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Autore: Writer_son of Hades    05/05/2015    3 recensioni
- finale completamente diverso rispetto a "il Sangue dell'Olimpo" -
Dopo una dolorosa perdita e la sconfitta di Gea e delle sue forze, sembra che tutto sia finalmente finito.
Ma i semidei non sanno che Gea non è ancora sconfitta definitivamente e che, anni prima, aveva escogitato un modo per rimanere in vita anche dopo la sua morte. Si troveranno ad affrontare sua figlia che, per quanto possa essere diversa da loro, sia l'unica persona che possa veramente salvarli.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I sette della Profezia, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Reyna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mi Sento Finalmente Bene
 

NICO
 


                – Avanti, Silvia! Cerca di concentrarti!
                – Voglio vederti mentre cerchi di controllare una delle quattro influenze divine che hai!
Silvia e Percy stavano continuando a litigare da più di un’ora. Lui le diceva di provare ad alzare un’onda e lei creava un mulinello. Lui le diceva di non farsi bagnare dall’acqua e lei creava un geyser di tre metri d’altezza. Non che non fosse brava a controllare l’acqua, ma a volte confondeva la sabbia che stava sotto la superficie con il mare. Una volta riempì Percy di sabbia umida facendolo urlare come una ragazzina dalla rabbia.
                Nico aveva deciso di stare con loro perché a) non aveva niente da fare e b) non riusciva a stare lontano da Silvia. La sua vicinanza era come una fonte vitale. Dopo che Morfeo aveva tolto il pezzo dell’anima della ragazza dalla sua, si sentiva vuoto e freddo senza lei nelle vicinanze. Anzi, aveva bisogno perfino di toccarla, a volte,  per sentirsi di nuovo pieno.
                – Va bene, riproviamo. – sbuffò Percy, grondante di sudore e qualche alga. – Devi solo creare un vortice e alzare una piccola spirale d’acqua solo fino a mezzo metro d’altezza. Non è difficile.
                – Okay. – affermò Silvia.
                – Concentrati sulle correnti che senti attorno a te. Concentrati sull’acqua che ti circonda. Sentine il peso, la forza, la consistenza. – recitò per la milionesima volta il ragazzo la formula che ripeteva a Silvia ogni volta prima di cominciare a controllare l’acqua.
Silvia chiuse gli occhi e tenne le braccia lungo i fianchi con le mani immerse fino ai polsi. La vide controllare il respiro e muovere lentamente le mani avanti e indietro con piccoli e fluidi spostamenti orizzontali.
Davanti a lei l’acqua cominciò a muoversi lentamente e poi sempre più vorticosamente, come se seguisse lo stato d’animo della ragazza. Silvia strizzò gli occhi e arricciò lo labbra cercando di concentrarsi il più possibile. Dopo aver creato un vortice di mezzo metro di diametro, alzò lentamente le mani verso l’alto e aprì gli occhi per visualizzare la colonna d’acqua che si stava innalzando davanti a lei. L’allargò e creò un muro che andava crescendo. Nico (non seppe perché) ebbe un brutto, bruttissimo presentimento.
                – Sì! – esultò Percy vedendo davanti a sé un muro d’acqua di cinque metri d’altezza.
Ma Nico stava guardando da tutt’altra parte. Intorno al corpo di Silvia si era creata un’aura verdognola che non prometteva nulla di buono. Lo sguardo della ragazza era assassino e fisso su Percy mentre il muro continuava ad alzarsi. Ci vollero pochi secondi per far capire a Nico le se sue intenzioni.
                – Percy! – cercò di avvertirlo mentre si teletrasportava tra i due.
Buttò il ragazzo sottoacqua nell’esatto momento in cui Silvia lasciava che tutta quella massa d’acqua precipitasse su Percy. Avvolse se stesso e Silvia in un bozzolo di tenebre, isolandoli completamente dal mondo. Almeno così, forse, gli dei non avrebbero potuto vederla. Non ci aveva mai veramente provato a farne uno, ma era come se si trovassero in un’altra dimensione.
                Si voltò verso la ragazza ed estrasse la spada. L’aura verde era più viva e irradiava potenza. Gli occhi erano ricoperti di fango, come la notte dalla caccia alla bandiera.
