen!”
 
“E quindi qual è il proble-?” domanda la donna, stupita, prima di interrompersi, “no, no, no, tu non penserai… quello che penso che tu pensi, Renzo? Estás loco de verdad?!”
 
“No, non sono loco, Carmen. Sto benissimo e… non mi piace che Livietta passi tutto questo tempo da sola con un uomo che le gira intorno mezzo nudo e che è un playboy che ha avuto storie con un sacco di donne di poco più grandi di mia figlia, io-“
 
“Mah… io di donne di Gaetano ho solo conosciuto Eva che mi sembra bella adulta e-“
 
“E tutte le altre sue donne? La Venere del Botticelli? Alba? Dai, te le ricorderai anche tu, no?”
 
“Non so di che donne parli, Renzo: io da quando sono tornata a Torino e ho conosciuto Gaetano l’ho visto solo con Eva e con tua - con Camilla,” gli fa notare Carmen, correggendosi in tempo prima di dire tua moglie.
 
“Ah, sì, è vero… forse l’ultima vittima, Alba, è stata poco prima che arrivassi tu a Torino e-“
 
“E io non sono venuta a Torino due settimane o due mesi fa, Renzo. Mi sembra evidente che è un sacco di tempo che l’unica donna che interessa a Gaetano è Camilla, e ti garantisco che, per come li ho visti, anche se gli passa vicino la donna più bella del mondo, non gliene frega niente. Non mi sembra proprio un playboy, e soprattutto non mi sembra il tipo che corre dietro alle ragazzine dell’età di Livietta, anzi, il contrario.”
 
“Perché Camilla è più grande di lui?”
 
“Anche, ma… Renzo, gli uomini che vanno dietro alle adolescenti lo fanno non solo perché sono belle e giovani, ma anche perché possono avere un… potere su di loro. Perché, me lo ricordo bene, purtroppo, a quell’età anche se ci si sente grandi… non si ha esperienza, si fa più fatica a riconoscere le… le fregature e si ama in quel modo… senza riserve, senza barriere, senza protezioni,” sospira Carmen, prima di aggiungere, come se stesse dicendo un’ovvietà, “mentre… che cos’hanno in comune Eva e Camilla, Renzo? Che sono due donne forti, indipendenti, con un carattere così! Cioè l’opposto delle ragazzine. E poi Livietta non sarà mai una donna per Gaetano, nemmeno tra dieci anni o vent’anni, come non lo sarà mai per me. È come una nipotina che ho visto crescere, Renzo, e lo stesso sicuramente è per lui.”
 
“Ma non-“
 
“E conosco tua figlia e so che non farebbe mai una cosa del genere a Camilla. E, in ogni caso, sicuramente nemmeno lei vede Gaetano come un uomo. Non siamo mica in una telenovela o in Beautiful!”
 
“Carmen, maledizione, sono serio! Perché non capisci? Il problema-“
 
“Renzo, lo sai qual è il vero problema? Sia per te che per tua figlia?” lo interrompe Carmen con un altro sospiro, il tono di voce evidentemente irritato.
 
“Il vero problema?” ripete, non capendo di nuovo dove la donna voglia andare a parare.
 
“Il fatto che a volte sembra che vedi Livietta come se fosse tua moglie o la tua fidanzata e-“
 
“Ma sei impazzita?! Io-“
 
“Non in senso letterale, ovviamente, Renzo! Ma se Livietta ha un ragazzo o un fidanzato, tu sei geloso e ti metti in competizione con lui. E anche Livietta fa così se tu hai un’altra donna. Ricordo com’era con me all’inizio. Camilla ti ha lasciato e si è messa con Gaetano, è vero, e… Gaetano in un certo senso ti ha portato via Camilla, ma non ti porterà mai via Livietta, a meno che tu non continui a comportarti come un idiota. Non te la porterebbe via nemmeno se fossimo davvero in una telenovela e Gaetano e tua figlia avessero una relazione e-“
 
“Non dirlo nemmeno per scherzo, Carmen! La sola idea-“
 
“Quello che voglio dire è che nessun fidanzato di tua figlia prenderà mai il tuo posto, Renzo. Che nessun altro uomo prenderà mai il tuo  posto. Come nessuna donna prenderà mai il posto di tua figlia nella tua vita. L’unico che può rovinare il tuo rapporto con Livietta sei tu Renzo, e lo stesso vale per lei. Non c’entra né Gaetano, né Camilla, né nessun altro, soprattutto visto che Livietta è grande ormai e ragiona con la sua testa,” ribadisce Carmen, con tono deciso, per poi aggiungere, in modo quasi duro, “quindi, te lo ripeto, tu adesso ti calmi, ti sistemi e aspetti che tua figlia sia di nuovo a casa e la vai a trovare, senza stare in agguato quando torna dalla corsa con Gaetano, però. Quando è a casa tranquilla vai e le parli e se ti respinge ritorni domani e dopodomani e insisti, la ascolti, senza fare scenate. E le fai capire con i fatti che tieni a lei, Renzo, che è più importante lei del tuo orgoglio ferito da Camilla e da Gaetano. E che questo non cambia anche se hai un tuo lavoro che ti piace, se non stai sempre a Torino ma viaggi, se avrai di nuovo un’altra donna e-”
 
Il rumore del campanello lo fa sobbalzare.
 
“Scusami, Carmen, ma suonano alla porta. Aspettavi visite?” le domanda Renzo, visto che, in fondo, si trova a casa di lei.
 
“Almeno non hai perso del tutto il tuo senso dell’umorismo,” ribatte Carmen, con tono che sembra più morbido, forse sollevato, “ti lascio andare, così io torno a letto prima che Jack mi butti fuori di casa.”
 
“Grazie, Carmen, davvero e… scusami: non so come fai a sopportarmi,” ammette Renzo, sapendo che, soprattutto nell’ultimo periodo, ha approfittato fin troppo di lei. Ma non può farne a meno.
 
“Io ti scuso se non fai più l’idiota e torni ad essere il Renzo che ho sempre conosciuto e am-… e ammirato,” replica Carmen, aggiungendo, dopo un attimo di silenzio, “e soprattutto se non mi chiami più alle tre di notte a meno che qualcuno sta per morire o è già morto.”
 
“Messaggio ricevuto,” concede Renzo, dovendo ammettere che, come sempre, si sente più sereno e rilassato dopo aver parlato con lei, “un beso.”
 
“Un beso,” la sente mormorare, nel loro solito saluto, prima di chiudere la comunicazione.
 
“Arrivo, arrivo!” grida, sentendo di nuovo il campanello, correndo verso la porta, vestito ancora con gli abiti della sera prima, aprendola e trovandosi davanti Camilla con un vassoio in mano.
 
“Ti ho portato la colazione,” annuncia, superandolo e facendosi strada verso la cucina, “dubito che Carmen abbia ancora qualcosa in dispensa.”
 
“Grazie…” mormora, sorpreso dal gesto di lei, che gli riporta alla mente i tempi della loro prima pausa di riflessione, quando lui dormiva nell’appartamento di Andreina, convertito in studio.
 
La osserva in silenzio mentre gli versa il caffè dalla moka, nero come piace a lui, e glielo porge insieme ad un cornetto.
 
“Addirittura il cornetto? Mamma mia… dovevo proprio essere messo male ieri sera, se ti sei data tutto questo disturbo per me, abbandonando il latte e i cereali,” commenta, ironico, ma non sarcastico, sentendo uno strano senso piacevole al petto di fronte a questa premura di Camilla.
 
La verità è che non era più abituato alle premure di Camilla… da secoli, da ben prima che lo piantasse in asso per il poliziotto-super-più. Da prima ancora di Torino. Forse l’ultima volta in cui era stata davvero premurosa con lui, in cui l’aveva messo al centro della sua vita era stata, ironicamente, quando Carmen era stata accusata di omicidio.
 
“Che c’è?” le domanda, vedendola trattenere un mezzo sorriso.
 
“C’è che la lamentela su latte e cereali me l’ha appena fatta anche Livietta. Vi somigliate, Renzo, e non solo fisicamente, anche se non te ne rendi conto. E comunque devi ringraziare lei per i cornetti, visto che è lei che è andata a comprarli,” chiarisce, accomodandosi sullo sgabello accanto al suo.
 
“Non per me, immagino,” commenta, non riuscendo a trattenere il dolore e l’amarezza.
 
“Renzo… lo sai che-“
 
“L’ho vista, sai?” la interrompe, prima che possa dargli qualche giustificazione.
 
“L’hai vista…?” domanda Camilla, guardandolo preoccupata.
 
“L’ho vista andare a correre… con Gaetano,” specifica, bevendo un sorso di caffè quasi a voler scacciare l’amaro di bocca con altro amaro.
 
“Sì,” conferma Camilla, guardandolo fisso negli occhi, quasi volesse sfidarlo a fare qualche commento in proposito, “sarei dovuta andare con loro, ma ho preferito rimanere qui, in modo che Livietta potesse sfogarsi, sfogare la rabbia, sia con lo sport che con Gaetano, e in modo che io potessi venire a parlare con te, senza Livietta presente.”
 
“Quindi Gaetano è il pungiball di Livietta? O il suo analista? Non sapevo avesse una laurea in psicologia,” commenta Renzo, non riuscendo a trattenere il sarcasmo.
 
“Gaetano la ascolta e la capisce, Renzo, meglio di quanto riusciamo a fare noi due, probabilmente perché siamo i suoi genitori e, se non te ne fossi accorto, il rapporto con i genitori durante l’adolescenza – e pure dopo in realtà – è parecchio complicato. Livietta con lui sta bene, si fida di lui, si confida e si sfoga e soprattutto lo ascolta, Renzo. E sinceramente, anche se tu non sarai d’accordo con me, preferisco che Livietta ascolti i consigli di Gaetano, piuttosto che delle sue amiche, per quanto non siano delle cattive ragazze, anzi,” ribadisce Camilla, guardandolo di nuovo negli occhi per studiare la sua reazione.
 
“Fossi in Gaetano sarei lusingato e commosso dal fatto che tu mi ritenga un’influenza più positiva e matura di Betty Boop,” ironizza, strappandole un mezzo sorriso che lo sorprende, per poi aggiungere, più serio, “ma, anche se lo so che non sarai mai d’accordo con me, a me il fatto che il poliziotto-super-più abbia tutta questa influenza su nostra figlia… non-mi-piace. E perché sorridi?”
 
“Perché mi sembra di sentire Eva per quanto riguarda Tommy…. Renzo… te lo ripeto per l’ennesima volta, Livietta non è ancora una donna, ok, ed è sicuramente influenzabile, come tutte le ragazze della sua età, ma relativamente, perché non è una bambina e ha le sue idee ben chiare. E se ascolta Gaetano è perché i suoi consigli funzionano, perché le dice la verità, e lei lo percepisce: non è che se Gaetano le consiglia di buttarsi da una rupe lei lo fa.”
 
“Ci mancherebbe altro!”
 
“E, se lo vuoi sapere, li ho… ascoltati, Renzo, li ho osservati, una volta che Livietta si stava confidando con lui, anche se involontariamente, e Gaetano ha consigliato a Livietta esattamente quello che le avrei consigliato io, se avessi potuto farlo. Forse non quello che le consiglieresti tu, visto che, fosse per te, dovrebbe rimanere murata in casa fino ai trent’anni,” ironizza, lanciandogli un’altra occhiata.
 
“Quindi mi stai dicendo… che per rientrare nelle grazie di mia figlia devo sperare che il poliziotto-super-più interceda per me? O, peggio, pregarlo di farlo?” le chiede, ricambiando l’occhiata, non riuscendo di nuovo a nascondere l’amarezza.
 
“No, Renzo, anche perché Gaetano lo sta sicuramente già facendo, l’ha già fatto, anche se tu, di nuovo non ci crederai,” ribatte Camilla con un sospiro, per poi aggiungere, trapassandolo da parte a parte con uno di quegli sguardi di fronte ai quali si è sempre sentito nudo, “lo so che tu non lo sopporti, per tanti motivi, alcuni sicuramente comprensibili ma… Gaetano non è il nemico, Renzo, non per quanto riguarda nostra figlia. Lui le vuole bene, vuole il suo bene e sa che Livietta ha bisogno di un padre. Insomma, dovrai ammettere anche tu che… come si è comportato ieri sera… dopo tutto quello che è successo…”
 
“È stato lui a trovare Livietta o è tornata da sola?” le domanda, dovendo riconoscere che sì, il poliziotto-super-più la sera precedente aveva dimostrato, per una volta, un po’ di tatto e riguardo nei suoi confronti e di preoccupazione nei confronti di Livietta.
 
Non è ancora convinto di quanto tutto questo sia genuino e quanto uno show per impressionare Camilla, ma il fatto resta che, mentre lui era distrutto e non riusciva a connettere, figuriamoci a muoversi, mentre Camilla si era presa cura di lui in un modo che non avrebbe mai osato sperare, almeno qualcuno si era occupato di Livietta. Ma il fatto che si trattasse proprio di Gaetano mentre lui, di nuovo, sentiva di aver fallito, di aver deluso sua figlia, di non essere stato in grado di esserci, non lo rendeva di certo felice.
 
“Renzo…” sospira di nuovo Camilla, prendendo un respiro profondo e preparandosi mentalmente al peggio, “senti, io te lo dico prima che tu lo scopra da altri e ti immagini chissà che cosa: Livietta ieri sera… è andata a rifugiarsi a casa di Gaetano, gli ha preso le chiavi… Gaetano l’ha trovata proprio perché si è accorto che le chiavi mancavano, prima di uscire di nuovo a cercarla insieme a Savino.”
 
“A casa di Gaetano?” chiede Renzo, incredulo, sentendo una sensazione indefinibile nel petto, un misto di incredulità, rabbia, gelosia e preoccupazione.
 
“Sì, ed è rimasta lì stanotte: voleva stare da sola, non vedere nessuno e-“
 
“Nessuno tranne il nostro Gaetano! Ti sembra normale che abbia passato la notte con lui?!” grida, non riuscendo di nuovo a trattenersi, il dolore al petto e la preoccupazione che si fanno assordanti.
 
“Gaetano ha passato la notte con me, a casa mia, Renzo! Livietta voleva starsene da sola e né io né Gaetano volevamo forzarla. Stamattina è tornata a casa per colazione e ha ridato le chiavi a Gaetano. Ma anche se Gaetano fosse rimasto a casa sua con Livietta che dormiva nella stanza di Tommy, non ci sarebbe stato proprio niente di male,” chiarisce Camilla, decisa, fulminandolo con lo sguardo.
 
“Ah, beh, certo… e tu e Gaetano ovviamente non potevate perdere l’occasione di consolarvi a vicenda, passando la notte insieme,” ribatte sarcastico, dovendo però riconoscere, anche se non lo ammetterebbe mai ad alta voce, che prova un certo sollievo all’idea che il poliziotto-super-più e Livietta non abbiano passato la notte nello stesso appartamento da soli.
 
“Gaetano mi ha consolata, sì, ma non come pensi tu, Renzo! Ha cercato di tranquillizzarmi e di aiutarmi a riposare almeno un po’. E sono sinceramente stufa di queste tue continue allusioni, battutine, di come continui a trattare Gaetano come se fosse una specie di… di stallone da monta. Mi dispiace se questo ti ferisce, ma la relazione tra me e Gaetano è basata su tantissime cose, di cui quello a cui tu continui ad alludere è solo una componente, Renzo, e non è nemmeno la componente primaria, visto che il nostro rapporto è stato platonico per dieci anni, che tu ci creda o no. Non avrei mai… mai messo in discussione noi due, il nostro rapporto per… per un’attrazione, per un’infatuazione, e lo sai anche tu,” replica Camilla, decisamente irritata ed indignata.
 
“Sì, purtroppo lo so… lo so che tu lo ami, Camilla,” ammette Renzo con un sospiro, “quello di cui dubito non è ciò che provi tu, ma ciò che prova lui, che è ben diverso.”
 
“E tu pensi che un uomo come Gaetano che… che potrebbe avere quasi qualsiasi donna volesse, avrebbe resistito a tutto quello che ci è piovuto addosso nelle ultime settimane, tra te e le tue accuse, Eva, vivere a casa di mia madre, Ilenia, Marco e De Matteis e poi quello che è successo ieri sera, se non mi amasse e se non volesse bene a Livietta? Se avesse voluto solo quello che pensi tu, c’erano decine e decine di donne più disponibili, più giovani, più belle e meno incasinate di me tra cui scegliere!”
 
