Amethist
Un'altra volta in quella situazione.
Tuttavia questa volta c’erano differenze. Per esempio non mi
avevano portato
qui con delle manette, ma tirandomi per i capelli. La mia prigione non
era buia
e fredda, anzi: era anche più bella della mia stanza a casa.
Infine, stavolta, quelli che mi detenevano
avrebbero potuto uccidermi in qualsiasi momento. Ero talmente confusa
che non
avevo nemmeno escogitato un piano per andarmene. E poi mi avevano
offerto delle
fette biscottate meravigliose quella mattina.
Sbuffai, osservando i dintorni con
noncuranza mentre stavo comodamente seduta sul letto. Una parte di me
voleva
tornarsene a casa, dovei miei genitori mi avrebbero irrimediabilmente
gridato
contro dei rimproveri, messa in punizione, chiusa nella mia stanza e
buttato
via la chiave.
Sentii un improvviso bussare alla porta. Lo
spioncino si aprì rapidamente, e apparvero due grandi occhi
azzurri che mi
fissavano annoiati.
-Ben svegliata- mi salutò una voce femminile.
-Ti è piaciuta la colazione?- Le rivolsi
un’occhiata diffidente.
La rondine si innervosì, fulminandomi con
un’occhiata. -Ascoltami ragazzina, divertiti quanto vuoi a
fare il gioco del
silenzio con me, ma l’unica che ne pagherà le
conseguenze sei tu. Puoi non
rispondere a tutte le
domande che ti faccio, ma devi dirmi assolutamente se conosci un modo
di
contattare i tuoi genitori-.
Lo spioncino si chiuse, lasciandomi di nuovo
sola all’interno della stanza. Mi strinsi le gambe al petto,
leggermente
spaventata. Stavano dicendo sul serio? Oppure stavano soltanto cercando
di
spaventarmi?
Una decina di minuti dopo sentii nuovamente
bussare alla porta. -La volete piantare di rompere?! Ho afferrato il
concetto!-
strillai, alzandomi dal materasso, dirigendomi verso la porta e aprendo
con
rabbia lo spioncino.
-Ciao-.
Mi venne quasi un infarto, poiché al posto
di quegli occhi azzurri e limpidi della donna di prima, apparirono dei
piccoli
occhietti con delle pupille così minuscole da sembrare delle
punte di spilli.
Mi spaventai così tanto da indietreggiare violentemente
subito dopo aver chiuso
lo spioncino in faccia a quel tipo dalla voce roca e scura.
-Tutto bene?- mi chiese con un tono
incredibilmente pacato, considerando il suo ruolo di rapitore.
-Chi sei?- dissi quasi strillando. Aspettò
un po’ prima di rispondere, forse cercando le parole giuste
per rispondere. Che
razza di parole ci sono da cercare?!
-Mi chiamo Storm. Qual è il tuo nome, invece?-
Ma chi era quel tizio?
-Ehm… Amethist. Piacere-.
-È un piacere anche per me! Sai, non abbiamo
ospiti molto spesso, e qualche volta il capo diventa piuttosto noioso.
Perché
sei venuta fin qui?-
-Be'… diciamo che sto cominciando a
chiedermelo anch’io. Ero venuta solo per
curiosità-.
-Scommetto che hai notato la lucina
lampeggiante, non è vero? Ho detto al capo che sarebbe stato
il caso di
toglierla, ma è troppo pigro, e riesce sempre a trovare una
scusa per non farlo-.
Mi avvicinai alla porta, aprendo lievemente lo spioncino. Mi ritrovai
davanti
il muso felicemente infantile del volatile grigio. Mi salutò
allegramente con
la mano.
-Che ci facevate fermi nel bel mezzo del
mare?- gli domandai. Lui ridacchiò.
-C’è stato un guasto al motore e non siamo
riusciti a continuare con il nostro volo-. ‘’Volare?
Questa specie di nave sa volare?’’ Ma
per il momento, decisi di far cadere
la faccenda.
-Cambiando discorso, che personalità ha il
tuo capitano?- chiesi, appoggiando le braccia sulla porta e
sorreggendomi.
-Jet? Beh, è verde, piumato, è dipendente
dal fumo e gli piace la velocità-.
Lo guardai confusa. -No, volevo dire… che
tipo è?-
-È un falco-.
Serrai la mascella, esasperata. ‘’Lo
uccido. Butto giù la porta e lo
uccido.’’ -Quello che intendevo
chiederti è che tipo di carattere lui
abbia- sbottai, cercando di mantenere un’aria tranquilla.
-Oh!- esclamò. -Jet è molto impavido.
È anche
un tipo simpatico quando non si toccano le sue tavole-. Deglutii a
fatica. ‘’Oh
no’’.
Sentii un improvviso gracchiare meccanico.
-Attenzione: il guasto alla nave è stato finalmente
riparato- disse una voce maschile al megafono, rimbombando per tutta la
nave.
-Finalmente?- ringhiò la voce della rondine
in sottofondo. Sentii sospirare.
-Ok… la nave è stata riparata con un
tempismo perfetto, e colei che ci
ha
dato questa benedizione deve andarsene dal mio ufficio. Ora- disse
scocciato.
Ci fu qualche attimo di silenzio.
-A proposito: Storm, sei richiamato
nell’ufficio del capitano- concluse. L’albatros mi
rivolse un’occhiata
dispiaciuta.
-Sono davvero spiacente, ma il capo mi sta
chiamando. Comunque tornerò a trovarti!- Mi
salutò e si allontanò con passo goffo.
Mi sedetti sul pavimento, stringendomi la
testa tra le mani. ‘’In
che cosa mi sono
andata a cacciare?’’
All’improvviso, sembrò che tutto avesse
iniziato a tremare…
***
Rouge
Salii lentamente le scale, preparandomi
mentalmente il discorso da fare ad Amethist. Devi riflettere
attentamente sulle
tue scelte, sono stufa di tirarti fuori dalla galera ogni due giorni,
sei
troppo giovane per poter decidere di intraprendere una strada del
genere. ‘’…da
che pulpito’’ disse la vocina
all’interno della mia testa. Mi fermai davanti alla porta
della stanza di
Amethist, prendendo un respiro profondo.
-Amethist?- Bussai delicatamente
sulla porta. Non mi rispose. -…Ame, andiamo- sbuffai. Totale
silenzio. Bussai
ancora, chiamandola ripetutamente per un minuto buono. Ma continuai a
non
sentire alcuna risposta. Sospirai, allontanandomi sconsolata e tornando
nel
salotto al piano inferiore.
Knuckles mi guardò speranzoso quando lo
raggiunsi al tavolo. -Allora?-
-Mi ha ignorato completamente-. Mi massaggiai
le tempie, chiudendo gli occhi e cercando di non farmi venire un
emicrania.
Knuckles si strofinò nervosamente il collo
con una mano. -Rouge, sai che è combattuta. Deve ancora
trovare la sua strada-.
Gli lanciai un’occhiataccia. -Questo non è
un buon motivo per finire in prigione. Praticamente ogni ragazzo della
sua età
attraversa questo periodo, ma non significa che i loro genitori corrano
loro
dietro come dei cagnolini per scagionarli dalla galera per qualche
furto di
basso rango. E poi ci sono molti lavori onesti che non comprendono il
rubare-
sibilai. Lui ridacchiò con voce scura, appoggiandosi una
guancia sulla mano e
fissandomi divertito.
-Detto da te è strano. Dovresti essere la
prima a capirla. Forse voi due dovreste parlare chiaramente per una
volta. Vai
a fare una chiacchierata con lei, spiegale come stanno le cose e
passate un po’
di tempo insieme. Provate a fare una pazzia per una volta. Potresti
insegnarle
i segreti del mestiere-.
Alzai
un sopracciglio. -Stai scherzando, non è vero?- ringhiai
scocciata. Lui alzò i
palmi delle mani davanti a me.
-Non ho mai detto che dovete entrare in un
museo e svaligiarlo. Anche un negozio di giocattoli andrebbe bene-. Mi
accarezzò l’avanbraccio sorridendo. -Forza, vai a
parlarle. Credo che ormai si
sia data una calmata-. Risposi al gesto e sorrisi debolmente.
-E va bene-. Mi diressi nuovamente al piano
superiore e bussai per l’ennesima volta alla porta di
Amethist. Silenzio. -Mobius
chiama Ame, rispondi!- Provai
ad
aprirla, ma non si mosse di un solo millimetro. ‘’Chiusa
a chiave’’. Iniziai a sentirmi inquieta.
Scesi velocemente
le scale e uscii dalla porta principale
che dava sul giardino. Mi diressi dal lato opposto della casa e diedi
un rapido
colpo d’ali, cominciando a volare fino al secondo piano.
Atterrai sul balcone
della sua stanza e cercai di aprire la finestra: si aprì
senza alcun problema. ‘’Perché
non era serrata?’’ Entrai
velocemente, e mi si gelò il cuore. Non c’era
nessuno. Mi guardai intorno,
cercando una qualsiasi traccia di mia figlia. -Amethist?- la chiamai.
Non
ricevetti risposta. Guardai dentro l’armadio, sperando di
trovarvela nascosta
dentro. -Amethist?!- dissi più forte. Scesi immediatamente
nel giardino e
entrai in casa sbattendo la porta.
Knuckles si voltò, guardandomi leggermente sorpreso.
-Allora, com’è anda…-
-Non c’è- dissi in un soffio. Lui mi
guardò
stranito.
-In che senso non c’è?- chiese con un
sorrisetto nervoso.
-Non c’è. Non è nella sua stanza-
bafugliai.
Lui strabuzzò gli occhi, impallidendo.
-Ieri ti ha detto che andava da qualche
parte?- chiesi.
-No-. Ci guardammo per qualche secondo in un
silenzio inquietante.
-Tu cercala nelle vicinanze, io vado a
Station Square. Teniamoci in contatto. Forse so dove trovarla- dissi,
con il
cuore e la testa immersi nella paura che mia figlia se ne fosse andata.
***
-Buongiorno- dissi in tutta fretta rivolta
al commissario. Lui mi guardò confuso, inarcando un
sopracciglio.
-Buongiorno…?-
-Devo pagare la cauzione di Amethist-
mormorai. Mi guardò ancora più confuso di prima.
-Amethist? Questa notte non siamo
intervenuti per nessun furto nei paraggi. Non abbiamo messo in cella
sua
figlia- disse, stringendosi nelle spalle.
Mormorai un veloce ringraziamento e uscii
dalla centrale. ‘’Amethist…
dove sei?’’
***
Amethist
Era ormai sopraggiunta la sera, e io avevo
ben chiaro in testa cosa dovevo fare.
Di li a poco avrei dettato loro le mie
leggi. Nessuno poteva rapirmi e sperare che non ci fossero conseguenze.
Sentii
dei passi avvicinarsi con una frequenza che avevo imparato ad odiare in
meno di
due giorni.
Bussarono alla porta e subito dopo una voce
femminile riecheggiò nei corridoi: -Ragazzina. Ehi, mi
senti?-
-Come se potesse esistere un modo per non
riuscirci…-
Lei perse la pazienza molto in fretta. -Stai
attenta a non tirare troppo la corda! Il capitano desidera limitare il
più
possibile la morte di ostaggi- mi minacciò.
Leggermente intimorita, ma desiderosa di
mantenere la calma, mi sedetti composta sul letto, in attesa di
ascoltare cosa
aveva da dirmi Lady Bracconiera una volta entrata nella stanza.
Aprì con foga
la porta, richiudendola con poca delicatezza dietro di sé.
Incrociò le braccia, guardandomi con aria
truce. -Spero che tu ti sia finalmente decisa a darmi una risposta-
ringhiò. Io
annuii.
-Finalmente- esclamò lei. Ghignai, alzandomi
dal letto e avvicinandomi di qualche passo alla rondine.
-Sono disposta a farlo... a delle
condizioni-.