                – Silvia, sono io! – gridò con la spada alta, cercando la ragazza che ieri notte aveva baciato. – Cerca di tornare in te!
Lei rise. Una risata profonda e roca. – Figlio di Ade… vedo che non smetti di cercare di fermarmi. – la voce sembrava deformarle il viso. – Non ho avuto il piacere di vederti morire una volta. Forse possiamo rimediare ora.
Silvia si fiondò al suo collo con la bocca tesa in un ghigno. Nico non voleva ferirla, per cui lanciò lontana la spada e cercò di bloccarla con la forza. L’unico problema? Era lui contro una la dea della terra nel corpo di sua figlia che era la ragazza che amava. Per cui, l’unica cosa che riuscì a fare fu non sbattere la testa quando cadde rovinosamente a terra.
                – Alzati! Misero semidio! – gli ordinò il mostro che aveva davanti. Urlava così forte che temeva che le corde vocali di Silvia si spezzassero.
Nico si alzò, ma lei gli tirò un calcio in pancia e lo fece piegare in due per poi dargli una ginocchiata sul naso. Si tenne il viso, mentre il sangue cominciava a colare.
                – Silvia… – mormorò rimettendosi in piedi. – Sono io, Nico. Non lasciarle farti questo. Concentrati sulla mia voce…
                – Credi che possa sentirti? – disse ironicamente per poi fiondarsi nuovamente su Nico. Questa volta però, il ragazzo era pronto. La prese per un braccio e la fece cadere a terra, storcendolo. Lei gli fece lo sgambetto e si tuffò sul corpo del ragazzo.
Le mani della ragazza cercarono convulsamente il suo collo, ma Nico riuscì a prenderle i polsi e a tenerla ferma.
                – Silvia! – la chiamò. Imprecò mentalmente mentre un'unghia gli graffiò la guancia. – Ascoltami! Questa non sei tu. Torna in te. Sconfiggila.
La ragazza urlò con la voce di Gea e  Nico le assestò un calcio nel costato. Silvia gemette e si accasciò a terra dando a Nico il tempo di sormontarla e tenerla ferma.
                – Scusami, ma è stato necessario. – si giustificò. Era sopra di lei e i suoi occhi erano ancora ricoperti di fango scuro. Questo però non le impediva di fissarlo come se lo volesse morto.
                – Ascolta la mia voce. – scandì quelle parole ad alta voce e con tutto l’amore che provava. – Tu non sei come lei. Tu sei meravigliosa e devi tornare da me.
Lei ringhiò e si dimenò sotto la presa del ragazzo. – Lei non è tua! Lei è mia!
                – No. Silvia controllala. – la incitò.
Aspettò, tenendola ferma e controllando il bozzolo d’oscurità intorno a loro. Aspettò per tanto tempo, vedendo Silvia che veniva distrutta da sua madre. Si sentì impotente.
Poi il tempo sembrò rallentare e con calma, Silvia si muoveva sempre con meno foga, sembrando via via più stanca. Dopo qualche minuto, con il respiro affannato, si accasciò a terra, svenuta. Nico aspettò ancora un po’ prima di liberarli dal buio. Quando riapparsero alla luce del sole, Percy corse verso i due ragazzi e si inginocchiò vicino a Nico.
                – Che cavolo è successo? Siete spariti nel nulla! – chiese fissando le strisce di fango che scendevano dagli occhi di Silvia.
Nico si tolse dalla posizione di prima e guardò l’amico. – Gea.
                – Perché mi hai tenuto fuori con quel coso di tenebre? Potevo aiutare. – si lamentò.
                – Così gli dei non hanno visto niente. – disse con tanta speranza nella voce. Pregò che Zeus o Ade non si presentassero in quell’istante per fulminarli tutti e tre e mandarli immediatamente negli Inferi.
Nico si mise in ginocchio e avvicinò dell’ambrosia che gli aveva data Will per i viaggi-ombra alla bocca di Silvia.
                – Forse non avrei dovuto sforzarla così tanto. – mormorò Percy. – È più difficile per lei, no? Con le influenze di tutti e tre i pezzi grossi.
