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Autore: ZouisAF    05/05/2015    2 recensioni
Si sono conosciuti in un lavanderia. Uno tutto ad un pezzo, saccente e pieno di sé, l'altro timido, fragile ma con le idee ben chiare.
In alcuni momenti Zayn penserà a un piano per uccidere Louis, quest'ultimo dal suo canto escogiterà un nuovo modo per toccare i nervi a Zayn ma alla fine avranno entrambi la certezza che quel giorno in lavanderia gli abbia cambiato la vita.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Louis Tomlinson, Zayn Malik
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Troppo freddo per i miei gusti. Il mio naso è rosso e sta gelando così come le mani e quest’anno non si è ancora visto un fiocco di neve venire giù, eppure, dovremmo avere uno strato di neve fin le ginocchia visto la temperatura e secondo quello che dice il tipo di mezz'età che si occupa del meteo in TV.
In ogni caso, la mano che regge il sacchetto con la biancheria sporca sta perdendo le dita ad ogni passo in più che faccio, fortuna che sono quasi arrivato. La lavanderia è dall'altra parte della strada e dopo che cammino da un’ora nel gelo mi sembra il posto più caldo di questo mondo quando finalmente entro.
Dopo aver diviso i capi e cambiato le monete in gettoni, il mio lavoro alla lavanderia era già a metà. Mentre i miei vestiti giravano nel cestello di una delle lavatrici, io avevo preso comodamente posto per terra, con la schiena contro il muro e un vecchio giornale con i cruciverba alla fine, poggiato sulle gambe.
Il mio cervello era completamente preso dal cruciverba, ero fermo alla quarta verticale quando un tonfo seguito da borbottii mi fece alzare la testa dal mio interessantissimo giornale.
“Cazzo. Cazzo. E che cazzo.” Pensai tra me e me che il ragazzo avrebbe potuto aggiungere un altro cazzo alla lista, tanto per averne in totale un numero pari. Prima che potessi ridere per i miei pensieri poco intelligenti il ragazzo che borbottava fece cadere la sua borsa accanto ai miei piedi e io alzai gli occhi per poterlo guardare in faccia.
Niente male: fisico asciutto, maglietta e pantaloni attillati, caviglie scoperte nonostante il gelo, capelli disordinatamente ordinati e occhi color della neve che sarebbe venuta a cadere.
Alzai le sopracciglia per incitarlo a parlare e lui, come se fosse una delle cose più comuni del mondo, fece cadere sulle mie gambe un biglietto da cinquanta dollari, seguito dalla frase “fai per me la lavatrice, grazie.”
Feci un sorriso, presi la banconota da cinquanta e mi alzai, gli porsi i soldi educatamente e sempre con tono gentile gli dissi “Scusa, ma io non lavoro qu.”
Sembrò ignorare sia il mio gesto con la mano che le mie parole, mi diede le spalle e andò a sedersi vicino la finestra.
“Lo so, per questo ti ho dato più di quando avrei dato a un impiegato di questo buco” alzò le spalle e poggiò la schiena al vetro alle sue spalle. Iniziava a toccarmi i nervi, la gente presuntuosa non mi era mai piaciuta, soprattutto se usa i soldi come arma di persuasione.
Feci una risata, carica di nausea per il comportamento e le parole dell’evidente figlio di papà che mi stava davanti. Mi avvicinai a lui e chinai il busto in avanti posando la banconota sulla panchina, accanto alla sua gamba.
“Non ho bisogno dei tuoi soldi, se magari fossi stato più gentile l’avrei fatto volentieri il tuo bucato.”
Gli diedi le spalle e imprecai silenziosamente contro la lavatrice che non aveva ancora finito il mio bucato e che quindi non mi permetteva di fare un uscita di scena memorabile, con frase ad effetto prima e il rumore della porta che sbatte dopo.
D'altronde la mia vita non era un film, ecco persino questa frase è stata già detta in un film.
Sbuffai e tornai a ricordarmi il motivo principale che teneva i miei nervi tesi, il motivo adesso stava guardando fuori dalla finestra, non aveva raccolto i soldi che gli avevo restituito e non sembrava nemmeno minimamente disturbato dall'intera questione.
Non avevo mai capito perché le cose che mi succedevano attorno mi toccavano così tanto, mentre alle altre persone scivolavano addosso senza nemmeno un briciolo d’interesse. Mia madre ogni qualvolta mi confortava per una delle brutte cose che succedevano nella mia vita ripeteva sempre la stessa frase mentre strofinava un palmo sulla mia schiena: “piccolo, tu sei troppo buono e sensibile, dai a chiunque tanto di più di quello che si meritano.”
Ogni volta finivo a dormire con quella frase che mi girava nella testa e io che mi ripromettevo che non avrei fatto nulla per nessuno finché qualcuno non avrebbe fatto qualcosa per me e puntualmente mi ritrovavo a rompere la promessa fatta a me stesso e ripetere lo stesso errore.
 