Lei ridacchiò guardandomi con aria di
sufficienza. -Tu? Porre delle condizioni a noi?-
rise. Poi mi guardò seria. -Non sei nella posizione per
poter contrattare-.
Serrai la mascella con rabbia a stento
trattenuta. -Almeno dammi la possibilità di provarci-. Lei
ci penso per un
attimo.
-Va bene-.
Mi schiarii leggermente la voce. -Sarò
disposta a contattare i miei genitori a patto che voi mi insegnate a
usare
quelle tavole- dissi.
Sulla sua faccia comparve un’espressione
confusa. -Non vedo il motivo di questa richiesta. Si può
sapere perché ti
interessa imparare ad usarle?-
-Voi siete dei rapitori e dei ladri da quel
che ho visto, e usate quelle tavole. Forse potrebbe essere utile anche
per me
imparare qualcosa in più su di loro. E poi…
voglio che voi mi insegnate a rubare
con quegli affari, oltre che
saperli utilizzare-. Mi misi le mani sui fianchi. -Queste sono le
regole.
Prendere o lasciare-.
Sentii un moto di soddisfazione pervadermi
le vene. Ero certe di essermi fatta finalmente valere. Ormai era fatta.
***
-Lasciami andare immediatamente!-
strillai a pieni polmoni. Mi dibattevo, cercando
di liberare le spine dalla stretta di quella strega, che camminava a
passo
veloce per i corridoi.
-Lasciami, ORA!- gridai con un
ringhio proprio nel momento in cui lei mi
spinse all’interno della stessa cabina in cui avevo
incontrato il falco.
Alzai con fatica la testa, ancora trattenuta
dalla stretta della donna. -Jet!- ringhiò lei-.
-Wave, quante volte sei venuta nel mio ufficio
oggi soltanto per lamentarti? Per caso sei in quel brutto periodo del
mese?-
chiese con un sorriso ironico il falco.
Lei mi tirò i capelli con rabbia,
costringendomi a reclinare all’indietro la testa e ad
avanzare fino alla
scrivania del falco e portandomi giusto davanti a lui. -Non fare
l’idiota e
ascoltami. La nostra ospite avrebbe qualcosa di cui parlarti. Ha una
proposta
da fare-.
Il falco incrociò le mani, appoggiandovi il
becco sopra e guardandomi. -Interessante. Che tipo di proposta avrebbe
aizzato
la nostra bambolina spacca-tavole?- chiese con un sorriso sbruffone.
Ripetei le stesse cose che avevo detto poco
prima alla rondine e osservai la reazione dell’uomo. Lui
annuiva pacatamente ad
ogni cosa che gli dicevo, guardandomi attentamente e rimanendo in
silenzio.
Quando finii si mise a sghignazzare, fino a prorompere in una vera e
propria
risata.
-Aspetta un secondo,- mormorò tra le risate,
asciugandosi gli occhi. -mi stai dicendo che prima spacchi le nostre
tavole,
poi mangi a sbafo da noi e pretendi pure di farti dare delle lezioni di
guida
gratis?- Afferrò qualcosa da sotto la scrivania. Sentii
scatenarsi la pelle
d’oca su tutto il corpo quando capii cosa fosse. ‘’Un
coltellino’’. Me lo puntò sul
collo, in direzione perfetta per
potermi recidere la giugulare.
-Hai fegato ragazza. Troppo fegato
per una prigioniera- disse, avvicinandosi leggermente
vicino a me. Cercai di resistere all’impulso di tirargli un
pugno e lo guardai,
congelata.
-E la cosa mi piace!- urlò a qualche
centimetro dal mio orecchio. -Affare fatto!- strillò
allegro, allontanandosi di
scatto e afferrandomi una mano, scuotendola con enfasi.
-Jet?!- urlò incredula la rondine. -E
sentiamo, chi si dovrebbe preoccupare di istruirla? Dovrebbe essere una
fonte
di guadagno, non di disagi!-.
Il falco, trasudante di allegria da ogni
poro, le mise una mano sulla spalla. -Tu, ovviamente-.
-Che cosa?!- urlammo entrambe all’unisono.
-Mi sembra che finora abbiate avuto un buon
rapporto-. Mi guardò con un sorriso. -Con te è
stata molto gentile e simpatica.
L’ho vista fare di peggio-.
Lei strinse i denti, guardandolo infuriata.
-Tu sei pazzo Jet!- strillò, trascinandomi fuori
dall’ufficio. -Sei molto
peggio rispetto a quando avevi quattordici anni!- Chiuse di botto la
porta,
portandomi con sé e borbottando delle imprecazioni per tutta
la strada fino
alla mia stanza. Mi spinse dentro con violenza, rischiando di farmi
inciampare.
-Piantala di spingermi!- sibilai stizzita.
-Tieniti pronta, inizieremo gli allenamenti
molto presto. Fino a quel momento riposati-. Se ne andò
rapidamente, sbattendo
la porta e chiudendola a chiave. Quella vecchia pazza non aveva la
più pallida
idea di con chi avesse a che fare. Mi buttai sul letto, coricandomi a
pancia in
giù e sorridendo soddisfatta. ‘’Ce
l’ho
fatta. Ce l’ho fatta!’’
esultai. ‘’Mamma…
ora vedremo chi è la ladra abile tra le
due’’.
Non passarono neanche cinque minuti che
sentii scattare la serratura della porta. La Strega apparve in tutta la
sua
presunzione, avvicinandosi verso di me. Mi tirò
di nuovo le spine sulla testa, buttandomi giù dal
letto.
***
-Lasciami andare immediatamente!- sillabai,
rossa dalla rabbia. Stetti per ricominciare ad urlare, quando le parole
mi
sembrarono morire in gola. Eravamo uscite sul ponte della nave, e
davanti a me
non si più estendeva per chilometri e chilometri
l’oceano, ma un immenso cielo
pezzato di nuvole. Mi sentii mancare il fiato. La Pazza mi
lasciò dalla sua
presa micidiale, e io mi aggrappai istintivamente alla ringhiera
più vicina a
me.
-Stiamo volando- borbottai senza fiato. Ecco perchè avevo
sentito tremare la nave quella volta...
La
rondine si diresse al centro del ponte, dove si trovava una piccola
leva. La
tirò, e improvvisamente, tutto il ponte iniziò a
trasformarsi. In alcuni punti,
il pavimento si aprì, e quella che sembrava più
le rotaie di delle montagne
russe che una pista si alzava lentamente dal buco venutosi a creare. Il
posto
sembrò diventare un campo di corsa di piccole dimensioni,
ondulato e stretto.
-Qui è dove ti allenerai- mi disse la donna.
Mi si avvicinò, posandomi tra le mani una di quelle tavole,
mentre lei ne
teneva sottobraccio una fucsia.
-Prima cosa: queste non si chiamano
‘’tavole’’, ma Extreme-Gear. E
ora sbrigati a salirci sopra-. La posai a
terra, facendo come mi aveva detto lei.
-Come si attiva?- chiesi. Lei sospirò,
girandomi intorno e fermandosi dietro di me.
-Lascia, faccio io-.
-Aspetta, non intendi spiegarmi niente di
come si faccia a manovrarla?-
Lei ghignò divertita. -Credo che il modo
migliore per imparare sia farlo sul campo-. Pestò il retro
della tavola,
facendole fare frizione con il suolo. Scattai in avanti, partendo
all’improvviso.
Mossi convulsamente le braccia nel vuoto,
cercando in tutti i modi di mantenermi in equilibrio. Dopo essermi
abituata al
vento che mi sferzava contro e agli ondeggiamenti del Gear, riuscii
finalmente
a mantenere una rotta stabile. Mi rilassai. Ci stavo riuscendo. Davanti
a me vidi
una curva. ‘’Ok,
facciamolo’’. Mi
sporsi di lato, cercando di girare. Ma qualcosa era andato storto, e la
tavola uscì di pista. All’improvviso sentii
mancare il contatto dei miei
piedi con la tavola. Stavo cadendo... dalla nave. Urlai, e vidi che mi
stavo
avvicinando molto velocemente al mare. Provai un dolore acuto alla
testa, e la
mia discesa nel vuoto si fermò all’improvviso.
Alzai gli occhi, e vidi che la
rondine, in sella al suo Gear, mi aveva afferrato appena in tempo per
le spine.
-Ti ho presa- affermò vittoriosa. Quando
guardai giusto di fronte a me, notai che il ponte sembrava essere
sparito, e
che la carrozzeria della nave possedeva lo stesso colore del cielo.
''Com'è possibile?''
-Come puoi vedere non sei ancora così tanto
abile da poter fare la spavalda con noi. Trova un po’ di
umiltà-. Mi sollevò
fino alla sua altezza, e poi mi lanciò sul ponte.
Avevo lo scalpo dolorante, e la botta mi
aveva procurato qualche livido sulle gambe. Eppure, ero indecisa se
insultarla
o ringraziarla. Sindrome di Stoccolma? La sentii sfogarsi in una grassa
risata,
prima che si rivolgesse di nuovo a me
-Questo era un avvertimento. Ormai anche la
seconda tavola è andata. Ma dalla terza in poi
peserà tutto sul conto dei
tuoi.- Subito dopo si avvicinò a me, guardandomi
dall’alto verso il basso. -Consideralo un incentivo
all’impegno.- La vidi riprendere la serietà in un
secondo mentre mi diceva quelle controverse parole
d’incoraggiamento. Subito
dopo si chinò verso di me, porgendomi la mano -Alzati,
questo è solo l’inizio-
Mi disse freddamente, ma con un accenno di noia nella voce, che
probabilmente
si era andato a sostituire all’ira di poc’anzi.
-Torna nella tua stanza, e rifletti su ciò che ti ho appena
detto. Domani ne riparleremo.- Fantastico. Mi ero trovata un'altra
persona uguale a mia madre, forse anche peggiore.
***
Ormai era notte, ed ero stanca. Sarei andata a dormire a breve,
finché non sentii un'altro inaspettato bussare ala
porta.
-Senti, strega, so che sei tu, sappi che non ho pensato nemmeno un
pò alla tua ramanzi...- Guardai dallo spioncino, e rivedetti
quell'energumeno di quache giorno fa. -...na?-
-Veramente io mi chiamo Storm-.
-Io...ti chiedo scusa, pensavo che fossi qualcun'altro. Aspetta, che ci
fai tu qui?- Sembrava piuttosto imbarazzato a seguito di questa
domanda, per motivi che mi inquietava non sapere.
-Beeeh...avevo finito i lavori, per oggi, e, poiché potresti
stare con noi per un bel pò, volevo fare una chiacchierata!-
Come ho già detto, ero stranita da quello strano
comportamento.
-Sssi...va bene, ma domani avrei una giornata pesante,
quindi...-
-Oh, solo cinque minuti...Ti prego!- cominciò a
supplicarmi.
-Uff...ok, ma...cinque minuti...e tu rimani fuori, chiaro?-
-Chiaro, ricevuto-. Mi misi in ginocchio, preparandomi a levarmi quella
seccatura
-Beeene... di cosa vuoi parlare?-
-Oh, eeehh...cavolo. Di solito gli altri mi mandano via quasi subito,
quindi mi aspettavo che sarebbe finita allo stesso modo anche con te.
Ero impreparato per l'argomento-. Ok, quel tipo non era un
malintenzionato, era solo un'idiota. Avevo l'opportunità di
mandarlo via ed andare a dormire, perché?
Perché?!
-Allora comincio io, eeh...tu cosa fai qui? Tipo, pulisci le toilettes,
cucini la sbobba...? Eh...?-
-Oh no, non solo quello. Mi occupo anche del magazzino e delle pulizie
generali-. Bene, stavo facendo amicizia con lo sguattero di bordo. Ma
in fondo, mi sembrava piuttosto innocuo. Abbastanza da poter aprire la
bocca un pochino più del dovuto.
-Senti, tu non hai degli amici?- mi chiese, incuriosito da quello che
poteva sentire.
