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Autore: Aicha    31/12/2008    5 recensioni
Sophie, ventitre anni, è una ragazza vivace, brillante e creativa. Vive in un piccolo appartamento in compagnia dei suoi amatissimi libri e dei suoi amici di sempre, e la sua vita scorre tranquilla. Almeno finché Sophie non trova lavoro come assistente personale del suo misterioso scrittore preferito, E.D., e scopre che spesso le cose non sono come le immaginiamo...
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prima e-mail di Endre D. arriva nel pomeriggio. Nel frattempo ho temperato le matite, le ho disposte in fila in ordine di grandezza prima, di colore poi. Ho messo a posto la mia agenda, studiato le istruzioni del telefono, acceso il pc e giocato ininterrottamente a solitario. Sembra tutto infinitamente tranquillo, fino a quando il pc squilla. Una nuova mail.
"Ciao, Sophie Gràìn (che razza di nome è?)
1 - Chiama il mio editore (il numero è nella rubrica) e digli che consegnerò il mio manoscritto con qualche giorno di ritardo. Placa le sue noiose lamentele.
2 - Chiama messieur Rochelle e digli che la settimana prossima saremo a Parigi. Chiedigli di preparare casa, come al solito. Tu ovviamente verrai con me. Compra qualche bel vestito, nel pomeriggio.
3- Hai un appuntamento con dodici aspiranti scrittori, alle sei. La via è nell'agendina viola accanto al pc. Dovrai leggere i loro manoscritti e spiegargli perchè penso che non siano assolutamente adatti alla letteratura. Inventa qualcosa.
4- Dì ad Augusto di preparare la macchina per le dieci, stasera.
Dato che queste mansioni dovrebbero occupare tutta la giornata, gradirei incontrarti verso le nove, in salotto. Non ti costringerò a rimanere molto.
Endre."
Osservo l'e-mail, confusa. Non mi sembra eccessivamente scortese, eccetto per il commento sul mio cognome. So che non devo rispondere, per cui mi limito a comporre il numero dell'editore.
"Ora che c'è, Bianca?" mi chiede una voce esausta.
"Veramente sono Sophie, signore." lo correggo. "La nuova assistente del signor..." mi rendo conto che non conosco ancora il suo cognome.
"Che fine ha fatto Bianca?" al mio silenzio, l'editore sospira. "L'avrà fatta fuori. Allora, Sophie, qual è la scusa, questa volta? Bianca ne aveva di bellissime."
Mi manca l'aria. "E' il mio primo giorno, signore. Non sono ancora esperta."
Sento una risata vigorosa. "Un agnellino, eh? Ti perdono, per questa volta, agnellino. Ma la settimana prossima sarò più duro." click. Sono salva, a quanto pare.
Tamburello con le dita sulla scrivania, e decido di scrivere una veloce e-mail a Endre.
"Mi sono resa conto che non conosco il tuo cognome. Qual è? Il mio, comunque, è gaelico. Significa cuore." Invia. La risposta non tarda ad arrivare.
"Ciao, Sophie Gràìn dal cognome gaelico,
non sei autorizzata a rispondere. Fallo di nuovo, e dovrò licenziarti

Endre."
Ok, questo suonava scortese. Mi rendo conto che una donna bassa e tozza, dalla complessa pettinatura composta da trecce, sta attraversando il corridoio. Deve essere Inga, la domestica. "Ehi!" la chiamo, alzandomi.
La donna si volta e mi guarda senza alcuna sorpresa. "Nuova assistente?" chiede, con un marcato accento dell'est. Annuisco, tentando un sorriso. "Mi stavo chiedendo... potrei sapere qual è il cognome di Endre?"
Lei ride appena, la stessa risata nascosta di Bianca. "Nessuno può saperlo, signorina, perchè non esiste."
Sollevo le sopracciglia, e Inga posa un dito sulle labbra. "Entri, la prego." sussurra, chiudendo la porta dello studio dietro di sé. "Non dovrei dirglielo, ma lei sembra una brava ragazza. Quella Bianca, invece, non mi piaceva affatto."
