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Autore: AnastasiaSmith    05/05/2015    2 recensioni
C'è un ragazzo a scuola, è nuovo, ma in poco più di una settimana ha attirato l'attenzione di Harry più di quanto abbiano mai fatto i suoi restanti trecento compagni [...]
«Che sai fare?» ripete il ragazzo.
«So far ridere la gente.»
Louis/Harry, ispirata alla canzone “Il Comico”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sono stato anche normale, in una vita precedente 
m'hanno chiesto “Che sai fare?” 
“So far ridere la gente.”
C'è un ragazzo a scuola, è nuovo, ma in poco più di una settimana ha attirato l'attenzione di Harry più di quanto abbiano mai fatto i suoi restanti trecento compagni negli ultimi quattro anni spesi dal ragazzo a cercare di capirli, seduto su una poltrona scomoda della biblioteca. 
Non che qualcuno gli si sia mai avvicinato, ad Harry; lui infondo è solamente quello Strano.
Gli viene tirata l'insalata nella mensa e gli vengono buttati giù i libri nei corridoi tra una lezione e l'altra, ma non ci fa troppa attenzione: senza staccare gli occhi dal suo pranzo si toglie le foglie incastrate tra i suoi ricci e, alzando le spalle, raccoglie velocemente i libri per non tardare a lezione, un professor. Vernon arrabbiato alle nove di mattina è l'ultima cosa che desidera, Harry.
E questo ragazzo è bello, appunta. E non parla con nessuno, come lui. Forse per questo i suoi occhi sono calamitati dalla sua figura, bassa ed impacciata che corre tra gli scaffali della biblioteca, nel reparto ‘Romanzi dell'ottocento’.
Continua a pedalare sul lato della strada guardandosi nervosamente dietro, le risate dei suoi compagni in attesa fuori scuola per umiliarlo ancora nelle orecchie.
Non gli è mai piaciuto scappare ad Harry; subisce a testa bassa e aspetta che le urla nella sua testa coprino rapide il suono rimbombante della vergogna verso sé stesso. Ma questa volta è stato diverso: quando ha visto il ragazzo della biblioteca farsi scappare un sorriso all'ennesima battuta di Stanley, quel coglione della sua classe, l'immagine non ha finito di proiettarsi nella sua mente per tutto il tempo, apparendo a strappi ancora adesso dietro i suoi occhi.
Si ferma al semaforo, poggiando le scarpe per terra e provando a riprendere fiato; si passa una mano tra i capelli mentre un sospiro profondo gli si allarga nel petto. Sente un peso non indifferente sul cuore e sa che se non fosse così sé stesso, delle lacrime pungerebbero ai lati dei suoi occhi verdi. Ma visto che è Harry, questo non succederà.
Sarà soltanto un altro pezzo che se ne andrà. Che sarà mai, a questo punto.
Un clacson alle sue spalle lo fa sussultare e si affretta a mettere i piedi sui pedali, girando alla sua destra ed imboccando una strada sconosciuta. Non guarda neanche dove va ormai, finchè il rumore del vento coprirà l'assordante suono di uno spezzarsi, andrà bene. 
Pedala sul marciapiede per un po', prima di frenare bruscamente davanti ad una persona, che squittisce in modo sorpreso e lo fissa stralunata. Ed, Harry, beh.
Mentirebbe se non ammettesse che il suo cuore è balzato fino alla gola.
È il ragazzo della biblioteca, che lo guarda mentre si stringe convulsamente al petto un libro.
Quando pare riconoscerlo gli riserva un timido sorriso, le labbra fini solamente a tendersi, mentre cerca di non guardarlo negli occhi. O di non arrossire, non lo sa, Harry.
«Ciao.»
Poggia i piedi per terra e si siede sul sellino, fissando l'altro con un cipiglio confuso: nessuno, negli ultimi anni, ha mai avuto la benché minima idea di provare a parlare con lui, mentre il ragazzo della biblioteca ne sembra tutto intenzionato. Se solamente non avesse ancora l'immagine di quelle labbra sorridenti nel prendersi gioco di lui, forse gli risponderebbe.
«Che sai fare?»
Il libro ora è appoggiato fiduciosamente sul manubrio, le mani leggiadre a stringere leggermente i manici imbottiti, mentre gli occhi color ghiaccio lo fissano in attesa: se Harry cerca di far finta di non sapere a cosa l'attesa sia dovuta, non lo deve sapere nessuno.
Distoglie lo sguardo e si sporge oltre la figura minuta, gli occhi a pregare qualche passante di arrivare e la mente che si rifiuta di funzionare.
«Che sai fare?» ripete il ragazzo.
«So far ridere la gente.»
Stringe i denti e fruga in quei pozzi di occhi, alla ricerca di una confusione che però non trova; trova solo comprensione Harry, e gli viene l'improvvisa voglia di schiaffeggiarlo.
Lui non può sapere. 
Non può comprendere.
Menomale che non ho fatto il militare. 
Si, menomale, sai che risate.
Punta  un piede indietro e con l'altro spinge il pedale sinistro mentre indietreggia dal ragazzo della biblioteca. Riesce a malapena a recuperare il suo prezioso tomo e a stringerselo al petto, il ragazzo, che Harry è già fuggito via, i ricci scompigliati.
«Menomale che non hai fatto il militare!»
È l'urlo che gli arriva mentre svolta l'angolo, gli occhi che per un secondo catturano la figura del ragazzo con entrambe le mani a coppa sulla bocca, il sapore dell'urlo ancora sulla lingua e il libro totalmente dimenticato sul terreno. 
Non si ferma neanche, continua a pedalare fino a che un sorriso spunta sul suo viso, irriverente ed inopportuno per Harry.
«Sì, menomale.» sussurra.
Le uniche che lo sentono, le fronde del viale.
«Sai che risate.»