-Io? Definisci "amici"- dissi, ironicamente. Le compagnie che
frequentavo non erano esattamente le migliori per trovarsi un amico del
cuore.
-Persone da cui andare quando hai dei problemi. O quando ti annoi-.
Distolsi lo sguardo per un istante, poi lo riguardai con un'occhiata
molto meno diffidente rispetto a prima.
-Beh, sì, se la mettiamo in questi termini. Diciamo che,
però...avevo bisogno di capire delle cose-.
-E non potevi chiederle a loro? Suppongo che gli amici servano anche a
questo-.
-Eh. Non so se la parola "amici" è la più
appropriata in questo momento, ma no...loro non avrebbero capito.Non lo
fanno di solito-.
-Per me avrebbero capito, se ci avessi provato-. Adorabile, mi chiesi
perché non ci avevano ancora fatto una linea di pupazzetti
kawaii di quel tipo. Poi decisi io di cominciare a parlare
-Dimmi un po'. Quella tipa, la strega, fa sempre
così?-
-Quale tipa?-
-L'unica tipa che avete a bordo...-
-Oh, Wave! Oh, lei non è una strega, è la
vice-capitano. Lo so che può sembrare un po' aggressiva la
prima volta, ma sia io che il capitano le affideremmo a nostra vita se
fosse necessario-. ''Forse,
considerando che è anche l'unica persona con un barlume di
affidabilità su questa nave...''
-L'unico motivo per cui è così dura con te
è perché vuole prepararti al meglio per...in cosa
vi state allenando, già?-
-Extreme Gear-.
-Oh, cavolo, così è molto peggio!- Probabilmente,
vedendo il mio spavento a riguardo, si corresse leggermente.
-...Ma, ma non ti preoccupare! Sono certo che ti preparerà
al meglio!- Già, ne ero certa. Non so ancora come fu
possibile, ma finimmo per parlare per delle ore, finché lui
non smise improvvisamente di parlare. Si era addormentato. E anch'io
avevo bisogno di dormire...
***
Mi svegliai al violento bussare della porta. Sapevo bene chi era. Mi
alzai, aprii di tutta fretta e me la trovai davanti. Ci guardavamo con
sguardo di sfida, senza nemmeno salutarci. Nemmeno nella maniera
più formale e distaccata.
-Seguimi. Conosco un posto più adatto alle tue…
capacità.-
Stavolta muovendomi senza nessuno a trascinarmi per le spine, ero
terrorizzata
da ciò che avrei trovato una volta giunta
a destinazione… forse era per quello che
l’adrenalina mi scorreva nel
sangue, muovendosi per tutto il mio corpo, in contrasto con quella
piacevole e
disturbante sensazione di affrontare qualcosa di nuovo.
Scendemmo
le scale di tutta la nave, e in quel mentre, mi venne da farle una
domanda. -Voi
siete…tipo dei pirati, giusto? Come fate a volare in giro
per il mondo senza
farvi notare da nessuno? Se ricordo bene da queste parti siamo ancora
in
giurisdizione della G.U.N.-
-Dici bene. Ma mi sembra inopportuno che tu
chieda qualcosa di così confidenziale proprio a me. Potevi
tentare con Storm…-
Capii che era il momento di stare zitti, quando ricominciò a
parlare senza
preavviso.
-Specchi mimetici. Riflettono la frequenza
di raggi solari soprastanti alla nave, espandendoli a tutta la sua
superficie.
In pratica, la nave assume lo stesso colore del cielo. La notte scorsa
abbiamo
avuto un guasto, per questo siamo atterrati-. Rimanemmo in silenzio per
il
resto della discesa, arrivando fino al suo fondo.
Era completamente buio, e non riuscivo a
vedere ad un palmo dal mio naso.
-Benvenuta nella stiva della nave-.
Schiacciò un piccolo interruttore, che accese le varie luci.
-O meglio
definita: la Sala d’addestramento per principianti. O per
persone troppo pigre
per uscire sul ponte quando è inverno- disse, mostrandomi
con un gesto del braccio
il nuovo ambiente. Era una stanza enorme, che occupava tutta la stiva.
Sembrava
un comune percorso ad ostacoli come quello che avevo visto poco prima,
ma
questo, al contrario, era di dimensioni ridotte e più
semplice, senza troppe
curve e intralci. Appesi ai muri, si potevano vedere distintamente dei
Gear di
vari colori. Mi diressi verso uno di questi, facendo per afferrarlo.
-No- mi fermò la rondine. -Tu non sei ancora
pronta per quelli-. Mi porse due bacchette e altrettanti piatti,
sorridendo furbetta.
-Ma questi sono più che perfetti per una come te-.
Li afferrai titubante, rivolgendole
un’occhiata confusa.
-Se vuoi imparare a guidare i Gear, dovrai
prima capire come starci in equilibrio sopra-. Ghignò,
sinceramente
soddisfatta. -Fai ruotare quei piatti sulle bacchette. Quando riuscirai
a non
farne cadere neanche uno, vorrà dire che avrai appreso
appieno la postura e
l’equilibrio che devi mantenere quando sei su un Gear-.
‘’Che
cosa?!’’ La guardai con la bocca
semi-aperta. -Mi stai prendendo in giro?!-
Lei si sedette sul pavimento. -Spiacente ma
no. Buon lavoro-.
-Non ti preoccupare. Di solito le prime ore
sono dedicate ad iniziarli a far girare. POI, potrai iniziare il vero
addestramento-.
La
rabbia e la noia si fondevano nei miei nervi, mentre cominciava a farsi
largo
nella mia testa il desiderio di mandarla al diavolo. Misi i piatti
sopra le
bacchette, cominciando ad imprimere un approssimato movimento rotatorio
alle
bacchette, sperando che i piatti non cadessero. Speranza che si
spezzò in
tanti, piccoli pezzi di ceramica sparsi sul pavimento. -Ricomincia- mi
ordinò
lei.
… Evidentemente ci sarebbe voluto un po’ di
tempo.
***
Rouge
Avevo cercato ovunque: in tutte le
gioiellerie della città, in ogni museo, in
ogni carcere. Ma non ero riuscita a trovarla da nessuna parte. Estrassi
velocemente il cellulare dalla tasca dei pantaloni, componendo il
numero di
Knuckles. Rispose immediatamente.
-L’hai trovata?- mi chiese, la voce piena di
preoccupazione.
-No-. Avevo il cuore in gola per la paura.
-Rouge, l’ho cercata per tutta l’isola,
anche a Mistic Ruins. Non ho la più pallida idea di dove
possa essere, non ha
lasciato nessuna traccia-. Mi guardai intorno. Ormai si era fatto buio.
La mano
che teneva il cellulare mi tremava.
-Vado a fare denuncia alla polizia- mormorai
con un filo di voce.
-Ti raggiungo-.
-No, resta lì. Amethist potrebbe farsi
viva-.
-…Va bene-.
Stemmo in silenzio per qualche secondo. -Se
non torna entro questa sera, ho intenzione di rimettermi in contatto
con dei
miei vecchi amici- affermai.
Knuckles non mi rispose immediatamente,
zittendosi. -Rouge, stai attenta. Non fare sciocchezze-.
-…Sì. Tienimi informata-. Chiusi la conversazione
e mi diressi con convinzione verso la centrale di polizia
più vicina. ‘’Ti
prego, fa che stia bene. Fa che la mia
bambina stia bene’’.
***
Anche per quella notte Amethist non si fece
vedere. Io e Knuckles eravamo rimasti svegli per tutto il tempo,
sperando che
lei ritornasse a casa.
Ma non era successo. Non riuscivo a provare
sonno, nemmeno nei rarissimi attimi in cui sbattevo le palpebre. La
polizia non
ci aveva ancora fatto avere alcuna notizia. Non potevo attendere oltre,
ogni
secondo era vitale. Ma non potevo passare per una barbona nel luogo
dove stavo
per andare. Mi detti una ripulita, e poi mi preparai. Mi vestii con un
vecchio
completo nero da segretaria che utilizzai tempo addietro per
infiltrarmi nella
sede di una multinazionale. Presi dal comodino qualche utensile che mi
sarebbe
potuto essere utile, e mi preparai per partire, quando Knuckles mi
fermò.
-Mentre tu sarai via, io continuerò le
ricerche a modo mio. Potrei trovarmi in luoghi improbabili, quindi non
preoccuparti se non riusciremo a contattarci, va bene?-
Annuii. -Va bene.- Poi mi fermò un’altra
volta, afferrandomi la mano
-Non finire nei guai Rouge. Non voglio rischiare
di perdere anche te…- Nell’udire quelle parole,
ritrassi di scatto la mano e
alzai la voce.
-Lei non è persa!- Knuckles chinò il capo,
lo sguardo pieno di dolore represso. Rimanemmo in silenzio qualche
secondo,
quando lui alzò nuovamente la testa, rispondendomi.
-Sì. Hai ragione. Ma fai attenzione-.
Risoluta, prima di entrare in azione,
replicai: -L’attenzione ce l’ho nel sangue-.
***
Guardai per qualche secondo l’edificio che
si parava davanti a me, in tutta la sua magnificenza e inquietante
eleganza. ‘’La base della
G.U.N. Alla fine ci sei
ritornata.’’ Respirai profondamente,
incamminandomi. Superai la porta
scorrevole e mi diressi immediatamente verso la reception.
-Ho bisogno di incontrare il Comandante-
dissi alla segretaria lì presente, sperando che non mi
avrebbe creato problemi.
-Certo, ma… mi scusi, lei chi sarebbe? Ha
forse un appuntamento?-
-No, ma sono certa che la cosa si possa
risolvere-. Le mostrai la mia vecchia tessera d’agente. Mai
lasciare cercare al
computer ad una novizia, si potrebbero creare delle complicazioni.
-Lei è un ex-agente, Rouge the
Bat…dipartimento “Dark”? Era la sezione
d’élite, prima che venisse sciolta-.
‘’ Purtroppo,
su questo hai ragione’’.
-Allora?
Mi lascia passare?-
-Mi lasci solo controllare nel registro-. Ma
queste giovani donne sono così attaccate alla tecnologia?
-Sì, è vero, lei ha lavorato qui. Ma oggi il
Comandante è pieno d’impegni, se vuole la posso
inserire per i prossimi
giorni…-
La interruppi subito. -Mi inserisca anche
all’ultimo posto se è necessario, ma si sbrighi,
è urgente.- Riuscii a
sbrigarmela alla fine. Dovevo solo sperare che non avessero spostato
l’ufficio,
d’altronde era passato diverso tempo. Presi
l’ascensore, e mi diressi verso il
piano superiore dell’edificio. Una volta arrivata a
destinazione, davanti a me,
nell’anticamera che mi avrebbe dovuto condurre senza problemi
al mio
obbiettivo, vidi una trentina di persone sedute su delle sedie
lì vicino mentre
leggevano tranquillamente delle riviste o chiacchieravano tra loro, in
attesa
che il Comandante le ricevesse. Mi sedetti in una sedia in disparte,
sospirando
stancamente. ‘’Non
è possibile’’.
Aspettai cinque, interminabili minuti, in
cui la mia mente non poteva far altro che ritornare al pensiero che
ogni
secondo in cui stavo seduta in quella sala, stavo perdendo tempo
prezioso in
cui mia figlia stava possibilmente rischiando la vita. Mi alzai
rapidamente,
camminando con furia verso la dannata porta del dannatissimo ufficio.
La aprii
di scatto, facendola sbattere violentemente.
Dietro la scrivania del Comandante ritrovai
un giovane ragazzo di al massimo trent’anni, capelli castani
e corti e occhi
verdi e penetranti.
Lui e un altro uomo, seduto dalla parte
opposta, mi guardarono confusi.
-Lei chi è?- sibilò Gibson, continuando a
stare seduto e composto sulla sua sedia.
-Ho bisogno del suo aiuto- dissi.