“Ma tu eri la Turris Eburnea, Camilla, la grande sfida, l’unica che gli aveva resistito! Quello che mi preoccupa, per te e per Livietta, è cosa succederà quando smetterete di essere una novità, il giocattolo nuovo, quando Gaetano si stuferà di giocare alla famiglia felice e vorrà tornare alla sua vita da scapolo, così come ha fatto con Roberta e con Eva e Tommy… quando ti accorgerai che hai buttato via dieci anni della tua vita, il nostro matrimonio, per un’illusione di un qualcosa che non esiste.”
 
“Ti ringrazio per la tua… preoccupazione, Renzo, anche se dubito che sia sincera. Secondo me tu speri che il mio rapporto con Gaetano vada a rotoli per poter essere lì a dirmi – te l’avevo detto. Ma in ogni caso non hai nulla di cui preoccuparti perché quello che tu dici non succederà mai.”
 
“Camilla, per favore-“
 
“Non sto dicendo che il rapporto con Gaetano durerà per sempre, non ho la sfera di cristallo per poterlo prevedere, Renzo, ma di sicuro se mai finirà tra noi due, non sarà per i motivi che dici. Non sono un gioco o una sfida per Gaetano, non lo sono mai stata e non lo sarò mai. E Gaetano non è il tipo d’uomo che tu descrivi e non mi farebbe mai del male, non volontariamente. Mi fido di lui e di quello che prova per me, Renzo, e, te l’ho già detto e te lo ripeto, il tempo mi darà ragione, ci darà ragione,” ribadisce, senza esitazione, con un tono ed uno sguardo categorico che gli fanno di nuovo male al cuore. Perché gli fanno capire, una volta per tutte, che Camilla non cambierà idea, che Camilla davvero si fida del poliziotto-super-più, senza alcun dubbio, che davvero lo ama, senza alcuna riserva.
 
Renzo, per l’ennesima volta, si trova a chiedersi se sia mai stata così con lui, almeno nei momenti d’oro del loro rapporto. La verità è che spesso i suoi ricordi, i ricordi dei loro momenti felici, sembrano sfuggirgli tra le dita. Spesso si trova a chiedersi se siano veri, autentici , o una proiezione dei suoi desideri, di quello che lui provava allora. Sapeva che lei l’aveva amato per lungo tempo, ne era sicuro, ne è sicuro, ma tante volte si chiede se l’avesse mai amato con la stessa intensità con cui lui ha amato lei. Fino a qualche anno prima non aveva mai avuto dubbi sulla risposta, ora… ora non è più sicuro di niente.
 
“Ecco, lo vedi? Ero venuta a parlarti di nostra figlia e siamo di nuovo finiti su me e Gaetano… Renzo… ci eravamo promessi una tregua noi due, no?” gli ricorda, ridestandolo dai suoi pensieri, “e perché la tregua funzioni, ti avverto che… che non tollererò più questi commenti, queste battutine, questo tuo continuo ridicolizzare Gaetano e quello che provo per lui e quello che lui prova per me. So che non cambierai idea ma non la cambierò neanche io, quindi è inutile continuare a perdere tempo ripetendo sempre le stesse cose. E soprattutto gradirei non dover più discutere con te della mia vita intima con Gaetano, che è, per l’appunto, intima e riguarda solo noi due.”
 
“Guarda che la tua vita intima con il poliziotto nemmeno voglio immaginarla, figuriamoci discuterne,” ribatte Renzo, chiudendo gli occhi per ricacciare dalla mente tante, troppe immagini suggerite dalla sua fantasia e che gli bruciano nello stomaco come acido; un attimo di pausa e riapre gli occhi, incrociando di nuovo quelli di Camilla, “comunque su una cosa sono d’accordo con te: Livietta è l’unica cosa che conta adesso e… la verità è che non so più cosa fare, Camilla. L’hai sentita, no, ieri sera? Io-“
 
La voce gli si spezza, mentre le parole dure, arrabbiate, disperate di Livietta lo investono ancora. Una mano sulla spalla lo scuote quasi quanto la sera prima. Lo sguardo di Camilla non è più duro e freddo come il ghiaccio, ma vi legge di nuovo quel calore, quella preoccupazione, rivede di nuovo la vecchia Camilla, quella di cui si è innamorato, che ha amato per tanti anni, la donna accanto alla quale ha combattuto mille battaglie, la donna contro cui ha combattuto mille battaglie forse senza mai vincerne una. E una volta… una volta l’amava anche per questo.
 
Una volta.
 
Non sa quando l’amore si sia tramutato in risentimento, in rabbia, in insofferenza… ma deve riconoscere che è avvenuto ben prima che lei mettesse fine al loro matrimonio. O ben prima che lui, per primo, mettesse fine al loro matrimonio. Forse quando l’ammirazione che ha sempre provato per Camilla è stata sopraffatta dalla frustrazione, dal senso di inadeguatezza, d’impotenza, di non essere mai abbastanza per lei. Forse quando ha percepito per la prima volta che lei, che la loro famiglia, non erano abbastanza nemmeno per lui, non più. Forse quando si è sentito per la prima volta in trappola nel loro matrimonio, quando si è sentito per la prima volta soffocare.
 
O forse quando si è reso conto di esserci ricascato, di essersi messo di nuovo in trappola da solo. Di aver buttato via una vita finalmente serena, un nuovo equilibrio costruito a fatica, ma che incredibilmente funzionava per… per un’illusione, per l’illusione di qualcosa che non sarebbe mai più tornata. Per una vita accanto ad una donna che voleva essere da tutt’altra parte. E forse anche lui voleva essere da tutt’altra parte.
 
E questa notte insonne, nonostante i tranquillanti, a rigirarsi nel letto di Carmen, invece che chiarire i dubbi, gliene aveva portati di nuovi. Perché quell’equilibrio con Carmen, con Camilla e con Livietta, in realtà non aveva mai funzionato, non per Livietta, almeno. Perché forse dietro al risentimento, alla rabbia, all’insofferenza verso Camilla, deve ammetterlo, c’è ancora amore. Come è amore anche quello che aveva avvertito in quell’abbraccio, nel modo in cui si era presa cura di lui, in cui c’era stata: si era sentito di nuovo importante, amato, anche se solo per pochi preziosissimi istanti.
 
Ed è proprio questo amore a portarlo quasi ad odiarla, questo amore che non vuole sapere di morire, che negli anni si è trasformato, è cambiato ma ha resistito a quasi qualsiasi cosa, che continua a farlo bruciare di gelosia, che continua a fargli male ogni volta che ripensa a com’erano, quando erano felici insieme, quando aveva tutto, quando si sentiva veramente in pace. Questo amore che è forte, profondo, testardo, ma non forte, profondo e testardo abbastanza per consentirgli di stare ancora bene con lei, insieme a lei.
 
Sente di non riuscire a starle lontano, ma, allo stesso tempo, deve riconoscere di non riuscire più a starle vicino. Non sopporta la sua assenza quasi quanto non sopporta la sua presenza. E non sa se odi più lei o se stesso per questo.
 
“Renzo, a che pensi?” gli domanda, guardandolo preoccupata, distogliendolo dai suoi pensieri.
 
“Che non so più cosa fare, Camilla, davvero, non… non capisco più niente e ho paura di non avere mai capito niente,” ammette con un filo di voce, faticando a sostenere il suo sguardo.
 
“Io penso che Livietta ieri sera sia stata chiarissima, Renzo. E non c’è niente altro da capire,” risponde Camilla, non potendo sapere che lo smarrimento a cui lui si riferisce non derivi soltanto dal rapporto con la figlia, “ora sei tu che devi agire, Renzo, che devi farle capire che le vuoi bene e tieni a lei. Che vuoi stare con lei, farti ascoltare da lei e non ti arrenderai finché non ci riuscirai. Che lei è la cosa più importante per te, più della… della tua faida con me e Gaetano, più dell’orgoglio e-… perché sorridi?”
 
“Perché è la stessa cosa che mi ha detto Carmen pochi minuti fa,” confessa, scuotendo il capo.
 
“Pochi minuti fa?!” domanda, incredula, “ma non è a New York?! Lì saranno le…”
 
“Neanche le quattro del mattino, sì…” conferma con un sospiro, mettendosi una mano sugli occhi.
 
“Non avrei mai pensato che sarei arrivata a dirlo, ma quella donna, almeno con te, è una santa: io ti avrei già mandato a quel paese molto tempo fa, fossi stata al suo posto,” replica Camilla, ricambiando il sospiro.
 
“Lo so… e avrebbe ragione a farlo,” concede Renzo, giocando con i fondi di caffè nella tazza.
 
“Comunque, se te lo diciamo sia io che Carmen… un fondo di verità ci sarà, no? Quindi tu oggi vieni a casa… a casa mia subito dopo pranzo, in modo che non sembri che ci siamo messi d’accordo – no, Gaetano non c’è, è al lavoro,” specifica, notando la sua espressione, “e cerchi di parlarle. E, se non ci riesci, ritorni anche domani e dopodomani… rimani qui in questo appartamento, se necessario, fino a che non ti ascolta.”
 
“E se non… e se non volesse mai ascoltarmi? Se non volesse mai perdonarmi?” le chiede, dubbioso, esprimendo la paura che lo tormenta dalla sera precedente.
 
“Certo che lo vuole, Renzo, altrimenti non ti avrebbe detto tutto quello che ti ha detto ieri sera. Ha solo bisogno di… di sentirsi coccolata da te, corteggiata, di sentire che per lei sei disposto a lottare. Che sei disposto a mettere tutto il resto da parte per un po’ e… e concentrarti solo su di lei,” spiega, con quel tono deciso che Camilla usa quando sta dicendo una cosa di cui è realmente convinta. Con quel tono di cui Renzo, nonostante tutto, si fida ancora.
 
“Forse… forse era quello di cui avrei avuto bisogno anche io, Camilla, di cui avremmo avuto bisogno noi due, il nostro matrimonio… ma ormai è troppo tardi,” non riesce ad evitare di commentare, quasi tra sé e sé.
 
“Forse… ma la verità è che… per lottare bisogna essere in due a farlo, a crederci, e noi non ci siamo riusciti, non nello stesso momento, non prima che… che qualcosa si spezzasse irrimediabilmente. È troppo tardi per salvare il nostro matrimonio, Renzo, ma non è troppo tardi per provare a salvare quello che resta tra me e te… per ricostruire un rapporto diverso… per cercare di essere una famiglia per Livietta-“
 
“Anche se non siamo più una coppia,” conclude Renzo, ripetendo con amarezza la frase che lui tante volte le aveva detto dopo la loro prima separazione, che tante volte avevano ripetuto insieme davanti a Livietta.
 
Non aveva mai capito, non fino ad ora, quanto avesse chiesto a Camilla, quanto dovesse essere stato difficile e doloroso per lei cercare di includere non solo lui ma anche Carmen nella sua vita, nella vita di Livietta. Accettare di metterci una pietra sopra e andare avanti. O almeno fingere di averlo fatto, per il bene di tutti.
 
“Non so, Camilla, vorrei farlo ma…  ma non è facile. Ci vorrà tempo, credo, lo sai,” ammette, non riuscendo a mentire, a promettere qualcosa che non sa se e quando riuscirà a fare.
 
Camilla si limita ad annuire, per poi alzarsi in piedi, raccogliere i resti della colazione e avviarsi verso la porta.
 
“Ti aspetto,” pronuncia, prima di uscire, lanciandogli un’occhiata che gli fa capire che non si riferisce solo alla sua visita pomeridiana.
 
E, per la prima volta da quando si sono nuovamente lasciati, spera veramente di essere capace di raggiungerla presto.
 
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“Ehi, ehi, calma!” la stoppa Gaetano, prendendola per i polsi e bloccandola mentre è intenta a massacrare di colpi il sacco leggero da arti marziali, “a parte che così finisci per ammazzare il potenziale aggressore e per finirci tu in galera, ma soprattutto, se eserciti troppa forza e ti sbilanci, senza avere il perfetto controllo dei movimenti, rischi di farti male sul serio!”
 
Ringrazia il cielo che dopo la corsa, visto che Livietta sembrava ancora bella carica e “arrabbiata”, aveva deciso di evitare le simulazioni corpo a corpo, sapendo che, con Livietta in quello stato mentale e bisognosa di sfogarsi, il rischio di farsi male o di farle male – o entrambe le cose – era decisamente troppo elevato. E aveva avuto ragione.
 
“Scusa… hai ragione è che… avevo bisogno di sfogarmi… lo sai, no?” ammette Livietta, rilassando i muscoli e sgonfiandosi visibilmente.
 
“Lo so,” sospira, lasciandole i polsi, “lo so che sfogarsi è importante, che può servire a sgombrarci la mente, a farci riflettere sulle cose con più calma e a mente fredda, a distrarci. E lo sport fa pure bene alla salute, al contrario di altri… metodi per distrarsi, ma, come per tutte le cose non bisogna esagerare, Livietta e poi… se c’è una cosa che ho imparato negli anni è che distogliere la mente dai problemi non basta. Ad un certo punto bisogna affrontare quello che ci fa stare male.”
 
“Gaetano, per favore, non ti ci mettere anche tu: non voglio parlarne!” esclama Livietta, irrigidendosi di nuovo e facendo un passo indietro.
 
“Non ti sto dicendo di parlarne con me, ma con tuo padre e-“
 
“Credo di avere già parlato abbastanza ieri sera,” ribatte, un’espressione decisa e dura sul viso ma che, Gaetano lo percepisce benissimo, serve solo a tentare di mascherare il dolore.
 
“E allora forse è giunto il momento di smettere di parlare e di ascoltare quello che ha da dirti, no? O di dargli almeno una possibilità di… di fare qualcosa per te, con te, insieme. Di… non dico di farsi perdonare, ma di provare a darti quello di cui hai bisogno, Livietta, da oggi.”
 
“E secondo te questo cancella i… i sette anni in cui è stato più assente che presente?” chiede Livietta, con uno sguardo che lo trapassa da parte a parte, facendolo sentire una feccia umana. Perché è lo stesso sguardo fragile e deluso che aveva visto sul volto di Tommy quando Eva gliel’aveva affidato.
 
“No… ma può evitare che… che sette anni diventino una vita intera, Livietta. Una vita intera di… di recriminazioni, di rimpianti…” ammette, prendendo un asciugamano e lanciandogliene un altro, prima di andarsi a sedere sulla panca della palestra, vedendola raggiungerlo dopo un attimo di esitazione.
 
“Livietta, ascoltami… la verità è che… forse sono la persona meno adatta per parlare di questo argomento. Ho rinunciato a fare il padre per più di tre anni, Livietta, rinunciato completamente e… lo so che niente riporterà indietro quegli anni, né a me, né a Tommy. Che se un giorno dovesse avercela a morte con me per questo, avrà tutte le ragioni e-“
 
“Ma se Tommy ti adora! E poi sei bravissimo con lui, davvero,” lo interrompe, appoggiandogli una mano sull’avambraccio.
 
“Adesso, forse… Livietta, la verità è che… è che sono stato fortunato. Fortunato che Eva ha deciso di lasciarmelo, costringendomi a guardare in faccia la realtà ed affrontare quello che non volevo affrontare; fortunato che Tommy ha cinque anni e… a cinque anni è più facile perdonare che a sedici; e soprattutto fortunato che tua madre è tornata nella mia vita proprio al momento giusto e non solo mi ha insegnato l’ABC di come si fa a fare il genitore, ma soprattutto mi ha fatto capire che potevo farcela, che potevo, dovevo darmi un’altra possibilità come padre. Che dovevo smetterla di pensare al passato, a rimanere… paralizzato di fronte ai miei sbagli e cercare di rimediare, di guardare avanti,” cerca di spiegarsi a fatica, posando la mano libera su quella di lei e stringendola forte.
 
“Paralizzato?” gli domanda lei, stupita, notando con quale sforzo lui abbia pronunciato quella parola.
 
“Sì, paralizzato. Livietta… se riguardo indietro, sai perché mi sono perso quei tre anni? Sai dove sono finiti? All’inizio… all’inizio volevo solo… volevo solo liberarmi di Eva, di un rapporto che era… dire che era opprimente sarebbe fargli un complimento. Un rapporto in cui ormai sapevamo solo farci male a vicenda, anche se in modi diversi. E mi sono allontanato da lei, da ogni cosa che me la ricordasse, da ogni minima possibilità di una riconciliazione con lei, per cercare di… di ricostruirmi una vita, un’autostima, un equilibrio. E… rimuovendo Eva, il nostro matrimonio, dalla mia vita, ho rimosso anche Tommy, senza volerlo. La verità è che… non mi sentivo in grado di fare il padre e poi… anche quando ho recuperato un po’ di fiducia in me stesso, come uomo, ero pieno di sensi di colpa nei confronti di Tommy, per tutto: per il rapporto con sua madre, per la famiglia che non ero mai riuscito a dargli, per non esserci stato…. Tante volte ero tentato di andare da lui, ma ogni volta che lo vedevo, sentivo che lui, giustamente, era deluso da me… non è che mi odiasse ma… pensava il peggio di me, non voleva stare con me. E quindi rimandavo sempre di più, per paura, per vigliaccheria, perché… perché la realtà mi faceva troppo male, Livietta. Se non ci fosse stata tua madre a… a spronarmi, a sostenermi a darmi fiducia… non so se ce l’avrei mai fatta. Probabilmente avrei rinunciato in partenza.”
 
