Quarto Giorno - II
Quando riaprì gli occhi, doveva ancora essere pieno pomeriggio. Una luce accecante gli fece richiudere le palpebre, mentre si chiedeva quanto avesse dormito. Non appena i muscoli delle sue braccia si contrassero, percepì il calore del corpo di lei. I suoi capelli gli solleticavano il naso, ma quasi non aveva il coraggio di alzarsi, stava così bene lì, rifugiato nell’incavo del suo collo. Sorrideva e non riusciva a smettere. Quando il suo corpo ne manifestò il bisogno, cominciò a muoversi, stringendo la presa attorno a lei per stirare i muscoli. Fece un profondo sospiro e poi la sentì muoversi. La vide alzare il capo, guardandosi istintivamente intorno, così sfilò il braccio dalle sue spalle e senza interrompere il contatto tra la sua mano sinistra e quel fianco morbido, si tirò su. Aveva gli occhi ancora pesanti, doveva sembrarle davvero poco virile con quell’aspetto da bambino assonnato. Per fortuna aveva evitato di radersi la barba, altrimenti cosa ne sarebbe stato di quella poca mascolinità che gli restava?
Sara lo imitò, poggiandosi sui gomiti. Si erano addormentati come due bambocci, ma per fortuna l’orologio di Ed, poggiato sulla sua pancia, segnava ancora le 16:25. Non aveva il coraggio di voltarsi a guardarlo, lo sentiva troppo vicino e preferiva mantenere una distanza di sicurezza da quelle labbra rosa. Non sapeva se Ed la stesse osservando, sentiva soltanto i loro corpi ancora troppo vicini, poi lui si mosse.
- Che bella dormita. – disse appoggiando la tempia alla spalla di lei.
- Già. – si limitò a rispondere, immobile.
- Pensi che ce lo meritiamo un caffè?
- Cos’hai da ridere, mocciosa?
Diavolo. Smettila. Non puoi fare sul serio.
Ringraziò mentalmente gli dei quando Ed si issò a sedere, scollandosi definitivamente da lei. L’assenza di quelle braccia la faceva sentire scoperta e infreddolita, ma ormai stava delirando.
Calò un silenzio devastante su di loro, mentre guardavano il prato ondeggiare sotto la carezza del vento. Nella testa di Ed era in atto una rivoluzione, due schiere combattevano per avere il controllo su di lui: c’era la parte battagliera che voleva a tutti i costi mantenere quel contatto con i suoi occhi e la parte codarda, impaurita dalle mille possibilità di fallimento che quella situazione offriva. Doveva essere impazzito, ma non riusciva a non cedere alla tentazione e si dava dello stupido da solo. Avrebbe pagato oro per sapere cosa ci fosse nella testa di lei. E poi, non sapeva nemmeno se Sara gli piacesse davvero, chi voleva prendere in giro? E se fosse stata solo un’attrazione momentanea? E se se ne fosse fregato di tutte quelle supposizioni?
Si passò una mano nei capelli, abbassando lo sguardo.
- Sara…
Lei si voltò verso di lui. I loro sguardi si incontrarono.
- Sì?
- Sono comodo come cuscino?
- Sei comodissimo, Ed. – disse scuotendo il capo.
- Bene, se fossi stato scomodo non me lo sarei mai perdonato.
- Come mai così delicata? – chiese allora, quasi con un sospiro.
- Forse mi sono stancata di attribuirti tutte le colpe. – rispose, guardando altrove.
- La colpa è una cosa relativa, in certe situazioni.
- Allora, questo caffè?
La fotocamera interna li aveva intrappolati per sempre, di nuovo.
Non si sentiva così rilassato da molto tempo. A parte il fatto che quella situazione fosse assurda, si sentiva bene come non gli succedeva da tempo, sentiva di non avere problemi di cui preoccuparsi. Era seduto a un bar. Oddio, non aveva l’aspetto di un bar, visto che si trovavano su una pedana di legno a ridosso della spiaggia, ma quei divanetti bianchi sotto gli ombrelloni di palma, davano a quel posto un aspetto rilassante. La tazzina del caffè era vuota davanti a lui, i caschi erano posati sul tavolino di vimini e Sara gli era seduta accanto. Era già parecchio che discutevano di argomenti vari, dalla musica al perché il mare fosse salato ed ora lei stava preparando due sigarette, una per lei e una per lui. Poco dopo il fumo volteggiava, assumendo spessore alla luce del sole che si avviava all’orizzonte.