-Non credo che il suo sia uno degli
atteggiamenti più adatti per chiedermelo-. Scosse sconsolato
la testa,
schiacciando un pulsante sulla sua scrivania. -La sicurezza si
diriga…- mormorò
annoiato. Poi la sua espressione cambiò, e smise di parlare.
Mi guardo con più
attenzione, stringendo gli occhi per osservare meglio il mio volto.
-Un momento…- Il suo volto si illuminò, e
rischiacciò il pulsante. -Ritiro l’ordine dato-
disse secco. Si rivolse
all’altro uomo, facendogli un gesto verso l’uscita.
-Continueremo il nostro
discorso tra una ventina di minuti-. Appena l’uomo
uscì dalla stanza,
borbottando nervosamente qualcosa, Gibson mi invitò a
sedermi.
-Io la conosco. Lei era una nostra
ex-agente, membro del Team Dark- borbottò.
-Sì. E sono venuta qui per chiederle aiuto-.
Lui alzò un sopracciglio.
-Che genere di aiuto?-
-Mia figlia è scomparsa-.
Lui incrociò le braccia, appoggiandosi allo
schienale della sua sedia. -Quindi lei vuole…?-
-Dovete aiutarmi a ritrovarla- sibilai
scocciata.
-Non posso-. Mi sentii gelare il sangue, e
fissai quella sottospecie di bambino ad occhi strabuzzati.
Iniziai ad estrarre di nascosto dalla tasca
uno dei miei utensili preferiti, adatti alla persone che non volevano
collaborare: un rossetto. -Gibson, mi ascolti…-
-No, mi ascolti lei. Non posso assolutamente
sprecare parte delle mie risorse per una faccenda mirata al ritrovo di
una
ragazzina andata a gironzolare chissà dove-.
Abbassai lo sguardo, consapevole che il mio
rapporto con l’agenzia governativa stavolta non sarebbe
servito a nulla.
Alzando lo sguardo, mi rivolsi a lui con aria quasi supplichevole -E
lei cosa crede
che dovrei fare?-
-Ha provato a rivolgersi alla polizia?-
-Sì. Ma non so quanto possano essermi utili-.
-Allora le conviene avere fiducia. So che in
questo momento le sembro un orco, ma se lei fosse a conoscenza della
nostra
situazione attuale potrebbe capirmi-.
-E lei non sta provando a capire come mi
sento io, in questo momento, mentre le mie ultime speranze si stanno
volatilizzando?!- Dopo che fece un attimo di silenzio, in cui forse
cercava di
digerire ciò che stava per dirmi di li a poco, mi rispose.
-Il mio lavoro mi impone delle scelte. E mi
indirizza sempre verso la strada da seguire. Non posso aiutarla, Bat-.
Mentre era distratto, da sotto la scrivania,
sparai un piccolo dardo soporifero, che andò a conficcarsi
nella gamba del
Comandante.
***
Dovevo fare in fretta, il sonnifero che gli
avevo somministrato aveva principalmente lo scopo di affievolire i
nemici per
poterli paralizzare, quindi la sua durata era molto breve. Inoltre,
anche se Gibson
sarebbe rimasto buono per un po’, chi aspettava fuori dalla
porta si sarebbe
spazientito presto. Cominciai a perquisirlo, cercando nelle tasche il
migliore amico
di un Comandante. Lo rimisi in una posizione tale da far sembrare che
si fosse
addormentato sulla scrivania… cosa
che
effettivamente stava facendo. Non
che
servisse a molto, ad essere sinceri. Fissai rimirante
l’oggetto delle mie
ricerche: il passpartout della G.U.N., un oggetto che ogni comandante
doveva
tenere con sé per poter accedere a qualsiasi area della base
in qualsiasi
momento da questi ritenuto opportuno.
Uscii rapidamente dalla stanza, camminando a
testa alta verso l’ascensore. Schiacciai il tasto per il
piano 53: sala sezione
d’utenza satellitare.
Dopo un interminabile minuto, le porte si
aprirono. Schizzai fuori, trovandomi nei soliti, monotoni corridoi
grigi.
Andavo a memoria, sperando, come prima, che tutto fosse ancora al suo
posto, ed
effettivamente era così. Una volta davanti alla porta che
cercavo, passai la
tessera nella serratura elettronica. La luce verde che emise fu il
segno che
potevo passare. Mi ritrovai in una larga sala con degli enormi schermi
di
computer sui muri. Le persone trottavano frenetiche con centinaia di
documenti
tra le mani o osservavano gli schermi con aria assorta.
Io sarei passata inosservata solo finché non
avessero mandato un avviso generale sulla mia presenza, quindi presi
subito i
miei occhiali da sole. Non perché mi avrebbero tenuta
nascosta, ma per una
loro particolare
proprietà: potevano
immagazzinare e registrare immagini, anche in movimento. In breve erano
praticamente delle macchine fotografiche che non davano nell’
“occhio”.
Comunque sia, conosco le abilità di mio marito: se Amethist
si fosse
semplicemente allontanata, o fosse stata presa da un gruppetto di
delinquenti
qualunque, lui sarebbe quantomeno riuscito a trovare degli indizi nelle
vicinanze. Quindi dovevano essere dei banditi seri. Quindi, la G.U.N.
sarebbe
stata la prima a tenerli d’occhio, anche via satellite se
necessario.
Cominciai a cercare computer che fossero
liberi, senza fortuna. Le mie camminate si facevano poco a poco
spasmodiche,
segno forse che il tempo aveva corroso la mia capacità di
mantenere la calma in
situazioni di pericolo. O forse perché questa situazione era
insostenibile
anche per me.
Poi qualcosa catturò la mia attenzione: l’immagine
di una nave
a mollo sul mare, non molto definita poiché coperta dal
manto di tenebre della
notte. Molto probabilmente era ferma, visto che non notavo scie
d’acqua in
movimento di alcun genere. E guardando meglio, vidi una macchiolina un
po’ più
chiara, a qualche metro di distanza dalla nave. Più le
immagini scorrevano, più
quella ‘’macchia’’ si
avvicinava al ponte, fino a salirvi sopra.
L’avevo
trovata. Era lei.
Iniziai a scattare foto della nave, sperando che, per
curiosità, gli agenti avrebbero
zoomato su quel puntino bianco per capire cosa stava svolazzando
lì vicino. Non
successe. Probabilmente la confusero con un gabbiano. Comunque, io
speravo che
non fosse un gabbiano con delle ali strane. Improvvisamente, un allarme
colorò
di rosso l’ambiente: -Attenzione,
intruso
nell’edificio, rimanere allerta. Segnalate ogni individuo
sospetto immediatamente…Attenzione…-.
Mentre la
gente cominciava a guardarsi attorno spaventata, alcuni avevano
già cominciato
a puntare lo sguardo su di me, segnale che mi convinse ad andarmene.
Cominciai
a marciare velocemente, ripercorrendo la strada che avevo fatto poco
prima, e
mi diressi verso la porta d’uscita della stanza. Poco prima
che potessi aprire
la mia unica via d’uscita, questa si aprì da sola,
e subito dopo un uomo in
divisa da poliziotto, una guardia di livello basso, mi puntò
una pistola contro.
-Ferma dove sei, tieni le mani dove possa vederle!- strillò.
Era evidente di come il Comandante si fosse già ripreso.
-Qui agente sezione d’utenza satellitare numero 2. Ho preso
l’intrusa, mi preparo ad immobilizzarla-.
In quel breve lasso di tempo mi sbilanciai e tirai un calcio
all’arma, disarmando l’uomo, per poi colpirlo con
un altro calcio sul ventre e
facendolo cadere a terra. Dovevo aver perso un po’ di
manualità con il passare
degli anni, perché non mi accorsi immediatamente che la
guardia si era alzata e
si era armata di un taser. Cercò di colpirmi con esso,
rilasciando il cavo
elettrico dell’arma, ma riuscii a schivarlo appena in tempo.
Quindi lo colpii con un calcio
dietro i polpacci per fargli perdere l’equilibrio, facendolo
crollare sulle
ginocchia e dandogli il colpo di grazia con una testata sul cranio che
gli
fece perdere i sensi. Presto sarebbero arrivati i rinforzi, quindi
cominciai a
correre. Ormai avevano capito chi era la persona di troppo. Misi in
tasca gli
occhiali per proteggerli. Erano la mia unica speranza per poterla
ritrovare.
-Ferma!- strillarono alle mie spalle. Presi dalle tasche dei
piccoli dischetti e li attivai, schiacciando un piccolo pulsante sopra
di essi.
Li lanciai contro la vetrata distante qualche metro da me.
-Ferma! Non costringerci ad aprire il fuoco!- Mentre mi
urlavano contro, sentii il picchiettare del vetro, segno che cominciava
a
rompersi sotto l’effetto dei dischi ad ago di titanio. Quello
che sembrava il
leader cominciò ad avvicinarsi a me molto velocemente.
Fortunatamente, sotto la
divisa aveva portato con me gli indumenti che un tempo indossavo
durante i miei
colpi. Mi rimossi la parte superiore della veste, lanciandola contro
quel ‘uomo.
Quando cominciarono a spararmi contro, in un azione rapidissima, io
stavo
correndo contro la finestrata, saltando poi verso di essa.
L’impatto con il mio
corpo la distrusse, dopo che fu indebolita, e potei finamente saltare
giù. Mentre ero in
discesa libera, aspettai qualche secondo, poi aprii rapidamente le ali,
cominciando a riprendere quota, mentre i soldati cercavano di colpirmi
a
distanza. Ma non era finita. Sapevano chi ero e dove vivevo ora che
avevo la
fedina penale pulita. Dovevo allontanarmi, e avvertire Knuckles di
allontanarsi
da Angel Island. Sapevo esattamente dove andare.
Tails
Ce l’avevo fatta, finalmente. Dopo settimane
di studi infiniti e giornate intere passate sopra al microscopio, avevo
ciò che
Shadow voleva! Ciò che caratterizzava gli alieni era una
moria di cellule dieci
volte più lenta rispetto a quella dei mobiani. Tutto questo
ero garantito da un
particolare enzima presente nel loro apparato circolatorio, che nutriva
le
cellule. Ciò dava loro un’aspettativa di vita
pressoché infinita, forse uno dei
motivi per cui erano inclini ad invadere altri pianeti, considerata la
loro
illimitata tendenza alla riproduzione asessuata. Shadow, ovviamente,
era
provvisto dell’enzima per via genetica.
Era bastato semplicemente trovare un modo
per rimuoverlo dal loro sangue, una fatica che mi ricorderà
di non avere mai
più a che fare con la biologia. Quello che mi rimaneva da
fare era aspettare di essere contattato da Shadow.
Poco prima che potessi tornare al lavoro,
sentii il campanello di casa suonare e, pensando che fosse qualche
agente
della G.U.N. che stava per darmi l’ennesimo ultimatum per
farsi restituire i
campioni del sangue di Black Arm che avevo preso in prestito, mi
affrettai ad andare ad aprire. Afferrai con
violenza la maniglia della porta, senza nemmeno guardare dallo
spioncino a
causa del nervosismo che mi pervadeva in quel momento.
-Ok, vi ho già detto che
ho finito, ve li stavo… Knuckles? Rouge? Che ci fate qui?
Che sorpresa…- Knuckles
mi interruppe subito, quasi cercando di intimarmi il silenzio.
-Tails, ti prego, facci entrare. È un’emergenza-.
Ovviamente non mi opposi; per Knuckles avrei fatto questo e altro. Non
sapevo
che stavano per rifilarmi un’altra gatta da
pelare…
***
Amethist
Il piatto non era ancora caduto. Continuava
a ruotare insistente e doveva
continuare a farlo. Era il secondo giorno che continuavo a esercitarmi
ininterrottamente con Wave che mi teneva bene d’occhio
affinché non mollassi tutto
sul più bello e scappassi chissà dove. Non
chiudevo le palpebre da due giorni, e
ormai i miei occhi non guardavano il piatto, ma il vuoto, nel disperato
tentativo di non chiudersi. Erano passate cinque ore
dall’ultima ora che avevo fatto cadere un piatto, spargendo i
suoi pezzi per tutto pavimento. Ero ormai al limite e
stavo per esaurire le poche forze che mi erano rimaste. Avevo fatto
tutto ciò
che il corpo di una diciasettenne poteva fare, e sapevo che il sonno
avrebbe
avuto la meglio su di me molto presto. I miei occhi si stavano
chiudendo lenti
e inesorabili.
