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Autore: Rain of Truth    05/05/2015    3 recensioni
Dash the Hedgehog, figlio di Sonic the Hedgehog, è un riccio spensierato ed irresponsabile. Un giorno, durante il ritrovo di tutti gli amici del padre, Dash incontrerà una ragazza, Althea, futura regina della dimensione del Sol e figlia di Shadow the Hedgehog. Sotto richiesta dei genitori, Althea rimarrà nella dimensione di Sonic per ottenere le doti necessarie e la forza per diventare una sovrana ideale. Con il tempo, Althea imparerà ad apprezzare i suoi nuovi amici, in particolare Dash, che inizierà a provare qualcosa in più nei confronti della ragazza. Dopo l'arrivo di nuovi e pericolosi nemici, il gruppo di ragazzi sarà costretto ad affrontare la minaccia, che potrebbe mettere in pericolo entrambi i mondi.
Salve! Allora, questa storia avevo in mente già da un po' di tempo di pubblicarla. Se piacerà abbastanza, allora la continuerò. Spero che vi piaccia, e buona lettura!
Genere: Avventura, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Amethist 2

Amethist
Un'altra volta in quella situazione. Tuttavia questa volta c’erano differenze. Per esempio non mi avevano portato qui con delle manette, ma tirandomi per i capelli. La mia prigione non era buia e fredda, anzi: era anche più bella della mia stanza a casa.
Infine, stavolta, quelli che mi detenevano avrebbero potuto uccidermi in qualsiasi momento. Ero talmente confusa che non avevo nemmeno escogitato un piano per andarmene. E poi mi avevano offerto delle fette biscottate meravigliose quella mattina.
Sbuffai, osservando i dintorni con noncuranza mentre stavo comodamente seduta sul letto. Una parte di me voleva tornarsene a casa, dovei miei genitori mi avrebbero irrimediabilmente gridato contro dei rimproveri, messa in punizione, chiusa nella mia stanza e buttato via la chiave. ‘’In fondo non è molto differente da qui…’’
Sentii un improvviso bussare alla porta. Lo spioncino si aprì rapidamente, e apparvero due grandi occhi azzurri che mi fissavano annoiati.
-Ben svegliata- mi salutò una voce femminile. -Ti è piaciuta la colazione?- Le rivolsi un’occhiata diffidente. -Scusa per la faccenda dei capelli ieri. Ti fa ancora male la testa?- mi chiese. Corrucciai le sopracciglia. ‘’Tu cosa ne pensi?’’ -Credi che la tua famiglia sia in grado di pagare il riscatto?- mi chiese di nuovo. Io distolsi lo sguardo, voltando di scatto la testa e ignorandola.
La rondine si innervosì, fulminandomi con un’occhiata. -Ascoltami ragazzina, divertiti quanto vuoi a fare il gioco del silenzio con me, ma l’unica che ne pagherà le conseguenze sei tu. Puoi non rispondere a tutte le domande che ti faccio, ma devi dirmi assolutamente se conosci un modo di contattare i tuoi genitori-. Continuai a ignorarla, anche se dentro di me iniziavo a provare una leggera inquietudine. La donna sbatté con forza un pugno sulla porta. -Va bene, vuoi la guerra? Se non avrò una risposta chiara entro questa sera, ti butteremo in mare-.
Lo spioncino si chiuse, lasciandomi di nuovo sola all’interno della stanza. Mi strinsi le gambe al petto, leggermente spaventata. Stavano dicendo sul serio? Oppure stavano soltanto cercando di spaventarmi? Non lo sapevo. Ma erano delle persone sconosciute che mi avevano rapito, quindi era decisamente meglio assecondarli.
Una decina di minuti dopo sentii nuovamente bussare alla porta. -La volete piantare di rompere?! Ho afferrato il concetto!- strillai, alzandomi dal materasso, dirigendomi verso la porta e aprendo con rabbia lo spioncino.
-Ciao-.
Mi venne quasi un infarto, poiché al posto di quegli occhi azzurri e limpidi della donna di prima, apparirono dei piccoli occhietti con delle pupille così minuscole da sembrare delle punte di spilli. Mi spaventai così tanto da indietreggiare violentemente subito dopo aver chiuso lo spioncino in faccia a quel tipo dalla voce roca e scura.
-Tutto bene?- mi chiese con un tono incredibilmente pacato, considerando il suo ruolo di rapitore.
-Chi sei?- dissi quasi strillando. Aspettò un po’ prima di rispondere, forse cercando le parole giuste per rispondere. Che razza di parole ci sono da cercare?!
-Mi chiamo Storm. Qual è il tuo nome, invece?- Ma chi era quel tizio?
-Ehm… Amethist. Piacere-.
-È un piacere anche per me! Sai, non abbiamo ospiti molto spesso, e qualche volta il capo diventa piuttosto noioso. Perché sei venuta fin qui?-
-Be'… diciamo che sto cominciando a chiedermelo anch’io. Ero venuta solo per curiosità-.
-Scommetto che hai notato la lucina lampeggiante, non è vero? Ho detto al capo che sarebbe stato il caso di toglierla, ma è troppo pigro, e riesce sempre a trovare una scusa per non farlo-. Mi avvicinai alla porta, aprendo lievemente lo spioncino. Mi ritrovai davanti il muso felicemente infantile del volatile grigio. Mi salutò allegramente con la mano.
-Che ci facevate fermi nel bel mezzo del mare?- gli domandai. Lui ridacchiò.
-C’è stato un guasto al motore e non siamo riusciti a continuare con il nostro volo-. ‘’Volare? Questa specie di nave sa volare?’’ Ma per il momento, decisi di far cadere la faccenda.
-Cambiando discorso, che personalità ha il tuo capitano?- chiesi, appoggiando le braccia sulla porta e sorreggendomi.
-Jet? Beh, è verde, piumato, è dipendente dal fumo e gli piace la velocità-.
Lo guardai confusa. -No, volevo dire… che tipo è?-
-È un falco-.
Serrai la mascella, esasperata. ‘’Lo uccido. Butto giù la porta e lo uccido.’’ -Quello che intendevo chiederti è che tipo di carattere lui abbia- sbottai, cercando di mantenere un’aria tranquilla.
-Oh!- esclamò. -Jet è molto impavido. È anche un tipo simpatico quando non si toccano le sue tavole-. Deglutii a fatica. ‘’Oh no’’.
Sentii un improvviso gracchiare meccanico. -Attenzione: il guasto alla nave è stato finalmente riparato- disse una voce maschile al megafono, rimbombando per tutta la nave.
-Finalmente?- ringhiò la voce della rondine in sottofondo. Sentii sospirare.
-Ok… la nave è stata riparata con un tempismo perfetto, e colei che ci ha dato questa benedizione deve andarsene dal mio ufficio. Ora- disse scocciato. Ci fu qualche attimo di silenzio.
-A proposito: Storm, sei richiamato nell’ufficio del capitano- concluse. L’albatros mi rivolse un’occhiata dispiaciuta.
-Sono davvero spiacente, ma il capo mi sta chiamando. Comunque tornerò a trovarti!- Mi salutò e si allontanò con passo goffo.
Mi sedetti sul pavimento, stringendomi la testa tra le mani. ‘’In che cosa mi sono andata a cacciare?’’
All’improvviso, sembrò che tutto avesse iniziato a tremare…