- Ed, i tuoi tour sono davvero stressanti, credo.
- Più di quanto la gente possa credere. – rispose, guardandola.
- Come fai? – disse con lo sguardo aggrottato. – Cioè, fisicamente, come fai a reggere il lavoro?
- Pensi che mi droghi?! – disse sorpreso, alzando le sopracciglia chiare.
- Spero di no…
- No, non faccio uso di sostanze strane. Tranquilla. – fece allora, dandole una lieve spinta con la spalla. – Me la cavo con le mie forze.
- Meno male. – il suo viso si distese nell’udire quelle parole. – Non sono mai venuta a un tuo concerto, sai?
- Davvero? La prossima volta, sarai mia ospite!
Lo vide guardare distrattamente le foto che avevano scattato in quei giorni, fino ad arrivare alle ultime, scattate pochi minuti prima. Canticchiava un motivetto che non aveva mai sentito, ma era piacevole. Forse non era una sua canzone.
- Cosa canticchi?
- Eh? – disse lui, alzando lo sguardo dal cellulare.
- Stavi canticchiando.
- Oh. – parve risvegliarsi da un’ipnosi. – Già.
- Che canzone era? – chiese, allora – Non aveva un motivo familiare.
Erano mesi. Interminabili giorni di silenzio e mutismo e ora, mentre la guardava negli occhi, una creatura così semplice, aveva trovato le parole.
- Ed, stai bene? – disse con tono preoccupato.
- Dammi la tua agenda. Subito. – disse serio, tendendo già la mano.
Incurvato sul foglio, scriveva e modulava le note e più andava avanti, più sentiva la necessità di avere la sua chitarra. Alzò il capo di scatto e col respiro pesante le rivolse la parola, aveva l’aspetto di un pazzo in piena crisi d’astinenza.
- Accompagnami. – disse soltanto, mentre snodava le gambe e portava i piedi al suolo.
- Ma dov-
- Vieni e basta! – quasi urlò, prendendola per un braccio. – Per favore. – concluse, nella sua voce una preghiera.
Sembrava che Ed avesse appena trovato una via d’uscita, mentre lei stava appena entrando nella sua personale gabbia dorata.
Si ricordava di quando vedeva le sue foto su internet e cercava di immaginare come fosse quel tizio, in realtà. Nessuna delle sue fan, nessuna di loro, lei compresa, poteva sapere chi fosse davvero Ed Sheeran. Semplicemente non lo conoscevano.
Era lì, seduto al centro del letto, con le gambe incrociate e gli occhiali sulla punta del naso, che guardava il pentagramma semivuoto davanti a lui. Così simile alla persona che aveva visto, eppure totalmente diverso da come appariva. Chiunque lo guardasse dall’esterno avrebbe detto di avere davanti un ragazzo allegro, disponibile, romantico e quant’altro, il classico cantante in voga che prima non avrebbe considerato nessuno ed ora aveva una distesa di donne ai suoi piedi. Qualcuno forse lo avrebbe definito un musicista, ma tutti gli altri? Quante di quelle persone avevano pensato alle sue preoccupazioni, alle sue debolezze, alle sue paure?
Aveva davanti a lei un uomo impaurito ed era quell’Ed Sheeran, un essere umano proprio come lei.
Finalmente riusciva a vederne l’anima.
L’autenticità di quel momento la disarmava totalmente, mentre stava in silenzio ad osservare quelle parole distorte e le sue mani tremanti. Era inequivocabilmente testimone di un piccolo miracolo: quel ragazzo stava probabilmente scrivendo un altro capolavoro, davanti ai suoi occhi. Quella roba succedeva davvero, ma l’ispirazione era come una bolla di sapone, quindi si cucì la bocca a filo doppio. Avrebbe voluto tempestarlo di domande, ma preferì non interromperlo, quello forse sarebbe stato il suo più alto contributo: non interrompere Ed Sheeran che scrive una canzone.
Ripensava a quella storia del blocco dello scrittore che le aveva raccontato al porto e vederlo così chiaramente emozionato, le faceva quasi male. Doveva essere difficile per lui, stare al passo con se stesso, stare al passo con i tempi, stare al passo con tutto, e mesi di crisi dovevano averlo turbato. Chi sa quante dinamiche c’erano ancora a preoccuparlo, quante scartoffie e persone che lo perseguitavano, eppure eccolo lì. Pronto a ripartire.