Annuisco appena, impaziente. La donna si china verso di me. "Il padre del piccolo Endre abbandonò sua madre quando era incinta, quindi prese il cognome della madre, Cecile, che morì appena quattro anni dopo. Fu suo zio materno ad adottarlo, e mi assunse come bambinaia. Lo zio, messieur Blanc, è un uomo terribile, ma per qualche strana ragione Endre lo adorava. Lo adora tutt'ora. Comunque, in questo periodo lo zio lo costrinse a prendere anche il suo cognome, e quando Endre cominciò a scrivere libri, scelse lo pse... psi..."
"Pseudonimo?" suggerisco.
"Sì, quello. Lo pseudomimo di Endre D." risponde lei, annuendo con forza. "Lei non deve odiare il signor D., signorina. Non è una persona cattiva, non intenzialmente, almeno."
Mordendomi un labbro, annuisco. Appena Inga se ne va, chiamo messieur Rochelle, che scopro essere il domestico della casa parigina di Endre, e gli ordino di "sistemare tutto come al solito".
"Può chiedere al signor Endre se sarà qui anche durante la settimana di Natale?" mi chiede l'uomo, in un francese ricco e musicale.
"Posso?" mai rispondere a una domanda con un'altra domanda, lo so.
"Da quanto lavora per lui?"
Sospiro. "Qualche ora."
"Allora temo non possa. Mi metta in comunicazione con lui."
Obbedisco, premendo un paio di tasti lampeggianti sul telefono. Poi attacco la cornetta, ravviando i capelli. Ora arriva la parte interessante: comprare qualche vestito. Prendo la borsa, il cellulare e mi dirigo verso l'uscita ticchettando sulle mie scarpe alte. Augusto, l'autista, mi indica una macchina scura e apre la portiera, e improvvisamente mi sento importante. Sia chiaro, so bene di contare meno di zero, ma seduta sulle poltrone rosse di una macchina tirata a lucido posso immaginare di essere chiunque. Augusto non aspetta istruzioni e mette in moto, nel suo silenzio carico di rispetto.
"Dove stiamo andando?" chiedo.
"In una sartoria, signorina. Il signor D. le farà preparare alcuni vestiti per Parigi." dice, tornando ad immergersi nel suo silenzio assoluto.
"Quindi non sarò io a scegliere?"
"No." di nuovo, nessuna sfumatura in quel 'no'. Una parola veloce e secca, come se non fosse necessaria.
"Allora, ehm... lavora da molto qui?"
"Dieci anni."
"E come si trova?" chiedo, curiosa, mentre Augusto sterza con eleganza.
"Lei parla." osserva lui, senza alcuna inflessione della voce.
"Perchè, lei non parla?"
"Io non sono pagato per parlare."
"Nemmeno io." replico, realizzando solo adesso che era un invito a smetterla. E mentre Augusto riprende il suo pagato silenzio, lo imito, mettendo il broncio.
L'autista sembra accorgersene, e ride. "Lei è carina, signorina. Sembra allegra, ed è molto che non conosco persone allegre. Eccetto il signor Edward, ma lui ha sempre quell'espressione grave, come se avesse troppi pensieri in testa. Eccoci, siamo arrivati. Si diverta."
Scendendo dalla macchina, il ticchettio dei tacchi sui sanpietrini mi accompagna fino all'entrata della boutique, dove una donna assurdamente alta mi accoglie con un rigido abbraccio. Sembra piuttosto... sollevata. "Grazie, grazie, grazie al cielo si è liberato di quell'odiosa Bianca!"
Non capisco perchè tutti odino Bianca, a dire la verità. Non mi sembrava eccessivamente simpatica, ma neppure degna di tanto odio. Capiterà anche a me, tra qualche mese?
"Sono Sophie." dico senza la minima timidezza, porgendo la mano. La donna la stringe con forza. "Io sono Lidia. Bianca aveva una pessima postura, e dovevo sempre modificarle i vestiti. E quel viso sempre annoiato, spento, come se avesse già vissuto tutto! Tu sembri giovane, voglio dire, giovane dentro." mentre mi conduce all'interno della boutique, devo ammettere che il posto è bellissimo. Pavimento color porpora, eleganti cuscinetti rossi, abiti luccinanti tutto intorno, clienti vestite lussuosamente che discorrono delle vacanze di Natale.
Livia prende qualche vestito e mi riempie le mani. "Va' a provarteli!" esclama, allegra, indicandomi un camerino grande quanto il mio studio.
