Sick
Lullaby
Prima
di iniziare
vorrei spendere alcune parole, che forse non verranno lette da nessuno,
ma non
si sa mai.
Questa
è una storia, strana,
diversa, e spero interessante. Triste sicuramente, ma romantica, molto
romantica.
Non
la dedico a
nessuno, tranne forse ai lettori, se ce ne saranno.
E
ringrazio Paolo Nutini,
che mi ha emozionato e mi ha spinto attraverso le sue canzoni a
scrivere ciò
che vi accingete a leggere.
Spero
che qualcuno di
voi perderà alcuni secondi del suo tempo per un misero
commento.
Nient’altro.
Baci,
la vostra Holly.
Un
piano.
Dolci
note.
Una
voce calda e profonda che giunge alle sue
orecchi inebriandole.
I
corridoi freddi sembrano quasi riscaldarsi e
illuminarsi attraverso quella ninnananna cantata così
soavemente.
Una
struggente storia d’amore narrata con
rimpianto e rimorso.
La
voce di quell’anonimo innamorato che
accompagnato dalla musica avvolge i corridoi semivuoti
dell’Hogwarts dormiente.
La
notte nera penetra dalle finestre che bramano
la luce della luna nascosta dalle nubi chiare.
La
bruna si ritrova a socchiudere gli occhi ed
accasciarsi alla parete, respirando piano, per evitare di perdere anche
solo
una parola, una nota di quella storia che da svariate notti
l’accompagnava
durante le sue ronde notturne.
Percepiva
l’amore struggente ed appassionato del
suo cantore personale, in un’aula nascosta diventata ormai
nido di questa dolce
sinfonia.
Con
la testa appoggiata alla dura pietra e gli
occhi sognanti, dimenticava ogni preoccupazione abbandonandosi alla
favola più
dolce che avesse mai sentito.
Immaginava
il volto del pianista, mentre sfiorava
i tasti del pianoforte cantando dolcemente.
Avrebbe
voluto poterlo ammirare mentre componeva
quella poesia, che rappresentava l’unico momento di gioia da
settimane ormai.
Quella
musica le faceva riaffiorare sensazioni
ormai perdute. Sensazioni che aveva provato solo per un breve periodo
della sua
vita, quel breve ed intenso periodo passato con lui.
La
voce di quel cantore le ricordava la sua…
erano entrambe dolci, ed entrambe la cingevano come braccia calde e
rassicuranti.
Quelle
note la commuovevano come niente al mondo
era riuscito a fare.
Viveva
un periodo terribile, e solo durante quei
minuti, nelle notti oscure che passava per i corridoi,riusciva a dare
pace alla
sua anima.
Sentiva
quella voce ripeterle di non piangere,
supplicarla di non piangere e di alzarsi e continuare, e quasi
dimenticava dove
si trovava, rimanendo immobile in quell’angolo di paradiso e
di amarezza che si
creava ogni notte.
Forse
era impazzita, forse quella voce era solo
nella sua testa.
Pansy
Parkinson si era ridotta ad sentire musica
nella sua testa e a sedersi sul pavimento freddo con il volto tra le
mani
pallide.
Ricordava
il sorriso del suo uomo, i suoi modi
tremendamente dolci, i suoi gesti innocenti e spontanei… e
piangeva mentre
ricordava i suoi occhi nei quali poteva specchiarsi per come era
veramente.
I soli occhi che l’aveva apprezzata per
Come
poteva non piangere mentre ricordava di aver
perso l’unica cosa che avesse mai amato, e l’unica
cosa che l’avesse mai amata.
Sentiva
la musica farsi sempre più bassa e
lontana, e urlava straziata pregandola di continuare, di non smettere.
Ma
era tutto inutile, come tutte le notti, quella
voce spariva, il piano si disperdeva e l’unica cosa che
rimaneva era la
tristezza e le lacrime.