***
Rouge
Salii lentamente le scale, preparandomi mentalmente il discorso da fare ad Amethist. Devi riflettere attentamente sulle tue scelte, sono stufa di tirarti fuori dalla galera ogni due giorni, sei troppo giovane per poter decidere di intraprendere una strada del genere. ‘’…da che pulpito’’ disse la vocina all’interno della mia testa. Mi fermai davanti alla porta della stanza di Amethist, prendendo un respiro profondo.
-Amethist?- Bussai delicatamente sulla porta. Non mi rispose. -…Ame, andiamo- sbuffai. Totale silenzio. Bussai ancora, chiamandola ripetutamente per un minuto buono. Ma continuai a non sentire alcuna risposta. Sospirai, allontanandomi sconsolata e tornando nel salotto al piano inferiore.
Knuckles mi guardò speranzoso quando lo raggiunsi al tavolo. -Allora?-
-Mi ha ignorato completamente-. Mi massaggiai le tempie, chiudendo gli occhi e cercando di non farmi venire un emicrania.
Knuckles si strofinò nervosamente il collo con una mano. -Rouge, sai che è combattuta. Deve ancora trovare la sua strada-.
Gli lanciai un’occhiataccia. -Questo non è un buon motivo per finire in prigione. Praticamente ogni ragazzo della sua età attraversa questo periodo, ma non significa che i loro genitori corrano loro dietro come dei cagnolini per scagionarli dalla galera per qualche furto di basso rango. E poi ci sono molti lavori onesti che non comprendono il rubare- sibilai. Lui ridacchiò con voce scura, appoggiandosi una guancia sulla mano e fissandomi divertito.
-Detto da te è strano. Dovresti essere la prima a capirla. Forse voi due dovreste parlare chiaramente per una volta. Vai a fare una chiacchierata con lei, spiegale come stanno le cose e passate un po’ di tempo insieme. Provate a fare una pazzia per una volta. Potresti insegnarle i segreti del mestiere-.
Alzai un sopracciglio. -Stai scherzando, non è vero?- ringhiai scocciata. Lui alzò i palmi delle mani davanti a me.
-Non ho mai detto che dovete entrare in un museo e svaligiarlo. Anche un negozio di giocattoli andrebbe bene-. Mi accarezzò l’avanbraccio sorridendo. -Forza, vai a parlarle. Credo che ormai si sia data una calmata-. Risposi al gesto e sorrisi debolmente.
-E va bene-. Mi diressi nuovamente al piano superiore e bussai per l’ennesima volta alla porta di Amethist. Silenzio. -Mobius chiama Ame, rispondi!-  Provai ad aprirla, ma non si mosse di un solo millimetro. ‘’Chiusa a chiave’’. Iniziai a sentirmi inquieta. Scesi velocemente le scale e uscii dalla porta  principale che dava sul giardino. Mi diressi dal lato opposto della casa e diedi un rapido colpo d’ali, cominciando a volare fino al secondo piano. Atterrai sul balcone della sua stanza e cercai di aprire la finestra: si aprì senza alcun problema. ‘’Perché non era serrata?’’ Entrai velocemente, e mi si gelò il cuore. Non c’era nessuno. Mi guardai intorno, cercando una qualsiasi traccia di mia figlia. -Amethist?- la chiamai. Non ricevetti risposta. Guardai dentro l’armadio, sperando di trovarvela nascosta dentro. -Amethist?!- dissi più forte. Scesi immediatamente nel giardino e entrai in casa sbattendo la porta.
Knuckles si voltò, guardandomi leggermente sorpreso. -Allora, com’è anda…-
-Non c’è- dissi in un soffio. Lui mi guardò stranito.
-In che senso non c’è?- chiese con un sorrisetto nervoso.
-Non c’è. Non è nella sua stanza- bafugliai. Lui strabuzzò gli occhi, impallidendo.
-Ieri ti ha detto che andava da qualche parte?- chiesi.
-No-. Ci guardammo per qualche secondo in un silenzio inquietante.
-Tu cercala nelle vicinanze, io vado a Station Square. Teniamoci in contatto. Forse so dove trovarla- dissi, con il cuore e la testa immersi nella paura che mia figlia se ne fosse andata. 

***
-Buongiorno- dissi in tutta fretta rivolta al commissario. Lui mi guardò confuso, inarcando un sopracciglio.
-Buongiorno…?-
-Devo pagare la cauzione di Amethist- mormorai. Mi guardò ancora più confuso di prima.
-Amethist? Questa notte non siamo intervenuti per nessun furto nei paraggi. Non abbiamo messo in cella sua figlia- disse, stringendosi nelle spalle.
Mormorai un veloce ringraziamento e uscii dalla centrale. ‘’Amethist… dove sei?’’ 

***
Amethist
Era ormai sopraggiunta la sera, e io avevo ben chiaro in testa cosa dovevo fare.
Di li a poco avrei dettato loro le mie leggi. Nessuno poteva rapirmi e sperare che non ci fossero conseguenze. Sentii dei passi avvicinarsi con una frequenza che avevo imparato ad odiare in meno di due giorni.
Bussarono alla porta e subito dopo una voce femminile riecheggiò nei corridoi: -Ragazzina. Ehi, mi senti?-
-Come se potesse esistere un modo per non riuscirci…-
Lei perse la pazienza molto in fretta. -Stai attenta a non tirare troppo la corda! Il capitano desidera limitare il più possibile la morte di ostaggi- mi minacciò.
Leggermente intimorita, ma desiderosa di mantenere la calma, mi sedetti composta sul letto, in attesa di ascoltare cosa aveva da dirmi Lady Bracconiera una volta entrata nella stanza. Aprì con foga la porta, richiudendola con poca delicatezza dietro di sé.
Incrociò le braccia, guardandomi con aria truce. -Spero che tu ti sia finalmente decisa a darmi una risposta- ringhiò. Io annuii.
-Finalmente- esclamò lei. Ghignai, alzandomi dal letto e avvicinandomi di qualche passo alla rondine.
-Sono disposta a farlo... a delle condizioni-.
Lei ridacchiò guardandomi con aria di sufficienza. -Tu? Porre delle condizioni a noi?- rise. Poi mi guardò seria. -Non sei nella posizione per poter contrattare-.
Serrai la mascella con rabbia a stento trattenuta. -Almeno dammi la possibilità di provarci-. Lei ci penso per un attimo.
-Va bene-.
Mi schiarii leggermente la voce. -Sarò disposta a contattare i miei genitori a patto che voi mi insegnate a usare quelle tavole- dissi.
Sulla sua faccia comparve un’espressione confusa. -Non vedo il motivo di questa richiesta. Si può sapere perché ti interessa imparare ad usarle?-
-Voi siete dei rapitori e dei ladri da quel che ho visto, e usate quelle tavole. Forse potrebbe essere utile anche per me imparare qualcosa in più su di loro. E poi… voglio che voi mi insegnate a rubare con quegli affari, oltre che saperli utilizzare-. Mi misi le mani sui fianchi. -Queste sono le regole. Prendere o lasciare-.
Sentii un moto di soddisfazione pervadermi le vene. Ero certe di essermi fatta finalmente valere. Ormai era fatta. 

***
-Lasciami andare immediatamente!- strillai a pieni polmoni. Mi dibattevo, cercando di liberare le spine dalla stretta di quella strega, che camminava a passo veloce per i corridoi.
-Lasciami, ORA!- gridai con un ringhio proprio nel momento in cui lei mi spinse all’interno della stessa cabina in cui avevo incontrato il falco.
Alzai con fatica la testa, ancora trattenuta dalla stretta della donna. -Jet!- ringhiò lei-.
-Wave, quante volte sei venuta nel mio ufficio oggi soltanto per lamentarti? Per caso sei in quel brutto periodo del mese?- chiese con un sorriso ironico il falco.
Lei mi tirò i capelli con rabbia, costringendomi a reclinare all’indietro la testa e ad avanzare fino alla scrivania del falco e portandomi giusto davanti a lui. -Non fare l’idiota e ascoltami. La nostra ospite avrebbe qualcosa di cui parlarti. Ha una proposta da fare-.
Il falco incrociò le mani, appoggiandovi il becco sopra e guardandomi. -Interessante. Che tipo di proposta avrebbe aizzato la nostra bambolina spacca-tavole?- chiese con un sorriso sbruffone.
Ripetei le stesse cose che avevo detto poco prima alla rondine e osservai la reazione dell’uomo. Lui annuiva pacatamente ad ogni cosa che gli dicevo, guardandomi attentamente e rimanendo in silenzio. Quando finii si mise a sghignazzare, fino a prorompere in una vera e propria risata.
-Aspetta un secondo,- mormorò tra le risate, asciugandosi gli occhi. -mi stai dicendo che prima spacchi le nostre tavole, poi mangi a sbafo da noi e pretendi pure di farti dare delle lezioni di guida gratis?- Afferrò qualcosa da sotto la scrivania. Sentii scatenarsi la pelle d’oca su tutto il corpo quando capii cosa fosse. ‘’Un coltellino’’. Me lo puntò sul collo, in direzione perfetta per potermi recidere la giugulare.
-Hai fegato ragazza. Troppo fegato per una prigioniera- disse, avvicinandosi leggermente vicino a me. Cercai di resistere all’impulso di tirargli un pugno e lo guardai, congelata.
-E la cosa mi piace!- urlò a qualche centimetro dal mio orecchio. -Affare fatto!- strillò allegro, allontanandosi di scatto e afferrandomi una mano, scuotendola con enfasi.
-Jet?!- urlò incredula la rondine. -E sentiamo, chi si dovrebbe preoccupare di istruirla? Dovrebbe essere una fonte di guadagno, non di disagi!-.
Il falco, trasudante di allegria da ogni poro, le mise una mano sulla spalla. -Tu, ovviamente-.
-Che cosa?!- urlammo entrambe all’unisono.
-Mi sembra che finora abbiate avuto un buon rapporto-. Mi guardò con un sorriso. -Con te è stata molto gentile e simpatica. L’ho vista fare di peggio-.
Lei strinse i denti, guardandolo infuriata. -Tu sei pazzo Jet!- strillò, trascinandomi fuori dall’ufficio. -Sei molto peggio rispetto a quando avevi quattordici anni!- Chiuse di botto la porta, portandomi con sé e borbottando delle imprecazioni per tutta la strada fino alla mia stanza. Mi spinse dentro con violenza, rischiando di farmi inciampare.
-Piantala di spingermi!- sibilai stizzita.
-Tieniti pronta, inizieremo gli allenamenti molto presto. Fino a quel momento riposati-. Se ne andò rapidamente, sbattendo la porta e chiudendola a chiave. Quella vecchia pazza non aveva la più pallida idea di con chi avesse a che fare. Mi buttai sul letto, coricandomi a pancia in giù e sorridendo soddisfatta. ‘’Ce l’ho fatta. Ce l’ho fatta!’’ esultai. ‘’Mamma… ora vedremo chi è la ladra abile tra le due’’.
Non passarono neanche cinque minuti che sentii scattare la serratura della porta. La Strega apparve in tutta la sua presunzione, avvicinandosi verso di me. Mi tirò di nuovo le spine sulla testa, buttandomi giù dal letto. 