A Gioia, che mi sopporta, supporta, stupisce e stordisce.
Sei un piccolo e meraviglioso raggio di sole.
A Sara, alla sua fossetta e al suo odore di salsedine: le promesse si mantengono e sei il mio mare personale.

 

 

*** 

Sono stato anche normale, in una vita precedente m'hanno chiesto
“Che sai fare?” 
“So far ridere la gente.”



C'è un ragazzo a scuola, è nuovo, ma in poco più di una settimana ha attirato l'attenzione di Harry più di quanto abbiano mai fatto i suoi restanti trecento compagni negli ultimi quattro anni spesi dal ragazzo a cercare di capirli,
seduto su una poltrona scomoda della biblioteca. Non che qualcuno gli si sia mai avvicinato, ad Harry; lui infondo è solamente quello Strano.
Gli viene tirata l'insalata nella mensa e gli vengono buttati giù i libri nei corridoi tra una lezione e l'altra, ma non ci fa troppa attenzione: senza staccare gli occhi dal suo pranzo si toglie le foglie incastrate tra i suoi ricci e,
alzando le spalle, raccoglie velocemente i libri per non tardare a lezione, un professor. Vernon arrabbiato alle nove di mattina è l'ultima cosa che desidera, Harry.
E questo ragazzo è bello, appunta. E non parla con nessuno, come lui. Forse per questo i suoi occhi sono calamitati dalla sua figura, bassa ed impacciata che corre tra gli scaffali della biblioteca, nel reparto ‘Romanzi dell'ottocento’.

Continua a pedalare sul lato della strada guardandosi nervosamente dietro, le risate dei suoi compagni in attesa fuori scuola per umiliarlo ancora nelle orecchie.
Non gli è mai piaciuto scappare ad Harry; subisce a testa bassa e aspetta che le urla nella sua testa coprino rapide il suono rimbombante della vergogna verso sé stesso.
Ma questa volta è stato diverso: quando ha visto il ragazzo della biblioteca farsi scappare un sorriso all'ennesima battuta di Stanley, quel coglione della sua classe,
l'immagine non ha finito di proiettarsi nella sua mente per tutto il tempo, apparendo a strappi ancora adesso dietro i suoi occhi.