- Na na na na na nanana…
Non poteva fare a meno di chiedersi – probabilmente fissandolo come una scema – come mai volesse condividere quel momento così intimo con lei. Era terribilmente nudo, riusciva a leggerne ogni emozione come su un libro aperto. Quelle sue dita tremanti e gli occhi chiusi in un’espressione quasi corrucciata, mentre ripeteva l’arpeggio, la schiena ricurva e i capelli spettinati dalle sue stesse mani, che nervose li percorrevano ripetutamente. Era fragile. E lei si scioglieva al solo pensiero di stare osservando la pura anima di quel ragazzo, che danzava in quella stanza d’albergo all’ultimo piano.
- Loving can hurt…
- Loving can hurt, sometimes…
- But is the only thing that I know. When it gets hard, you know it can get hard sometimes, it is the only thing that makes us feel alive.
- We keep this love in a photograph, we made these memories for ourselves.
- Where our eyes are never closing, our hearts were never broken and time's forever frozen, still.
Il rumore del suo respiro che tornava a riempirgli i polmoni la rese ancora più tesa.
- So you can keep me inside the pocket of your ripped jeans. Holding me close until our eyes meet. You won't ever be alone…
- Wait for me to come home.
Sentiva il sangue scorrere veloce, le pulsazioni battevano il collo, la testa gli girava.
Aveva scritto solo la prima strofa e il ritornello, ma il mondo si era fermato per ore, mentre la guardava negli occhi languidi. Ormai era buio nella stanza, il cielo che si intravedeva tra gli aghi di pino alla finestra era di un celeste spento e lei era lì, nella penombra, distingueva a stento il suo profilo. Era quasi troppo lontano da lui, rispetto a quel pomeriggio: lui al centro del letto e lei a gambe incrociate, accomodata tra le lenzuola bianche stropicciate sull’angolo del materasso. Erano entrambi a piedi scalzi.
Come era stato possibile tutto quello, non lo sapeva. Gli era bastato così poco per tirare fuori quella bozza, soltanto un paio d’occhi. Ovviamente era consapevole che il paio d’occhi in questione non appartenesse a qualcuno di poca importanza. Era lei. Era quel suo maledetto sguardo. E le gambe e i capelli e i fianchi. Era quella corrispondenza biunivoca tra loro due.
La sua vita – si rese conto in quel momento – era davvero un clichè: incontrava una ragazza in un paesino sperduto e perdeva la ragione. Rinunciava volontariamente alle sue facoltà intellettive, lasciandole il timone e in tutta quella storia, lui non aveva fatto niente. Lei si era svegliata presto la mattina, lo aveva accolto in casa sua, gli aveva preparato il pranzo ed era lì da ore ad ascoltare in silenzio sempre lo stesso giro di accordi, senza battere ciglio. E lui cosa aveva fatto? Cosa le aveva donato in cambio?
Offrirle una cena, lo sapeva bene, non aveva lo stesso valore di quel sostegno silenzioso. Forse, l’unica cosa di cui era davvero consapevole, in quel momento, era il fatto che si stava irrimediabilmente, irreversibilmente e pericolosamente arrendendo a lei.
Non sarebbe mai riuscito a farle comprendere l’immensa gratitudine che provava nei suoi confronti, ma ci avrebbe almeno provato. Doveva. Voleva.
- Perché sei lì? – era quasi un sussurro.
- Come? – fece lei, con la voce bloccata in gola, quasi impaurita.
- Perché sei lì? – questa volta lo disse più piano, quasi a prenderla in giro. La sua mano volteggiò in aria in un gesto d’espressione.
- Tu mi ci hai voluto. – il suo corpo si ritraeva.
- Ma cosa hai capito?
- Intendevo dire: cosa ci fai così lontano da me?
- Io…non volevo disturbarti. – disse, con l’innocenza dipinta sulle gote.
- Ahah! – rise, non potè trattenersi. – Ma fai sul serio?
- Ed.
- Ed…
Era pronto.
Era deciso.
Era sicuro.
E Driiiiiiiiiiiiiiiiiiin.
Giurò che chiunque fosse al telefono avrebbe subìto la sua malefica e iraconda vendetta.