***
-Lasciami andare immediatamente!- sillabai, rossa dalla rabbia. Stetti per ricominciare ad urlare, quando le parole mi sembrarono morire in gola. Eravamo uscite sul ponte della nave, e davanti a me non si più estendeva per chilometri e chilometri l’oceano, ma un immenso cielo pezzato di nuvole. Mi sentii mancare il fiato. La Pazza mi lasciò dalla sua presa micidiale, e io mi aggrappai istintivamente alla ringhiera più vicina a me.
-Stiamo volando- borbottai senza fiato. Ecco perchè avevo sentito tremare la nave quella volta... 
La rondine si diresse al centro del ponte, dove si trovava una piccola leva. La tirò, e improvvisamente, tutto il ponte iniziò a trasformarsi. In alcuni punti, il pavimento si aprì, e quella che sembrava più le rotaie di delle montagne russe che una pista si alzava lentamente dal buco venutosi a creare. Il posto sembrò diventare un campo di corsa di piccole dimensioni, ondulato e stretto.
-Qui è dove ti allenerai- mi disse la donna. Mi si avvicinò, posandomi tra le mani una di quelle tavole, mentre lei ne teneva sottobraccio una fucsia.
-Prima cosa: queste non si chiamano ‘’tavole’’, ma Extreme-Gear. E ora sbrigati a salirci sopra-. La posai a terra, facendo come mi aveva detto lei.
-Come si attiva?- chiesi. Lei sospirò, girandomi intorno e fermandosi dietro di me.
-Lascia, faccio io-.
-Aspetta, non intendi spiegarmi niente di come si faccia a manovrarla?-
Lei ghignò divertita. -Credo che il modo migliore per imparare sia farlo sul campo-. Pestò il retro della tavola, facendole fare frizione con il suolo. Scattai in avanti, partendo all’improvviso.
Mossi convulsamente le braccia nel vuoto, cercando in tutti i modi di mantenermi in equilibrio. Dopo essermi abituata al vento che mi sferzava contro e agli ondeggiamenti del Gear, riuscii finalmente a mantenere una rotta stabile. Mi rilassai. Ci stavo riuscendo. Davanti a me vidi una curva. ‘’Ok, facciamolo’’. Mi sporsi di lato, cercando di girare. Ma qualcosa era andato storto, e la tavola uscì di pista. All’improvviso sentii mancare il contatto dei miei piedi con la tavola. Stavo cadendo... dalla nave. Urlai, e vidi che mi stavo avvicinando molto velocemente al mare. Provai un dolore acuto alla testa, e la mia discesa nel vuoto si fermò all’improvviso. Alzai gli occhi, e vidi che la rondine, in sella al suo Gear, mi aveva afferrato appena in tempo per le spine.
-Ti ho presa- affermò vittoriosa. Quando guardai giusto di fronte a me, notai che il ponte sembrava essere sparito, e che la carrozzeria della nave possedeva lo stesso colore del cielo. ''Com'è possibile?''
-Come puoi vedere non sei ancora così tanto abile da poter fare la spavalda con noi. Trova un po’ di umiltà-. Mi sollevò fino alla sua altezza, e poi mi lanciò sul ponte.
Avevo lo scalpo dolorante, e la botta mi aveva procurato qualche livido sulle gambe. Eppure, ero indecisa se insultarla o ringraziarla. Sindrome di Stoccolma? La sentii sfogarsi in una grassa risata, prima che si rivolgesse di nuovo a me
-Questo era un avvertimento. Ormai anche la seconda tavola è andata. Ma dalla terza in poi peserà tutto sul conto dei tuoi.- Subito dopo si avvicinò a me, guardandomi dall’alto verso il basso. -Consideralo un incentivo all’impegno.- La vidi riprendere la serietà in un secondo mentre mi diceva quelle controverse parole d’incoraggiamento. Subito dopo si chinò verso di me, porgendomi la mano -Alzati, questo è solo l’inizio- Mi disse freddamente, ma con un accenno di noia nella voce, che probabilmente si era andato a sostituire all’ira di poc’anzi. -Torna nella tua stanza, e rifletti su ciò che ti ho appena detto. Domani ne riparleremo.- Fantastico. Mi ero trovata un'altra persona uguale a mia madre, forse anche peggiore. 

***
Ormai era notte, ed ero stanca. Sarei andata a dormire a breve, finché non sentii un'altro inaspettato bussare ala porta. 
-Senti, strega, so che sei tu, sappi che non ho pensato nemmeno un pò alla tua ramanzi...- Guardai dallo spioncino, e rivedetti quell'energumeno di quache giorno fa. -...na?- 
-Veramente io mi chiamo Storm-. 
-Io...ti chiedo scusa, pensavo che fossi qualcun'altro. Aspetta, che ci fai tu qui?- Sembrava piuttosto imbarazzato a seguito di questa domanda, per motivi che mi inquietava non sapere. 
-Beeeh...avevo finito i lavori, per oggi, e, poiché potresti stare con noi per un bel pò, volevo fare una chiacchierata!- Come ho già detto, ero stranita da quello strano comportamento. 
-Sssi...va bene, ma domani avrei una giornata pesante, quindi...- 
-Oh, solo cinque minuti...Ti prego!- cominciò a supplicarmi. 
-Uff...ok, ma...cinque minuti...e tu rimani fuori, chiaro?- 
-Chiaro, ricevuto-. Mi misi in ginocchio, preparandomi a levarmi quella seccatura 
-Beeene... di cosa vuoi parlare?- 
-Oh, eeehh...cavolo. Di solito gli altri mi mandano via quasi subito, quindi mi aspettavo che sarebbe finita allo stesso modo anche con te. Ero impreparato per l'argomento-. Ok, quel tipo non era un malintenzionato, era solo un'idiota. Avevo l'opportunità di mandarlo via ed andare a dormire, perché? Perché?! 
-Allora comincio io, eeh...tu cosa fai qui? Tipo, pulisci le toilettes, cucini la sbobba...? Eh...?- 
-Oh no, non solo quello. Mi occupo anche del magazzino e delle pulizie generali-. Bene, stavo facendo amicizia con lo sguattero di bordo. Ma in fondo, mi sembrava piuttosto innocuo. Abbastanza da poter aprire la bocca un pochino più del dovuto. 
-Senti, tu non hai degli amici?- mi chiese, incuriosito da quello che poteva sentire. 
-Io? Definisci "amici"- dissi,  ironicamente. Le compagnie che frequentavo non erano esattamente le migliori per trovarsi un amico del cuore. 
-Persone da cui andare quando hai dei problemi. O quando ti annoi-. Distolsi lo sguardo per un istante, poi lo riguardai con un'occhiata molto meno diffidente rispetto a prima. 
-Beh, sì, se la mettiamo in questi termini. Diciamo che, però...avevo bisogno di capire delle cose-. 
-E non potevi chiederle a loro? Suppongo che gli amici servano anche a questo-. 
-Eh. Non so se la parola "amici" è la più appropriata in questo momento, ma no...loro non avrebbero capito.Non lo fanno di solito-. 
-Per me avrebbero capito, se ci avessi provato-. Adorabile, mi chiesi perché non ci avevano ancora fatto una linea di pupazzetti kawaii di quel tipo. Poi decisi io di cominciare a parlare 
-Dimmi un po'. Quella tipa, la strega, fa sempre così?- 
-Quale tipa?- 
-L'unica tipa che avete a bordo...- 
-Oh, Wave! Oh, lei non è una strega, è la vice-capitano. Lo so che può sembrare un po' aggressiva la prima volta, ma sia io che il capitano le affideremmo a nostra vita se fosse necessario-. ''Forse, considerando che è anche l'unica persona con un barlume di affidabilità su questa nave...'' 
-L'unico motivo per cui è così dura con te è perché vuole prepararti al meglio per...in cosa vi state allenando, già?- 
-Extreme Gear-. 
-Oh, cavolo, così è molto peggio!- Probabilmente, vedendo il mio spavento a riguardo, si corresse leggermente. 
-...Ma, ma non ti preoccupare! Sono certo che ti preparerà al meglio!- Già, ne ero certa. Non so ancora come fu possibile, ma finimmo per parlare per delle ore, finché lui non smise improvvisamente di parlare. Si era addormentato. E anch'io avevo bisogno di dormire...