Si ferma al semaforo, poggiando le scarpe per terra e provando a riprendere fiato; si passa una mano tra i capelli mentre un sospiro profondo gli si allarga nel petto.
Sente un peso non indifferente sul cuore e sa che se non fosse così sé stesso, delle lacrime pungerebbero ai lati dei suoi occhi verdi. Ma visto che è Harry, questo non succederà.

Sarà soltanto un altro pezzo che se ne andrà. Che sarà mai, a questo punto.

Un clacson alle sue spalle lo fa sussultare e si affretta a mettere i piedi sui pedali, girando alla sua destra ed imboccando una strada sconosciuta.
Non guarda neanche dove va ormai, finchè il rumore del vento coprirà l'assordante suono di uno spezzarsi, andrà bene. 
Pedala sul marciapiede per un po', prima di frenare bruscamente davanti ad una persona, che squittisce in modo sorpreso e lo fissa stralunata. Ed, Harry, beh.
Mentirebbe se non ammettesse che il suo cuore è balzato fino alla gola.

È il ragazzo della biblioteca, che lo guarda mentre si stringe convulsamente al petto un libro.
Quando pare riconoscerlo gli riserva un timido sorriso, le labbra fini solamente a tendersi, mentre cerca di non guardarlo negli occhi. O di non arrossire, non lo sa, Harry.

«Ciao.»

Poggia i piedi per terra e si siede sul sellino, fissando l'altro con un cipiglio confuso: nessuno, negli ultimi anni, ha mai avuto la benché minima idea di provare a parlare con lui,
mentre il ragazzo della biblioteca ne sembra tutto intenzionato. Se solamente non avesse ancora l'immagine di quelle labbra sorridenti nel prendersi gioco di lui, forse gli risponderebbe.

«Che sai fare?»

Il libro ora è appoggiato fiduciosamente sul manubrio, le mani leggiadre a stringere leggermente i manici imbottiti, mentre gli occhi color ghiaccio lo fissano in attesa:
se Harry cerca di far finta di non sapere a cosa l'attesa sia dovuta, non lo deve sapere nessuno.
Distoglie lo sguardo e si sporge oltre la figura minuta, gli occhi a pregare qualche passante di arrivare e la mente che si rifiuta di funzionare.

«Che sai fare?» ripete il ragazzo.

«So far ridere la gente.»

Stringe i denti e fruga in quei pozzi di occhi, alla ricerca di una confusione che però non trova; trova solo comprensione Harry, e gli viene l'improvvisa voglia di schiaffeggiarlo.

Lui non può sapere. Non può comprendere.


Menomale che non ho fatto il militare. 
Si, menomale, sai che risate.



Punta  un piede indietro e con l'altro spinge il pedale sinistro mentre indietreggia dal ragazzo della biblioteca.
Riesce a malapena a recuperare il suo prezioso tomo e a stringerselo al petto, il ragazzo, che Harry è già fuggito via, i ricci scompigliati.

«Menomale che non hai fatto il militare!»

È l'urlo che gli arriva mentre svolta l'angolo, gli occhi che per un secondo catturano la figura del ragazzo con entrambe le mani a coppa sulla bocca,
il sapore dell'urlo ancora sulla lingua e il libro totalmente dimenticato sul terreno. 

Non si ferma neanche, continua a pedalare fino a che un sorriso spunta sul suo viso, irriverente ed inopportuno per Harry.

«Sì, menomale.» sussurra.

Le uniche che lo sentono, le fronde del viale.

«Sai che risate.»


C'è chi non conosce Dante, chi c'ha tutto da imparare, 
chi è felice quando piange, 
chi si veste da soldato a carnevale.
Io mi nascondo tra la gente, si, a carnevale non so che fare.


 

Picchietta la penna sul banco, il libro di letteratura aperto e le parole della professoressa che entrano ed escono da entrambe le orecchie;
fissa insistentemente fuori dalla finestra mentre piove, gli occhi così impegnati che ogni goccia che colpisce il vetro sembra ferirlo anche dentro la classe. Non gli è mai importato niente, ad Harry.