-Basta così!- Li sbarrai improvvisamente,
sentendo Wave sbraitare con la sua voce acuta, e il mio cuore
sobbalzò. Feci saltare
il piatto in aria, mentre ancora girava su sé stesso. Ma non
pensavo che
sarebbe finita male. Ad essere sincera, non pensavo affatto.
Lo seguii con lo sguardo, alzai la mano che impugnava la
bacchetta, e il piatto, nonostante la sua pesantezza, sembrò
appoggiarvisi
delicatamente sopra. Non riuscivo nemmeno più a sentirne il
peso. Continuò a
girare con noncuranza.
-Ora sei pronta- disse con un sorriso di soddisfazione, o di
felicità, stampati sul becco. Erano probabilmente dovuti
alla stanchezza, visto
che anche lei non chiudeva occhio da un paio di giorni.
Non ne vedevo l’importanza… in fondo, le streghe
non provano
sentimenti, no?.
-In che senso? Vuoi dire “pronta”, o
“pronta pronta”?-
bafugliai, un po’ incredula nel sentire quelle
parole.
-Pronta ad allenarti
seriamente. Non illuderti, c’è ancora molto lavoro
da fare con te-.
-Quando iniziamo?-
-Immediatamente-. Non potevo credere che stesse dicendo sul
serio. Ero esausta, e lo sapeva perfettamente.
Ma l’immagine di mia madre che mi sfotteva sul quanto io
fossi
nulla al suo confronto continuava a tormentarmi la mente. E la
stanchezza certo
non aiutava a farla scomparire. -Beh, passami una
tav…un’Extreme Gear-.
-Non qui-.
-E dove allora?-
-Lo sai bene dove…- Voleva farmi tornare sul ponte?
-Ma allora si può sapere perché mi hai portato su
una pista
più semplice se il tuo scopo era quello di non farmici
nemmeno salire sopra?-
Lei sorrise maliziosamente, mi si avvicinò e poi
parlò.
-Volevo solo illuderti
che ti avrei reso la vita più semplice. Non abbiamo
così tanto tempo, quindi
sbrigati-.
Però, alla fine dei conti aveva ragione. Fu solo in que
momento che mi resi conto che, per tutto il tempo
in cui ero rimasta volontariamente prigioniera, non avevo pensato
neanche
lontanamente ai miei genitori. Non in modo approfondito, almeno.
-Forza, diamoci una mossa-.
***
-Io non credo di essere in grado di fare
questa cosa. Non adesso. Negli
ultimi
giorni non ho chiuso occhio, sono troppo stanca- mormorai debolmente,
osservando la rondine mentre tirava verso di sé la leva al
centro del ponte
della nave.
-Oh, non dire sciocchezze. Sei stanca, è
vero-. Il percorso cominciò a materializzarsi sotto i miei
occhi. -Ma sono
certa che tu non vorrai cadere, non è così?-
Quando il campo d’allenamento si fu formato
completamente, Wave si guardò intorno soddisfatta. -Bene!-
Si voltò verso di
me, alzando un dito per aria. -Ci sono delle regole quando sei sulla mia pista.
La prima: non cadere. Sappi che non verrò più a
salvarti-.
Alzò un secondo
dito. -Seconda: devi finire il percorso restandoci sopra. Come terza e
ultima
regola: non devi assolutamente
arrivare al traguardo senza aver preso prima quel gioiello- disse,
indicando
quella che mi sembrava una piccola pietra appesa tramite un filo di
ferro alla
parte superiore del terzo percorso a chiocciola della pista.
L’ultimo, per
l’esattezza. Era posizionato giusto qualche metro prima della
linea di arrivo.
La guardavo con un’espressione ebete,
intontita, e veramente poco incline a continuare. Wave mi
alzò l’avambraccio
destro di scatto, il che mi fece svegliare. Poi mi tirò i
capelli.
-Non mi aspetto che tu ce la faccia, stupida
ragazza…- mi disse presuntuosamente, facendomi sobbalzare in
modo
impercettibile. Mi guardò fissa. -Dimostrami che mi
sbaglio-.
Mi diressi alla partenza di quella pista gialla. Imbracciai il Gear,
lo appoggiai a terra, e ci salii sopra. Gli diedi un colpetto di
tallone, e vidi
la prospettiva alzarsi lentamente, senza che muovessi un solo muscolo.
Lanciai
un’occhiata verso il basso, e vidi che mi ero già
sollevata dal suolo, senza
essere scattata in avanti e senza aver perso l’equilibrio.
-Non chinarti, guarda davanti a te!-
Ascoltai subito il suo consiglio. -Porta in avanti il busto,
lentamente-.
Nonostante le prime difficoltà iniziali,
riuscii ad avanzare a velocità spedita per tutto il
rettilineo iniziale. E poi
non ero ancora scivolata, quindi tutto andava perfettamente.
Poi arrivò il momento fatidico: la curva. La
stessa per cui ero quasi caduta in mare la volta prima. Accelerai
leggermente,
mantenendo una traiettoria stabile.
-Stai attenta, non strafare!- urlò Wave. Non
riuscivo a sentirla bene: ero troppo stanca per recepire il messaggio,
e il suo
urlo era per le mie orecchie poco più che un bisbiglio.
Quando arrivai nel
tratto critico, non riuscii a rallentare, e lo superai continuando ad
andare
dritta, nel vuoto. Le mie palpebre si alzarono
all’improvviso. Guardai
velocemente sotto di me, per vedere un immenso mare blu che mi stava
invitando
ad abbracciarlo e ad affondare tra le sue onde.
-Attenta!- strillò la rondine, la voce che si
era fatta improvvisamente più acuta. Diedi una forte spinta
con il piede al
Gear, attivandone il propulsore. Una spinta improvvisa la fece scattare
in
avanti molto velocemente, riportandomi sulla pista. Il resto del
percorso fu
relativamente semplice. Riuscii ad
affrontare tutte le curve e i rialzamenti nel terreno senza troppi
problemi.
Evidentemente l’essere intontita mi faceva bene. Quando
arrivai alla fine della
pista, davanti a me si pararono le tre giravolte. ‘’Calma
Amethist. Rilassati’’. Svuotai la mente e
chiusi gli occhi.
Pensai a qualsiasi cosa che mi venisse in mente che mi avrebbe fatto
dimenticare di essere lì in quel momento.
Superai la prima giravolta. Un senso di
vuoto mi pervase ogni vena del corpo per qualche secondo,
solleticandomi,
dandomi una sensazione d’impotenza eppure di controllo...
dandomi la sensazione
di volare. Dopo poco, tutto ritornò normale.
Provai a immaginare a come i miei genitori
avrebbero reagito vedendomi ritornare a casa. Mi avrebbero strillato
contro o mi
avrebbero accolto di nuovo tra le loro braccia?
Superai anche la seconda. La sensazione di
vuoto si ripresentò nel mio stomaco, questa volta. Era il
turno del terzo e
ultimo ostacolo.
Schiusi debolmente gli occhi. Il tempo
sembrò rallentare. Ero stanca… molto. E non
sapevo se quello che stavo facendo
era la cosa giusta. Fui combattuta sul decidere se addormentarmi oppure
aprire
gli occhi in cerca della forza che mi serviva. ‘’Se
riesci a prendere quel gioiello, avrai compiuto il primo passo per
diventare una ladra. Una vera ladra’’.
Aprì con tutta la forza che mi rimaneva le
palpebre e accelerai di scatto. -Al
diavolo!- Ero nella parte più alta di quella pista a
chiocciola, in quella
breve sezione in cui ero perfettamente a testa in giù.
Saltai all’indietro con
la tavola, capovolgendola. Allungai un braccio per arrivare fino al
gioiello e
lo afferrai con forza, staccandolo da quel dannato filo. Riatterrai
pesantemente sul pavimento, continuando ad avanzare rapidamente verso
il
traguardo e superandolo. ‘’Rallenta!’’
mi avvisò una vocina nella mia testa. Non appena mi accorsi
della velocità
spaventosa a cui stavo andando, raschiai la tavola contro il pavimento,
cercando di creare attrito. Riuscii a fermarmi giusto qualche momento
prima di
andare a sbattere contro la parete.
Scesi dalla tavola e la tenni in mano
posizionata verticalmente.
-Oh mio Dio, ce l’hai fatta!- strillò Wave
correndomi
incontro, presa dall’entusiasmo. Io la guardai spaesata, con
un sorriso
intontito sulle labbra.
-Eh…?- mormorai. La tavola si sgretolò
improvvisamente sotto la mia presa. A malapena me ne accorsi.
-Ce l’hai fatta- ripeté Wave con un sorriso
nonostante quella fosse la terza tavola che distruggevo.
-…Ce l’ho che…?- Risposi, combattuta
tra il
sonno e lo stupore
-Ce l’hai fatta, corpo di mille balene!-
disse lei in un iniziale attimo di entusiasmo, dopo il quale
cercò quasi di
ricomporsi, come se avesse appena violato qualche protocollo. Poi
sorrisi
pacatamente.
-Bello. Ora scusa, ma svengo un attimino-.
***
Furono le vibrazioni persistenti della nave
a svegliarmi quella mattina. Aprii le palpebre a fatica, alzandomi a
sedere sul
letto. Mi guardai un attimo intorno, disorientata. Qualcuno mi aveva
evidentemente portato nella mia stanza.
-Finalmente sei sveglia-. Mi voltai, e vidi
Wave seduta su una sedia posizionata vicino al mio letto.
-Ciao- mormorai in uno sbadiglio sonoro.
-Cosa ci faccio qui?-
-Quando abbiamo finito l’allenamento sei
crollata addormentata sul ponte, quindi ti ho portato qui- rispose
secca. -Se
hai fame, lì c’è la colazione-. Fece un
cenno a un vassoio posato ai piedi del
letto. Mi ci fiondai praticamente sopra. Non ricordavo di aver mai
avuto tanta
fame.
-Wave?- borbottai con la bocca piena dopo
qualche minuto di silenzio.
-Mhh?-
Buttai giù un boccone di cibo. -Cosa
succederebbe se i miei genitori non avessero abbastanza soldi?-
Lei alzò dubbiosa un sopracciglio. -Perché
mi fai questa domanda?-
-Mi uccidereste?-
-Beh, diciamo che saremmo costretti a tenerti per
ancora un po’ di tempo. Ma sono certa che i
tuoi saranno in grado di trovare le finanze necessarie, giusto?-
sospirò con l’accenno
di un sorriso sulle labbra.
Io abbassai lo sguardo, ignorando il groppo in gola che si era
appena formato. -Sì, giusto-.
-Comunque, non hai ancora rispettato la tua parte del patto.
Come possiamo contattare i tuoi genitori? Hai un cellulare, no? Non
abbiamo
nemmeno potuto avvisare che siamo stati noi a prenderti. Saranno
terrorizzati.
Anche perché negli ultimi giorni sei sparita dalla faccia
della terra. Almeno
dimmi dove vivono-.
-Angel Island-.
Wave si irrigidì improvvisamente, gli occhi
strabuzzati. -È dove si trova il Master Emerald-
mormorò con il volto
leggermente impallidito. Si fermò a osservarmi per qualche
momento. Sembrava
aver realizzato solo in quel momento un orribile verità. Si
mordicchiò nervosamente
l’indice, mettendosi a riflettere.
-Ora devo andare a parlare con il capitano.
Ci vediamo dopo- disse, chiudendosi rapidamente la porta alle spalle e
senza
aspettare il mio saluto. ‘’Cosa
sta
succedendo?’’