***
Mi svegliai al violento bussare della porta. Sapevo bene chi era. Mi alzai, aprii di tutta fretta e me la trovai davanti. Ci guardavamo con sguardo di sfida, senza nemmeno salutarci. Nemmeno nella maniera più formale e distaccata.
-Seguimi. Conosco un posto più adatto alle tue… capacità.- Stavolta muovendomi senza nessuno a trascinarmi per le spine, ero terrorizzata da ciò che avrei trovato una volta giunta  a destinazione… forse era per quello che l’adrenalina mi scorreva nel sangue, muovendosi per tutto il mio corpo, in contrasto con quella piacevole e disturbante sensazione di affrontare qualcosa di nuovo.
Scendemmo le scale di tutta la nave, e in quel mentre, mi venne da farle una domanda. -Voi siete…tipo dei pirati, giusto? Come fate a volare in giro per il mondo senza farvi notare da nessuno? Se ricordo bene da queste parti siamo ancora in giurisdizione della G.U.N.-
-Dici bene. Ma mi sembra inopportuno che tu chieda qualcosa di così confidenziale proprio a me. Potevi tentare con Storm…- Capii che era il momento di stare zitti, quando ricominciò a parlare senza preavviso.
-Specchi mimetici. Riflettono la frequenza di raggi solari soprastanti alla nave, espandendoli a tutta la sua superficie. In pratica, la nave assume lo stesso colore del cielo. La notte scorsa abbiamo avuto un guasto, per questo siamo atterrati-. Rimanemmo in silenzio per il resto della discesa, arrivando fino al suo fondo.
Era completamente buio, e non riuscivo a vedere ad un palmo dal mio naso.
-Benvenuta nella stiva della nave-. Schiacciò un piccolo interruttore, che accese le varie luci. -O meglio definita: la Sala d’addestramento per principianti. O per persone troppo pigre per uscire sul ponte quando è inverno- disse, mostrandomi con un gesto del braccio il nuovo ambiente. Era una stanza enorme, che occupava tutta la stiva. Sembrava un comune percorso ad ostacoli come quello che avevo visto poco prima, ma questo, al contrario, era di dimensioni ridotte e più semplice, senza troppe curve e intralci. Appesi ai muri, si potevano vedere distintamente dei Gear di vari colori. Mi diressi verso uno di questi, facendo per afferrarlo.
-No- mi fermò la rondine. -Tu non sei ancora pronta per quelli-. Mi porse due bacchette e altrettanti piatti, sorridendo furbetta. -Ma questi sono più che perfetti per una come te-.
Li afferrai titubante, rivolgendole un’occhiata confusa.
-Se vuoi imparare a guidare i Gear, dovrai prima capire come starci in equilibrio sopra-. Ghignò, sinceramente soddisfatta. -Fai ruotare quei piatti sulle bacchette. Quando riuscirai a non farne cadere neanche uno, vorrà dire che avrai appreso appieno la postura e l’equilibrio che devi mantenere quando sei su un Gear-.
‘’Che cosa?!’’ La guardai con la bocca semi-aperta. -Mi stai prendendo in giro?!-
Lei si sedette sul pavimento. -Spiacente ma no. Buon lavoro-. Ero incredula, ma determinata a riuscire nel mio intento. I piatti non erano così leggeri come sembravano. Le bacchette, invece, lo erano un po’ troppo. Avevo difficoltà a capire come dovevo iniziare.
-Non ti preoccupare. Di solito le prime ore sono dedicate ad iniziarli a far girare. POI, potrai iniziare il vero addestramento-.
 La rabbia e la noia si fondevano nei miei nervi, mentre cominciava a farsi largo nella mia testa il desiderio di mandarla al diavolo. Misi i piatti sopra le bacchette, cominciando ad imprimere un approssimato movimento rotatorio alle bacchette, sperando che i piatti non cadessero. Speranza che si spezzò in tanti, piccoli pezzi di ceramica sparsi sul pavimento. -Ricomincia- mi ordinò lei.
… Evidentemente ci sarebbe voluto un po’ di tempo.

***
Rouge
Avevo cercato ovunque: in tutte le gioiellerie della città, in ogni museo, in ogni carcere. Ma non ero riuscita a trovarla da nessuna parte. Estrassi velocemente il cellulare dalla tasca dei pantaloni, componendo il numero di Knuckles. Rispose immediatamente.
-L’hai trovata?- mi chiese, la voce piena di preoccupazione.
-No-. Avevo il cuore in gola per la paura.
-Rouge, l’ho cercata per tutta l’isola, anche a Mistic Ruins. Non ho la più pallida idea di dove possa essere, non ha lasciato nessuna traccia-. Mi guardai intorno. Ormai si era fatto buio. La mano che teneva il cellulare mi tremava.
-Vado a fare denuncia alla polizia- mormorai con un filo di voce.
-Ti raggiungo-.
-No, resta lì. Amethist potrebbe farsi viva-.
-…Va bene-.
Stemmo in silenzio per qualche secondo. -Se non torna entro questa sera, ho intenzione di rimettermi in contatto con dei miei vecchi amici- affermai.
Knuckles non mi rispose immediatamente, zittendosi. -Rouge, stai attenta. Non fare sciocchezze-.
-…Sì. Tienimi informata-. Chiusi la conversazione e mi diressi con convinzione verso la centrale di polizia più vicina. ‘’Ti prego, fa che stia bene. Fa che la mia bambina stia bene’’. 

***
Anche per quella notte Amethist non si fece vedere. Io e Knuckles eravamo rimasti svegli per tutto il tempo, sperando che lei ritornasse a casa.
Ma non era successo. Non riuscivo a provare sonno, nemmeno nei rarissimi attimi in cui sbattevo le palpebre. La polizia non ci aveva ancora fatto avere alcuna notizia. Non potevo attendere oltre, ogni secondo era vitale. Ma non potevo passare per una barbona nel luogo dove stavo per andare. Mi detti una ripulita, e poi mi preparai. Mi vestii con un vecchio completo nero da segretaria che utilizzai tempo addietro per infiltrarmi nella sede di una multinazionale. Presi dal comodino qualche utensile che mi sarebbe potuto essere utile, e mi preparai per partire, quando Knuckles mi fermò.
-Mentre tu sarai via, io continuerò le ricerche a modo mio. Potrei trovarmi in luoghi improbabili, quindi non preoccuparti se non riusciremo a contattarci, va bene?-
Annuii. -Va bene.- Poi mi fermò un’altra volta, afferrandomi la mano
-Non finire nei guai Rouge. Non voglio rischiare di perdere anche te…- Nell’udire quelle parole, ritrassi di scatto la mano e alzai la voce.
-Lei non è persa!- Knuckles chinò il capo, lo sguardo pieno di dolore represso. Rimanemmo in silenzio qualche secondo, quando lui alzò nuovamente la testa, rispondendomi.
-Sì. Hai ragione. Ma fai attenzione-.
Risoluta, prima di entrare in azione, replicai: -L’attenzione ce l’ho nel sangue-.  

***
Guardai per qualche secondo l’edificio che si parava davanti a me, in tutta la sua magnificenza e inquietante eleganza. ‘’La base della G.U.N. Alla fine ci sei ritornata.’’ Respirai profondamente, incamminandomi. Superai la porta scorrevole e mi diressi immediatamente verso la reception.
-Ho bisogno di incontrare il Comandante- dissi alla segretaria lì presente, sperando che non mi avrebbe creato problemi.
-Certo, ma… mi scusi, lei chi sarebbe? Ha forse un appuntamento?-
-No, ma sono certa che la cosa si possa risolvere-. Le mostrai la mia vecchia tessera d’agente. Mai lasciare cercare al computer ad una novizia, si potrebbero creare delle complicazioni.
-Lei è un ex-agente, Rouge the Bat…dipartimento “Dark”? Era la sezione d’élite, prima che venisse sciolta-.
‘’ Purtroppo, su questo hai ragione’’. -Allora? Mi lascia passare?-
-Mi lasci solo controllare nel registro-. Ma queste giovani donne sono così attaccate alla tecnologia?
-Sì, è vero, lei ha lavorato qui. Ma oggi il Comandante è pieno d’impegni, se vuole la posso inserire per i prossimi giorni…-
La interruppi subito. -Mi inserisca anche all’ultimo posto se è necessario, ma si sbrighi, è urgente.- Riuscii a sbrigarmela alla fine. Dovevo solo sperare che non avessero spostato l’ufficio, d’altronde era passato diverso tempo. Presi l’ascensore, e mi diressi verso il piano superiore dell’edificio. Una volta arrivata a destinazione, davanti a me, nell’anticamera che mi avrebbe dovuto condurre senza problemi al mio obbiettivo, vidi una trentina di persone sedute su delle sedie lì vicino mentre leggevano tranquillamente delle riviste o chiacchieravano tra loro, in attesa che il Comandante le ricevesse. Mi sedetti in una sedia in disparte, sospirando stancamente. ‘’Non è possibile’’.