Rimase pietrificato. Altro che carpe diem, la suoneria del suo cellulare aveva appena rotto una vetrata. Non seppe con quale coraggio riuscì ad alzarsi, rendendo ancora più evidente l’imbarazzante situazione, grazie al movimento della risalita. Il suo petto non la sovrastava più, lasciandola sempre più scoperta e più sola, stesa sul materasso.
Senza guardarla negli occhi, scese dal letto a due piazze e raccolse il cellulare dal comodino.
Il nome di J insisteva luminescente sul display e dato che ormai era lì, rispose.
- Hi J…
Forse era davvero una masochista. O forse era Ed ad essere un pazzo maniaco approfittatore. Si alzò a sedere con uno scatto, i capelli ancora sconvolti, e lo vide parlare placidamente al telefono, senza capire una parola.
A guardarlo in viso, le sembrava tranquillissimo, ma come faceva ad essere così bipolare? Prima era timido, poi un amicone, poi un estraneo, poi un latin lover. Con chi aveva a che fare?
Era uno scherzo? Una candid camera di cattivo gusto?
In preda al panico, si guardò intorno alla ricerca di una telecamera, di qualcuno, ma non servì a nulla.
Forse era impazzita anche lei – pensò portandosi una mano alla fronte - forse era solo una forma di autodifesa, visto che il suo cuore cominciava ad incrinarsi già a giorni dalla sua partenza, ma da quel momento aveva deciso che Ed Sheeran non gliela contava giusta. Non poteva essere così debole e sciocca da gettare il suo cuore tra le fiamme di quello che sarebbe stato di certo un inferno. Ed Sheeran o no.
Si sedette sul bordo del letto e cominciò ad allacciarsi le scarpe, individuando con lo sguardo le sue cose.
Già sentiva il suo sguardo pesarle sulla testa, mentre si alzava per andare via. Da sola.
- Scusa, era J. Dove stai andando? – disse, senza darsi una spiegazione.
- Via.
- Oh. – forse voleva stare un po’ sola, doveva aver esagerato. – Aspetta, ti accompagno.
- No, Ed. Vado da sola.
- Non fare quella faccia, Ed. Non guardarmi così. – tratteneva già le lacrime. – Non so se sia uno scherzo o se sia tua abitudine avvicinarti a una ragazza per gioco, ma io non ci sto. Non ho intenzione di essere trattata come uno straccio.
- Ma cosa diavolo dici? Pensi che sia una persona del genere? – disse, accusandola.
- Io non so chi sei, Ed. Non so cosa stavi pensando prima. Ci conosciamo da tre giorni, cosa vuoi che creda? Che quando te ne andrai avrai un bellissimo ricordo, ma niente di più? Io non sono qui per questo e devo pensare a me stessa.
- Io non ti userei mai per il mio puro divertimento. – disse, sconfitto dalla delusione.
- MA IO NON POSSO SAPERLO, ED! NON LO SO COSA NE SARA’ DI ME QUANDO SARAI ANDATO VIA. COME PENSI CHE POSSA RIUSCIRE A LASCIARMI ANDARE SE SO CHE LUNEDì TORNERò A VEDERTI SOLO SU YOUTUBE?
- Non è facile come pensi. – concluse lei.
- Scusa, hai ragione.
- Sarò contenta di accompagnarti in giro fino a quando vorrai, ma…
- Ho capito.
Guardavano insistentemente in direzioni opposte, ma prima di lasciarla andare, doveva andarle incontro ancora una volta. Non potevano avere lo stesso peso, ma potevano fare in modo che la bilancia fosse in equilibrio.
- Amici? – disse tendendole la mano.
- Amici. – rispose lei, ricambiando debolmente la stretta.
- Mi lasci il tuo numero?
- Forse domani mattina ho una conferenza via Skype e non so a che ora finisco. Non voglio farti aspettare, quindi se mi dai il tuo numero ti darò mie notizie non appena avrò terminato. – spiegò asetticamente.
- Grazie. – disse lui. – Anche se vorrei accompagnarti a casa.
- No, per favore. Voglio stare un po’ sola. Me la caverò.
Una volta arrivati sotto l’uscio della porta, fu tentato ancora di sfiorarla, ma si trattenne quando lei lo salutò.
- Buonanotte, Ed.
Angolo autrice:
Ta-dan!
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Alla prossima! :D
---> La camera d'albergo in cui Ed scrive Photograph!