“Perché mi stai dicendo tutto questo?”
 
“Perché… non pensi che anche tuo padre sia pieno di sensi di colpa per quello che è successo in questi ultimi anni? Per la prima separazione, per Carmen… che abbia paura di affrontarti, di affrontare la tua delusione, i tuoi risentimenti… che per questo non riesce a fare la prima mossa con te, oltre che per il suo carattere? Che magari è per questo che… cerca di rimuovere gli anni passati dopo Barcellona, il fatto che tu sia cresciuta? Cosa che già è difficile da accettare, da capire… ricordo lo shock che ho avuto io con mia sorella quando mi sono reso conto che non era più una bambina. Ed era mia sorella, non mia figlia.”
 
“È strano sai? Sentirti difendere mio padre…” commenta con un mezzo sorriso, “mi devo preoccupare?”
 
“Hai ragione è strano… Livietta, la verità è che io e tuo padre non ci siamo mai potuti sopportare, ci siamo sempre tollerati a fatica, per ovvi motivi e… diciamo che da quando sto con tua madre in alcuni momenti ho potuto capire tuo padre e il suo risentimento nei miei confronti. Voglio dire… quando sai che qualcuno ci prova con la tua compagna, con la donna che ami… non fa piacere a nessuno,” ammette, anche se a fatica, guardandola negli occhi.
 
“No, a meno che non vuoi liberarti di lei…” ribatte Livietta sempre con quel sorrisetto canzonatorio, facendolo sorridere.
 
“Già… e poi sono successe alcune cose tra me e tuo padre che... che mi hanno dato motivo di avercela con lui. Ma, anche se non la pensiamo allo stesso modo su molte cose, anche se non sono d’accordo sui suoi atteggiamenti nei confronti di Camilla e a volte anche con te… se c’è una cosa di cui non ho mai dubitato è che tuo padre ti vuole bene, Livietta. A differenza mia con Tommy, lui per te c’è sempre stato… a modo suo, magari, forse non come avresti voluto, non quanto avresti voluto, ma c’è stato. E se sbaglia e… ed esagera è perché ha paura che ti capiti qualcosa, ha paura di perderti.”
 
“Lo so… ma… insomma… quel poco tempo che abbiamo passato insieme nell’ultimo anno, invece che… che fare qualcosa insieme, mi sembrava di essere sotto interrogatorio, con lui che si faceva paranoie su tutto quello che facevo, su con chi uscivo, su chi vedevo. È assurdo ma l’unico momento in cui l’ho sentito davvero vicino, in cui è stato… comprensivo con me è stato proprio mentre stavo combinando tutto quel casino con Bobo e lui credeva a tutte le palle che ho raccontato per coprire quel… quel… quello stronzo, mentre mamma non mi dava tregua e neanche tu. Ma avevate ragione voi a preoccuparvi in quel caso. E dopo è diventato ancora più paranoico su ogni piccola cosa, ogni uscita, fosse per lui dovrei stare sempre chiusa in casa. Hai visto anche come ha reagito alla storia di New York, no? Nemmeno gli avessi chiesto di andare in Siria!”
 
“Livietta… se vuoi sapere la verità, se tuo padre mi avesse permesso di parlare ieri sera, ti avrei detto che nemmeno io sono proprio entusiasta all’idea che tu partecipi a quel viaggio…” ammette Gaetano con un sospiro, preparandosi all’esplosione di Livietta.
 
“Che cosa?” domanda lei, a bocca, spalancata, guardandolo come se l’avesse pugnalata e facendolo sentire di nuovo uno schifo, “ma come?! Ma… c’è Nino, tuo nipote! Vuoi dirmi che non ti fidi di lui?”
 
“Livietta, io mi fido di Nino e di te e posso pure fidarmi dei suoi… dei vostri amici. Ma i maschi dai sedici ai diciott’anni… soprattutto se single… diciamo che non sono proprio i compagni di viaggio ideali per una ragazza, credimi, parlo per esperienza, visto che mi ricordo com’ero alla loro età.”
 
“Sì, ma tu eri un playboy stronzo, no? L’hai ammesso tu stesso,” gli ricorda lei, ironica, “non vuol dire tutti i maschi sono così!”
 
“Sì… io ero forse peggio della media, Livietta ma… i ragazzi a quell’età vogliono divertirsi, soprattutto se sono da soli, senza i genitori in un altro continente, in una città come New York. Insomma… non dico che ci proveranno con te per forza ma… immagino che in ogni caso vorranno girare per locali, magari locali che ti potrebbero mettere a disagio… divertirsi, conoscere altre ragazze. E tu a quel punto che fai? Poi immagino che non avranno tanti soldi a disposizione, magari vorranno vivere tutti insieme in un appartamento e… insomma, hai un’idea di che cosa significa dividere una casa, un bagno con cinque maschi adolescenti?”
 
“Non sono schizzinosa e me la so cavare!”
 
“Lo so che non sei una… una principessina viziata, Livietta, ma… è davvero così che vuoi fare il tuo primo viaggio a New York?”
 
“Se fossi con le mie amiche ci sarebbe il problema che siamo tutte ragazze povere ed indifese e che magari loro vanno a cercarsi i ragazzi e chissà chi trovano e ci cacciamo nei guai. Così invece sono già con dei ragazzi e per quanto mi riguarda… lo sai che a me piacciono le storie serie, le avventure non mi interessano e… dopo quello che è successo con Ricky, non credo più nelle storie a distanza: se già non ha funzionato con 700 chilometri… di sicuro non mi vado a cercare un fidanzato a 7000 chilometri da casa!”
 
“Lo so, Livietta, lo so, ma… come ti ho già detto… pure se stai incollata ai ragazzi come se fossero tuoi bodyguard, ammesso che nessuno di loro ci provi con te – cosa che, realisticamente, non escluderei a priori –  e quindi ti tocca affrontare il successivo imbarazzo di dire di no, c’è il problema che certi incontri anche se non li cerchi possono capitarti. E… come dice tuo padre, e per una volta devo dargli ragione, basta un momento di disattenzione, di leggerezza, per rovinarsi la vita.”
 
“Sai qual è la verità? Che neanche tu ti fidi di me! Che anche tu pensi che… che come mi sono fatta fregare da Bobo, mi farò fregare di nuovo, non è vero?! Che… che sono una stupida, un’ingenua!” esclama Livietta, alzando la voce e fulminandolo con due occhi sull’orlo delle lacrime che lo fanno sentire piccolo-piccolo.
 
“No, no!” protesta Gaetano, posandole una mano sulla spalla per impedirle di alzarsi, “Livietta, tu non sei affatto stupida, anzi, tu e tua madre e pure tua nonna fate a gara in quanto ad intelligenza. E per la tua età sei davvero matura, sei cresciuta tantissimo in questi mesi. Capisco che tu voglia la tua indipendenza, ma… purtroppo non per colpa tua ma per colpa della stupidità del genere maschile, per una ragazza in viaggio ci sono rischi aggiuntivi rispetto a quelli che ha un ragazzo nella stessa situazione. Se stiamo facendo queste lezioni e il corso di difesa è proprio per… per consentirti di affrontarli al meglio ed evitarli e quindi di essere sempre più indipendente e meno condizionata nelle scelte che farai. Qual era la prima lezione del corso, Livietta? Cosa bisogna sapere e saper fare per evitare le situazioni di pericolo?”
 
“Cogliere i segnali, il linguaggio del corpo, i toni della voce… conoscere bene l’ambiente in cui ci si muove e… come allontanarsi in caso di necessità, avere qualcuno da contattare in caso di emergenza…” elenca Livietta, non cercando più di svicolare dalla sua presa, anzi, guardandolo di nuovo negli occhi, con aria di chi ha capito.
 
“Ora, è ovvio che quando si viaggia non si può mai conoscere così bene l’ambiente in cui ci si muove e non si hanno grandi contatti, quindi queste due cose già bisogna quasi escluderle a priori. Per questo è meglio andare dove si conosce qualcuno del posto e, se questo non è possibile, bisogna essere molto più cauti in quello che si fa, ci sono tanti accorgimenti da adottare, e se vuoi ne parleremo, ma comunque… ci vuole maggior cautela. Ora, non dubito dell’affidabilità di Nino e forse anche di Tom, ma… entrambi non conoscono New York e se sono in giro a divertirsi… ripeto, o stai incollata a loro-“
 
“A reggere il moccolo,” si inserisce lei con un sospiro, capendo dove vuole andare a parare.
 
“Esatto. E poi tu sei una bellissima ragazza, Livietta e-“
 
“Davvero lo pensi?” gli chiede con un mezzo sorriso imbarazzato.
 
“Ma certo! Insomma, mi sembra evidente, come mi sembra evidente che attiri l’attenzione dei maschi, persino di ragazzi più grandi di te e molto popolari come… come era Bobo. E in discoteca, nei locali… ne ho frequentati tanti e so benissimo che basta che una ragazza stia da sola per un minuto per trovarsi circondata da mosconi che le chiedono di ballare. E se avessi bisogno di aiuto, hai presente quanto tempo ci metteresti a fare capire a Nino, Tom e gli altri dove sei e come raggiungerti? O a capire dove stanno loro e come raggiungerli? E se provi a chiamare la polizia… com’è il tuo inglese?”
 
“Insomma… a scuola ho buoni voti ma… è scolastico,” ammette Livietta con un altro sospiro.
 
“Esatto. E il linguaggio del corpo varia da paese a paese, idem i toni… è molto più difficile intuire le intenzioni di una persona che non parla la tua stessa lingua, Livietta, e soprattutto che può parlare con altri in un linguaggio che tu fatichi a comprendere, di cui non cogli sicuramente le sfumature o lo slang. E se devi chiamare la polizia… è un casino. I taxi a New York… per la carità, ci ho provato e c’è di tutto. La metro… dipende dagli orari, dopo una certa ora è un suicidio prenderla. Devi conoscere i quartieri in cui andare e non andare… insomma… devi sapere un sacco di cose. Che si apprendono viaggiando, crescendo, facendo esperienza e tu non sei mai stata in giro da sola, per conto tuo. Capisci perché tuo padre si preoccupa e anche io mi preoccupo? Perché tua madre dice che forse è meglio andare un po’ per gradi?”
 
“Forse sì…” riconosce con l’ennesimo sospirone, guardandolo negli occhi e lui sa che ha davvero capito, fino in fondo.
 
“Dai, che ne dici se adesso torniamo a casa? Così facciamo in tempo a farci un’altra doccia e cambiarci prima di pranzo e, nel mio caso, prima di andare al lavoro.”
 
Livietta si limita ad annuire, mentre lui le stringe un’ultima volta più forte la spalla e fa per alzarsi, ma questa volta è Livietta a bloccarlo, coprendogli la mano, ancora sulla spalla, con la sua.
 
“Gaetano… grazie…” pronuncia Livietta dopo un attimo di esitazione, sorridendogli, “e scusami per prima… e per stanotte… a volte non so come fai a sopportarmi.”
 
“Non serve che mi ringrazi, né che ti scusi: ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque altro al mio posto,” minimizza, orgoglioso per questo riconoscimento di Livietta, ma anche un po’ imbarazzato.
 
“Non credo, sai? E anche se… se una parte di me avrebbe voluto che i miei genitori rimanessero insieme per sempre… visto che non è più possibile, sono felice che mamma abbia scelto te e non chiunque altro,” risponde Livietta, stringendogli la mano, “tu sei sempre sincero e diretto con me, mi dici quello che pensi, e se non sei d’accordo con me, mi spieghi il perché, senza trattarmi come una bambina o come una stupida che non può capire. Mi piace parlare con te e… e Tommy è fortunato ad averti come papà… sempre se non fai altre cazzate, ovviamente.”
 
“Anche tu in quanto ad essere sincera e diretta non scherzi, signorina,” commenta Gaetano, sorridendo commosso, “e anche a me piace parlare con te: lo so che te l’ho già detto, ma mi insegni sempre un sacco di cose, Livietta.”
 
Un sorriso, uno sguardo d’intesa e si avviano verso l’uscita della palestra, immersi in un piacevole silenzio.
 
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“Ho pensato che magari non avevate mangiato il dolce e… ho portato un po’ di gelato. Stracciatella e cioccolato, i tuoi gusti preferiti, Livietta.”
 
“Primo: ho già mangiato quello che restava del bunet di ieri sera,” ribatte Livietta, con il tono di chi sta volutamente lanciando una frecciatina, “e poi, te lo ripeto, non ho più dieci anni e non basta più un gelato a farmi stare buona, a comprarmi.”
 
“Livietta...” sospira Renzo, con tono ed aria esausti, “lo so e non voglio comprarti, voglio solo avere un’occasione per parlare con te e chiarire-“
 
“Io ho chiarito tutto quello che c’era da chiarire ieri sera, papà, e non ho più voglia di parlare, quindi se vuoi scusarmi-“ afferma, provando ad allontanarsi verso camera sua, ma Renzo la interrompe e le sbarra la strada.
 
“E allora se non vuoi parlare ascoltami, ascoltami e basta, io devo spiegarti che-“
 
“Ascoltare che cosa? Le solite frasi fatte, di circostanza? Tipo che tu hai lasciato mamma e non me, che il problema era lei e non io?”
 
“Livietta, lo so che sembrano frasi di circostanza ma è la verità e… e… tu hai ragione: ho sbagliato a gestire il rapporto con te in questi ultimi anni, lo so. Lo so che è come se… se ci fossimo persi, arrivati ad un certo punto, ma voglio rimediare, voglio cambiare in meglio, essere un padre migliore per te. Ma non posso farlo se continui a mandarmi via o ad andartene, se non mi ascolti, se ti rifiuti di stare con me!”
 
“Papà… di promesse ne ho avute fin troppe in questi anni, e non me ne faccio niente, non sono mai servite a niente! Vuoi essere un padre migliore? Vuoi cambiare in meglio? Benissimo: dimostramelo! Perché quello che contano sono i fatti, papà: le parole stanno a zero!”
 
“Io sono più che disposto a dimostrartelo con i fatti, Livietta, che ho davvero capito e soprattutto che ti voglio bene, che sei la persona più importante della mia vita, che farei qualsiasi cosa per te! Dimmi cosa posso fare, qualsiasi cosa e la farò, qualsiasi cosa, Livietta!”
 
“E a che serve? Per avere uno zombie che sta con me per forza mentre vorrebbe stare da tutt’altra parte? Non voglio uno schiavo o un cagnolino che obbedisce a comando, voglio un padre che sa e che soprattutto vuole fare il padre!” ribatte Livietta, ormai arrivata praticamente ad un centimetro da lui, cercando di superarlo ma non riuscendoci, dato che lui si è piazzato sulla soglia della porta della stanza di lei, “fammi passare!”
 
“No!” sbotta Renzo, alzando la voce, con un tono ed uno sguardo decisi che stupiscono sia Camilla che Livietta, “adesso tu mi stai a sentire! Come faccio a fare il padre se qualsiasi cosa che dico o faccio non va mai bene?! O sono asfissiante o sono assente, se parlo ti rompo le palle, se sto zitto me ne frego. Se ti porto a fare qualcosa che piace a me sono un tiranno, se ti chiedo cosa vorresti fare tu insieme a me sono uno zombie o un cagnolino! Mi sembra che se c’è una persona qui che ha le idee confuse non sono io, Livietta, o quantomeno sto in buona compagnia!”
 
“Papà…”
 
“Ti sto dicendo che voglio passare del tempo con te e non mi interessa come o dove, qualsiasi cosa facciamo per me l’importante è che ci siamo io e te, che stiamo insieme. Qualsiasi cosa, Livietta: non mi annoierò e non vorrò stare da tutt’altra parte se ci sei tu. E non mi arrenderò fino a che non mi darai la possibilità di dimostrartelo, sappilo!” ribadisce, perentorio, come raramente l’hanno visto.
 