 ***
Aspettai cinque, interminabili minuti, in cui la mia mente non poteva far altro che ritornare al pensiero che ogni secondo in cui stavo seduta in quella sala, stavo perdendo tempo prezioso in cui mia figlia stava possibilmente rischiando la vita. Mi alzai rapidamente, camminando con furia verso la dannata porta del dannatissimo ufficio. La aprii di scatto, facendola sbattere violentemente.
Dietro la scrivania del Comandante ritrovai un giovane ragazzo di al massimo trent’anni, capelli castani e corti e occhi verdi e penetranti.
Lui e un altro uomo, seduto dalla parte opposta, mi guardarono confusi.
-Lei chi è?- sibilò Gibson, continuando a stare seduto e composto sulla sua sedia.
-Ho bisogno del suo aiuto- dissi.
-Non credo che il suo sia uno degli atteggiamenti più adatti per chiedermelo-. Scosse sconsolato la testa, schiacciando un pulsante sulla sua scrivania. -La sicurezza si diriga…- mormorò annoiato. Poi la sua espressione cambiò, e smise di parlare. Mi guardo con più attenzione, stringendo gli occhi per osservare meglio il mio volto.
-Un momento…- Il suo volto si illuminò, e rischiacciò il pulsante. -Ritiro l’ordine dato- disse secco. Si rivolse all’altro uomo, facendogli un gesto verso l’uscita. -Continueremo il nostro discorso tra una ventina di minuti-. Appena l’uomo uscì dalla stanza, borbottando nervosamente qualcosa, Gibson mi invitò a sedermi.
-Io la conosco. Lei era una nostra ex-agente, membro del Team Dark- borbottò.
-Sì. E sono venuta qui per chiederle aiuto-. Lui alzò un sopracciglio.
-Che genere di aiuto?-
-Mia figlia è scomparsa-.
Lui incrociò le braccia, appoggiandosi allo schienale della sua sedia. -Quindi lei vuole…?-
-Dovete aiutarmi a ritrovarla- sibilai scocciata.
-Non posso-. Mi sentii gelare il sangue, e fissai quella sottospecie di bambino ad occhi strabuzzati.
Iniziai ad estrarre di nascosto dalla tasca uno dei miei utensili preferiti, adatti alla persone che non volevano collaborare: un rossetto. -Gibson, mi ascolti…-
-No, mi ascolti lei. Non posso assolutamente sprecare parte delle mie risorse per una faccenda mirata al ritrovo di una ragazzina andata a gironzolare chissà dove-.
Abbassai lo sguardo, consapevole che il mio rapporto con l’agenzia governativa stavolta non sarebbe servito a nulla. Alzando lo sguardo, mi rivolsi a lui con aria quasi supplichevole -E lei cosa crede che dovrei fare?-
-Ha provato a rivolgersi alla polizia?-
-Sì. Ma non so quanto possano essermi utili-.
-Allora le conviene avere fiducia. So che in questo momento le sembro un orco, ma se lei fosse a conoscenza della nostra situazione attuale potrebbe capirmi-.
-E lei non sta provando a capire come mi sento io, in questo momento, mentre le mie ultime speranze si stanno volatilizzando?!- Dopo che fece un attimo di silenzio, in cui forse cercava di digerire ciò che stava per dirmi di li a poco, mi rispose.
-Il mio lavoro mi impone delle scelte. E mi indirizza sempre verso la strada da seguire. Non posso aiutarla, Bat-.
Mentre era distratto, da sotto la scrivania, sparai un piccolo dardo soporifero, che andò a conficcarsi nella gamba del Comandante.  

***
Dovevo fare in fretta, il sonnifero che gli avevo somministrato aveva principalmente lo scopo di affievolire i nemici per poterli paralizzare, quindi la sua durata era molto breve. Inoltre, anche se Gibson sarebbe rimasto buono per un po’, chi aspettava fuori dalla porta si sarebbe spazientito presto. Cominciai a perquisirlo, cercando nelle tasche il migliore amico di un Comandante. Lo rimisi in una posizione tale da far sembrare che si fosse addormentato sulla scrivania… cosa  che effettivamente stava facendo. Non che servisse a molto, ad essere sinceri. Fissai rimirante l’oggetto delle mie ricerche: il passpartout della G.U.N., un oggetto che ogni comandante doveva tenere con sé per poter accedere a qualsiasi area della base in qualsiasi momento da questi ritenuto opportuno.
Uscii rapidamente dalla stanza, camminando a testa alta verso l’ascensore. Schiacciai il tasto per il piano 53: sala sezione d’utenza satellitare.
Dopo un interminabile minuto, le porte si aprirono. Schizzai fuori, trovandomi nei soliti, monotoni corridoi grigi. Andavo a memoria, sperando, come prima, che tutto fosse ancora al suo posto, ed effettivamente era così. Una volta davanti alla porta che cercavo, passai la tessera nella serratura elettronica. La luce verde che emise fu il segno che potevo passare. Mi ritrovai in una larga sala con degli enormi schermi di computer sui muri. Le persone trottavano frenetiche con centinaia di documenti tra le mani o osservavano gli schermi con aria assorta.
Io sarei passata inosservata solo finché non avessero mandato un avviso generale sulla mia presenza, quindi presi subito i miei occhiali da sole. Non perché mi avrebbero tenuta nascosta, ma per una loro  particolare proprietà: potevano immagazzinare e registrare immagini, anche in movimento. In breve erano praticamente delle macchine fotografiche che non davano nell’ “occhio”. Comunque sia, conosco le abilità di mio marito: se Amethist si fosse semplicemente allontanata, o fosse stata presa da un gruppetto di delinquenti qualunque, lui sarebbe quantomeno riuscito a trovare degli indizi nelle vicinanze. Quindi dovevano essere dei banditi seri. Quindi, la G.U.N. sarebbe stata la prima a tenerli d’occhio, anche via satellite se necessario.
Cominciai a cercare computer che fossero liberi, senza fortuna. Le mie camminate si facevano poco a poco spasmodiche, segno forse che il tempo aveva corroso la mia capacità di mantenere la calma in situazioni di pericolo. O forse perché questa situazione era insostenibile anche per me.
Poi qualcosa catturò la mia attenzione: l’immagine di una nave a mollo sul mare, non molto definita poiché coperta dal manto di tenebre della notte. Molto probabilmente era ferma, visto che non notavo scie d’acqua in movimento di alcun genere. E guardando meglio, vidi una macchiolina un po’ più chiara, a qualche metro di distanza dalla nave. Più le immagini scorrevano, più quella ‘’macchia’’ si avvicinava al ponte, fino a salirvi sopra.

L’avevo trovata. Era lei. Iniziai a scattare foto della nave, sperando che, per curiosità, gli agenti avrebbero zoomato su quel puntino bianco per capire cosa stava svolazzando lì vicino. Non successe. Probabilmente la confusero con un gabbiano. Comunque, io speravo che non fosse un gabbiano con delle ali strane. Improvvisamente, un allarme colorò di rosso l’ambiente: -Attenzione, intruso nell’edificio, rimanere allerta. Segnalate ogni individuo sospetto  immediatamente…Attenzione…-. Mentre la gente cominciava a guardarsi attorno spaventata, alcuni avevano già cominciato a puntare lo sguardo su di me, segnale che mi convinse ad andarmene. Cominciai a marciare velocemente, ripercorrendo la strada che avevo fatto poco prima, e mi diressi verso la porta d’uscita della stanza. Poco prima che potessi aprire la mia unica via d’uscita, questa si aprì da sola, e subito dopo un uomo in divisa da poliziotto, una guardia di livello basso, mi puntò una pistola contro.
-Ferma dove sei, tieni le mani dove possa vederle!- strillò. Era evidente di come il Comandante si fosse già ripreso. 
-Qui agente sezione d’utenza satellitare numero 2. Ho preso l’intrusa, mi preparo ad immobilizzarla-.
In quel breve lasso di tempo mi sbilanciai e tirai un calcio all’arma, disarmando l’uomo, per poi colpirlo con un altro calcio sul ventre e facendolo cadere a terra. Dovevo aver perso un po’ di manualità con il passare degli anni, perché non mi accorsi immediatamente che la guardia si era alzata e si era armata di un taser. Cercò di colpirmi con esso, rilasciando il cavo elettrico dell’arma, ma riuscii a schivarlo appena in tempo. Quindi lo colpii con un calcio dietro i polpacci per fargli perdere l’equilibrio, facendolo crollare sulle ginocchia e dandogli il colpo di grazia con una testata sul cranio che gli fece perdere i sensi. Presto sarebbero arrivati i rinforzi, quindi cominciai a correre. Ormai avevano capito chi era la persona di troppo. Misi in tasca gli occhiali per proteggerli. Erano la mia unica speranza per poterla ritrovare.
-Ferma!- strillarono alle mie spalle. Presi dalle tasche dei piccoli dischetti e li attivai, schiacciando un piccolo pulsante sopra di essi. Li lanciai contro la vetrata distante qualche metro da me.
-Ferma! Non costringerci ad aprire il fuoco!- Mentre mi urlavano contro, sentii il picchiettare del vetro, segno che cominciava a rompersi sotto l’effetto dei dischi ad ago di titanio. Quello che sembrava il leader cominciò ad avvicinarsi a me molto velocemente. Fortunatamente, sotto la divisa aveva portato con me gli indumenti che un tempo indossavo durante i miei colpi. Mi rimossi la parte superiore della veste, lanciandola contro quel ‘uomo. Quando cominciarono a spararmi contro, in un azione rapidissima, io stavo correndo contro la finestrata, saltando poi verso di essa. L’impatto con il mio corpo la distrusse, dopo che fu indebolita, e potei finamente saltare giù. Mentre ero in discesa libera, aspettai qualche secondo, poi aprii rapidamente le ali, cominciando a riprendere quota, mentre i soldati cercavano di colpirmi a distanza. Ma non era finita. Sapevano chi ero e dove vivevo ora che avevo la fedina penale pulita. Dovevo allontanarmi, e avvertire Knuckles di allontanarsi da Angel Island. Sapevo esattamente dove andare.