***
Storm
A volte non capivo proprio il capitano.
Partiva con un obiettivo preciso in mente, e nel corso di una giornata
era in
grado di pianificare qualcosa di totalmente opposto! Ma io avrei sempre
eseguito il suo volere, non importava quanto ciò sarebbe
stato difficile. Come
da ordini ricevuti, mi diressi quindi verso la sala caldaie, proprio
accanto
alla sala da allenamento invernale. Invertii la rotta, facendo girare
la nave
nella direzione opposta. Era tardi ed ero piuttosto assonnato, motivo
per cui,
in questi casi, nascondevo sempre in ogni stanza una tazzina di
caffè per le
emergenze. Wave le trovava pochissime volte, quindi continuavo a farlo.
Quella
volta però non ricordavo proprio dove l’avevo
messa. Mi stirai, alzando le
braccia in aria, e per sbaglio urtai qualcosa. Era caffè.
Asciugai velocemente
per terra e anche sopra ai macchinari su cui si era riversato.
-Sono certo che sia tutto a posto…- bafugliai,
cercando di chiudere lì la faccenda. Quindi me ne andai a
letto.
***
Rouge
Gli ultimi giorni erano stati confortanti seppur
connotati da una certa tensione. Tails si era nuovamente dimostrato
affidabile
nei nostri confronti. Ci aveva ospitato a casa sua malgrado fossimo dei
fuggitivi ricercati, e ci aveva nascosto dai vari agenti che, come
prevedibile,
avrebbero pensato tra i primi luoghi in cui andare a cercarci il suo
laboratorio. Non che avessimo molti altri posti dove rifugiarci.
Negli ultimi giorni non avevamo fatto altro
che cercare di ottenere informazioni su chi avesse potuto rapire
Amethist e
perché.
-Venite qui- ci richiamò Tails dalla stanza
più isolata della sua casa: quella in cui progettava le sue
nuove creazioni.
Io e Knuckles ci dirigemmo in tutta fretta da
lui, sperando che ci portasse buone notizie. Tails era seduto su una
poltrona
nera girevole. Ci guardò con un sorriso.
-Ho scoperto di chi è la nave-.
-Davvero?- esclamò Knuckles incredulo,
fiondandosi al suo fianco. Lo seguii prontamente.
Tails si piegò sul suo computer, che sullo
schermo aveva impressa la foto che ero riuscita a ricavare dalla G.U.N.
-Lo vedete questo?- Il ragazzo indicò un
simbolo sul lato della nave. -Ero sicuro di averlo già visto
da qualche parte
tempo fa, ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a ricordarmi a chi
appartenesse. Ho fatto qualche ricerca, e indovinate?- Buttò
sul tavolo della
scrivania una manciata di fogli pieni di informazioni e appunti a
matita
cancellati in malo modo. -Sono i Babylon Rogues-.
Spalancai la bocca. -Loro?!-
strillai infuriata.
-Razza di luridi traditori!- Knuckles strinse
con forza i pugni, cercando di trattenere la rabbia.
-Guardate qui- Afferrò una penna e indicò
qualcosa di molto piccolo sul monitor. -Quell’affare che
hanno ai lati della
nave è una nuova tecnologia che gira comunemente per il
mercato nero. È una
specie di specchio rifrangente. Permette di non essere visti
all’esterno, ma
dall’interno del luogo in cui si sono installati è
possibile vedere tutto-.
-Quindi?- chiese Knuckles snervato.
-Quindi loro li avevano disattivati, o hanno
avuto un malfunzionamento se siete riusciti ad ottenere questa foto, e
loro
erano visibili. Credo che abbiano un piano in mente-.
-Cosa te lo fa pensare?- chiesi, con la
speranza che finalmente si faceva di nuovo tangibile.
-Osservate- Attivò dei monitor, sui quali
potemmo chiaramente vedere la stessa nave della foto. Solo che stava
volando. -Queste
immagini sono in tempo reale-.
-Vuol dire che li stai
filmando in questo momento?!- chiesi
agitata.
-Esatto. Solo, non capisco come ciò sia
possibile-.
-Non ti seguo- disse Knuckles, sempre più
confuso sulla situazione.
-Non capisco come possa riuscire a captarli.
L’unica opzione è che i loro scudi, proprio in
questo momento, siano
disattivati. O, più precisamente, difettosi. È come
se lampeggiassero-.
-E dove sarebbe il problema in tutto ciò?-
chiesi.
-Il problema sta nella loro direzione di
viaggio-.
-Che sarebbe?- sputò Knuckles, stizzito.
Potei chiaramente sentirlo ringhiare.
-Angel Island-. Cominciai ad avere paura, e
aumentai senza neanche accorgermene la frequenza delle domande.
-Qualcosa non quadra. Prima hanno rapito
Amethist, poi ce la riportano indietro nonostante siano completamente
indifesi.
Perché?-
Tails si fece sempre più serio, man mano che
la conversazione proseguiva. -Vedete, per avere un quadro
più chiaro ho dovuto
calcolare la direzione e la velocità del vento, unitamente a
quella alla quale
si stanno muovendo. Tutto sommato, saranno a terra entro questo tardo
pomeriggio. E qui torniamo a parlare di quello che potrebbe essere il
loro
piano-.
-Vai al punto- lo intimò Knuckles. Tails gli
lanciò un’occhiata poco cordiale per averlo
interrotto.
-Sull’isola c’è il Master Emerald. Loro
sono
dei ladri, e potrebbero avere intenzione di rubarlo utilizzando
Amethist come
ostaggio-. Knuckles smise di respirare, ogni muscolo del corpo teso al
massimo.
-Andiamo a riprendercela- disse risoluto.
-Ho la loro posizione e so a che velocità
viaggiano. Ma è comunque troppo rischioso. Con gli anni
possono essere
diventati più scaltri e più abili. Riuscivi a
competere con Storm anni fa, ma
potrebbero avere aggiunto qualche nuovo membro alla banda. In
più stanno
volando nel bel mezzo dell’oceano. Non riuscireste mai a
stare al loro passo-
disse Tails.
Serrai la mascella con rabbia. Poi io e
Knuckles ci guardammo in contemporanea. Sapevamo cosa dovevamo fare.
-Abbiamo
bisogno d’aiuto- sussurrai, sapendo che Knuckles avrebbe
capito.
Sonic
Green Hill stava cambiando. Un tempo potevi
aspettarti di tutto da queste terre, poiché spesso erano il
luogo di nascita,
insieme ai suoi dintorni, di svariate minacce. Tuttavia, erano
sostanzialmente
un posto pacifico per il resto del tempo.
Ormai erano diventate un terreno di caccia
continuo per i Badnik. Erano anni che gli abitanti di quelle terre che
non sarebbero
riusciti a contrastarli non vivevano più tranquilli, nel
terrore di venire
catturati e trasformati.
Qui entravo in gioco io. Era solo una questione
di tempo relativamente breve prima che raggiungessi il luogo in cui
c’era
bisogno del mio aiuto, o al limite dalle truppe G.U.N., e quindi a
liberarli,
ridonando loro la libertà. Ma non era comunque molto
confortante sapere che, da
qualche parte, nel mondo, c’è uno scienziato pazzo
il cui scopo è di catturarti
e renderti suo schiavo.
Ma non sapevo dove trovarlo. Quel grosso uovo
parlante si faceva beffe di me e di tutto il mondo e io non potevo
farci nulla.
Ormai non potevamo nemmeno più girare eccessivamente liberi
a casa nostra. Il
culmine fu raggiunto un paio di giorni prima, quando un due agenti
della
G.U.N. armati di mandato di perquisizione, cominciarono a controllare
per
lungo e per largo casa nostra, scatenando le ire di mia moglie. Non ci
dissero neanche che cosa volevano, poiché a loro dire era
“Questione di sicurezza
nazionale”.
Come ciliegina sulla torta, quando venni a
scoprire che quegli sconsiderati di Dash e Althea erano tornati dalla
loro
scampagnata nella Foresta di Confine, fui talmente furioso che proibii
loro la
libera uscita. In fondo, sapevo che Shadow avrebbe fatto la stessa cosa
se
avesse visto in che condizioni era ridotta la spalla di sua figlia.
Green Hill
stava cambiando. Un tempo dissi ad un’amica che tutte le cose
sono destinate a
nascere, a vivere e poi a morire. Però devo ammettere che
vedere la propria terra
impazzire gradualmente non era facile né piacevole.
Riflettendoci, non avevo mai pensato a cosa
avrei fatto quando, un giorno, io non sarei più stato in
grado di fare il mio
dovere. Quando non sarei più stato più in grado
di correre.
-Sonic?-
-Qualcosa non va?- mi chiese, posandomi una
mano sul braccio. Scossi la testa, sospirando e sorridendole.
-Niente. Sto bene-.
Lei alzò un sopracciglio. -Ti conosco da
quando ero una ragazzina. Credo di avere capito quando
c’è qualcosa che ti
turba-.
L’ultima cosa che volevo e di cui avevo bisogno
era metterla ulteriormente in ansia con le mie paure. Le sorrisi
rassicurante,
avvolgendole un braccio intorno alle spalle e stringendomela
contro.
-Stavo
pensando che stanno iniziando a comparirmi le prime rughe sulla faccia.
Mi
rendono meno affascinante secondo te?- dissi teatrale, con un sorriso
smagliante sulle labbra.
Amy rise, scuotendo rassegnata la testa. -Non
credo proprio-.
Mi distrassi dalla nostra chiacchierata
solamente quando sentii bussare pesantemente alla porta
d’ingresso. Grugnii scocciato,
sciogliendo la stretta che aveva il mio braccio su Amy e andando ad
aprire.
-Knuckles?- esclamai sorpreso appena vidi il
volto del mio amico. L’echidna sembrava stremato, con la
faccia pallida e gli
occhi cerchiati dalle occhiaie. -Hai un aspetto orribile. Che cosa ti
è
successo?-
-Loro sono qui?- chiese. Io lo guardai
confuso mentre Amy mi si affiancò.
-Loro…?-
-Gli agenti della G.U.N. Stanno cercando me e
Rouge-. Lo afferrai per un braccio, trascinandolo velocemente in casa.
-Cosa diavolo avete fatto?- chiesi,
richiudendo la porta tirandole un calcio non esattamente delicato con
il
tallone.
-Amethist è sparita- spiegò, premendosi una
mano sulla fronte, probabilmente a causa di un’emicrania.
-Sparita?- sussurrò Amy scioccata.
-L’hanno rapita- ringhiò Knuckles nervoso.
Lo accompagnai con un gesto del braccio verso
il divano. -Adesso ci sediamo un attimo… e mi spieghi ogni
cosa-.
***
-I Babylon Rogues?- disse Amy incredula. -Come
hanno potuto?-
-Knuckles… sei sicuro che le cose stiano
davvero così?- gli chiesi, essendo a conoscenza della tendenza di Knuckles a
prendere granchi e
crostacei vari. Il mio vecchio amico impose la sua elaborata ipotesi,
come suo
solito trattenendo a stento la rabbia
-Non mi interessa quale sia il motivo che li
ha spinti a fare questo, hanno mia figlia e ora la stanno usando contro
di me
per privarmi anche dello smeraldo. Vecchi amici o no, li
farò a pezzi se
creeranno problemi!-
Cercai di calmarlo, poiché sembrava quasi volermi
assalire. -Whoa, calmo amico! Ti daremo una mano a risolvere
la situazione, ma sono più
che sicuro che ci sia una spiegazione logica a tutto questo!-
Dopo che riprese fiato per quella scenata
fatta davanti a Amy e le mie figlie, recuperò la parola. -Ti
ringrazio, Sonic-.
-Posso venire anch’io?!- Sentimmo una voce
provenire da qualche parte che fece questa domanda, poco prima di udire
un
tonfo sordo nel giardino.