“Papà…” ripete Livietta, evidentemente sorpresa, piacevolmente sorpresa.
 
“Quindi… se non è oggi, sarà domani o dopo, io continuerò a venire qui fino a che non mi concederai un po’ di tempo. E se vuoi che proponga qualcosa io, d’accordo: hai impegni per oggi pomeriggio o per stasera?”
 
“Io… io oggi non posso, dico davvero papà,” precisa, vedendo la sua espressione scettica, “devo andare a… a fare un aperitivo con le mie amiche e poi andiamo a sentire Savino suonare.”
 
“Ah, bene… e andate da sole? Chi-“
 
“Mamma e Gaetano ci raggiungono al pub dove suona Savino e mi riportano a casa loro, non ti preoccupare,” lo interrompe Livietta con un sospiro, alzando gli occhi al cielo.
 
“Beh… e allora potrei venire anche io, no? In fondo conosco Savino e sono proprio curioso di sentirlo suonare,” propone Renzo, guadagnandosi due occhiate sbigottite da madre e figlia.
 
“Ma se non l’hai mai potuto vedere! Lo chiamavi Il tatuato!” esclama Livietta, sarcastica.
 
“E… e va beh, diciamo che tutto sommato mi sembra un bravo ragazzo, visto come si è occupato della sciroccata qui sopra-“
 
“Renzo!” lo apostrofa Camilla.
 
“E dai, Camilla, su! La signora Lovera prima di ricontrare il grande amore della sua vita – pure lei – non è che avesse proprio tutte le rotelle a posto, lo devi ammettere. E comunque, diciamo anche che visto che fa sempre il grande conoscitore di musica rock sono proprio curioso di sentirlo suonare. Ma che pensi, che il rock l’avete inventato voi adesso? Io negli anni settanta sono stato ad un sacco di concerti, facevo pure il deejay in una radio!”
 
“Tu un deejay?” domanda Livietta, sempre più incredula, trattenendo una risata, “ma se tolleri solo la musica classica! Quanti ascoltatori aveva la tua radio? Tre?”
 
“I miei gusti si sono un po’ evoluti negli anni ma comunque il rock anni settanta mi piace ancora, e lo ascolterei pure, se non avessimo perso tutti i miei vecchi dischi durante uno dei nostri traslochi, non ricordo nemmeno più quale!” fa notare Renzo, lanciando un’occhiata e una frecciata a Camilla, “o forse hanno fatto la fine del ritratto del bisnonno Vincenzo, prima che lo salvassi da morte certa.”
 
“I tuoi dischi facevano la polvere anche prima, Renzo, e comunque-“
 
“E comunque visto che ci sono anche mamma e Gaetano al pub vorrei evitare figure da sotterrarsi, se andate d’amore e d’accordo come ieri sera, che più che una cena sembrava una gara di tiro con l’arco, con tutte le frecciate che vi siete lanciati. E poi lo so come sei fatto ed io e le mie amiche vogliamo starcene almeno un po’ tranquille, non con un gendarme che ci spia per tutta la sera e ci tiene il fiato sul collo!”
 
“Ti garantisco che io e tua madre siamo arrivati ad un… ad un compromesso ed a una tregua, anche con il po- con Gaetano,” assicura Renzo, interrompendosi in tempo prima di designare il rivale con il solito nomignolo, “quindi sarò più che civile e starò in disparte e vedrai che non disturberò né te né le tue amiche. Insomma, voglio dimostrarti che non sono il residuato bellico che pensi, e che se verrai con me, che ne so, magari a Londra, possiamo anche andare in giro per locali, se vuoi.”
 
“Ok, chi sei tu e cosa hai fatto a mio padre?” chiede Livietta, con un sopracciglio alzato, “e comunque tu vorresti sul serio passare tutta una serata ad un tavolo con mamma e con Gaetano?! Ma sei sicuro di sentirti bene?”
 
“Ah, ah. Certo che sto bene. Diglielo anche tu Camilla, non ti dispiace se vengo con voi, vero?” domanda Renzo, con uno sguardo ed un tono imploranti.
 
Se le circostanze fossero diverse, Camilla preferirebbe probabilmente passare un’intera giornata con il suo adorato collega Pellegrini che infliggere una simile uscita a tre non tanto a se stessa, quanto al povero Gaetano. Ma sa che non può rifiutarsi e spera che Gaetano mantenga la sua santità ancora per una sera, prima di sbroccare e di mandarla, legittimamente, a quel paese.
 
Ha tempo fino a sera per studiare un modo per farsi perdonare.
 
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“Ehi, che c’è? Tutto bene?”
 
“Sì…”
 
“Dalla tua espressione non si direbbe: ti sei fatta male?” le chiede, preoccupato, avendo evidentemente notato il modo in cui digrigna i denti, “o non ti senti bene? Stasera… mi sembri strana… stanca, affaticata e hai i riflessi più lenti del solito.”
 
“Mi fa… mi fa un po’ male la spalla,” ammette con un sospiro, “e, sì, lo so, ha ragione, è che… è che stamattina ho fatto un allenamento con… con il dottor Berardi e forse ho esagerato un po’. Mi dispiace, lei è stato così gentile e le sto facendo perdere tempo ma-”
 
“Stop, stop, stop. Siediti qui: mettiti a cavalcioni sulla panca,” la interrompe, con tono di chi non ammette repliche e a Livietta non resta altro che fare come chiede.
 
“Indicami dove ti fa male,” la esorta la sua voce poco dietro al suo orecchio, mentre sente la panca muoversi sotto il peso dell’istruttore, che si siede a cavalcioni alle sue spalle: non sa se sia la sua voce, o la sua vicinanza, o il suo calore che riesce a percepire in maniera nettissima, come non le era mai capitato prima, ma Livietta trattiene a stento un brivido e si ritrova con la pelle d’oca.
 
Le guance in fiamme, prega che l’istruttore non se ne accorga: speranza forse vana, dato che è in canottiera e ha le braccia scoperte.
 
“Ehi, stai tranquilla, rilassa i muscoli, non rimanere così tesa: non voglio farti male, indicami solo dove senti dolore,” ribadisce con un tono gentile, mentre Livietta cerca disperatamente di fare come dice, di lasciare andare i muscoli, anche se si sente tesa come una corda di violino, sollevando la mano sinistra, tremante, e toccando il punto preciso in mezzo alla spalla destra.
 
“Ok, mi sa che ho capito, ma devo fare una verifica, posso?” le chiede, prendendole la mano e sollevandogliela per poi lasciarla andare.
 
Livietta la lascia ricadere in grembo, come se pesasse un quintale, sentendo uno strano formicolio sulla pelle dove le sue dita l’hanno afferrata.
 
“Ah!” esclama, non potendosi trattenere, come non può trattenere il brivido che le corre lungo tutta la spina dorsale, quando sente quelle dita sulla spalla, bruciarle sulla pelle nuda accanto alla spallina della canottiera.
 
“Ti ho fatto male?” le domanda, di nuovo con quel tono preoccupato.
 
“Un po’…” mente, mentre sente il cuore a mille, rimbombarle nelle orecchie.
 
“Ti fa male qui? E qui?” continua a domandarle, premendo lievemente in vari punti della spalla, mentre Livietta stringe i denti, ma non certo per il dolore, e si limita ad annuire o scuotere il capo.
 
Sente il viso bollente ed un fuoco propagarsi dalla spalla, da ogni punto che lui tocca, scatenando un incendio ed un’esplosione di sensazioni che non aveva mai provato prima e che la imbarazzano e la spaventano.
 
“Stai tranquilla: sembra solo una contrattura. Probabilmente hai esagerato un po’ e hai sforzato troppo. Se mi dai due minuti ti rimetto quasi a nuovo: potrebbe farti di nuovo un po’ male ma poi andrà meglio, vedrai,” la rassicura e Livietta trattiene a stento un’esclamazione quando sente di nuovo quelle dita muoversi sulla sua pelle in un vero e proprio massaggio.
 
“No, non… non serve, davvero,” protesta, spingendosi in avanti sulla panca e sottraendosi al suo tocco e, soprattutto, a quello che le provoca e che non sa per quanto riuscirà a mascherare. E non può tradirsi: non vuole fare la figura della ragazzina sbavante e patetica, quasi quanto le signore over cinquanta che lo tampinano dopo ogni lezione.
 
“Guarda che bastano davvero pochi minuti: se ti tieni la contrattura rischia di infiammarsi sempre di più e di peggiorare. Invece se ti manipolo adesso vedrai che per domani starai di nuovo bene, se non fai altri sforzi per un paio di giorni, però.”
 
“È che… è che lei è già stato così gentile e non voglio… non voglio approfittare, dico davvero. Posso andare dal fisioterapista: mamma e Gaetano ne conoscono uno bravissimo che l’ha rimesso a nuovo dopo che si era preso una botta tremenda al collo e-“
 
“Ma è venerdì sera e sicuramente non potrà vederti prima di lunedì. E per me non è un disturbo: fa parte del mestiere e sapessi quante volte mi capita e mi è già capitato di dover risolvere situazioni simili…” minimizza con uno di quei sorrisi gentili che però, questa volta, le provoca uno strano rimescolamento allo stomaco.
 
“Fossi in lei non lo farei troppo sapere in giro o alla prossima lezione si troverà come minimo con dieci contratture da sistemare,” scherza Livietta per alleggerire l’atmosfera e mascherare come può l’imbarazzo anche se, lo sa, le sue guance devono essere rosse come un pomodoro.
 
“Beh, allora conto sulla tua discrezione,” ironizza dopo una mezza risata, facendole l’occhiolino mentre Livietta sente il suo cuore saltare un battito e correre, se possibile, ancora più all’impazzata, per poi aggiungere, più serio, “però se la cosa ti mette a disagio o in imbarazzo non-“
 
“No, no!” nega Livietta, scuotendo il capo, “sono già stata dal fisioterapista in passato… ho avuto un brutto incidente quando mi sono messa in testa di fare danza acrobatica, prima di capire che non faceva proprio per me.”
 
“Fammi indovinare: c’entrava un ragazzo?” le domanda con un sorriso.
 
“Sì… lo so che è patetico ma... avevo quattordici anni e-“
 
“No, che non è patetico, anzi, se ti può consolare… io di anni ne avevo ventuno ed ero già in polizia… conosco una ragazza bellissima, più grande di me ed istruttrice di danza. Alla fine per cercare di conquistarla ho finto di volermi iscrivere ad un suo corso e…”
 
“Non è andata bene?”
 
“No: non solo le ho massacrato i piedi ma… tra i muscoli e l’addestramento ero flessibile e sciolto come un armadio a sei ante. E il peggio è che c’erano perfino un paio di signori che avranno avuto come minimo sessant’anni e che erano bravissimi, mentre io non riuscivo a infilare due passi uno dietro l’altro,” ammette, passandosi una mano tra i capelli
 
“Da sotterrarsi… e com’è finita con l’istruttrice?” chiede Livietta con una risata.
 
“In realtà credo che si sia intenerita per la mia imbranataggine e abbiamo avuto una breve relazione… ma dopo un po’ si è trasferita per lavoro e… ci siamo persi di vista…” racconta, aggiungendo poi con un altro sorriso dei suoi, “bene, devo dire mi sembri più rilassata. Che ne dici se facciamo questo massaggio così ti lascio andare? Immagino che dovrai uscire stasera.”
 
“Sì, in effetti sì… sia che mi sento più rilassata, sia che devo uscire,” riconosce Livietta, ricambiando il sorriso.
 
“Niente più danza acrobatica?”
 
“No, no, per carità! Vado a sentire un… un mio amico suonare… è il bassista di un gruppo di hard rock abbastanza famoso qui a Torino: i Vagrants.”
 
“I Vagrants?!” domanda lui con uno strano tono ed una strana espressione.
 
“Che c’è? Non ti piacciono?” chiede di rimando, prima di bloccarsi, rendendosi conto di essere passata al tu, quasi senza accorgersene e affrettarsi ad aggiungere, “cioè… non… non le piacciono?”
 
“Il tu va benissimo, se no mi fai sentire vecchio. Al corso però dammi del lei, che altrimenti-“
 
“Rischio il linciaggio dalle altre signore? Oltre a metterti nei guai, ovviamente…” ironizza, facendolo di nuovo sorridere.
 
“Qualcosa del genere sì… allora, spalla? Prima che ti faccio fare tardi al concerto…” propone di nuovo e a Livietta non resta che annuire: gli dà nuovamente le spalle, trattenendo il respiro.
 
“No, devi respirare normalmente, rilassata,” la esorta la sua voce nell’orecchio e Livietta fa quasi un salto quando sente la sua mano coprirle lo stomaco, che l’istruttore ritrae immediatamente con un, “scusa, non volevo spaventarti. Vorrei insegnarti un paio di esercizi di respirazione. Sono davvero utili non solo per le contratture ma anche nei… nei periodi di tensione e di stress, in generale.”
 
Livietta volta il capo e lo guarda e capisce che ha capito, senza bisogno di parole, come e perché si è procurata quella contrattura. Non può evitare di sorridergli e di annuire, sforzandosi di rimanere calma quando lui le poggia di nuovo la mano sulla pancia.
 
“Devi inspirare lentamente, spingendo sulla mia mano, a mano a mano che incameri aria, ok? Fino a quando ti senti… piena e poi espirare sempre lentamente. Ok?” la istruisce e Livietta annuendo cerca di fare come dice.
 
Segue le sue correzioni, precisazioni ed istruzioni, continuando a respirare in maniera lenta e profonda, chiedendosi se lui riesca a sentire i battiti del suo cuore che sembrano rimbombarle dentro come se il suo corpo fosse una grancassa e che l’esercizio riesce a rallentare solo in minima parte.
 
“Ok, così va meglio. Continua a respirare in questo modo mentre mi occupo della tua spalla, ok?”
 
E in pochi secondi le sue mani le scostano la spallina destra e riprendono il massaggio. Livietta si sente avvampare, mentre cerca di continuare a respirare, anche se sembra che l’aria non sia mai abbastanza, e viene travolta di nuovo da quelle sensazioni nuove e che sembra non riuscire a contenere, ad arginare.
 
“Non devi combattermi: cerca di rilassarti, di lasciarti andare, di assecondare i miei movimenti, altrimenti rischi che ti faccio male,” le spiega e Livietta decide di provare a fare come dice – anche se non è sicuramente quello che intendeva – di non combattere più quello che sta sentendo ma di viverselo, di lasciarsi andare.
 
Non sa quanto tempo sia passato, prima di sentire la sua voce nell’orecchio mormorare “ho finito” e di rischiare per un attimo di cadere all’indietro quando le sue mani le lasciano la spalla, rendendosi conto solo in quel momento, con grande imbarazzo, di essersi abbandonata a tal punto che era ormai lui a sorreggerla.
 
“Tutto bene? Ti gira la testa?” le domanda, mentre lei si volta a guardarlo, “può capitare dopo un massaggio nella zona del collo…”
 
“Forse un po’… però mi sento molto meglio, grazie,” risponde, non riconoscendo quasi la sua stessa voce da quanto è roca. La verità è che la testa le gira eccome, ma non certo per il massaggio anche se, miracolosamente, il dolore alla spalla le è passato, sostituito da una sensazione generale di benessere che non aveva mai provato prima e, allo stesso tempo, come da un’ansia lieve, sottile, come un senso di attesa.
 
“Come sei arrivata qui?”
 
“Coi mezzi… non potevo farmi accompagnare…”
 
“Dove devi andare? A casa?”
 
“No, vado a casa di una mia amica… così mi cambio e andiamo al pub dove suona il mio amico,” chiarisce Livietta, che si è già messa d’accordo con Lucrezia per cambiarsi a casa sua, visto che la madre di lei è nuovamente latitante, “vive vicino alla fermata del tram quindi-“
 
“No, no, non se ne parla: ti accompagno io. Oltre al giramento di testa potresti anche avere un po’ di nausea e non è il caso che tu prenda un mezzo pubblico da sola,” proclama, alzandosi in piedi e prendendole il borsone.
 
“No, davvero non serve, se no mi fai sentire in colpa. Ti ho fatto perdere un sacco di tempo per niente e-“
 
“L’unico tempo che mi faresti perdere stasera è quello passato qui adesso a discutere, perché ti accompagno, non voglio sentire storie, altrimenti sarei un pessimo insegnante di difesa personale!” ribatte con tono perentorio, avviandosi verso l’uscita della palestra, prima di voltarsi verso di lei e domandarle, “riesci a camminare o-“
 
“No, cioè sì,” si affretta a precisare Livietta, alzandosi in piedi fin troppo bruscamente e sentendo il mondo girare vorticosamente, fino a che una mano le afferra il braccio, stabilizzandola.
 