Tanto meno Dante.

«Che dentro a li occhi suoi ardeva un riso Tal, ch'io pensai di toccar cò miei lo fondo De la mia gloria e del mio paradiso

Continua a fissare fuori mentre dietro di sé sente i sussurri dei suoi compagni, un risolino difficilmente camuffato che però non arriva alle orecchie della Wilkinson;
il rumore di un foglio strappato, di una penna che corre, di un'accartocciarsi e in poco tempo una pallina gli colpisce la nuca, finendo sulla foto stampata di Dante Alighieri.
Non si volta neanche; la prende e cerca di spianare la carta, pentendosene quando riesce a capire il significato del disegno:
c'è lui, lo capisce dall'altezza sproporzionata dell'omino stilizzato e dalla tempesta di ricci che quasi gli risucchiano il viso,
lui steso per terra che viene calpestato da centinaia di piccoli altri omini, scarpe sulla sua faccia e sulla linea nera che è il suo corpo.

E, veramente, Harry non sa se è per il disegno, per la scritta ‘Faggot’ che troneggia sulla sua testa
o per l'altra figura piccola piccola all'angolo, una freccia che lo indica come ‘Louis’ e che si fa grasse risate, ma un pugno si stringe sul banco.

Prende velocemente una penna e scrive una frase sul lato del foglio, accartocciandolo di nuovo e lanciandolo di nuovo alla cieca dietro di sé, sapendo di aver smorzato il sorriso odioso di Stanley.

“La scritta 'frocio' dovrebbe essere su un'altra testa, bellezza, e lo sai anche tu.”

È fiero di sé stesso, Harry.

Ma sa che è la fine. O l'inizio, dipende.

Eventualmente, al suono della campanella mentre raccatta tutte le sue cose, se queste vengono brutalmente prese e buttate per terra,
alcune persino calpestate dagli stivali della ragazza che si fa ricordare come “La fidanzata di Stanley”,
Harry rotea soltanto gli occhi al cielo e raccoglie tutto, gli occhi fermi sulla porta dove c'è qualcuno. 

Qualcuno che lo fissa con gli occhi gonfi e rossi e un fazzoletto sgualcito, usato stretto nel piccolo pugno:
il ragazzo della biblioteca aveva appena pianto, ed Harry non aveva nessuna intenzione di intromettersi ulteriormente nella sua vita, ma. 

«Come stai?»

Inavvertitamente, nel tirarsi su, da un calcio al libro di matematica lanciandolo vicino ad un banco; banco su cui si siede il ragazzo, cercando sempre di non fissarlo negli occhi.

«Hai paura dei miei occhi?»

Il ragazzo della biblioteca gli raccoglie il libro e glielo porge, ad Harry.

Non ha alzato ancora gli occhi, e Harry non osa muovere neanche un dito per riprendersi il tomo:
non sa come reagirebbe il suo corpo al contatto, anche se la sera prima, sul suo letto, ha pensato ininterrottamente a quanto deve essere delicato il tocco di quelle dita.

«Sono felice.» mormora l'altro poggiando il libro sul banco.

«Sono felice.» ripete.

Ed è proprio il fatto che lo ripeta che non convince Harry, perchè chi è felice non ha bisogno di ripetere la felicità: la possiede, e spiegarla una volta può far traboccare abbastanza serenità per una vita intera.
Gli si avvicina, afferra il libro sul banco e lo sovrasta con tutta la sua altezza, per quanto sembra il suo cuore quello impaurito.

«Perchè l'hai ripetuto se lo sei?»

Gliela soffia sulle labbra la domanda, come se fosse un segreto.

«Da cosa ti vesti a carnevale?» 

È il soffio che gli arriva a sua volta, mentre per la prima volta nella storia gli occhi del ragazzo della biblioteca sembrano cercare veramente i suoi.

«Da soldato.»

Non riceve nient'altro in cambio: l'altro afferra velocemente il suo solito libro e velocemente esce dalla classe senza neanche guardarsi indietro.

Oggi era un'Anna Karenina. E forse Harry si sta innamorando.