Nico scosse la testa. – È molto più potente di quello che pensiamo. Avrà avuto un piccolo momento di deconcentrazione e Gea avrà pensato bene di approfittarsene. – spiegò, prendendo il corpo svenuto di Silvia in braccio per portarla all’ombra. Percy lo seguì da dietro e si sedette vicino a lui mentre si sistemava la testa della ragazza fra le braccia, per tenerla più comoda.
Si ritrovò un’altra volta a perdersi a guardarla. sembrava serena mentre dormiva, non come la parte peggiore di lei che aveva appena visto.
                – Hai parlato con lei? – gli chiese Percy d’un tratto.
                – Di cosa?
Lui sorrise. – Oh, andiamo Nico. – poi gli diede una piccola pacca sulla schiena. – Vedo come la guardi.
                – Come la guardo? – chiese seriamente confuso.
Percy fece una strana smorfia. – Non so spiegartelo. È un modo unico. Ah, sono una frana in queste cose.
                – Sì, lo sei. – confermò. – Ma nemmeno io me la cavo.
                – Non è necessario “cavarsela”. Devi solo essere sincero. – affermò Percy. – Con lei. E con te stesso.
Nico rimase a pensare su quelle parole mentre Silvia sbatté ripetutamente le palpebre.
                – Come ti senti? – le chiese Nico, dolcemente.
Lei mostrò un sorriso. – Come dopo una centrifuga in una palude puzzolente. – aveva la voce roca e si vedeva che faceva fatica a parlare.
Sorrise pure lui. Silvia tornò immediatamente seria e gli avvicinò una mano alla guancia, passando il pollice sulla ferita che gli aveva procurato poco prima.
                – Non volevo… – mormorò, amareggiata. – non ti avrei mai fatto del male, lo giuro.
Nico annuì. – Lo so. E scusami se ti ho tirato quel calcio, ma è stato necessario.
                – Gran bella scusa! – rise lei. Incredibile come riuscisse a far sembrare tutto così semplice.
L’aiutò ad alzarsi e quando vide Percy, sembrò sollevata.
                – Ehi, credo di dover delle scuse pure a te. – mormorò accennando un piccolo sorriso imbarazzato.
                – Non eri tu. Non ti preoccupare. – la fermò lui. – In compenso hai imparato qualcosa.
Lei annuì, sollevata.
                – Se volete vi lascio la mattinata libera. – disse Percy alzandosi.
                – Cosa? No, non è necessario. – rispose lei.
                – Ho detto solo la mattina. Poi oggi pomeriggio si ricomincia. – scherzò allontanandosi con passo barcollante lungo il bagnasciuga.
Silvia rimase e fissarlo mentre scompariva alla loro vista, per poi tornare a concentrarsi su di lui. Estrasse uno dei suoi migliori sorrisi e disse: – Ora che si fa’?
Lo stava veramente chiedendo a lui? Stava davvero chiedendo a Nico Di Angelo la persona più asociale del mondo: Ora che si fa’?
                – Ehm…. – cominciò poco convinto. Pensa Nico!
                – Oh miei dei! – esclamò Silvia improvvisamente.
                – Cosa?!
Nico vide che si stava rivolgendo a qualcosa davanti a loro.
                – E questo bel gattino da dove spunta fuori? – disse con voce acuta mentre si girava verso Nico con in braccio un gattino arancione striato con due denti da tigre che sporgevano. Il ragazzo conosceva bene. Lo ricordava molto più grande però. Deve essersi ristretto o non sapeva cosa. L’animaletto fece le fusa tra le braccia accoglienti di Silvia e non si oppose quando lei gli accarezzò la testa. Doveva averlo evocato senza nemmeno essersene reso conto.
Gli venne una stretta al cuore di nostalgia.
                – Bob… – mormorò fissando il piccolo micino.
                – Si chiama così? – chiese continuando ad accarezzarlo.
Nico si asciugò una lacrima che era caduta. – No.. No, Bob era il suo padrone. – si corresse. – Lui si chiama Bobbino.
La piccola ristata di Silvia gli scaldò un po’ il cuore. Ad un certo punto il piccolo Bobbino venne percorso da una scossa e divenne per un attimo fatto solo di ossa.