“Scusami, io-“
 
“Dai, andiamo, con calma però,” la interrompe con uno sguardo deciso e gentile al tempo stesso.
 
Livietta si sente di nuovo avvampare mentre la conduce fuori dalla palestra praticamente a braccetto.
 
“Meno male che stasera non sono venuto in moto,” commenta una volta arrivati vicino all’auto: dall’aspetto nuovo di zecca, tenuta con cura e dalla linea sportiva ma di una marca che Livietta sa non essere delle più care. Del resto i poliziotti non navigano certo nell’oro.
 
“Vai anche in moto?” gli chiede, incuriosita, salendo dalla parte del passeggero, mentre lui si mette al volante. Lo spazio dell’abitacolo le sembra fin troppo stretto.
 
“Sì… tu ci sai andare?” le domanda, mettendo in moto.
 
“Di solito vado in motorino ma non guido io… non ce l’ho, mio padre non ha mai voluto, dice che è pericoloso…”
 
“Tuo padre non ha tutti i torti… anche se la moto è diversa dal motorino, è più potente e per certi versi più rischiosa, ma è anche più stabile e… la sensazione di libertà che ti dà, soprattutto se non guidi in città ma su una strada più tranquilla è indescrivibile…”
 
“Sei proprio appassionato!” commenta Livietta con un sorriso, provando di nuovo quello strano rimescolamento allo stomaco quando vede quegli occhi azzuro-verdi brillare, “io in realtà ci sono-“

“Sì?” le chiede, incuriosito, probabilmente avendo notato come si sia interrotta bruscamente e l’espressione accigliata che ha in viso.
 
“Ci sono andata in moto qualche volta, non guidavo io ma… diciamo che non ho un buon ricordo di quel periodo,” ammette Livietta con un sospiro, ripensando a Bobo e al modo in cui l’aveva presa in giro.
 
“Della moto o del guidatore?” le domanda con un’occhiata eloquente, prima di aggiungere imbarazzato, “scusa, lo so che sono un ficcanaso ma… deformazione professionale.”
 
“Me lo dice sempre anche Gaetano…” commenta Livietta con un mezzo sorriso, per poi aggiungere, più seria, “e comunque della moto in sé ho bei ricordi… molto meno di chi la guidava…”
 
“Non dirmi che è lo stesso del ballo acrobatico?!” ironizza, strappandole un altro sorriso.

“No… diciamo che in quel caso ad essere pericoloso era solo il ballo… mentre… il guidatore era molto più pericoloso della moto, purtroppo…” ammette, stupendosi quando le parole le escono di bocca, di come le venga facile e naturale confidarsi con lui.
 
“Mi dispiace… non volevo farti diventare triste. Si vede che è un nervo ancora scoperto… è successo da poco?” le chiede e il sincero interesse, anzi, quella traccia di preoccupazione che legge sul viso di lui le provocano di nuovo quella strana sensazione allo stomaco.
 
“Sì, da qualche mese… anche se per certi versi sembra una vita fa…”
 
“Non è che… non è che è per questo che ti sei iscritta al corso di difesa?” domanda con un tono ed un’espressione che sembrano più che preoccupati, quasi arrabbiati.
 
“No, no! A Gaetano è venuta l’idea perché… una sera era presente quando io e alcune mie amiche siamo state tampinate in discoteca da un gruppetto di ragazzi e… ed è dovuto intervenire, se no sarebbe finita male. Ma non mi è successo niente quella sera e nemmeno prima, cioè neanche… neanche con Bobo, quello della moto, lui non è mai… non mi ha mai fatto del male, non fisicamente almeno.”
 
“La violenza psicologica spesso è quasi più pericolosa di quella fisica… o devo pensare che le mie lezioni siano così noiose che non le hai ascoltate?” le chiede con tono ironico, anche se continua a guardarla preoccupato.
 
“No… anzi sei molto interessante- cioè, il modo in cui spieghi e insegni è molto interessante,” ribatte Livietta, correggendosi e sentendosi di nuovo avvampare quando si rende conto di come le sue parole potrebbero essere interpretate da lui, “e comunque… non si è trattato proprio di violenze psicologiche, cioè… forse sì, in un certo senso, ma… hai presente quando ti fidi completamente di una persona, la ami e ti convinci che anche per l’altro o l’altra sia lo stesso? Io per lui avrei fatto qualsiasi cosa, sono andata contro al mondo intero, avrei rinunciato a tutto, come una stupida e poi ho scoperto che… non era vero niente, che mi aveva solo… solo usata, manipolata, che era stata tutta una bugia e io ci ero cascata perché… probabilmente perché volevo cascarci, volevo crederci. E mi sono ripromessa che non capiterà mai più e… forse in effetti hai ragione, forse mi è venuta voglia di fare il corso di difesa anche per questo… oddio scusa, ti starai annoiando a morte, io che parlo e parlo e-“
 
“Ma figurati, anzi, a me piace ascoltarti e parlare con te, Livia: credo che potrei parlare con te per ore senza annoiarmi,” proclama lui con un sorriso gentile e Livietta sente il cuore farle un balzo nel petto, “ed in quanto al resto… non so se posso capire del tutto cosa si prova… non credo di essermi mai innamorato veramente in vita mia-“
 
“Nemmeno della ballerina?” gli domanda, sorpresa da questa ammissione, chiedendosi tra sé e sé se sia una specie di prerequisito per entrare in polizia, visto che pure Gaetano era così prima di conoscere sua madre.
 
“Mi piaceva molto, sì, ma… no, non sono mai arrivato ad amarla, altrimenti sarei stato molto peggio quando si è trasferita. Mi è spiaciuto, ovviamente, ma… è finita lì...” conferma, prima di aggiungere, alternando lo sguardo tra Livietta e la strada, “ma in quanto a questo… Bobo… penso che doveva essere proprio un idiota e chi ci ha perso è sicuramente lui, Livia.”
 
“Sull’idiota concordo… per il resto… tu sei sempre così… gentile, non so se ormai è anche questa una specie di deformazione professionale per te ma… le frasi fatte non servono a niente. Bobo ci ha perso sì, ma perché era un idiota che si è rovinato la vita da solo, non certo perché non si è innamorato di me. Altrimenti pure tu dovresti averci perso per non esserti innamorato della ballerina e di tutte le altre…” ribatte Livietta, fulminandolo con un’occhiata eloquente.
 
“Forse ci ho perso… chi lo sa… arrivato alla soglia dei trenta, la domanda uno se la pone…” ammette, con un tono che sembra sincero e che la sorprende, “e comunque, sì, è vero, sono stato scelto per fare l’istruttore al corso perché i miei superiori pensano che… che me la cavo bene con le signore e ovviamente non posso essere scortese o brusco con le allieve, ma… anche se a volte non posso dire tutto quello che penso realmente, quello che dico lo penso, sempre. E mi piace parlare con te perché sei schietta, diretta, oltre ad essere divertente e non mi capita spesso di riuscire a rapportarmi in questo modo con una ragazza, come… come se fossi con un mio amico.”
 
“Ah,” non riesce a trattenersi dall’esclamare Livietta, dandosi della stupida per la fitta di delusione allo stomaco, dato che è ovvio che lui non potrà mai interessarsi a lei, e che cerca di mascherare ricorrendo di nuovo all’umorismo, “mi stai dando del maschiaccio?”
 
“No, no, per niente, anzi… la prima volta che mi hai messo al tappeto quasi non potevo crederci proprio perché hai questo aspetto così… dolce e minuto, quasi delicato ma… hai una forza di carattere, sei così decisa, sicura di te. Infatti fatico ad immaginarti mentre ti fai manipolare da qualcuno e anzi, dopo questo corso, non invidio il prossimo che proverà a fare il cretino con te: come minimo me lo distruggi!” ribatte facendole di nuovo l’occhiolino e facendola sorridere, “quello che volevo dire è che… tu sei naturale, spontanea, mentre di solito le ragazze e anche le signore con me è come se si mettessero costantemente in posa… manca solo il ciak si gira, capisci?”
 
“Beh, forse hai incontrato e scelto sempre donne e ragazze sbagliate, allora; o forse a parte il tuo aspetto è anche il tuo atteggiamento un po’… un po’ ruffiano, anche se in senso buono, che le fa comportare così, non ci hai mai pensato?”
 
“Mi stai dando del marpione?” le domanda con un mezzo sorriso ma una nota di reale preoccupazione nella voce.
 
“No, no… non sei mai inappropriato ma… forse alcune signore non ci sono abituate e si sentono lusingate, corteggiate…”
 
“Mentre a te non capita perché sei molto corteggiata?” la punzecchia con un altro di quei mezzi sorrisetti che le fanno sentire un nodo alla bocca dello stomaco.
 
“Ecco, lo vedi come fai?!” ribatte, fintamente esasperata, “no, ci sono abituata perché sono abituata alle fregature e dopo Bobo quando uno è gentile e sorridente con me di solito più che pensare che gli piaccio, mi viene da chiedermi appunto dove sta la fregatura…”
 
“E qui dove starebbe la fregatura?” controbatte non perdendo un colpo e sembrando sempre più divertito.
 
“Non lo so… forse devo ancora scoprirlo… diciamo che lo so che fai così perché fa parte del tuo lavoro. Anche se oggi con me sei stato davvero gentile e disponibile, quindi magari sei proprio così di carattere, non lo so...”
 
“Guarda che ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque al mio posto… magari sei tu che hai conosciuto sempre ragazzi sbagliati,” ironizza, rinviando al mittente la sua battuta di prima con un sorriso.
 
“Touché… e comunque no, non credo e lo sai anche tu,” ribatte Livietta prima di notare improvvisamente che hanno non solo raggiunto ma anche superato la casa della madre di Lucrezia, “aspetta, frena, la casa della mia amica è già passata… scusa. Se mi fai scendere qui vado a piedi… sono neanche cento metri, non ti preoccupare.”
 
“Ok, d’accordo. Allora per la prossima lezione… ti va bene lunedì sera sempre alle 18? Così recuperiamo quello che ci siamo persi stasera. Stavolta però rimani a riposo fino ad allora, ok? E, se ti facesse ancora male la spalla, avvisami che rimandiamo.”
 
“Sì… cioè per me va benissimo anche se… mi fai sentire sempre più in colpa. Però… come faccio ad avvertirti? Fino a martedì non abbiamo lezione e-“
 
“Mi passi il tuo cellulare?” le chiede con un sorriso e Livietta, incredula, infila una mano in tasca e glielo porge, ringraziando il cielo che non sia più rosa glitterato ma bianco e decisamente più sobrio.
 
“Ecco fatto… basta che mi mandi un messaggio,” proclama con un altro sorriso, restituendoglielo.
 
“Sì… ok… grazie…” sussurra Livietta, sentendo il cuore rimbombarle nelle orecchie, scendendo rapidamente dall’auto prima di cedere all’impulso folle di dargli un bacio sulla guancia.
 
Il battito a mille, osserva l’auto allontanarsi, mentre legge il nome sul display – Lorenzo – e un sorriso le si allarga sul volto, senza poterlo evitare.
 
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“Che casino! E questa sarebbe musica?!”
 
“Renzo, per favore! Non eri tu il grande appassionato di rock?” gli fa notare Camilla, sarcastica, sollevando gli occhi al soffitto del pub.
 
“Appunto, di rock, non di questo… rumore infernale!”
 
“È quello che dicevano tutti del rock quando è uscito, lo sai vero? Si stava meglio quando si stava peggio, non ci sono più le mezze stagioni, i giovani d’oggi, eccetera, eccetera… vuol dire che stai diventando vecchio-“
 
“Perché tu invece stai diventando giovane, no? Sei regredita all’adolescenza ormai! E vuoi dirmi che questa… questa accozzaglia di suoni ti piace?”
 
“Non è così male, Renzo: certo il volume è un po’ alto ma… comunque la preferisco a sentirmi i tuoi rimbrotti e le tue lamentele! Sei tu che hai insistito per accompagnarci e se dobbiamo passare tutta la serata a sentirti brontolare e a sorbirci le tue frecciatine, io e Gaetano ci cerchiamo un altro tavolo, è chiaro?!” intima Camilla, già stufa dell’atteggiamento da orso dell’ex marito dopo la seconda canzone. Ma del resto lo conosce fin troppo bene e sa che i luoghi affollati e rumorosi tirano fuori il peggio di lui.
 
“Perché tu pensi che a me faccia piacere condividere il tavolo con voi due e reggere il moccolo? Ma lo faccio per Livietta e-“
 
“Appunto! Come lo stiamo facendo io e Gaetano. Quindi anche se la musica ti infastidisce quasi più della compagnia, continuare a lamentarti non servirà a risolvere la situazione, anzi peggiorerà solo l’umore di tutti!” ribadisce, per poi voltare il capo quando, istintivamente, lo sente arrivare alle sue spalle, anche in mezzo alla bolgia: si era alzato per andare a fare e a prendere le ordinazioni di persona, visto che il locale era pieno zeppo e delle cameriere non si vedeva l’ombra. In realtà era evidentemente una scusa per cercare di rendere un po’ meno opprimente l’atmosfera pesante che si era respirata fin da quando Renzo li aveva raggiunti con la sua auto, dato che, con Livietta e le sue amiche, al ritorno altrimenti sarebbero stati in sei in una sola macchina.
 
Quello che vede le fa temere una doccia inattesa: Gaetano regge un grosso boccale in una mano e due drink con l’altra.
 
“Un long island per me, un negroni per te ed una birra scura per Renzo,” proclama, servendo il tutto perfettamente, senza versare una sola goccia.
 
“Ma come…?”
 
“Come cuoco sono un disastro, ma ho fatto il cameriere per mantenermi e mettere un po’ di soldi da parte mentre aspettavo di fare il concorso per entrare all’Istituto Superiore della Polizia e a volte anche durante il periodo di addestramento,” chiarisce, rimettendosi a sedere, per poi domandarle con un sorriso, “che c’è? La cosa ti stupisce?”
 
Camilla assaggia il primo sorso di negroni, dovendo ammettere che sì, la cosa in fondo un po’ la stupisce: dal tenore di vita di Francesca, anche quando praticamente non lavorava, e da quello di Gaetano che, pur non navigando nell’oro, le è sempre sembrato superiore alla media dei funzionari di polizia e, infine, dai commenti di quel concierge a Roma, aveva avuto l’impressione che Gaetano fosse di famiglia quantomeno benestante, che potesse permettersi di mantenerlo agli studi.
 
“Buono!” si limita a commentare con un sorriso, riferendosi al drink, mentre anche Gaetano annuisce indicando il suo. Senza parole, come è ormai consuetudine, si scambiano i bicchieri per assaggiare quello dell’altro: quando ordinano take-away o mangiano fuori si dividono praticamente sempre le portate, anche perché a nessuno dei due piacciono i locali cosiddetti di classe, dove questa abitudine sarebbe a dir poco malvista.
 
“Come siete romantici! Volete anche la coppa gelato con i due cucchiaini per imboccarvi a vicenda?” commenta Renzo, sarcastico, senza riuscire a trattenersi o a nascondere l’amarezza. Perché una volta al posto di Gaetano c’era lui… anzi no, visto che lui e Camilla avevano sempre avuto gusti abbastanza diversi in fatto di cibo e di bere e, se a casa alla fine avevano trovato dei piatti di compromesso graditi ad entrambi, dei cavalli di battaglia, al ristorante molto spesso quello che ordinava l’uno non piaceva all’altra e viceversa.
 
“Non è colpa di nessuno se a me non piace la birra scura e tu odi i cocktail, Renzo,” ribatte Camilla, sembrando leggergli nel pensiero, “almeno la birra ti piace?”
 
“Non è eccezionale, ma sicuramente è meglio di quei miscugli colorati,” replica Renzo che, da vero purista, non ama i mix di alcolici. Non adora nemmeno la birra in realtà, ma ha scelto il meno peggio sul menù del pub.
 
“Va beh, vado un attimo in bagno,” proclama dopo poco, cercando evidentemente di togliersi da quella situazione per qualche altro minuto, lanciando un’occhiata verso Livietta e le sue amiche, che saltano e si scatenano praticamente sotto al palco.
 
“Meno male che almeno lei è contenta…” sospira Renzo, scambiando con Camilla uno sguardo sinceramente sollevato nel vedere la figlia divertirsi in modo spensierato dopo tutto quello che era successo.
 