Tu vestito da bambino, 
prigioniero vuoi scappare da una perfida regina,
così serio da star male.

 

 

Appoggia la bicicletta al muro di mattoni e la ferma al solito palo con la vecchia catena, quella ragalatagli da Gemma il natale di due anni fa, con il lucchetto rosa.
Si sistema il berretto sui ricci e si stringe nelle spalle appena entra in panetteria, il tepore del forno che già inizia a riscaldargli le dita intorpidite dal freddo delle sei del mattino;
inspira a fondo il profumo della cannella che gli arriva dalla cucina, mentre urla un saluto a Marie, che continua ad impastare mentre gli rivolge uno dei suoi sorrisi dolci. 

«Cosa posso fare?»

È la solita domanda che Harry pone mentre si infila il grembiule e si dirige verso il bancone; e la solita risposta è «Dispensa sorrisi ai clienti per un'ora, caro.» detta dalla donna con una piccola risata.
E ad Harry sono sempre piaciute le abitudini: gli piace sapere che per una giornata niente andrà storto ma sarà tutto esattamente come vuole lui, perchè tutto dannatamente uguale.

Ma quella non sembra la sua giornata, o la sua vita.

Prima ancora che Marie possa prendere un respiro per rispondergli, lo scampanellio dello scacciasogni tintinna e la porta viene aperta da una figura minuta ed incappucciata,
il viso nascosto dale mani mentre il fiato prova a scaldarle;
e no, il fatto che Harry sia improvvisamente caduto sulle ginocchia, nascosto dal bancone, non è dovuto al fatto che la persone appena entrata è Louis, il ragazzo della biblioteca che pare divertirsi a perseguitarlo.

Gli è solamente caduto il grembiule, stupidi fiocchi e stupide dita piene di anelli.

«Salve, vorrei ordin—oh. Mh, c'è qualcuno?»

È la domanda che pone con la sua insopportabile voce acuta, le gambe e i piedi a muoversi in imbarazzo;
ed Harry se lo immagina bene, con le guance rosse e le dita ad intrecciarsi per la vergogna. Che poi non l'ha mai visto in imbarazzo: lo vedere davvero tanto. 

Prega solamente che Marie fosse troppo occupata ad impastare e che non lo abbia sentito.

«Harry caro, c'è un cliente, dove sei?»

Lascia scivolare sulla lingua un'imprecazione a mezza voce e si risolleva velocemente, mentre si sistema il grembiule e sente il ragazzo davanti a sé trattenere improvvisamente il fiato;
rialza lo sguardo e lo fissa indifferente, mentre il suo stomaco si ribalta e gli occhi dell'altro continuano ad avere paura dei suoi.
Gli ricorda vagamente un bambino, con i guanti e la sciarpa ad inondargli il naso e a coprire le due rose che sono le sue labbra. 

«Ciao.»

È la prima parola che lascia andare a fatica il ragazzo, il saluto che aleggia tra di loro mentre Harry non vuole rispondere, non vuole parlare con lui;
cazzo, voleva solamente un giorno senza nessuno tra i piedi a parte il gatto Don Chisciotte e la sua fidata bici, era chiedere tanto?
Il ragazzo della biblioteca fissa le sue scarpe stringendo spasmodicamente l'ennesimo libro al petto, la copertina a svelare un romanzo di Shakespeare.

«Vorrei―mh, vorrei ordinare un cornetto? No, scusa, non doveva uscire come una domanda però, cioè―alla crema, un cornetto alla crema, se possibile.»

Inclina la testa di lato, Harry, mentre fissa la nuca castana di Louis, visto che non sembra intenzionato a guardare neanche un lineamento del suo volto.

Si stupisce di quanta voglia abbia di pronunciare il suo nome, di gustarlo, urlarlo, sussurrarlo, baciandoglielo sulla pelle e stampandoglielo sul cuore.

«Da cosa stai scappando?»

L'altro sussulta, alza brevemente lo sguardo, e poi lo posa di nuovo sul bancone lucido. La voce gli trema leggermente e gli trabocca di una verità che non può dire, quando gli risponde.