***
Tails
Ce l’avevo fatta, finalmente. Dopo settimane di studi infiniti e giornate intere passate sopra al microscopio, avevo ciò che Shadow voleva! Ciò che caratterizzava gli alieni era una moria di cellule dieci volte più lenta rispetto a quella dei mobiani. Tutto questo ero garantito da un particolare enzima presente nel loro apparato circolatorio, che nutriva le cellule. Ciò dava loro un’aspettativa di vita pressoché infinita, forse uno dei motivi per cui erano inclini ad invadere altri pianeti, considerata la loro illimitata tendenza alla riproduzione asessuata. Shadow, ovviamente, era provvisto dell’enzima per via genetica.
Era bastato semplicemente trovare un modo per rimuoverlo dal loro sangue, una fatica che mi ricorderà di non avere mai più a che fare con la biologia. Quello che mi rimaneva da fare era  aspettare di essere contattato da Shadow.
Poco prima che potessi tornare al lavoro, sentii il campanello di casa suonare e, pensando che fosse qualche agente della G.U.N. che stava per darmi l’ennesimo ultimatum per farsi restituire i campioni del sangue di Black Arm che avevo preso in prestito, mi affrettai ad andare ad aprire. Afferrai con violenza la maniglia della porta, senza nemmeno guardare dallo spioncino a causa del nervosismo che mi pervadeva in quel momento. 
-Ok, vi ho già detto che ho finito, ve li stavo… Knuckles? Rouge? Che ci fate qui? Che sorpresa…- Knuckles mi interruppe subito, quasi cercando di intimarmi il silenzio.
-Tails, ti prego, facci entrare. È un’emergenza-. Ovviamente non mi opposi; per Knuckles avrei fatto questo e altro. Non sapevo che stavano per rifilarmi un’altra gatta da pelare…

*** 
Amethist
Il piatto non era ancora caduto. Continuava a ruotare insistente e doveva continuare a farlo. Era il secondo giorno che continuavo a esercitarmi ininterrottamente con Wave che mi teneva bene d’occhio affinché non mollassi tutto sul più bello e scappassi chissà dove. Non chiudevo le palpebre da due giorni, e ormai i miei occhi non guardavano il piatto, ma il vuoto, nel disperato tentativo di non chiudersi. Erano passate cinque ore dall’ultima ora che avevo fatto cadere un piatto, spargendo i suoi pezzi per tutto pavimento. Ero ormai al limite e stavo per esaurire le poche forze che mi erano rimaste. Avevo fatto tutto ciò che il corpo di una diciasettenne poteva fare, e sapevo che il sonno avrebbe avuto la meglio su di me molto presto. I miei occhi si stavano chiudendo lenti e inesorabili.
-Basta così!- Li sbarrai improvvisamente, sentendo Wave sbraitare con la sua voce acuta, e il mio cuore sobbalzò. Feci saltare il piatto in aria, mentre ancora girava su sé stesso. Ma non pensavo che sarebbe finita male. Ad essere sincera, non pensavo affatto.
Lo seguii con lo sguardo, alzai la mano che impugnava la bacchetta, e il piatto, nonostante la sua pesantezza, sembrò appoggiarvisi delicatamente sopra. Non riuscivo nemmeno più a sentirne il peso. Continuò a girare con noncuranza.
-Ora sei pronta- disse con un sorriso di soddisfazione, o di felicità, stampati sul becco. Erano probabilmente dovuti alla stanchezza, visto che anche lei non chiudeva occhio da un paio di giorni.
Non ne vedevo l’importanza… in fondo, le streghe non provano sentimenti, no?.
-In che senso? Vuoi dire “pronta”, o “pronta pronta”?- bafugliai, un po’ incredula nel sentire quelle parole. 
-Pronta ad allenarti seriamente. Non illuderti, c’è ancora molto lavoro da fare con te-.
-Quando iniziamo?-
-Immediatamente-. Non potevo credere che stesse dicendo sul serio. Ero esausta, e lo sapeva perfettamente.
Ma l’immagine di mia madre che mi sfotteva sul quanto io fossi nulla al suo confronto continuava a tormentarmi la mente. E la stanchezza certo non aiutava a farla scomparire. -Beh, passami una tav…un’Extreme Gear-.
-Non qui-.
-E dove allora?-
-Lo sai bene dove…- Voleva farmi tornare sul ponte?
-Ma allora si può sapere perché mi hai portato su una pista più semplice se il tuo scopo era quello di non farmici nemmeno salire sopra?- Lei sorrise maliziosamente, mi si avvicinò e poi parlò. 
-Volevo solo illuderti che ti avrei reso la vita più semplice. Non abbiamo così tanto tempo, quindi sbrigati-. ‘’Ti odio, ti odio, ti odio!’’
Però, alla fine dei conti aveva ragione. Fu solo in que momento che mi resi conto che, per tutto il tempo in cui ero rimasta volontariamente prigioniera, non avevo pensato neanche lontanamente ai miei genitori. Non in modo approfondito, almeno. Wave mi lanciò tra le braccia un’Extreme Gear.
-Forza, diamoci una mossa-. 

***
-Io non credo di essere in grado di fare questa cosa. Non adesso. Negli ultimi giorni non ho chiuso occhio, sono troppo stanca- mormorai debolmente, osservando la rondine mentre tirava verso di sé la leva al centro del ponte della nave.
-Oh, non dire sciocchezze. Sei stanca, è vero-. Il percorso cominciò a materializzarsi sotto i miei occhi. -Ma sono certa che tu non vorrai cadere, non è così?-
Quando il campo d’allenamento si fu formato completamente, Wave si guardò intorno soddisfatta. -Bene!- Si voltò verso di me, alzando un dito per aria. -Ci sono delle regole quando sei sulla mia pista. La prima: non cadere. Sappi che non verrò più a salvarti-. 
Alzò un secondo dito. -Seconda: devi finire il percorso restandoci sopra. Come terza e ultima regola: non devi assolutamente arrivare al traguardo senza aver preso prima quel gioiello- disse, indicando quella che mi sembrava una piccola pietra appesa tramite un filo di ferro alla parte superiore del terzo percorso a chiocciola della pista. L’ultimo, per l’esattezza. Era posizionato giusto qualche metro prima della linea di arrivo.
La guardavo con un’espressione ebete, intontita, e veramente poco incline a continuare. Wave mi alzò l’avambraccio destro di scatto, il che mi fece svegliare. Poi mi tirò i capelli.
-Non mi aspetto che tu ce la faccia, stupida ragazza…- mi disse presuntuosamente, facendomi sobbalzare in modo impercettibile. Mi guardò fissa. -Dimostrami che mi sbaglio-. 
Mi diressi alla partenza di quella pista gialla. Imbracciai il Gear, lo appoggiai a terra, e ci salii sopra. Gli diedi un colpetto di tallone, e vidi la prospettiva alzarsi lentamente, senza che muovessi un solo muscolo. Lanciai un’occhiata verso il basso, e vidi che mi ero già sollevata dal suolo, senza essere scattata in avanti e senza aver perso l’equilibrio.
-Non chinarti, guarda davanti a te!- Ascoltai subito il suo consiglio. -Porta in avanti il busto, lentamente-.
Nonostante le prime difficoltà iniziali, riuscii ad avanzare a velocità spedita per tutto il rettilineo iniziale. E poi non ero ancora scivolata, quindi tutto andava perfettamente.
Poi arrivò il momento fatidico: la curva. La stessa per cui ero quasi caduta in mare la volta prima. Accelerai leggermente, mantenendo una traiettoria stabile.
-Stai attenta, non strafare!- urlò Wave. Non riuscivo a sentirla bene: ero troppo stanca per recepire il messaggio, e il suo urlo era per le mie orecchie poco più che un bisbiglio. Quando arrivai nel tratto critico, non riuscii a rallentare, e lo superai continuando ad andare dritta, nel vuoto. Le mie palpebre si alzarono all’improvviso. Guardai velocemente sotto di me, per vedere un immenso mare blu che mi stava invitando ad abbracciarlo e ad affondare tra le sue onde.
-Attenta!- strillò la rondine, la voce che si era fatta improvvisamente più acuta. Diedi una forte spinta con il piede al Gear, attivandone il propulsore. Una spinta improvvisa la fece scattare in avanti molto velocemente, riportandomi sulla pista. Il resto del percorso  fu relativamente semplice. Riuscii ad affrontare tutte le curve e i rialzamenti nel terreno senza troppi problemi. Evidentemente l’essere intontita mi faceva bene. Quando arrivai alla fine della pista, davanti a me si pararono le tre giravolte. ‘’Calma Amethist. Rilassati’’. Svuotai la mente e chiusi gli occhi. Pensai a qualsiasi cosa che mi venisse in mente che mi avrebbe fatto dimenticare di essere lì in quel momento.
Superai la prima giravolta. Un senso di vuoto mi pervase ogni vena del corpo per qualche secondo, solleticandomi, dandomi una sensazione d’impotenza eppure di controllo... dandomi la sensazione di volare. Dopo poco, tutto ritornò normale.
Provai a immaginare a come i miei genitori avrebbero reagito vedendomi ritornare a casa. Mi avrebbero strillato contro o mi avrebbero accolto di nuovo tra le loro braccia?
Superai anche la seconda. La sensazione di vuoto si ripresentò nel mio stomaco, questa volta. Era il turno del terzo e ultimo ostacolo.
Schiusi debolmente gli occhi. Il tempo sembrò rallentare. Ero stanca… molto. E non sapevo se quello che stavo facendo era la cosa giusta. Fui combattuta sul decidere se addormentarmi oppure aprire gli occhi in cerca della forza che mi serviva. ‘’Se riesci a prendere quel gioiello, avrai compiuto il primo passo per diventare una ladra. Una vera ladra’’.
Aprì con tutta la forza che mi rimaneva le palpebre e accelerai di scatto. -Al diavolo!- Ero nella parte più alta di quella pista a chiocciola, in quella breve sezione in cui ero perfettamente a testa in giù. Saltai all’indietro con la tavola, capovolgendola. Allungai un braccio per arrivare fino al gioiello e lo afferrai con forza, staccandolo da quel dannato filo. Riatterrai pesantemente sul pavimento, continuando ad avanzare rapidamente verso il traguardo e superandolo. ‘’Rallenta!’’ mi avvisò una vocina nella mia testa. Non appena mi accorsi della velocità spaventosa a cui stavo andando, raschiai la tavola contro il pavimento, cercando di creare attrito. Riuscii a fermarmi giusto qualche momento prima di andare a sbattere contro la parete.
Scesi dalla tavola e la tenni in mano posizionata verticalmente.
-Oh mio Dio, ce l’hai fatta!- strillò Wave correndomi incontro, presa dall’entusiasmo. Io la guardai spaesata, con un sorriso intontito sulle labbra.
-Eh…?- mormorai. La tavola si sgretolò improvvisamente sotto la mia presa. A malapena me ne accorsi.
-Ce l’hai fatta- ripeté Wave con un sorriso nonostante quella fosse la terza tavola che distruggevo.
-…Ce l’ho che…?- Risposi, combattuta tra il sonno e lo stupore
-Ce l’hai fatta, corpo di mille balene!- disse lei in un iniziale attimo di entusiasmo, dopo il quale cercò quasi di ricomporsi, come se avesse appena violato qualche protocollo. Poi sorrisi pacatamente.
-Bello. Ora scusa, ma svengo un attimino-. 