Si alza dalla piccola seggiola di legno, fa per voltarsi ma sbatte contro qualcosa e cerca disperatamente di mantenere l’equilibrio mentre quel qualcosa, anzi, qualcuno, gli precipita addosso, aggrappandosi a lui per non cadere. Per fortuna, all’ultimo secondo, trova con le mani il tavolino alle sue spalle e ci si appoggia, riuscendo a non precipitare rovinosamente a terra. Abbassa lo sguardo e dalla chioma lunghissima e corvina, si rende conto che è una donna quella che gli è appena volata addosso.
 
“Tutto bene?” domanda preoccupato, cercando di spingersi in piedi, mentre lei, per tutta risposta, gli preme contro le spalle e si rialza da sola, facendolo quasi cadere.
 
“Stavo meglio prima! Perché non guardi dove vai?!” sbotta la ragazza – i capelli a cortina davanti al viso e al busto – riesce solo a distinguere un paio di gambe chilometriche, sottolineate da una minigonna che più che corta è quasi inesistente, prima che lei aggiunga, guardando verso terra, “dov’è finito il mio cellulare?! Maledizione!”
 
“È qui,” risponde Renzo, abbassandosi per afferrarlo da terra, pochi centimetri più a destra di uno dei piedi della ragazza, evitando per un soffio di ritrovarsi con la mano inchiodata da un tacco dodici a spillo, ritraendola bruscamente e salvando arto e cellulare.
 
“Ah… grazie,” risponde la ragazza, con un tono più malleabile, prendendo il cellulare che lui le porge con la mano destra, mentre con la sinistra butta indietro la lunghissima chioma.
 
“La Venere del Botticelli!” commenta Renzo a bassa voce, tra sé e sé, riconoscendo immediatamente la ragazza che aveva ammirato dalla finestra di fronte per il breve periodo in cui era stata la fiamma del momento del poliziotto-super-più. Poi un giorno, poco dopo l’arrivo del piccoletto, era sparita.
 
Lei lo guarda sorpresa e Renzo per un attimo teme che abbia udito la frase, rendendosi conto in un istante della posizione ridicola in cui si trova: inginocchiato di fronte a lei come se fosse in penitenza, o un cavalier servente di altri tempi, e soprattutto con la faccia a pochi centimetri da quella che più che una gonna è un cinturone. Imbarazzatissimo, cerca di tirarsi in piedi, lottando contro le giunture che protestano.
 
“Ma io… io l’ho già vista da qualche parte…” proclama la ragazza, evidentemente sorpresa, per poi alzare gli occhi e serrare lievemente la mascella, mentre un lampo di riconoscimento le balena nello sguardo, “Gaetano?!”
 
“Barbara…” la saluta, lanciando un’occhiata a Camilla che, ovviamente, da come la guarda, se la ricorda eccome.
 
“Ma certo! Lei è quel signore così gentile, quello che mi ha aiutato a portare il sushi. Mi scusi se sono stata un po’ brusca, ma stasera mi vanno tutte storte. E mi ha anche salvato il cellulare, grazie!” proclama con un sorriso, guardando Renzo.
 
Il sushi?” chiede Camilla, lanciando un’occhiata a Renzo con un sopracciglio alzato, perché questa del sushi è la prima volta che la sente ed evidentemente Renzo non si era accontentato di ammirare La Venere da lontano.
 
“E lei è la moglie, vero?” domanda Barbara, notando finalmente anche Camilla, “l’ho vista un paio di volte… voi eravate nell’appartamento di fronte a quello di Gaetano. Piacere, io sono Barbara.”
 
“Camilla…” risponde con un mezzo sorriso tirato che Gaetano riconosce perfettamente e che lo fa sorridere, porgendole un braccio teso e rigido peggio che ad una parata militare e stringendole la mano.
 
“Cos’è? Una riunione di condominio al pub? E dire che i miei vicini invece sono così noiosi!” commenta, rivolgendosi a Gaetano con fare interrogativo, “ma tu sei qui da solo? O aspetti qualcuno?”
 
“No, non aspetto nessuno, veramente io-“
 
“Beh, allora non ti dispiacerà se ti faccio un po’ di compagnia…” si autoinvita, senza lasciargli finire la frase e la spiegazione, piazzandosi sulla quarta e ultima seggiola del tavolino circolare rimasta libera, quella fra Renzo e Gaetano e di fronte a Camilla, e appoggiandosi con le mani alla spalla di Gaetano, con fare cospiratorio e decisamente confidenziale, per non dire intimo, “mi sa che stasera mi danno buca e nemmeno tu ti meriti di passare una serata a reggere il moccolo, anche se sei stato un po’ cattivo con me, ma… certo che mi perdi colpi, Berardi!”
 
“No, non hai capito, io non sono da solo, sono con lei,” chiarisce, scostandosi e prendendo la mano di Camilla, stretta a morsa al bordo del tavolino, nella sua, accarezzandole il palmo con il pollice, per rassicurarla, avendo visto lo sguardo quasi omicida che stava rivolgendo all’altra donna.
 
“Cosa?” chiede Barbara incredula, indietreggiando quasi bruscamente da lui, alternando lo sguardo tra Gaetano, Camilla e Renzo come se fosse disgustata, iniziando ad alzarsi in piedi, “no, cioè, l’ho sempre saputo che… che non ti facevi mancare niente ma… questo è troppo strano anche per me…”
 
“No, no, ma che hai capito?!” la blocca Gaetano, sentendosi avvampare e notando dalle espressioni scioccate di Camilla e Renzo e dai loro visi improvvisamente bordeaux che non è l’unico, “io e Camilla stiamo insieme, lei-“
 
“Io e Renzo, mio marito, ci siamo lasciati da qualche mese,” chiarisce Camilla, vedendolo in difficoltà.
 
“Ah…” esclama Barbara, evidentemente sollevata, sembrando rilassarsi sulla seggiola, prima di lanciare loro di nuovo un’occhiata e scoppiare a ridere, “oddio, scusate, che figura! È che… non pensavo…”
 
“…Ma quindi è lei che regge il moccolo?” chiede poi, rivolgendosi a Renzo, mentre loro sono ancora impietriti per l’imbarazzo, “o aspetta qualcuna? Spero per lei di sì…”
 
“No, è che… è che-“
 
“È che abbiamo accompagnato nostra figlia a vedere il concerto – mia e di Renzo,” si inserisce di nuovo Camilla con un sospiro, “è una storia lunga e-“
 
“Capisco… forse… va beh, allora che ne dice se mi unisco a lei? Almeno ricambio il favore del sushi e… mi sa che a questo tavolo non c’è pericolo di annoiarsi…” commenta con una mezza risata, stavolta rivolta a Renzo, che è di una tinta aragosta e sembra non sapere cosa dire, per poi aggiungere, senza aspettare risposta, “come si fa ad avere qualcosa da bere in questo posto?”
 
“Vado io… è inutile aspettare il cameriere,” si offre Renzo, alzandosi in piedi, sembrando ancora ansioso e a disagio.
 
“Allora vengo con lei, anzi, posso darti del tu?” replica Barbara con un sorriso, mettendosi in piedi a sua volta e prendendolo per un braccio, trascinandolo in direzione del bar prima che possa replicare.
 
Gaetano e Camilla si scambiano un’occhiata incredula, imbarazzata e un po’ preoccupata.
 
“Ma fa sempre così?”
 
“Se ti riferisci a Barbara, sì… diciamo che era parecchio imprevedibile e… leggera-“
 
“L’ho notato!” si inserisce Camilla, sarcastica.
 
“Non in quel senso… cioè anche un po’ in quel senso…” balbetta, di fronte alla sua occhiata, rendendosi conto, dal modo in cui le si corruga sempre di più la fronte, che sta solo peggiorando la situazione, “insomma… a volte mi si presentava a casa senza avvisarmi, a volte invece faceva ritardi di due ore… quando è arrivato Tommy io… avevo degli orari da rispettare e non potevo più uscire come e quando mi pareva e… e Tommy non la sopportava e lei sembrava allergica ai bimbi, quindi-“
 
“Quindi l’hai piantata in asso… ma devo dire che mi sembrava ben disposta a perdonarti, anche se sei stato cattivo con lei,” ribatte, scimmiottando la voce dell’altra donna.
 
“Non dirmi che sei gelosa, professoressa,” la rimbecca, non riuscendo a nascondere un sorriso compiaciuto, per poi aggiungere, serio, guardandola dritto negli occhi, “non ci eravamo promessi di fidarci l’uno dell’altra?”
 
“E infatti io di te mi fido, ma lei è meglio che tenga le mani al loro posto!” intima Camilla con un mezzo sorriso, fulminandolo poi con un’occhiata ed un eloquente, “e anche tu!”
 
“Ne sei proprio sicura?” le chiede, specificando, alla sua occhiata confusa, “sei proprio sicura di volere che io tenga le mani a posto?”
 
“Gaetano!” esclama, colta di sorpresa, sentendosi sollevare e ritrovandosi seduta in braccio a lui, non riuscendo a trattenere una risata, “e dai! E se ci vede qualcuno?”
 
“La fila al bar è molto lunga e tua figlia mi sembra concentrata sulla band, quindi-“
 
“Quindi sono proprio sicura di volere che tu tenga le mani al loro posto,” ribadisce lei, seria, per poi sorridere e bloccargliele, quando lo sente lasciare immediatamente la presa, guidandole di nuovo sui suoi fianchi e chiarire, di fronte allo sguardo turbato e confuso di lui, “perché questo è il loro posto.”
 
Il sorriso che gli illumina il viso è forse il più bello che lei abbia mai visto e quelle mani si fanno un’altra volta sicure, intrappolandola contro di lui. Travolta da un bacio, tutto il resto del mondo si sfuma fino a scomparire.
 
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“Sei sicuro di non volerne uno anche tu?”
 
“No, grazie, io ho ancora la mia bir- ra,” balbetta, di fronte alla scena che gli si para davanti non appena volta lo sguardo verso il loro tavolino. Una scena che è come un pugno allo sterno e che avrebbe decisamente preferito non vedere.
 
Camilla e il poliziotto avvinghiati, che si baciano come due adolescenti. Anzi no, gli adolescenti non si baciano così. Non sa nemmeno se lui e Camilla si fossero mai baciati così, con tutta questa passione, con tutto questo… amore, neanche agli inizi della loro relazione.
 
È la prima volta che… che li vede davvero. Finora in sua presenza si erano limitati a pochi, casti e rapidi baci di saluto sulle labbra. Ha sempre saputo che sarebbe successo prima o poi, ma questo non alleggerisce di certo il colpo. Si sorprende però nel constatare che il dolore che sente al petto, per quanto forte, è meno lancinante di quello che ha provato quando li ha sorpresi a convivere, di quella prima colazione, di… di ogni volta che vede Gaetano con Livietta, di quando li vede, come la sera prima, comportarsi tutti e tre come una vera famiglia. Perché la verità è che se il rapporto tra Camilla e Gaetano si riducesse a questo, a quello che sta vedendo ora, avrebbe forse potuto comprenderlo e sopportarlo: una sbandata per un uomo più giovane e più… più figo dopo vent’anni di matrimonio… purtroppo può capitare. Ma sa che, almeno per lei, non è così, c’è molto di più di questo.
 
“E pensare che mi lamentavo della mia serata, del mio ragazzo che è in ritardo di un’ora e mezza e ha pure il cellulare staccato, ma in confronto a te, mi sa che mi posso consolare!” commenta Barbara al suo orecchio e Renzo si volta, trovandosela a pochi centimetri dal viso, che gli porge di nuovo il drink che ha appena ordinato, un margarita, “sei davvero sicuro di non volerne un po’?”
 
Lui cerca di negare con il capo ma si ritrova il bicchiere alle labbra, e lei lo inclina, praticamente costringendolo ad assaggiarne un goccio, se non vuole sporcarsi tutto.
 
“Allora?” gli domanda con un sorriso e Renzo deve ammettere che non è poi così male: l’acido del cocktail gli toglie almeno per un po’ quel senso di amaro dalla bocca.
 
“Un altro!” fa segno lei al barista, prima che possa rispondere, sembrando leggergli nel pensiero.
 
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“Certo che pure tuo padre non si fa mancare niente, eh, Livi?! Chi è quella stangona?!” commenta Lucrezia con una risata indicando il tavolo dove Gaetano e Camilla, Renzo e una ragazza mora stanno bevendo i loro drink.
 
La ragazza ride e scherza con Renzo che ha quell’espressione tra l’imbarazzato, l’impacciato e il compiaciuto che Livietta riconosce bene: l’aveva vista per la prima volta quando suo padre la veniva a prendere a scuola di danza ed incontrava la sua insegnante Pamela. All’epoca non aveva del tutto capito che significasse, adesso, purtroppo, lo capisce fin troppo.
 
“Non lo so… anche se… mi sembra di averla già vista da qualche parte…” commenta Livietta, non sapendo cosa pensare, francamente sorpresa all’idea che suo padre che, nonostante tutto, è parecchio timido, possa aver tentato l’acchiappo con una perfetta sconosciuta in un pub.
 
In realtà sembra che sia stata più lei ad acchiappare lui, ma, considerata l’avvenenza della tipa in questione, una specie di Barbie mora semisiliconata, il fatto che abbia puntato proprio suo padre in un locale pieno di ragazzi decisamente più giovani e aitanti le sembra davvero strano.
 
Di sicuro però, vedendo il modo in cui la tizia si aggrappa al braccio e alla spalla di suo padre e ride come se avesse appena respirato il gas del Joker o se suo padre fosse il più irresistibile dei comici, Livietta prova una fitta immediata ed istintiva di antipatia verso di lei, di chiunque si tratti.
 
Serrando la mandibola, decide di contravvenire alla regola aurea, da lei stessa imposta, di evitare ogni contatto tra lei e gli accompagnatori, e di andare di persona a verificare chi è la bambolona e che vuole da suo padre. Ha fatto appena un passo quando una voce familiare alle sue spalle la blocca.
 
“Livia!”
 
Incredula si volta e si ritrova davanti all’istruttore, anzi, a Lorenzo, e, se vestito con la tuta d’ordinanza è già un gran bel vedere, con i jeans e la camicia che indossa ora è a dir poco da togliere il fiato.
 
“Che… che ci fai qui?” balbetta, sbalordita, mentre la speranza assurda e… inebriante che possa essere lì per lei le fa andare il cuore a mille.
 
“Il chitarrista è un mio amico,” spiega, indicando il ragazzo vicino a Savino che suona a testa bassa, concentrato sulla musica, come se non gli importasse nulla del mondo intorno a lui. Livietta non se ne intende ma gli sembra bravo, come del resto tutti gli altri componenti della band. In confronto al gruppo di Nino e dei suoi amici, si vede e si sente che hanno un po’ più di anni e di esperienza alle spalle.
 
“Chi è questo gran figo e dove l’hai tenuto nascosto finora?” domanda Lucrezia, senza smentirsi mai, inserendosi nella conversazione e piazzandosi di fronte a Lorenzo, ignorando l’occhiataccia di Cristina.
 
“Lu, per favore!” sbotta Livietta, sentendosi avvampare, imbarazzata, mentre l’istruttore invece sembra sorridere divertito e forse un po’ compiaciuto.
 
“Ma è la verità: nemmeno tu ti fai mancare niente! Prima Bobo e poi lui… si vede che è di famiglia: beati voi!” commenta Lucrezia con un’altra risata, mentre il cuore di Livietta le finisce alla bocca dello stomaco quando realizza un dettaglio fondamentale.
 
“Ci sono qui anche mia madre e… e Gaetano,” ammette, rivolgendosi a Lorenzo, imbarazzata ma più preoccupata di non metterlo nei guai, anche se sa già che farà la figura della ragazzina che si deve far scortare dalle guardie del corpo.
 
“Dove sono?” le domanda, con sguardo sorpreso ma grato per l’avvertimento, seguendo la direzione da lei indicata, ed esclamando, sorpreso, “Barbara?!”
 
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“Davvero giocavi a calcetto?!”
 
“Sì, me la cavavo anche abbastanza bene… poi ho smesso… sai, le ginocchia…”
 
“Ti capisco: a me il calcio piace da morire ma… non ho mai giocato, se non ai tempi della scuola. Ho sempre avuto paura di farmi male…”
 
“Beh, certo, sarebbe stato un delitto rovinarti le gambe – cioè, volevo dire, le ginocchia,” si corregge, sentendosi nuovamente avvampare, mentre Barbara ride di gusto.
 