Uscimmo velocemente di casa. -Oh mio Dio,
Dash!- strillò Amy, dirigendosi verso il giovane riccio
disteso con la faccia
schiacciata al suolo e scuotendolo. Sunny ed Emily scoppiarono
inavvertitamente
a ridere, immediatamente zittite da un’occhiata della madre.
-Allora, posso venire anch’io con voi?- chiese, scordandosi
improvvisamente di essere caduto dalla finestra del primo piano,
guardandomi
con gli occhi luccicanti per l’eccitazione.
-No- risposi secco.
-Andiamo, perché no?- sbuffò con fare offeso.
-Perché sei in punizione per aver deliberatamente
disubbidito ai miei ordini-.
-Ma io potrei esservi utile!- ribadì deciso.
Quel ragazzo era decisamente in astinenza dal poter uscire
all’aperto e
correre.
-Non credo che sia il caso, Dash-.
-Papà, avrete bisogno del maggior aiuto
possibile. Insomma, cos’è più
importante per te, tenermi in punizione o salvare
la ragazza?- chiese con un sorriso sbruffone, conoscendo perfettamente
la mia
risposta.
-Ma…-
Ero tentato dal negargli di nuovo il permesso di accompagnarmi, ma mi vennero in mente i pensieri che avevo avuto poco prima che Knuckles ci portasse quelle brutte notizie: il tempo che abbiamo per poter fare e diventare tutto quello che vogliamo non è infinito.
-…Ok, puoi venire con noi. Ma dovrai ubbidirmi, è chiaro? Non fare di testa tua-.
-Partiamo immediatamente Knuckles. Dov’è Rouge?- chiesi.
-Abbiamo deciso che fosse meglio se soltanto uno dei due venisse a chiederti aiuto. Non potevamo rischiare che la G.U.N. ci scoprisse e ci catturasse entrambi-.
Annuii. -Verso che ora dovrebbero arrivare sull’isola i Babylon?-
-Tails crede che atterreranno nel tardo pomeriggio-.
Dash alzò il braccio con la mano stretta a pugno. -Andiamo a riprenderci tua figlia, Knuckles!- esclamò come grido di battaglia.
Frenai di scatto, derapando vicino al bordo della scogliera e
alzando un immenso nuvolone di detriti. Dash si fermò
qualche metro prima di
me, guardandomi spaesato.
-Perché siamo qui?- chiese con una nota di panico,
completamente paralizzato mentre fissava a disagio il mare, il quale
sembrava
dominato da quella grossa arma volante.
-Perché dovremo rincorrere la nave, che in questo momento
è
laggiù- spiegai, indicandogli con il dito un piccolo,
distante puntino già
visibile nel cielo.
-Tu resterai qui. Se ci mettiamo troppo tempo per tornare,
vai ad avvertire Rouge e veniteci a cercare- dissi. Knuckles
salì sulla piccola
navicella volante che Tails gli aveva fornito per riuscire a tenere il
mio
passo quando saremmo stati in mare. Se la situazione non fosse stata
così
rischiosa avrei già iniziato a sfotterlo.
-Cosa?! Papà, aspetta un attimo!- provò a
fermarmi Dash.
Mi avvicinai al bordo della scogliera, finché le mie scarpe
non
furono per metà nel vuoto. -Fai come ti ho detto-.
Poi mi buttai giù, senza pensarci troppo. Poco prima di
affondare il corpo nell’acqua, cominciai a correre, e dopo qualche attimo avevo
già preso contatto
con quell’enorme massa liquida di acqua che una volta era
capace di farmi
cadere in ginocchio, ai suoi piedi. Potevo avvertire l’enorme
scia che mi
lasciavo dietro. Knuckles mi raggiunse dopo poco, anche se stava
provando in
ogni modo di mantenere la navicella in una traiettoria stabile.
-Da quando hai cominciato a correre a pelo d’acqua
spontaneamente?- strillò, cercando di farsi sentire sopra il
rumore dell’acqua
che veniva sollevata dietro di me. Alzai le spalle, sorridendogli con
fare sbruffone.
Passarono solo pochi minuti dalla nostra partenza quando fummo
a praticamente due passi dalla nave.
-Come facciamo?- mi chiese Knuckles, pensando che sapessi
dargli una risposta.
-Sali sulla nave-.
-È troppo in alto, come dovrei fare!?- A quel punto
cominciai a
rotolare su me stesso, spiccando un altissimo balzo e arrivando quasi
all’altezza del nostro obiettivo. Continuavo a salire a
velocità elevatissima,
finché non avvertii un violento impatto che mi scosse tutto
il corpo, il tutto seguito
da un’esplosione. Capii di aver appena attraversato la nave
dal basso verso
l’alto, poiché poi rividi il cielo azzurro sopra
di me dopo qualche momento. Mi
preparai per atterrare sul ponte, vedendo che Knuckles stava facendo lo
stesso
visto che la nave si era abbassata gradualmente.
-Bella mossa- mi disse mentre scendeva da quel mezzo.
-Ne dubitavi?-
Guardammo entrambi davanti a noi, prima di rivolgerci la
parola, consapevoli che il vacillare improvviso della nave poteva solo
significare che saremmo “atterrati” presto in
acqua.
-Io entro e cerco Amethist.- disse determinato il mio amico
-Io invece cerco quei bravi ragazzi e poi ci faccio una bella
chiacchierata-.
-Va bene. Seguimi!-
-No, tranquillo, prendo la scorciatoia- ridacchiai, lasciandomi
cadere nel buco che ero appena andato a creare. Una volta toccata
terra, vidi
che avevo letteralmente distrutto la sala di controllo, o roba del
genere. Non
saremmo rimasti in aria ancora a lungo, quindi cominciai a correre.
Vagai per
tutta l’ala ovest della nave, cercando di trovare con una
fretta disperata i
miei obbiettivi. Delle sirene rosse illuminarono i corridoi, facendo un
gran
fracasso. Subito dopo, il loro insopportabile rumore fu sostituito da
un gracchiare
elettronico.
-Sonic, da quanto tempo!- strillò allegra quella che
probabilmente era la voce di Jet.
-Da quando la tua voce è così scura? Me la
ricordavo molto più
stridula e acuta- dissi di rimando, consapevole del fatto che lui
probabilmente
potesse sentirmi.
-Mooolto simpatico. Adesso ascoltami: so che questa situazione
ti può sembrare strana, ma posso spiegarti tutto. Niente
è come sembra-.
-Sì, certo. Nulla è reale, tutto è
lecito, come vuoi.- Lo
ignorai e continuai per la mia strada.
-Andiamo Sonic, parliamone con calma- sbuffò. Davanti a me,
una
decina di spesse porte blindate cominciarono ad abbassarsi rapidamente.
Accelerai, sorpassandole prima che mi tagliassero fuori. Feci una
scivolata per
oltrepassare l’ultima porta, che si chiuse pesantemente a
qualche centimetro da
me.
Ripresi immediatamente a correre, diretto verso l’ultima
porta
del corridoio, isolata da tutto il resto.
-Jet!-
***
Knuckles
Mi catapultai immediatamente giù dalle scale sfondando
l’entrata, cominciando ad aprire ogni porta che trovavo e a
cercare nella sua
rispettiva stanza.
-Amethist!- gridai, sperando con tutto il cuore di trovarla. I
minuti passavano, la nave precipitava poco a poco e l’ansia
per ritrovare mia
figlia mi annebbiava la mente.
Quando uscii dall’ennesima camera senza aver trovato nulla,
vidi che al termine del corridoio mi aspettava una piacevole sorpresa.
-Storm- sussurrai in un ringhio impercettibile.
-So che tutto questo ti può sembrare strano, ma se ti calmi
un
attimo potrò spiegarti tutto quello che è
successo- bofonchiò con la sua
vociona.
-RIDAMMI MIA FIGLIA!- urlai a pieni polmoni, lanciandomi di
corsa contro di lui.
-Aspetta un…- Lo zittii con un potente pugno sulla mascella,
che lo catapultò contro il muro opposto. Cadde a terra con
un potente tonfo.
-Dimmi. Dov’è. MIA FIGLIA!-
L’albatros si rialzò, scrocchiandosi il collo con
una mano. -Vedo
che vuoi risolvere le cose alla vecchia maniera… va bene.
Facciamolo- rise lui.
Mi scrocchiai le nocche e le spalle, sfidandolo apertamente con
lo sguardo. -Fatti sotto-.
Storm mi lanciò contro una tavola di quelle
appese al muro. La afferrai in tempo, ma il volatile mi si era
già avvicinato,
colpendomi lo stomaco con una ginocchiata. Fui senza fiato per diversi
secondi.
Gli colpii la faccia con la tavola, spaccandola in due e confondendolo.
Approfittai della sua momentanea cecità e lo riempii di
pugni sul becco. Mi
afferrò per un braccio e mi lanciò con violenza
contro una porta distante
qualche metro da me, distruggendola. Mi rialzai.
Lui mi saltò addosso, facendoci entrare nella
stanza rotolando e continuando a picchiarci a vicenda. Ero schiacciato
dal suo peso,
quindi gli tirai un calcio nello stomaco. Lui si strinse la pancia e io
ne
approfittai per sbalzarlo via.
Afferrai una sedia vicino a me e gliela
sfasciai sulla schiena. Storm mi afferrò per le spine e mi
fece girare attorno
alla stanza, facendomi sbattere per tutti gli spigoli della stanza. Mi
diedi
una spinta con i piedi contro il muro e colpii l’albatros con
una testata,
mandandolo a terra.
Sonic
Distrussi la porta dell’ufficio di Jet con
uno Spin-Dash. Mi rialzai e mi spolverai le ginocchia.
-Ora,
mi devi delle spiegazioni-.
Jet incrociò le mani, facendomi segno di
aspettare. -Certamente. Ma prima dobbiamo atterrare-.
***
Knuckles
Stavamo di nuovo per attaccarci a vicenda,
quando un improvviso urto ci vece cadere entrambi a terra. Quel
violento
scossone durò per un minuto circa. Quando finalmente tutto
fu più calmo, io e
Storm ci calmammo.
-Credo che sia il caso di darsi una calmata
e di parlare con calma di quello che è successo-
borbottò, stirandosi la
schiena. -Anche perché credo che la nave si sia appena
schiantata sul mare-.
-Va bene. Ora portami da mia figlia-.
Sonic
Jet mi portò fino alla stanza di Amethist, accompagnato da
Wave. Dovevo ammettere che ero stato sorpreso nel vedere come fossero
cambiati
entrambi nel corso del tempo.
-Chi è?- domandò la voce di Amethist
dall’altra parte. La
rondine aprì la porta, aprendomi una camera per niente male,
che avrei potuto definire
piuttosto lussuosa.
Amethist ci guardò leggermente confusa, seduta su un letto
abbastanza grande. -Cosa ci fate tutti qui?- Poi mi guardò.
-Un momento… credo
ci averla già vista da qualche parte- rifletté.
-Sono un amico di tuo padre, che tra l’altro è
venuto qui per
riportarti indietro-.
-Cosa?-
Fummo interrotti da il rumore di passi che proveniva da fuori
la stanza. Storm e Knuckles apparirono improvvisamente nella camera.
-Amethist!- ansimò Knuckles con il fiatone, appoggiandosi
allo
stipite della porta.
La ragazza sorrise gioiosa, alzandosi dal letto. -Papà!-
Knuckles quasi la fece cadere a terra per lo slancio con cui
le si era praticamente buttato addosso, abbracciandola con forza. -Oh
Dio,
grazie- borbottò, sembrando voler cullare la giovane echidna
tra le sue
braccia. -Sei viva. Stai bene-.
Amethist ridacchiò imbarazzata. -Certo che sto bene-.
Knuckles si
allontanò
leggermente, il volto che sembrava aver finalmente ripreso un
po’ di colore e
le spalle rilassate.
-Torniamo a casa ora. Tua madre e io siamo morti un paio di
volte in questi giorni-.