Quando la lavatrice con dentro i miei vestiti finì il suo giro, ringraziai mentalmente Dio mente portavo i vestiti nell’asciugatrice, altri cinque minuti e avrei lasciato quel posto che stava diventando troppo stretto, avrei lasciato quel ragazzo che mi stava aprendo un buco nella schiena con quel suo sguardo ghiacciato e sarei tornato fuori nel gelo di quella città apparentemente troppo grande.
Accesi l’asciugatrice e mi appoggiai con la schiena ad essa riportando la mia attenzione al cruciverba, ero particolarmente bravo a farli -all'età di cinque anni aiutavo mia zia Beth a completare le soluzioni più difficili- ma quel maledetto giorno sembrava essere stato creato per darmi contro, non riuscivo nemmeno a trovare la soluzione a quella che sembrava essere una domanda facilissima.
“Quarta verticale: arriva a ciel sereno”
Continuavo a rileggere e a contare gli spazi che avevo a disposizione, sette, mi ripetevo le possibili soluzioni in mente ma nessuna sembrava andare bene. La colpa era del ragazzo nella stanza assieme a me, mi stava distraendo e sentire il suo sguardo freddo, che mi bruciava però la pelle non era di certo d’aiuto.
Rimasi con il giornale aperto tra le mani mentre mangiucchiavo una matita per diversi minuti, senza dare ulteriore importanza alla soluzione di quello stupido cruciverba, però successe qualcosa.
Il ragazzo alle mie spalle si alzò dalla panca accanto alla finestra, cammino fino ad arrivare al mio fianco e si alzò sulle punte per riuscire a leggere. Non passò nemmeno un minuto e mi diede la risposta che mi permetteva di finire il gioco.
“E’ fulmine. Non è poi così difficile” mi rispose con quel suo tono fastidioso, arrogante.
Quando alzai gli occhi dal giornale e lo guardai, aveva stampato in viso un sorrisetto, come se avesse vinto una partita a poker con una gradevole somma di denaro, era fiero e quel sorrisetto che portava sulle labbra mi diede l’impressione che sapesse quando mi infastidiva il fatto che qualcuno mi suggerisse le soluzioni senza che io chiedessi nulla.
Prima che potessi controllare se la parola che mi era stata suggerita entrava nelle sette caselle – ed entrava – fui interrotto dal rumore dell’asciugatrice che mi avvertiva di aver finito il suo lavoro.
Raccolsi i miei vestiti, gettai il giornale con il cruciverba su una delle lavatrici e, in silenzio, lasciai la lavanderia.
 
Erano passati quattro giorni e io continuavo a pensare a quegli occhi azzurri e al ragazzo che, i giorni precedenti, nella lavanderia mi aveva in qualche modo deriso.
Pensavo al suo sorriso soddisfatto nell'indovinare la mia parola e a completare il mio cruciverba.
Stavo sul mio letto, nel gelo che era casa mia in quel periodo dell’anno e guardavo il soffitto lanciando una pallina da tennis gialla contro la parete tappezzata dalla carta da parati beige con dei fiori stilizzati di una tonalità di marrone più scuro.
Mi distrassi la millesima volta ripensando a quegli occhi così gelidi ma caldi allo stesso momento e la mia distrazione fu ripagata dalla pallina che invece di essere fermata dalle mie mani come il getto meccanico prevedeva mi arrivò sul naso, lasciandomi uscire dalle labbra un imprecazione.
Mi alzai dal letto e mi strofinai una mano sul naso, sul punto dolorante che era stato colpito e senza pensarci due volte infilai una felpa, la giacca e uscì di casa.
Percorsi la strada che portava alla lavanderia velocemente, appena fui fuori mi diedi dello stupido per non aver portato nemmeno dei vestiti per fingere di utilizzare il servizio, ma entrai comunque e mi sedetti sulla panchina vicino alla finestra con il presentimento che avrei rivisto presto quegli occhi che mi stavano ossessionando.
 
Passarono due ore in cui non feci altro che guardare fuori dalla finestra, rigirarmi i pollici e sbuffare.
All'ennesimo sbuffo i campanelli di vetro che stavano sulla porta trillarono, scattai con gli occhi nella direzione del rumore e mi morsi le labbra.
Era lui, ringraziai il divino per avermi mandato ciò di cui avevo bisogno, ma appena i suoi occhi incontrarono i miei mi sentii un completo imbranato e la determinazione del primo incontro era svanita, eclissata.
 
Non disse nulla ma sorrise, mi evitò e si avvicino a una delle lavatrici, svuotò il suo sacchetto con i capi sporchi, li divise e riempì la lavatrice. Sempre in silenzio, si avvicinò a me e si sedette al mio fianco appoggiando la schiena al vetro, spostai lo sguardo da lui e tornai a fissarmi le mani.
 
“Mi merito un bravo a questo punto” lo sentì dire e a quel punto, inutile dire, i miei occhi erano già nei suoi.
 



 
-spero questa prima parte vi sia piaciuta, se è così fatemelo sapere così aggiornerò in fretta! 
Grazie a chi ha letto e gradito, tanti baci, Cat.-
  
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