«Che intendi?»

«Chi legge troppo, cerca di evadere. Da cosa stai cercando di scappare?»

Si blocca improvvisamente il ragazzo mentre la presa sul libro si allenta appena, come il peso sul suo cuore; una risata amara gli sfugge e gi occhi paiono trattenere chissà quale segreto e chissà quale mare.

«Scappo da una regina cattiva.»

«E quanto lontano dovrai ancora andare?»

Louis alza lo sguardo e lo punta in quello di Harry perchè tutto quello è semplicemente troppo, per lui e per il suo cuore che perde solo un battito in più quando vede il ragazzo con la bici fissarlo, e capirlo.
Ed è così serio, pensa Harry, che fa quasi male.

«Abbastanza», inizia il ragazzo della biblioteca, «È difficile fuggire dalla propria mente.»


Non so dirti una parola, non ho niente di speciale, 
ma se ridi poi vuol dire che una cosa la so fare.


 

Sbatte le palpebre Harry, mentre afferra velocemente un tovagliolo e, girando le spalle allo sguardo basso del ragazzo, incarta la colazione che gli è stata chiesta.
Gliela porge mentre si morde la lingua, le parole che voglio uscire.

«Una cosa facile facile, eh?»

E Louis non chiede a cosa si riferisca quella domanda, semplicemente afferra il cornetto e, fissando il cioccolato, si fa scappare una piccola risata con le gote rosse.

Ed Harry, si sente solo un po' meno sbagliato, in quel momento.


E l'occhio ride ma ti piange il cuore, 
sei così bello ma vorresti morire.


 

Fissa critico lo scaffale prima di acchiappare velocemente il libro che voleva fuggire; sospira e lo pone malamente nella cartella, le nozioni di fisica scritte dentro che già pesano.
Non ha mai amato particolarmente la fisica, Harry, ma.
Cammina il più silenziosamente possibile verso Caroline, la ragazza costretta a sorvegliare la biblioteca da Jane, la bibliotecaria,
che appena lo vede sputa la gomma che masticava noiosamente e sporge il petto già prosperoso in fuori. 

Sospira un pochino prima di poggiare il libro sul bancone e picchiettare le dita per ritirare il fastidioso bigliettino di prestito che probabilmente perderà per strada.
Prima inizia quella ricerca, prima la finisce. Appena Caroline glielo porge lo prende e si avvia velocemente verso l'uscita senza neanche salutare e senza guardare;
forse è per questo che sbatte contro qualcuno e questo qualcuno finisce con il sedere a terra, producendo un urletto poco virile.

E, davvero, si sarebbe scusato con Nick Grimshaw l'istante successivo se solamente una risata squillante non gli avesse fatto alzare repentinamente lo sguardo.

E se alla vista di Stanley che fissa avido il collo di Louis, il quale sembra proprio non riuscire a smettere di ridere a chissà quale sua battuta, il suo cuore perde un battito e tutto si fa solo un po' più confuso di quanto già non fosse, beh.

C'è abituato, in fondo.

E si chiede perchè voglia morire, Louis.
Si chiede quando potrà finirla di fingere risate e quando potrà piangere davanti a tutti senza vergognarsene;
si chiede di chi siano quegli occhi che sente sempre addosso e se prima o poi sentirà in lontananza gli zoccoli di un cavallo a trarlo in salvo.

Non sente il cuore di Harry rompersi. È troppo impegnato a cercare i pezzi del suo.
Ma Harry li sente, sotto la scarpa, i cocci persi dal ragazzo della biblioteca.

Sente anche la sua voglia di volare via, a pelle. Sorride amaramente: forse l'ha trovato.


Sognavi di essere trovato 
su una spiaggia di corallo una mattina 
dal figlio di un pirata.


 

Ha deciso di impegnarsi, Harry, nella sua vita.
Ha finito in una sera la ricerca, è riuscito a svegliarsi perfino in anticipo così da poter girare per il quartiere, si è bevuto un caffè miracolosamente caldo e a scuola è, per ora, riuscito a non farsi insultare da Stanley e dagli altri.