Amethist si morse il labbro, guardandoci incerta. -Ecco, a
questo proposito…- sussurrò, grattandosi una
guancia. -…non voglio tornare
indietro-. Knuckles strabuzzò gli occhi, guardandola
scioccato.
-Finalmente qui posso trovare qualcuno che mi insegni cosa
voglio fare nel mio futuro, e lo sto imparando in un modo che mi piace.
Io
voglio…-
Wave le pizzicò con forza il collo, roteando la mano in un
movimento circolare. Amethist si bloccò
all’improvviso, cadendo di botto sul
pavimento, svenuta.
-Sei troppo giovane per rovinarti la vita in questo modo-
ridacchiò tristemente Wave. Poi guardò me e
Knuckles. -Prima abbiamo spiegato a
Sonic perché ci stessimo dirigendo verso Angel Island,
Knuckles. Volevamo solo
riportarti tua figlia. Ci abbiamo messo tutto questo tempo solo
perché lei non
era intenzionata a dirci chi erano i suoi genitori- disse.
Knuckles mi guardò incerto, e io annuii, rispondendo alla
sua
silenziosa domanda: Dobbiamo fidarci?
-Bene. Allora noi ce ne andiamo- dissi.
***
Jet
Io e Wave stemmo sul ponte della nave,
osservando mentre Sonic e l’echidna se ne andavano
velocemente dalla nostra
casa. Knuckles caricò sua figlia su quella piccola navetta
con cui era arrivato
lì, attivandola e volando via. Sonic partì,
alzando un enorme quantità d’acqua
che ci bagnò solo lievemente.
-Storm, prepariamo il necessario alle
riparazioni, dobbiamo occultarci al più presto- ordinai.
-Sì signore!- disse prima di dileguarsi.
Wave era muta, mentre osservava mentre quei
tre si allontanavano. Le diedi un piccolo e amichevole pugno sul
braccio.
-Se vuoi ne possiamo sempre rapire un’altra-
le dissi, cercando di provocarla e di farla sorridere. Ma rimase seria,
in
silenzio, continuando a fissare Amethist mentre se ne andava, contro la
sua
volontà e svenuta.
Ci sono cose che nemmeno un Capitano può
fare per la sua ciurma. Solo la solitudine poteva aiutare la mia amica
in quel momento.
***
Amethist
Non ricordo cosa successe. Non riuscii mai a
capirlo appieno. La cosa più sensata che mi veniva in mente
fu che la
stanchezza mi aveva tradito, ma ci credevo ben poco.
Sentivo delle voci mentre dormivo, e l’aria
salmastra che mi graffiava un po’ le narici. Quando mi
svegliai, vidi un
ragazzo che mi stava osservando, seduto su una sedia vicino al letto in
cui ero
sdraiata. Ricordavo di averlo già visto altrove, anche se
non mi concentrai
subito su tutte le sue caratteristiche.
-Svegliata?- mi disse dolcemente. Mi
stropicciai gli occhi con le dita, confusa ed esausta. Dopo essermi
ripresa un
attimo dalla confusione e quando la vista smise di essere appannata,
riuscii a
inquadrare il ragazzo che avevo davanti. Un riccio dalle spine lunghe e
dalla
pelliccia blu mi guardava interessato con degli occhi davvero belli, di
un
colore verde smeraldo. ‘‘Interessanti…’’
-Tu… chi sei?- chiesi leggermente
imbarazzata per la situazione.
-Ero uno dei maschi presenti a quella festa
a cui hai partecipato qualche tempo fa con i tuoi genitori- disse
sorridendo.
-Mhh…-
-Ero uno di quelli blu-.
-Mhhh…-
-Quello più
blu!-
-Oh, ora ricordo!- ridacchiai.
Lui rispose al riso, guardandomi divertito.
Aveva una bella risata: calda, solare e quasi amorevole. -Beh, va tutto bene?-
domandò lui.
-Sì, da favola. Esattamente, come ci sono
arrivata qui?-
-Non ne ho idea. Mio padre e gli altri non
me l’hanno voluto raccontare-.
-Perché no?-
Lui si strinse nelle spalle. -Credo che
stiano parlando di altre cose, urgenti probabilmente-. Poi
ritornò a guardarmi interessato.
-Toglimi una curiosità: sono vere quelle storie sui
rapimenti? Cioè che ti
chiudono in una stiva senza né pane né acqua e ti
lasciano lì per giorni?-
Ridacchiai. -Sì, qualcosa del genere-.
Sembrò davvero crederci. Fischiò ammirato,
incrociando le gambe sulla sedia. -Però
sembra che tu non te la sia cavata tanto male, no?- affermò,
squadrandomi
dall’alto verso il basso.
-Giusto- risposi, cercando di non mostrarmi
troppo divertita.
-Non voglio sembrarti troppo rude,
ma…com’è
successo?-
-…In
che senso?- dissi, confusa per un momento su quello che mi volesse
chiedere,
anche se a dire la verità potevo già immaginarlo.
-Perché ti hanno rapita, com’è andata?-
-Rapita? Diciamo che in un certo senso sono
io quella che è andata da loro…-
-In quale dei tanti possibili sensi?-
-Avevo visto… una luce in lontananza, e ho seguito
l’istinto, decidendo di seguirla. Sto ancora cercando di
capire il perché ad
essere sincera-.
Vidi la sua faccia che cominciava a velarsi di
un alone di divertimento. -Cioè? Posso capire la
curiosità, ma eri da sola, a
tarda notte, hai volato in mezzo al mare, e ti sei ritrovata da sola in
una
nave di cui nemmeno sapevi la provenienza, o chi vi risiedesse sopra.
Cosa ti è
passato per la testa?!-
-Forse era curiosità, come dicevi tu.
Ma…credo di aver avuto in mente…non
so…un modello che volevo superare a tutti i
costi-.
La sua espressione cominciò a farsi seria.
Mi guardò sorridendo. Non l’ho mai
dimenticato quello sguardo. -Sì. Sì, credo di
capire molto bene-.
E fu solo in quel momento che vidi una parte
di lui che prima non avevo notato. C’era qualcosa che ci
rendeva
incredibilmente simili. C’era qualcosa che ci legava
inevitabilmente, una
specie di connessione tra le nostre anime. Lui capiva. Capiva come mi
sentivo,
capiva come mi ero sempre sentita. Capiva chi ero.
Dal momento in cui mi ero svegliata fino a
quando non avevo iniziato a studiarlo attentamente non avevo parlato a
vanvera.
Lui mi capiva.
‘’Inoltre…
è piuttosto carino’’ pensai
con un pizzico di malizia.
Il nostro momento fu interrotto dal violento
sbattere della porta della mia camera. Mia madre mi fissava distrutta,
letteralmente a pezzi. Crollò in ginocchio davanti a me,
abbracciandomi con
forza.
-Sei scappata senza dirci nulla e senza che
nessuno se ne accorgesse. Sei la ladra migliore che io conosca- disse,
lasciandosi
scappare dei gemiti piagnucolosi dovuti al magone del momento. -Non
farlo mai più-. Ammetto
che qualche lacrima me la lasciai scappare anch’io.
-Dove siamo, mamma?- chiesi, guardando con
attenzione la stanza in cui mi trovavo.
Lei mi sorrise, gli occhi lucidi per le
lacrime trattenute troppo a lungo. -A casa di un amico. Staremo da lui
per un
po’ di tempo-.
-Cosa? Perché?-
-Sono successe un po’ di cose mentre eri via.
Ti racconterò tutto dopo, con calma. Ora riposati- disse,
scoccandomi un bacio
sulla fronte. Il riccio ghignò divertito, chiudendo gli
occhi e appoggiando la
testa contro il muro con aria spensierata. Arrossii lievemente per la
manifestazione d’affetto di mia madre ricevuta in sua
presenza.
-Mamma…- borbottai imbarazzata. Lei mi
guardò con aria interrogativa, prima di rivolgere una veloce
occhiata al riccio
e chiedendomi un silenzioso e non propriamente sincero perdono.
-Dash, tuo padre ha detto che era ora di
tornare a casa- disse lei rivolta al ragazzo.
Lui saltò giù dalla sedia con un balzo,
sorridendomi. -Beh, è stato un piacere
rincontrarti…-
-Amethist!- dissi, forse con un po’ troppa
enfasi. Lui ridacchiò.
-Amethist, giusto-. Mi salutò allegramente
con la mano. -Allora ci si vede in giro-. Se ne andò,
strizzandomi l’occhio.
Sorrisi tra me e me, piegando un poco la
testa di lato e osservandolo mentre se ne andava. ‘’E
la cosa mi piace’’.
***
Sapevo che non dovevo uscire di casa. Molto
probabilmente, proprio in quel momento quegli uomini ci stavano
cercando. Ma
c’era un’ultima cosa che dovevo fare. Uscii di
nascosto dalla casa di Tails.
L’aria notturna cittadina era, come sempre,
fredda e solitaria, ma non erano i gioielli che cercavo. Mi coprii per
bene con
degli abiti pesanti prima di uscire, non perché avessi
freddo, ma perché non mi
veniva niente di meglio in mente che mi potesse nascondere agli occhi
che fosse
rapido, silenzioso, e che mi tenesse per un po’ di tempo
lontana dagli occhi di
quell’attenta agenzia. Presi la linea notturna ad alta
velocità che portava a
Mistic Ruins, e riuscii ad arrivarci in circa mezz’ora: poco,
considerando la
differenza tra il luogo di partenza e di arrivo.
Seguii il passaggio, piuttosto bizzarro, a
dire il vero, visto che bisogna letteralmente farsi trasportare
in alto da una corrente d’aria, che portava a casa mia,
Angel Island. Attraversai il ponte, sorpassando la piccola casa in cui
avevamo risieduto fino a poco tempo prima. Trovai strano che la G.U.N.
avesse già
interrotto le ricerche in quel luogo o che non mi stesse aspettando, ma
mi
rassicurai quando mi tolsi il copertone che mi ero portata fin
lì. L’unica
luce nelle vicinanze era quella del Master Emerald, verde ed intensa,
che
dominava sull’altare su cui mio padre eseguiva il suo compito
di guardiano.
Smisi di ammirarlo, e cominciai a guardare il mare.
Infine, ero nuovamente lì, ad osservare
l’immensità del cielo notturno puntellato di
stelle. Mi presi il volto tra mani,
seduta a gambe incrociate al limite di una delle scogliere di Angel
Island.
Il
nostro destino lo possiamo decidere solo noi. Non vi era nessun potere
superiore che ci faceva da guida. Sapevo che avrei dovuto essere
cresciuta,
dopo quell’esperienza. Che avrei dovuto accettarlo. Ma ci
sono tesori che
nessuno può ottenere, non importa quanto li cerchi.
Avevo sempre avuto paura di ciò che mi avrebbe
riservato il futuro. Ma da quel momento…non avrei avuto
pietà, e sarei stata io
a tirarlo per i capelli, non il contrario. Avrei deciso io.
Fu una famigliare luce rossa ad attirare la
mia attenzione. Come la prima volta che l’avevo vista,
galleggiava nel bel
mezzo dell’oceano, lontanissima da me e incurante
dell’acqua che sballottava da
un lato all’altro la nave su cui era installata. Dopo qualche
minuto quella
piccola lucina cominciò a salire alta nel cielo, segno che
la nave stava
salpando. Quel quasi impercettibile bagliore rosso cominciò
a lampeggiare,
sempre più velocemente, fino a che non scomparì
del tutto. Avevano attivato gli
specchi.
Sospirai, consapevole che di lì a poco se ne
sarebbero andati per sempre dalla mia vita, togliendomi ogni
possibilità di
poterli rivedere di nuovo.
Ma nonostante in quel momento io non li
vedessi, sapevo che erano lì, mimetizzati tra le
stelle.
E una parte di me
sperava che anche loro mi stessero osservando dall’alto,
dandomi un silenzioso
addio, andandosene dalla mia vita come ci erano entrati: contro la mia
volontà.