Dopo un tubino blu notte, due abiti impero nelle tonalità dell'azzurro, un vestito color pesca e un Gucci vintage, è il turno di un miniabito che copre a malapena il sedere, ricoperto di paillette. Quando esco, mi sento nuda.
"Splendido!" esclama Lidia, battendo le mani. "Non è un abito fantastico? Così allegro e pieno di vita! Sarà perfetto per la nuit dorée!"
Non ho idea di cosa stia parlando, ma al momento la mia attenzione è concentrata sull'aria che invade le mie gambe. "Non manca un pezzo di stoffa, Lidia?" chiedo, mordendomi un labbro.
"Oh, che sciocchezza!" replica lei, scacciando il pensiero con un gesto brusco della mano. "Allora prendiamo quello blu, che ti sta un incanto, il Gucci e quello che hai indosso. Li metto sul conto di Endre."
"Sul conto di Endre?" chiedo, rendendomi conto che non avevo affatto pensato a chi avrebbe pagato i miei abiti.
"A meno che tu non abbia settemila euro a portata di mano..." risponde Lidia, divertita.
Settemila? Ho davvero fatto spendere settemila euro al mio capo per tre abiti? Abiti che metterò una volta sola?
Lidia sembra leggermi nel pensiero. "Tranquilla, tesoro. Può permetterselo."

"Allora, cosa pensa E.D. del mio manoscritto?" mi chiede una ragazzina con gli occhiali e l'aria antipatica, che non può avere più di dodici anni.
Batto le mani sulla cattedra malconcia che mi fa da appoggio, cercando qualcosa da dire. Il progetto scrittori di domani coinvolge dieci scuole di Roma, o almeno così mi ha detto Augusto. A quanto pare ogni scuola manda i migliori manoscritti a uno scrittore diverso, che deve leggerli e proporre uno stage agli autori validi, e Endre non ha ovviamento letto i suoi. Io ho cercato di dargli un'occhiata velocemente mentre pranzavo, ma non ricordo assolutamente cosa ha scritto la ragazzina che mi osserva con un certo disprezzo.
"Endre pensa che... il tuo stile sia piuttosto immaturo, e che dovresti leggere di più."
Lei fa una smorfia. "Ho undici anni e ho già letto più di ottocento libri, di ogni epoca e genere."
La odio. "Beh, allora dovresti leggerli con attenzione." rispondo con un pizzico di acidità gratuita, mentre la ragazzina lascia la stanza, sdegnata. "Secondo me non l'ha nemmeno letto E.D.!" grida da fuori, mentre un ragazzo rotondo e allegro entra nella stanza. Dopo aver spiegato al terzo concorrente che il suo romanzo era troppo moderno, al quarto che invece le tematiche non erano abbastanza attuali e al quinto che mancava di originalità, la sesta ragazza entra timidamente nella stanza. Si chiama Luna, ha dodici anni e folti capelli scuri che le ricadono con grazia sulla schiena. Ricordo il suo manoscritto perchè mi aveva catturato, la scrittura aguzza così atipica in una bambina, le parole nitide e forti e le frasi musicali. So bene che dovrei liberarmi di lei come ho fatto con gli altri, ma non ci riesco. "Penso... voglio dire, Endre pensa che tu abbia un gran potenziale." dico, a bassa voce.
I suoi occhi, verde chiarissimo, si illuminano. "Avrò uno stage con E.D.? Davvero? Perchè lui è meraviglioso..."
Non serve dirlo: Luna mi ricorda me, circa fino a un giorno fa. "Sì." dico, con convinzione. "Avrai il tuo stage." E io sarò licenziata. Ma questo mi limito a pensarlo.

"Il signor D. la sta aspettando in sala." annuncia Inga, e io ravvio i capelli, sentendo il cuore palpitare. Magari si ricorda davvero di me. E forse non è neppure così scortese.
"Ciao, Sophie." dice con una voce incredibilmente profonda e musicale, tendendo la mano. Avanzo senza troppa convinzione, ossevando i suoi occhi, penetranti, dal taglio leggermente obliquo, di un verde così scuro da perdersi nel nero. Ha un sorriso divertito a fior di labbra, ed è piuttosto alto. Osservo le spalle, forti, e la linea delle braccia, e stringo la mano calda.