Sospira mentre si dirige, dopo la campanella, verso l'aula di letteratura inglese strofinandosi il dorso della mano sull'occhio e soffocando uno sbadiglio.
Prima di aprire la porta però, inevitabilmente in ritardo nonostante gli sforzi, un suono secco gli riempe la mente;
ci mette poco a collegare il rumore dello schiaffo con il viso stupito di quel coglione di Stanley e il silenzio improvviso con lo sguardo ed il corpo teso di Louis. 

«Sai cosa, sono stanco.»

Harry non sa origliare, forse però è ora di imparare.

«Non puoi continuamente giudicare la gente, Stan. Non sei nessuno, okay?»

«Neanche tu sei nessuno, Louis.»

Lo prenderebbe a pugni, Harry; Louis è qualcuno, e non solo come persona: lui è il ragazzo che gli ha catturato gli occhi, poi lo stomaco, la mente e quello che gli rimane del cuore.
Non è semplicemente nessuno. 

«Cadi dalle nuvole? Questo lo sapevo perfino da me.»

Prende coraggio, Harry; lo prende tutto, da ogni suo organo, ogni suo osso ed ogni parte di sé tramutandolo in un grosso respiro buttato lentamente fuori, ad occhi chiusi.

E si avvia. Per la prima volta, Harry Edward Styles, classe '94, non ha le spalle strette o le gambe traballanti nell'avvicinarsi a Stanley Lucas,
ma ha il libro di letteratura accartocciato in un pugno e il sapore della vittoria nell'altro. Non è che dica poi molto, visto che il ragazzo pieno di orecchini sembra accorgersi subito della sua figura slanciata.

«Guarda chi è venuto a salvarti Louis, il tuo pirata prefer—»

È un colpo. Un colpo secco, non troppo preciso sulla nuca,
ma abbastanza forte da far sgranare gli occhi color mare del ragazzo della biblioteca e da far uggiulare di dolore la vittima, mentre Harry pensa se colpirlo ancora o no. Lui è più bravo con le parole.

«Fatti una vita, e cerca qualcuno ben disposto a distruggertela. Fallo per me.»

Afferra il polso della piccola figura accanto a sé, ed inizia a correre.

Verso il sole, forse.


Chissà perché ti sei svegliato.

 

 

Gli lascia il braccio quando ormai sono fuori dall'edificio e si ferma a respirare.
Dove cazzo ha lanciato il libro? Merda.

Si appoggia al muro Louis e prega tutto il pregabile di far calmare il suo cuore impazzito, e non dalla corsa a cui è stato costretto; qualcosa sembra contro di lui, però.

Harry lo blocca contro il muro, posando le mani ai lati dei suoi fianchi mentre gli ansima sulle labbra, tant'è vicino e sottile e meraviglioso.
Lo fissa negli occhi con uno sguardo indecifrabile mentre il ragazzo della biblioteca cerca una spiegazione per lo spostamento del suo cuore dal petto alla testa; non riesce a pensare.

«Pirati?»

«Un vecchio sogno di un bambino innocente: venivo salvato da un pirata, su una spiaggia.»

E la risposta forse troppo veloce di Louis tradisce la sua parvenza di tranquillità.
Louis si tradisce, Harry si ricomincia.

Sposta lentamente una mano verso una ciocca di capelli lisci, spostandola dietro l'orecchio e riportando quello strano ordine. Indugia un po', prima di spostarla.

«Vuoi che io compri una pistola o che indossi un orecchino?»

Solleva stupito lo sguardo, sposta in imbarazzo il peso da un piede all'altro mentre sente gli occhi verdi di Harry fissi a catturare ogni increspatura del suo volto.
Si fa rosso sulle guance, lo guarda a sua volta e gli da un bacio su una guancia, così leggero da essere un soffio di vento in estate.

Gli afferra la mano e incastra le dita con quelle del ragazzo della bici.

«Egli non aveva nessuno dei due. Sei perfetto così, se vuoi salvarmi, Harry

  
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