***
Furono le vibrazioni persistenti della nave a svegliarmi quella mattina. Aprii le palpebre a fatica, alzandomi a sedere sul letto. Mi guardai un attimo intorno, disorientata. Qualcuno mi aveva evidentemente portato nella mia stanza.
-Finalmente sei sveglia-. Mi voltai, e vidi Wave seduta su una sedia posizionata vicino al mio letto.
-Ciao- mormorai in uno sbadiglio sonoro. -Cosa ci faccio qui?-
-Quando abbiamo finito l’allenamento sei crollata addormentata sul ponte, quindi ti ho portato qui- rispose secca. -Se hai fame, lì c’è la colazione-. Fece un cenno a un vassoio posato ai piedi del letto. Mi ci fiondai praticamente sopra. Non ricordavo di aver mai avuto tanta fame.
-Wave?- borbottai con la bocca piena dopo qualche minuto di silenzio.
-Mhh?-
Buttai giù un boccone di cibo. -Cosa succederebbe se i miei genitori non avessero abbastanza soldi?-
Lei alzò dubbiosa un sopracciglio. -Perché mi fai questa domanda?-
-Mi uccidereste?-
-Beh, diciamo che saremmo costretti a tenerti per  ancora un po’ di tempo. Ma sono certa che i tuoi saranno in grado di trovare le finanze necessarie, giusto?- sospirò con l’accenno di un sorriso sulle labbra.
Io abbassai lo sguardo, ignorando il groppo in gola che si era appena formato. -Sì, giusto-.
-Comunque, non hai ancora rispettato la tua parte del patto. Come possiamo contattare i tuoi genitori? Hai un cellulare, no? Non abbiamo nemmeno potuto avvisare che siamo stati noi a prenderti. Saranno terrorizzati. Anche perché negli ultimi giorni sei sparita dalla faccia della terra. Almeno dimmi dove vivono-.
-Angel Island-.
Wave si irrigidì improvvisamente, gli occhi strabuzzati. -È dove si trova il Master Emerald- mormorò con il volto leggermente impallidito. Si fermò a osservarmi per qualche momento. Sembrava aver realizzato solo in quel momento un orribile verità. Si mordicchiò nervosamente l’indice, mettendosi a riflettere. Si alzò immediatamente dalla sedia e si diresse verso la porta.
-Ora devo andare a parlare con il capitano. Ci vediamo dopo- disse, chiudendosi rapidamente la porta alle spalle e senza aspettare il mio saluto. ‘’Cosa sta succedendo?’’ 

***
Storm
A volte non capivo proprio il capitano. Partiva con un obiettivo preciso in mente, e nel corso di una giornata era in grado di pianificare qualcosa di totalmente opposto! Ma io avrei sempre eseguito il suo volere, non importava quanto ciò sarebbe stato difficile. Come da ordini ricevuti, mi diressi quindi verso la sala caldaie, proprio accanto alla sala da allenamento invernale. Invertii la rotta, facendo girare la nave nella direzione opposta. Era tardi ed ero piuttosto assonnato, motivo per cui, in questi casi, nascondevo sempre in ogni stanza una tazzina di caffè per le emergenze. Wave le trovava pochissime volte, quindi continuavo a farlo. Quella volta però non ricordavo proprio dove l’avevo messa. Mi stirai, alzando le braccia in aria, e per sbaglio urtai qualcosa. Era caffè. Asciugai velocemente per terra e anche sopra ai macchinari su cui si era riversato.
-Sono certo che sia tutto a posto…- bafugliai, cercando di chiudere lì la faccenda. Quindi me ne andai a letto.  

***
Rouge
Gli ultimi giorni erano stati confortanti seppur connotati da una certa tensione. Tails si era nuovamente dimostrato affidabile nei nostri confronti. Ci aveva ospitato a casa sua malgrado fossimo dei fuggitivi ricercati, e ci aveva nascosto dai vari agenti che, come prevedibile, avrebbero pensato tra i primi luoghi in cui andare a cercarci il suo laboratorio. Non che avessimo molti altri posti dove rifugiarci.
Negli ultimi giorni non avevamo fatto altro che cercare di ottenere informazioni su chi avesse potuto rapire Amethist e perché.
-Venite qui- ci richiamò Tails dalla stanza più isolata della sua casa: quella in cui progettava le sue nuove creazioni.
Io e Knuckles ci dirigemmo in tutta fretta da lui, sperando che ci portasse buone notizie. Tails era seduto su una poltrona nera girevole. Ci guardò con un sorriso.
-Ho scoperto di chi è la nave-.
-Davvero?- esclamò Knuckles incredulo, fiondandosi al suo fianco. Lo seguii prontamente.
Tails si piegò sul suo computer, che sullo schermo aveva impressa la foto che ero riuscita a ricavare dalla G.U.N.
-Lo vedete questo?- Il ragazzo indicò un simbolo sul lato della nave. -Ero sicuro di averlo già visto da qualche parte tempo fa, ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a ricordarmi a chi appartenesse. Ho fatto qualche ricerca, e indovinate?- Buttò sul tavolo della scrivania una manciata di fogli pieni di informazioni e appunti a matita cancellati in malo modo. -Sono i Babylon Rogues-.
Spalancai la bocca. -Loro?!- strillai infuriata.
-Razza di luridi traditori!- Knuckles strinse con forza i pugni, cercando di trattenere la rabbia.
-Guardate qui- Afferrò una penna e indicò qualcosa di molto piccolo sul monitor. -Quell’affare che hanno ai lati della nave è una nuova tecnologia che gira comunemente per il mercato nero. È una specie di specchio rifrangente. Permette di non essere visti all’esterno, ma dall’interno del luogo in cui si sono installati è possibile vedere tutto-.
-Quindi?- chiese Knuckles snervato.
-Quindi loro li avevano disattivati, o hanno avuto un malfunzionamento se siete riusciti ad ottenere questa foto, e loro erano visibili. Credo che abbiano un piano in mente-.
-Cosa te lo fa pensare?- chiesi, con la speranza che finalmente si faceva di nuovo tangibile.
-Osservate- Attivò dei monitor, sui quali potemmo chiaramente vedere la stessa nave della foto. Solo che stava volando. -Queste immagini sono in tempo reale-.
-Vuol dire che li stai filmando in questo momento?!- chiesi agitata.
-Esatto. Solo, non capisco come ciò sia possibile-.
-Non ti seguo- disse Knuckles, sempre più confuso sulla situazione.
-Non capisco come possa riuscire a captarli. L’unica opzione è che i loro scudi, proprio in questo momento, siano disattivati. O, più precisamente, difettosi.  È come se lampeggiassero-.
-E dove sarebbe il problema in tutto ciò?- chiesi.
-Il problema sta nella loro direzione di viaggio-.
-Che sarebbe?- sputò Knuckles, stizzito. Potei chiaramente sentirlo ringhiare.
-Angel Island-. Cominciai ad avere paura, e aumentai senza neanche accorgermene la frequenza delle domande.
-Qualcosa non quadra. Prima hanno rapito Amethist, poi ce la riportano indietro nonostante siano completamente indifesi. Perché?-
Tails si fece sempre più serio, man mano che la conversazione proseguiva. -Vedete, per avere un quadro più chiaro ho dovuto calcolare la direzione e la velocità del vento, unitamente a quella alla quale si stanno muovendo. Tutto sommato, saranno a terra entro questo tardo pomeriggio. E qui torniamo a parlare di quello che potrebbe essere il loro piano-. Deglutii a fatica, cercando di tenere a bada il battito cardiaco accelerato.
-Vai al punto- lo intimò Knuckles. Tails gli lanciò un’occhiata poco cordiale per averlo interrotto.
-Sull’isola c’è il Master Emerald. Loro sono dei ladri, e potrebbero avere intenzione di rubarlo utilizzando Amethist come ostaggio-. Knuckles smise di respirare, ogni muscolo del corpo teso al massimo.
-Andiamo a riprendercela- disse risoluto.
-Ho la loro posizione e so a che velocità viaggiano. Ma è comunque troppo rischioso. Con gli anni possono essere diventati più scaltri e più abili. Riuscivi a competere con Storm anni fa, ma potrebbero avere aggiunto qualche nuovo membro alla banda. In più stanno volando nel bel mezzo dell’oceano. Non riuscireste mai a stare al loro passo- disse Tails.
Serrai la mascella con rabbia. Poi io e Knuckles ci guardammo in contemporanea. Sapevamo cosa dovevamo fare. -Abbiamo bisogno d’aiuto- sussurrai, sapendo che Knuckles avrebbe capito.