                – Ma che?..
                – È un gattino speciale. – si affrettò a spiegarle Nico. – Viene dagl‘Inferi.
– È dolcissimo. – disse Silvia, per niente scossa dall’ultima affermazione del ragazzo. – Perché non l’ho mai visto qui prima? – gli domandò guardando Nico. Poi il suo sguardo cambiò, come se si fosse accorta di qualcosa. – Lo conoscevi?
                – Chi?
                – Bob, il suo padrone. – ripeté, più convinta. Bobbino si animò sentendo il nome del suo padroncino.
Nico non ne parlava e non voleva parlarne. Per cui rimase in silenzio.
                – La notte della caccia alla bandiera. – cominciò lei, vedendo che non parlava. – Cioè la notte in cui mi sono risvegliata sopra di te. Gea mi era apparsa in sogno e mi aveva detto che avevo un padre. – Bobbino cominciò a giocare con i suoi capelli. – E subito dopo mi ha detto che lo aveva ucciso appena mi aveva concepita. Che lo aveva usato, solo per farmi nascere e compiere il suo piano.
                Nico non capì perché glielo avesse appena detto.
                – Ora tocca a te. – lo invitò.
Il ragazzo rimase a fissarla, continuando a non capire.
                – Se non riesci a dirmi le cose che ti fanno stare male, d’ora in avanti faremo così. – disse decisa. – Quando uno dei due deve dire una cosa brutta o del suo passato di cui non vuole parlare, l’altro deve dirne una a sua volta. Una brutta storiella a testa. Così non ci sono ingiustizie.
Nico la guardò mentre si sistemava il gattino sulle gambe per fargli i grattini sulla pancia.
Le persone che avevano provato a parlargli, avevano sempre cercato di estrargli le parole di bocca. Nessuno aveva mai fatto quello che aveva appena fatto lei. Nessuno aveva mai fatto niente di simile per lui.
                – Quando ero più piccolo, – cominciò concentrandosi sul piccolo Bobbino che se ne stava a dormire sulle gambe di Silvia. – ho conosciuto un titano a cui, Percy e un’altra ragazza, avevano cancellato la memoria immergendolo nel fiume Lete.
                Fece una pausa lanciando un veloce sguardo agli occhi di Silvia che erano attenti. Tornò a fissare il gattino.
                 – Era il titano Giapeto. Dopo aver perso la memoria Percy gli diede il nome di Bob e rimase negli Inferi come netturbino. – sorrise pensando al vecchio amico. – Era un tipo simpatico. Grande e grosso quanto vuoi, ma era buono. Andavo a trovarlo sempre quando mi trovavo nel regno di mio padre. – accarezzò Bobbino che tra una fusa e l’altra diventava una scheletro. – Ha salvato Percy e Annabeth quando sono caduti nel Tartaro e si è sacrificato per loro. – ora non poté più impedire alle lacrime di bagnarli le guance. – È stato un grande amico per noi.
                Silvia lo abbracciò e lui si strinse a lei nascondendo il viso nella sua spalla.
                – Mi dispiace di averti fatto stare così male. Non avrei dovuto chiedere di parlarne. Non avrei-
                – Va bene. – la fermò lui. – Mi ha fatto bene parlarne.
Si staccò dall’abbraccio e la baciò dolcemente.
In quel momento sentì come se il vuoto creato da Morfeo si fosse colmato completamente.



Nota dell'autrice: MIRACOLO GENTE! Sono riuscita ad aggiornare nonostante tutto!
Ringrazio di cuore tutti quelli che continuano a seguirmi imperterriti! Siete l'amore ragazzi *^*
Volevo dire che in questi capitoli non c'è molta azione solo perché sono di "transizione". Non saranno tanti, lo giuro, anzi, tra poco comincerà l'azione, promesso. Questi sono solo.... pieni d'amore ecco! (si capisce che sono triste e sola vero? FA' NIENTE!)
Un bacione 
Silvia

P.s.: ho recentemente iniziato un'altra storia (l'Armata dell'Olimpo) e vi invito calorosamente a fare un salto. E se vi fa cagare ditelo pure.
YO!
 
   
 
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