“Il campione mondiale di calcetto…” sussurra Camilla sarcastica, scambiando uno sguardo eloquente con Gaetano, “anche se mi stupisce di più che la Venere del Botticelli se ne intenda e sia pure appassionata di calcio. È mezz’ora che vanno avanti a parlarne, e pure con termini tecnici, mentre io faccio fatica a capire cos’è un fuorigioco. Che c’è? Perché ridi? Se è per la mia scarsa competenza in materia calcistica-”
 
“No, no, anzi, il calcio non mi ha mai entusiasmato e conosco le regole perché le ho imparate a scuola,” replica Gaetano con un altro sorriso, mentre Camilla si rende conto che, in anni di conoscenza, in effetti non l’aveva mai sentito parlare di partite, stadi – un’altra cosa che hanno in comune – “è che… mi ero dimenticato che l’avevi soprannominata così.”
 
“Renzo l’aveva soprannominata così… cioè in realtà io… ma dopo che lui l’aveva definita come un’opera d’arte quando l’avevo beccato ad ammirarla dalla finestra con la bava alla bocca, mentre girava in babydoll trasparente per casa tua…” gli chiarisce, sempre a bassa voce in modo che Renzo e Barbara non possano sentirla, trafiggendolo con un’occhiata eloquente.
 
“E allora ha poco gusto in fatto di opere d’arte, perché io preferivo decisamente ammirare la Venere in camicia da notte blu della finestra di fronte, che lui aveva la fortuna di avere accanto. E ogni tanto fatico ancora a credere che adesso questa incredibile fortuna sia toccata a me… abbia scelto me,” le sussurra di rimando con uno sguardo ed un sorriso che la fanno sciogliere.

Frena a fatica l’istinto di abbracciarlo, di baciarlo, limitandosi a prendergli le mani da sotto al tavolo e stringergliele fortissimo, mormorando, “sono io che sono incredibilmente fortunata, Gaetano: che tu abbia scelto me e che… che tu abbia evidenti problemi di vista, sia da vicino che da lontano, almeno per quanto mi riguarda.”

Gaetano apre bocca per risponderle quando la voce di Renzo, decisamente entusiasta, come raramente lui e Camilla l’avevano mai sentito, li distrae nuovamente e li porta a girarsi verso l’altra… coppia al tavolo.
 
“Veramente sei andata in Brasile a vedere la coppa del Mondo??!!” chiede a Barbara, guardandola con un misto di stupore, invidia ed ammirazione.
 
“Una mia amica è fidanzata con un difensore della Nazionale e quindi sono riuscita a convincerla ad accompagnarla… sai, i giocatori sono in ritiro e lei si annoiava. Purtroppo l’Italia è stata eliminata quasi subito e sono rientrata anche io, però è stata una bella esperienza: calcio, sole, mare, la combinazione perfetta! E tu? Quando sei andato allo stadio per l’ultima volta?”
 
“Io? Mah… qualche anno fa, con Livietta, mia figlia,” ammette, con una certa malinconia, rivolgendo istintivamente lo sguardo verso il punto dove si trovano Livietta e le sue amiche e facendo quasi un balzo sulla sedia, quando la vede intenta a parlare con un bellimbusto alto e moro, “e chi è quello?! Avrà trent’anni!! Ma non si vergogna a provarci con delle ragazzine??!!”
 
Camilla e Gaetano si voltano rapidamente, temendo una ripetizione di quanto successo l’ultima volta in discoteca, lanciandosi un’occhiata preoccupata, che si tramuta in un sospiro di sollievo quando riconoscono l’istruttore.
 
“Adesso vado e gliene dico-”
 
“No, aspetta, aspetta, quello è-“
 
“LORENZO!” esclama Barbara, osservando l’istruttore con uno sguardo che potrebbe incenerire chiunque.
 
L’uomo sembra quasi sentirla in mezzo alla folla e incrocia i loro sguardi, per poi rivolgersi con un ultimo cenno a Livietta e le sue amiche ed avanzare nella loro direzione.
 
“Buonasera, scusate io-“
 
“Finalmente!! Son più di due ore che ti aspetto: pensavo non venissi più! E per di più hai il telefono spento!” sbotta Barbara, alzandosi dalla seggiola e piazzandoglisi davanti con aria minacciosa.
 
“Scusami, hai ragione è che… ho avuto un imprevisto e… il telefono mi si è scaricato e non me ne sono accorto…” si giustifica lui con tono arrendevole, anche se non sembra poi così dispiaciuto, non quanto le circostanze richiederebbero.
 
“Sì, certo, come no!! La verità è che mi racconti sempre un sacco di palle e io come una scema fingo pure di crederci!” ribatte Barbara, ancora furente, guardandolo torva, con le braccia incrociate.
 
“Dottor Berardi, professoressa, buonasera,” saluta poi l’uomo, sembrando quasi più in imbarazzo nei loro confronti che nei confronti della sua ragazza.
 
“Ma voi vi conoscete?” domanda Barbara, la sorpresa che vince per un attimo sull’irritazione, “ah, giusto, è vero che siete tutti e due in polizia!”
 
“È l’istruttore del corso di difesa personale…” chiarisce Camilla, rivolgendosi a Renzo che continua a studiare il nuovo arrivato come se fosse un esemplare particolarmente schifoso di scarafaggio.
 
“Lorenzo Ferri, piacere,” si presenta l’istruttore, porgendo educatamente la mano a Renzo.
 
“Renzo Ferrero, sono il padre di Livietta,” sibila Renzo di rimando, squadrandolo in un modo che pare volergli fare la radiografia prima di ricambiare con una stretta di mano ancora più rigida di quella che Camilla aveva dato a Barbara.
 
“Livietta?!” domanda l’uomo, evidentemente divertito, per poi chiarire, di fronte all’occhiataccia di Renzo, “no… mi scusi, è che… capisco che sua figlia per lei sia ancora una bambina, ma… mi ha steso al tappeto alla prima lezione, quindi il diminutivo mi fa un po’ sorridere.”
 
Renzo, stupito dalla rivelazione, sta per replicare, quando l’uomo si rivolge a Barbara e con un sorriso decisamente più gentile le chiede, “dai, come posso farmi perdonare per il ritardo? Posso offrirti qualcosa? Anche se vedo che hai già bevuto con loro, a quanti drink sei?”
 
“E me lo chiami ritardo?! E comunque ho bevuto solo un margarita, quindi esigo almeno un altro cocktail, doppio! E anche qualcosa da mangiare, che sto morendo di fame!” ribatte, prendendolo per mano, prima di lanciare un ultimo sguardo agli occupanti del tavolo, soprattutto a Renzo, “allora noi andiamo, grazie per avermi fatto compagnia mentre aspettavo questo cattivone qui. Mi sono divertita!”
 
E, rivolgendo loro un ultimo sorriso a trentadue denti, si volta, trascinando via l’istruttore con sé.
 
“Sedotto e abbandonato…” commenta Camilla con un’occhiata eloquente a Renzo, che continua a guardare in direzione della Venere e dell’istruttore, che si sono messi in fila per il bar.
 
“Già… per un poliziotto palestrato, dall’ego ipertrofico quasi quanto i suoi muscoli… la storia della mia vita…” rimbecca Renzo, sarcastico e duro.

“Renzo!” lo fulmina Camilla, indignata, “non ti permetto di-“
 
“Vado in bagno, ho bevuto fin troppo di questa schifezza,” ribatte Renzo, sbattendo il bicchiere praticamente vuoto di margarita sul tavolo, alzandosi e cominciando ad allontanarsi.
 
“Fermati, non fa niente,” la trattiene Gaetano, prima che possa seguirlo, “insomma… sono stati due giorni complicati e questo… questo deve essere stato il colpo di grazia. Meglio se va in bagno a calmarsi un po’.”
 
“Forse hai ragione…” sospira Camilla, passandogli il braccio intorno alla vita e sentendolo ricambiare, trovandosi stretta al suo petto, per poi aggiungere, guardandolo negli occhi, “e forse su una cosa ha ragione anche Renzo.”
 
“E cioè?” le domanda lui, spiazzato, non capendo dove voglia andare a parare, visto che le parole ben poco gentili di Renzo contrastano con il sorriso di lei ed il modo in cui lo sta guardando e che lo fa sentire come l’uomo più amato e più felice del mondo.
 
“Che hai i muscoli ipertrofici… soprattutto uno,” chiarisce, posando la mano destra sulla camicia di cotone, esattamente all’altezza del cuore, che sente immediatamente accelerare sotto le sue dita, “il cuore è un muscolo, no?”
 
“E tu sei sempre una prof., anche nelle dichiarazioni d’amore,” ribatte con un sorriso commosso e divertito, stringendola ancora più forte, prima di cedere nuovamente all’impulso di baciarla.
 
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“Il tuo amico c’ha già la ragazza…”
 
“Evidentemente…” commenta Livietta, non riuscendo a staccare gli occhi di dosso da lui e dalla stangona che attendono il loro turno in fila al bar, a braccetto. Se già non le stava simpatica a pelle, ora sente di provare un sentimento di fastidio, per non dire d’odio, assolutamente irrazionale ed irrefrenabile.
 
“E tuo padre invece si è preso un bel due di picche…” prosegue Lucrezia con una risata, ignorando l’ennesima occhiataccia di Cristina.
 
“Evidentemente…” ripete Livietta, sorprendendosi nel pensare che avrebbe mille volte preferito che la stangona continuasse a provarci con suo padre, piuttosto che vederla incollata in quel modo a lui.
 
Sa di non potere competere con una ragazza, anzi, con una donna del genere, e, se già prima le sue speranze con lui erano praticamente inesistenti, ora a maggior ragione sa che la sua è destinata a rimanere una cotta non corrisposta e che deve farsi passare in fretta.
 
“E comunque non è un mio amico e non mi interessa: per quanto mi riguarda può avere tutte le ragazze che vuole,” proclama ad alta voce, decisa, non sa se cercando di convincere più se stessa o più Lucrezia, per poi sforzarsi di dare le spalle al bar e concentrarsi sul palco, “dai, pensiamo a divertirci: io sono venuta qui per sentire il concerto, non per spettegolare!”
 
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“Bene, vi siete divertite?”
 
“Moltissimo, il concerto è stato fighissimo! Aveva ragione Livietta: siete davvero bravi!” commenta Lucrezia entusiasta, ad un Savino sudato, esausto, ma sorridente.
 
“Grazie, troppo buona! E mi stupisce che voi abbiate resistito fino alla fine!” scherza, rivolgendosi invece a Gaetano, Camilla e Renzo che, insieme alle ragazze, si sono avvicinati al palco per i saluti.
 
“Non è proprio il genere che ascolto di solito ma ve la cavate alla grande,” lo rassicura Gaetano, dandogli una pacca sulla spalla, mentre Camilla sorride ed annuisce.
 
“Sì… complimenti, bravi tutti, ma… si sarebbe fatta ‘na certa, come si diceva a Roma, ed io sarei un po’ stanco: non ho più vent’anni, purtroppo. Quindi, se non vi dispiace, io andrei…” si inserisce Renzo, sembrando anche più esausto di Savino: del resto, Camilla e Gaetano lo sanno bene, ha probabilmente passato la notte precedente insonne o quasi.
 
Al ritorno dal bagno era stato più che civile, praticamente invisibile, trincerandosi dietro una barriera di mutismo e sorseggiando il suo bicchiere di acqua tonica – basta alcol, in previsione della guida – con una concentrazione tale che sembrava che il liquido trasparente dovesse svelargli tutti i misteri dell’umanità. Loro erano rimasti altrettanto in silenzio, cercando di non turbare il fragilissimo equilibrio su cui, lo sapevano, si basava quella tregua, evitando il più possibile ogni contatto fisico e concentrandosi sulla musica e sulla band.
 
“Le ragazze le possiamo riaccompagnare noi, non ti preoccupare, però… però non mi piace lasciarti guidare da solo a quest’ora, visto che sei stanco, oltretutto,” risponde Camilla, lanciando un’occhiata eloquente a Livietta.
 
“Se vuoi ti accompagno io, papà,” si offre Livietta con un sospiro, in cuor suo stupita dalla resistenza stoica del padre durante questa serata, anche se ancora un po’ irritata con lui per l’intermezzo con la stangona a cui però non vuole più pensare, perché altrimenti le viene in mente ben altro.
 
“Davvero?” chiede Renzo, incredulo, non riuscendo a trattenere un sorriso ampio e brillante che colpisce profondamente sia Livietta, sia Camilla.
 
“Sì. Ragazze, non vi dispiace, vero?” domanda Livietta, rivolgendosi alle sue amiche.
 
“No, non ti preoccupare, Livi, ci sentiamo domani,” conferma Cristina, abbracciandola, seguita a ruota da Lucrezia.
 
“Dai andiamo,” incita Gaetano, estraendo le chiavi della macchina dalla tasca dei pantaloni, “ciao Savino, ciao ragazzi, ancora complimenti!”
 
Hanno appena fatto qualche passo e stanno per arrivare all’ingresso del locale, quando la porta dei bagni si spalanca e per poco Gaetano, che guida la fila, non si becca una portata in faccia.
 
“E shhhtai attento!” esclama una voce familiare, mentre si ritrova ad aggrapparsi al muro per evitare di cadere, visto che un peso gli è precipitato tra le braccia.
 
“Barbara?” domanda Gaetano, sorpreso, abbassando lo sguardo e riconoscendo la chioma e l’abbigliamento – se così si può chiamarlo – della ragazza.
 
“Ancora tu! Mi devi lassshare in pace! Mi dovete lassshare in pace, hai capito?! Ssshei uno ssshtronzo! Ssshiete tutti sssshtronzi!” grida, cercando di spingerlo via e barcollando all’indietro, finendo addosso a Renzo che la afferra appena in tempo per un braccio prima che caschi a terra.
 
Barbara alza gli occhi, lo guarda ed esplode in una risata decisamente ubriaca, prima di gettargli le braccia al collo ed abbracciarlo, proclamando, “tu invece ssshei gentile!”
 
“Ci mancava pure stavolta l’ubriaca persa!” commenta Livietta, alzando gli occhi al cielo, mentre Lucrezia osserva Barbara e sembra parecchio in imbarazzo, probabilmente ripensando a quando era lei ad essere conciata in quel modo.
 
“Ma quanto hai bevuto?” chiede Renzo, imbarazzatissimo, cercando di reggerla in piedi, mentre incontra lo sguardo di Camilla, un sopracciglio alzato quasi fino all’attaccatura dei capelli, “dov’è… coso… il tuo fidanzato?”
 
“Quello ssshtronzo non è il mio fidanzato! Mi ha mollata! E io gli… gli ho detto di anda- andare al diavolo!” proclama, agitandosi ancora di più.
 
“Ehi, ehi, stai calma!” protesta Renzo, non sapendo più cosa fare, guardando Camilla e Gaetano in cerca di aiuto.
 
“Barbara, ascoltami, come sei venuta qui? In auto o in taxi?” chiede Gaetano, prendendo in mano le redini della situazione e cercando di avvicinarsi a lei per togliere Renzo di impaccio.
 
“Non ti… non ti avvi-cinare!” grida Barbara, guardandolo con uno sguardo così carico di risentimento che Gaetano si blocca sui suoi passi.

“Ascoltami, sei venuta in auto o in taxi?” ripete Renzo, cercando di farla ragionare.
 
“In… in taxxxsi… devo prendere un taxxxsi…” biascica, quasi tra sé e sé.
 
“Non possiamo farle prendere un taxi in queste condizioni…” proclama Camilla con un sospiro, pronunciando ad alta voce quello che tutti avevano pensato.
 
Camilla, Renzo e Gaetano si guardano per un attimo, come indecisi sul da farsi.
 
“La accompagno io la signorina,” propone infine Renzo, lanciando un’occhiata a Livietta, “insomma, mi sembra evidente che con il nostro poliziotto qui non voglia avere niente a che fare e lasciare Camilla da sola in macchina con lei… mi sembra fuori discussione. Se mi dai l’indirizzo… immagino che tu sappia dove abita, no?”
 
“Sì, aspetta un attimo che controllo il nome della via,” conferma Gaetano, estraendo il cellulare e cercando su google maps e google earth e mostrando i risultati a Renzo, che sta ancora sorreggendo Barbara.
 
“A te non dispiace Livietta? Passiamo prima ad accompagnare la signorina e poi-“
 
“No, papà, non se ne parla: io con la sciroccata ubriaca, che magari vomita pure, in auto non ci salgo!” ribatte Livietta, a braccia conserte, fulminandolo con un’occhiataccia.
 
“Mi dispiace ma… che cosa posso fare? Non è colpa mia,” risponde Renzo, chiaramente deluso e ferito da questa nuova chiusura della figlia.
 