"Dita sottili." osserva lui, senza però guardarmi negli occhi. "Vuoi sederti?" indica una sedia, mentre lui prende posto sul divano. "Allora, Sophie, immagino che Bianca ti abbia parlato di alcune regole."
Annuisco, aspettando che lui incontri il mio sguardo. Non succede. "Sì."
"Se mi ha descritto come un mostro, mi dispiace ammettere che non sono certo la persona migliore del mondo. Anzi, sono proprio una pessima persona." ride, mentre io aggrotto le sopracciglia. "Quanti anni hai, Sophie?"
"Ventitre."
"Vivi a Roma?"
"Sì, ho un appartamento a Roma."
"Con i tuoi genitori?"
"No." rispondo, semplicemente, e finalmente lui mi guarda. Si sofferma un secondo sui miei occhi, ma non accenna a riconoscermi. Stupida illusa.
"E la tua famiglia?"
"Mio padre se n'è andato quando avevo sei anni. Mia madre abita poco distante da me con le mie cinque sorelle."
"Cinque?" chiede lui, divertito.
"Per questo ho pensato di andarmene appena iniziata l'Università."
"Sei laureata, Sophie?"
"Sì."
"E non hai trovato nessun posto migliore di questo?"
"Oh, ne ho trovati eccome." rispondo naturalmente, senza pensare, e osservo il suo sguardo sorpreso.
"Non era quello che avresti dovuto dire." osserva.
Alzo le spalle. "Cosa avrei dovuto dire?"
"Che nessun posto è migliore di questo, ovviamente."
"A che scopo? Sai che non è vero."
Endre spalanca gli occhi. "Siamo già arrivati al tu?"
Abbasso lo sguardo, arrossendo. "Scusi."
"No, va bene così." dice lui, con una certa dolcezza nella voce. "Non ho mai amato i convenevoli. Allora, aggiornami sulla tua giornata."
Annuisco. "Ho parlato con il tuo editore, che ha detto che è disposto a dare un'altra settimana di tempo. Ho comprato tre abiti, e..."
"Come sono?" chiede lui, interrompendomi.
"Cosa?"
"I vestiti. Come sono? Lidia ti ha fatto provare quello blu?"
Annuisco, e lui sembra felice, per un attimo. "L'ho preso."
"Non è splendido?" non aspetta risposta. "E quali altri?"
"Uno grigio perla e uno colorato e troppo corto." rispondo, mordendomi poi la lingua.
"Non è troppo corto, sei tu che sei troppo alta."
"Sono alta poco più di un metro e settanta, a dire la verità."
Lui sorride, e non posso smetter di pensare a come quel sorriso sembri prendermi in giro. "Appunto. Detesto le donne più alte del metro e sessanta."
Passo una mano tra i capelli, indecisa su cosa rispondere. Decido di cambiare argomento. "Sono andata in quella scuola, e ho detto a tutti i concorrenti che non erano abbastanza bravi per lo stage, tranne..."
"Tranne?" ora il suo sguardo fa quasi paura. Gli occhi sono infuocati, come accesi da una scintilla di rabbia.
"Tranne un ragazza. E' davvero brava, e..."
"Che fortuna avere una grande critica letteraria tra di noi, non credi?" commenta, glaciale. "Preferirei non ti prendessi queste libertà, in quanto sei una ragazzina tragicamente priva di talento, a giudicare dal lavoro che fai, e convinta di saperne più del resto del mondo. Vattene, ora."
Mi alzo, e non so quale potere mi stia tenendo calma. "Verrà qui per due giorni, poi tornerà a casa sua e lo stage sarà finito."
"Lascia la stanza, Sophie." è la sua risposta, fredda come ghiaccio. "Non mi piacciono le persone."
"Non ne ho alcun dubbio." rispondo prima di abbandonare la stanza, lasciandomi dietro l'espressione confusa di Endre.

Grazie, grazie, grazie! Selene, hai pienamente ragione: ho quasi una 'fissazione' per i nomi, e in genere li scelgo anche in base al significato, oltre che al suono. Sophie, infatti, mi sembrava perfetto per la protagonista... così come Endre, a modo suo.
E prometto che col tempo le cose si faranno più avvincenti! =)

  
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