“Tuo padre ha ragione, Livietta…” le fa notare Camilla, lanciandole a sua volta un’occhiata eloquente, “e credo che pure lui stanco com’è preferirebbe andare a casa con te che dover fare da autista alla signorina, ubriaca persa.”
 
“Sì, sì, lo so...” ammette Livietta con un sospiro, avendo perfettamente colto la frecciata della madre, riferita a tutto quello che era successo negli ultimi giorni, e dovendo riconoscere che suo padre sembra veramente esausto, “però, papà… non ti dispiace se io torno con le mie amiche e mamma e Gaetano? Noi ci vediamo domani, se ti va.”
 
“Va bene, Livietta, lo capisco. E certo che mi va!” risponde Renzo con un sorriso, guardando Camilla con gratitudine.
 
“Vuoi che ti accompagni io?” si offre Camilla, sorprendendolo nuovamente, in positivo, “sei davvero stanco e non mi piace che guidi da solo. Gaetano non-”
 
“No, figurati, per me va bene, tanto ho Livietta in macchina e non corro il rischio di addormentarmi,” la rassicura Gaetano con un sorriso, guadagnandosi una mezza gomitata dalla ragazza.
 
“Camilla, ti ringrazio ma non è necessario, davvero. Il tragitto da casa della signorina al mio residence è breve. E se proprio mi sentissi troppo stanco per guidare, chiamo un taxi, non ti preoccupare.”
 
“D’accordo… mi raccomando, non fare stupidaggini,” gli intima Camilla, preoccupata, prima che con un’ultima occhiata, si avviino verso le rispettive auto.
 
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“Maledizione… dove sono le chiavi?”
 
Sarà un minuto che fruga nella borsa di lei, piccola ma con cinquemila scomparti e farlo con come minimo una cinquantina di chili appoggiati addosso praticamente a peso morto non è per niente facile. Spera che non gli ritorni il colpo della strega.
 
Quando alla fine afferra il metallo, gli sembra quasi un miraggio, prima di rendersi conto di quanto sia difficile centrare la toppa in queste condizioni. Infine, dopo una lunga lotta, riesce ad avere la meglio sulla malefica serratura e ad entrare, richiudendo la porta dietro di loro.
 
“Dov’è… dov’è la camera da letto?” le domanda, sentendosi sempre più in imbarazzo e allo stesso tempo ansioso di togliersi da quella situazione.
 
“Ecco, lo – lo ssshapevo! Tutti uguali voi uo-uomini! Volete sssholo portar- portarmi a letto!” grida Barbara, cercando di divincolarsi, mentre Renzo sente il viso diventare infuocato.
 
“No, no, stai tranquilla, voglio solo… voglio solo metterti a letto, da sola, non voglio… andare a letto con te!”
 
“Per-ché? Non ti piassho?” gli domanda, guardandolo con gli occhioni spalancati in un’espressione che potrebbe quasi sembrare delusa, se non fosse persa tra i fumi dell’alcol.
 
“Non vado a letto con donne ubriache,” risponde Renzo, non potendo credere di stare avendo questa conversazione, “dimmi, dov’è la tua stanza?”
 
“Ah, ggiusto! Tu non ssshei ssshtronzo, no, tu ssshei gentile!” ride sguaiatamente, prima di allungare un braccio verso una porta e fare segno, “di là.”
 
A fatica Renzo la trascina verso la stanza indicata, tirando un sospiro di sollievo quando vede il letto matrimoniale. Con cautela si siede insieme a lei, cercando di aiutarla a stendersi e riuscendo infine in qualche modo a piazzarla in mezzo al letto, con la testa sul cuscino.
 
“Ok, allora io andrei, cerca di non bere più così, che è pericoloso,” si raccomanda, tentando di alzarsi dal letto ma ritrovandosi bloccato da due braccia che si stringono a morsa intorno al suo collo.
 
“Non andare via… non lassharmi da sola anche tu, ti prego,” lo implora, guardandolo di nuovo con quell’espressione delusa e stranamente vulnerabile.
 
“D’accordo, ascoltami, non vado via ma… ma mi metto su quella poltrona lì, ok?” le parole gli escono di bocca prima di potersene pentire, “se hai bisogno basta che mi chiami, va bene?”
 
“Lo ssshapevo che… che ssshei gentile,” gli sorride, posandogli un bacio sulla guancia prima di mollare la presa e lasciarlo andare.
 
Renzo, domandandosi se questo non sia una specie di Karma per le rare volte in cui si è fatto soccorrere ubriaco da Camilla o da Carmen, ne approfitta per svincolarsi subito e piazzarsi sulla poltrona, sperando che Barbara prenda presto sonno, così da potersene tornare a casa, al suo letto, che gli sembra quasi un miraggio in questo momento.
 
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“Buonanotte, mamma, buonanotte, Gaetano, e grazie…”
 
Con un sorriso grato, Livietta si avvicina a sua madre, salutandola con un bacio sulla guancia che la sorprende, visto che non ci è più abituata, per poi lasciarla a dir poco di stucco quando si avvicina anche a Gaetano e fa esattamente lo stesso, come se fosse la cosa più naturale del mondo, prima di voltarsi ed entrare in bagno, richiudendo la porta dietro di sé.
 
Camilla lancia un’occhiata a Gaetano, che si tocca la guancia, visibilmente scosso, sbalordito e sconcertato quanto lei.
 
“Non ti ci abituare, non lo fa quasi mai,” lo avvisa, vincendo il nodo in gola e quella strana sensazione di commozione mista ad incredulità che l’ha presa allo stomaco.
 
“No… è solo che… mi chiedo a cosa devo l’onore…” ammette lui, la voce che esce a fatica quasi quanto quella di lei.
 
“Forse anche Livietta si è accorta di quanto tu sia stato… meraviglioso e diciamo pure santo, in questi due giorni,” ipotizza Camilla con un sorriso, allacciandogli le braccia intorno al collo per abbracciarlo.
 
Anche Livietta?” ripete con un sorriso, ritrovandosi, per tutta risposta, con le spalle al muro, le labbra incollate a quelle di lei, in un bacio famelico e dolce al tempo stesso.
 
“Camilla… Camilla,” prova a bloccarla, riavendosi per un attimo quando sente le labbra di lei sul collo, scendere sempre più giù, ogni curva del corpo di lei che aderisce perfettamente al suo, facendolo diventare matto, “Camilla, se continui così… a casa mia non ci arrivo stanotte.”
 
“Bene, perché è proprio quello che voglio,” gli sussurra, prima di mordergli il lobo dell’orecchio e proseguire il suo assalto.
 
“E le nostre regole?” le domanda, ricordando benissimo come avessero stabilito che, onde evitare confusioni – e tentazioni – fosse meglio evitare di passare la notte insieme quando non erano da soli, altrimenti si sarebbero praticamente trovati a convivere, di fatto, e avevano deciso di aspettare un po’ di tempo, anche per far sì che si calmassero le acque con Renzo e con Eva.
 
“Ogni regola ha le sue eccezioni: Tommy non c’è… Livietta non credo si scandalizzerà vedendoti qui domattina… e ogni tanto potrò pur invitare il mio meraviglioso compagno a trascorrere la notte da me, o no?” risponde, allentando un attimo la presa per guardarlo negli occhi, aggiungendo, seria, “sempre se lui ne ha voglia, è ovvio. Se non ti va o sei troppo stanco, io-“
 
Le parole vengono soffocate dalle labbra di lui, che la accarezzano morbidamente, languidamente. Senza sapere come, Camilla si ritrova sollevata in aria, tra le sue braccia, le gambe allacciate intorno alla sua vita, mentre la guida verso la camera da letto, staccandosi solo un secondo per respirare e sussurrarle, sulle labbra, dischiuse in un sorriso, “tu che ne dici, professoressa?”
 
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“Ehi… sveglia… sveglia, dormiglione.”
 
“Ca… Camilla…” bofonchia, sbattendo le palpebre, fino a intravedere due occhi scuri che lo fissano nella semioscurità e fare un balzo quando si rende conto che non sono affatto gli occhi di Camilla.
 
“No, non sono la tua ex moglie, mi dispiace. Deluso?” gli domanda con un sorriso ed un tono sornione.
 
“No… cioè, ma che… che è successo?” chiede, andando per un attimo in panico e tentando di alzarsi, notando all’istante due cose: che la cervicale lo sta uccidendo e che, soprattutto, si deve essere addormentato quasi subito, esausto com’era, su quella maledetta poltroncina.
 
E ora si è risvegliato con la Venere del Botticelli – e la sua scollatura – praticamente a pochi centimetri dal suo viso, appollaiata su uno dei braccioli della poltrona, le gambe chilometriche elegantemente accavallate in una posa da vamp.
 
“È successo che sei rimasto addormentato… non posso crederci che hai passato quasi tutta la notte su questa poltrona per vegliarmi: nessuno aveva mai fatto una cosa simile per me,” sussurra con un sorriso ed un’espressione intenerita, e Renzo di nuovo fa praticamente un salto quando sente qualcosa toccargli il viso, realizzando in un attimo di incredulità che sono le dita di lei che gli accarezzano lentamente la guancia destra, “non sei solo gentile ma sei davvero dolcissimo.”
 
“Io… io… come quasi tutta la notte? Che ore sono?” chiede, ritraendosi da quel contatto dopo un attimo di silenzio imbarazzato e guardandosi intorno nella stanza alla ricerca di un orologio.
 
“Sono le cinque del mattino, ma-“
 
“Allora mi sa che è meglio che vada, tu adesso stai bene, no?” le domanda, cercando di alzarsi in piedi.
 
“Ah, ah, non così in fretta…” lo blocca, spingendolo con le mani sul petto, bloccandolo allo schienale, per poi accoccolarsi sulle sue gambe, con una mossa rapida e felina, “sei rimasto qui fino adesso… non vorrai mica andartene proprio sul più bello? E poi anche se sto meglio, sento di avere ancora molto bisogno di cure…”
 
Renzo sente il colletto della camicia e i pantaloni farsi decisamente troppo stretti, il viso in fiamme, mentre il suo corpo reagisce inequivocabilmente e violentemente a quel contatto, soprattutto dopo ben più di due mesi di astinenza forzata. Il cuore a mille, la lingua di cartavetra, mentre in un angolo della sua mente si chiede se stia ancora sognando e se non si risveglierà a breve, solo, nel letto del suo residence. E non sa se sia più una speranza o un timore.
 
La vede avvicinarsi sempre di più e, con un notevole sforzo di autocontrollo, la afferra per le braccia, trattenendola a distanza di sicurezza – si fa per dire, visto che è ancora a cavalcioni su di lui.
 
“Che c’è? Ti piace giocare?” gli domanda con un sorrisetto che è quasi un ghigno, tentando di divincolarsi.
 
“No, no, ma… non… insomma, sei ubriaca, non è giusto…” balbetta, cercando disperatamente le parole, visto che il suo cervello non sta proprio ricevendo tutto il sangue e l’ossigeno necessari per funzionare adeguatamente.
 
“Sono lucidissima…” sussurra, baciandogli le nocche della mano destra, portandolo a ritrarla istintivamente e quindi a liberare la mano sinistra di lei, “se fossi ancora ubriaca secondo te sarei potuta rimanere seduta in quel modo sul bracciolo della poltrona?”
 
“No…” mormora lui di rimando, pensando che in effetti lei non ha tutti i torti, “ma… magari avrai mal di testa, insomma… non ti sentirai bene, dopo una sbronza del genere…”
 
“Niente mal di testa e… so esattamente di cosa ho bisogno per sentirmi meglio,” mormora languidamente, provando di nuovo ad avvicinarsi a lui. Renzo scosta il viso all’ultimo secondo, facendo in modo che il bacio che lei stava per stampargli sulle labbra, gli si imprima invece, come un marchio infuocato, sulla guancia.
 
“Per favore, no, non posso,” la implora, afferrandole nuovamente i gomiti e spingendola indietro.
 
“Perché? Mi è sembrato di capire che non sei impegnato e… non dirmi che non ti piaccio… l’ho visto come mi guardi sai? Come mi guardavi, anche la sera del sushi,” lo punzecchia, facendogli l’occhiolino, per poi aggiungere, con voce roca e provocante, “e poi… lo sento che ti piaccio.”
 
“No, cioè, sì, tu sei… sei una bellissima ragazza, però… non… non ci sono abituato, cioè, certo che ci sono abituato ma non così, io… io non sono così,” cerca di spiegare, non sapendo se si sente più in imbarazzo o più idiota.
 
“No, certo, scommetto che tu sei il tipo da cene romantiche, passeggiate mano nella mano e un lento corteggiamento… ma nemmeno io vado a letto con il primo che capita e-“
 
“No, no, non intendevo – non intendevo insinuare, che…! Cioè, scusami, io-“ balbetta, desiderando solo sotterrarsi e venendo rassicurato da una risata argentina che gli fa tirare un sospiro di sollievo.
 
“Non ti preoccupare: io non mi faccio tanti problemi. È vero, non cerco l’amore per la vita e… se uno mi piace non mi faccio problemi ad andarci a letto. E tu mi piaci davvero moltissimo e-“
 
“Sì, ti piaccio talmente tanto che mi hai mollato in cinque secondi a metà serata per tornare tra le braccia del tuo fidanzato,” sottolinea Renzo, cercando di raccogliere gli ultimi barlumi di lucidità.
 
“Quello stronzo non è più il mio ragazzo… e sono stufa degli stronzi. Non è che chiedo tanto, solo di non essere presa in giro…. O è pretendere troppo?” domanda, quasi tra sé e sé più che a lui, con quell’espressione nuovamente così vulnerabile, ben diversa dai modi da panterona sfoggiati finora.
 
“No, anzi, è pretendere troppo poco. Forse dovresti pretendere di più!” ribatte Renzo con un sorriso gentile, guardandola negli occhi.
 
“Chi ti dice che non è proprio quello che sto facendo?” gli sussurra, ricambiando il sorriso e lo sguardo, senza battere ciglio, “e forse dovresti pretendere di più anche tu, lo sai?”
 
“Come?” chiede lui, confuso, non capendoci più niente.
 
“Vuoi davvero passare il resto della tua vita a sognare, rimpiangere e a reggere il moccolo alla tua ex moglie mentre lei se la spassa con un altro? Che tra parentesi tua moglie è una pazza completa, ad aver mollato uno come te per un cretino come Gaetano,” proclama decisa, sembrando così… sincera, prima di sorridergli di nuovo e ricominciare lentamente ad avvicinarsi a lui.
 
E questa volta Renzo non riesce, forse non vuole più resistere, le braccia molli come gelatina, il cuore in gola, e poi un tocco umido sulle labbra che è paradiso ed inferno insieme.
 
Non c’è bene o male, giusto o sbagliato, niente pensieri, solo istinto: la stringe a sé e la sente ridere sulle sue labbra mentre sfiora finalmente quella pelle morbida, un brivido che lo trapassa da parte a parte quando le dita sottili di lei si insinuano oltre la cintura sfilandogli lentamente la camicia.
 
Intrappolato in quella scomoda poltrona, si sente finalmente vivo per la prima volta dopo tanti, troppi mesi.
 
 

 
Nota dell’autrice: Ed è “esplosa” la prima parte della bomba, che però è una miccetta rispetto alla vera esplosione che speravo già di poter includere in questo capitolo e che ci sarà invece nel prossimo, causa lunghezza imprevista di alcune scene in fase di stesura (purtroppo ogni tanto i personaggi fanno un po’ di testa loro ;)). La buona notizia è che ho già scritto un pezzo del prossimo capitolo, anche se non quello iniziale ma la parte intermedia, a cui speravo di riuscire ad arrivare a collegarmi, ma… sarebbe venuta una cosa infinita. Perciò il prossimo aggiornamento, trasloco permettendo, dovrebbe arrivare in tempi più brevi ;).
Sono curiosissima di sapere cosa ne pensate degli sviluppi di questo capitolo, diciamo che padre e figlia si stanno andando a cacciare in due situazioni decisamente, decisamente, decisamente complicate, come dice il titolo, stanno giocando con il fuoco e rischiano di provocare un incendio che non coinvolgerà solo loro. Gli sviluppi di questo e del prossimo capitolo soprattutto sono molto, molto delicati e quindi spero di riuscire a gestirli come si deve e che il tutto possa risultare realistico ed in personaggio e le vostre opinioni e le vostre critiche mi sono davvero utilissime per capire se ci sto azzeccando o meno ;).
Vi ringrazio ancora per la vostra pazienza e per avermi letta e seguita fin qui e, se vi va, vi do appuntamento al prossimo capitolo!
 
 
 
   
 
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