***
Sonic
Green Hill stava cambiando. Un tempo potevi aspettarti di tutto da queste terre, poiché spesso erano il luogo di nascita, insieme ai suoi dintorni, di svariate minacce. Tuttavia, erano sostanzialmente un posto pacifico per il resto del tempo.
Ormai erano diventate un terreno di caccia continuo per i Badnik. Erano anni che gli abitanti di quelle terre che non sarebbero riusciti a contrastarli non vivevano più tranquilli, nel terrore di venire catturati e trasformati.
Qui entravo in gioco io. Era solo una questione di tempo relativamente breve prima che raggiungessi il luogo in cui c’era bisogno del mio aiuto, o al limite dalle truppe G.U.N., e quindi a liberarli, ridonando loro la libertà. Ma non era comunque molto confortante sapere che, da qualche parte, nel mondo, c’è uno scienziato pazzo il cui scopo è di catturarti e renderti suo schiavo. E per la prima volta, sapevo che Eggman stava aumentando la sua attività, che aveva in mente qualcosa.
Ma non sapevo dove trovarlo. Quel grosso uovo parlante si faceva beffe di me e di tutto il mondo e io non potevo farci nulla. Ormai non potevamo nemmeno più girare eccessivamente liberi a casa nostra. Il culmine fu raggiunto un paio di giorni prima, quando un due agenti della G.U.N. armati di mandato di perquisizione, cominciarono a controllare per lungo e per largo casa nostra, scatenando le ire di mia moglie. Non ci dissero neanche che cosa volevano, poiché a loro dire era “Questione di sicurezza nazionale”.
Come ciliegina sulla torta, quando venni a scoprire che quegli sconsiderati di Dash e Althea erano tornati dalla loro scampagnata nella Foresta di Confine, fui talmente furioso che proibii loro la libera uscita. In fondo, sapevo che Shadow avrebbe fatto la stessa cosa se avesse visto in che condizioni era ridotta la spalla di sua figlia. Green Hill stava cambiando. Un tempo dissi ad un’amica che tutte le cose sono destinate a nascere, a vivere e poi a morire. Però devo ammettere che vedere la propria terra impazzire gradualmente non era facile né piacevole.
Guardai pensieroso fuori dalla finestra. Anni prima non mi facevo così tanti problemi su come e quando avrei dovuto proteggere il mondo. Evidentemente invecchiare non mi faceva un bell’effetto.
Riflettendoci, non avevo mai pensato a cosa avrei fatto quando, un giorno, io non sarei più stato in grado di fare il mio dovere. Quando non sarei più stato più in grado di correre.
-Sonic?- Mi girai. Amy mi guardò preoccupata mentre si avvicinava lentamente a me. Era cambiata nel corso del tempo. Le spine le si erano allungate un poco, si era alzata, le forme si erano fatte più evidenti e i lineamenti del volto erano diventati più decisi, ma rimanendo allo stesso tempo delicati. Era maturata in tutto: fisico e mente.
-Qualcosa non va?- mi chiese, posandomi una mano sul braccio. Scossi la testa, sospirando e sorridendole.
-Niente. Sto bene-.
Lei alzò un sopracciglio. -Ti conosco da quando ero una ragazzina. Credo di avere capito quando c’è qualcosa che ti turba-.
L’ultima cosa che volevo e di cui avevo bisogno era metterla ulteriormente in ansia con le mie paure. Le sorrisi rassicurante, avvolgendole un braccio intorno alle spalle e stringendomela contro. 
-Stavo pensando che stanno iniziando a comparirmi le prime rughe sulla faccia. Mi rendono meno affascinante secondo te?- dissi teatrale, con un sorriso smagliante sulle labbra.
Amy rise, scuotendo rassegnata la testa. -Non credo proprio-.
Mi distrassi dalla nostra chiacchierata solamente quando sentii bussare pesantemente alla porta d’ingresso. Grugnii scocciato, sciogliendo la stretta che aveva il mio braccio su Amy e andando ad aprire.
-Knuckles?- esclamai sorpreso appena vidi il volto del mio amico. L’echidna sembrava stremato, con la faccia pallida e gli occhi cerchiati dalle occhiaie. -Hai un aspetto orribile. Che cosa ti è successo?-
-Loro sono qui?- chiese. Io lo guardai confuso mentre Amy mi si affiancò.
-Loro…?-
-Gli agenti della G.U.N. Stanno cercando me e Rouge-. Lo afferrai per un braccio, trascinandolo velocemente in casa.
-Cosa diavolo avete fatto?- chiesi, richiudendo la porta tirandole un calcio non esattamente delicato con il tallone.
-Amethist è sparita- spiegò, premendosi una mano sulla fronte, probabilmente a causa di un’emicrania.
-Sparita?- sussurrò Amy scioccata.
-L’hanno rapita- ringhiò Knuckles nervoso.
Lo accompagnai con un gesto del braccio verso il divano. -Adesso ci sediamo un attimo… e mi spieghi ogni cosa-. 

***
-I Babylon Rogues?- disse Amy incredula. -Come hanno potuto?-
-Knuckles… sei sicuro che le cose stiano davvero così?- gli chiesi, essendo a conoscenza della  tendenza di Knuckles a prendere granchi e crostacei vari. Il mio vecchio amico impose la sua elaborata ipotesi, come suo solito trattenendo a stento la rabbia
-Non mi interessa quale sia il motivo che li ha spinti a fare questo, hanno mia figlia e ora la stanno usando contro di me per privarmi anche dello smeraldo. Vecchi amici o no, li farò a pezzi se creeranno problemi!- 
Cercai di calmarlo, poiché sembrava quasi volermi assalire. -Whoa, calmo amico! Ti daremo una mano a risolvere la situazione, ma sono più che sicuro che ci sia una spiegazione logica a tutto questo!-
Dopo che riprese fiato per quella scenata fatta davanti a Amy e le mie figlie, recuperò la parola. -Ti ringrazio, Sonic-.
-Posso venire anch’io?!- Sentimmo una voce provenire da qualche parte che fece questa domanda, poco prima di udire un tonfo sordo nel giardino.
Uscimmo velocemente di casa. -Oh mio Dio, Dash!- strillò Amy, dirigendosi verso il giovane riccio disteso con la faccia schiacciata al suolo e scuotendolo. Sunny ed Emily scoppiarono inavvertitamente a ridere, immediatamente zittite da un’occhiata della madre. Dash si alzò a fatica, massaggiandosi il capo dolorante. 
-Allora, posso venire anch’io con voi?- chiese, scordandosi improvvisamente di essere caduto dalla finestra del primo piano, guardandomi con gli occhi luccicanti per l’eccitazione.
-No- risposi secco.
-Andiamo, perché no?- sbuffò con fare offeso.
-Perché sei in punizione per aver deliberatamente disubbidito ai miei ordini-.
-Ma io potrei esservi utile!- ribadì deciso. Quel ragazzo era decisamente in astinenza dal poter uscire all’aperto e correre.
-Non credo che sia il caso, Dash-.
-Papà, avrete bisogno del maggior aiuto possibile. Insomma, cos’è più importante per te, tenermi in punizione o salvare la ragazza?- chiese con un sorriso sbruffone, conoscendo perfettamente la mia risposta.
-Ma…-

-Forza pa’, infondo sono solo un ragazzo che ama le avventure- disse alzando l’indice e strizzandomi con fare quasi cospiratorio l’occhio. Per un attimo fui quasi inquietato dalla nostra spaventosa somiglianza quando mi imitava.
Ero tentato dal negargli di nuovo il permesso di accompagnarmi, ma mi vennero in mente i pensieri che avevo avuto poco prima che Knuckles ci portasse quelle brutte notizie: il tempo che abbiamo per poter fare e diventare tutto quello che vogliamo non è infinito. E Dash era proprio nell’età in cui avrebbe dovuto schiarirsi le idee. Se bloccavo le poche occasioni in cui poteva accompagnarmi in missione allora non avrebbe avuto più molte opportunità per decidere cosa fare in futuro. Amava correre alla follia e io gli stavo negando quella passione.
-…Ok, puoi venire con noi. Ma dovrai ubbidirmi, è chiaro? Non fare di testa tua-.  Dash annuì entusiasta, zampettandomi allegramente vicino.
-Partiamo immediatamente Knuckles. Dov’è Rouge?- chiesi.
-Abbiamo deciso che fosse meglio se soltanto uno dei due venisse a chiederti aiuto. Non potevamo rischiare che la G.U.N. ci scoprisse e ci catturasse entrambi-.
Annuii. -Verso che ora dovrebbero arrivare sull’isola i Babylon?-
-Tails crede che atterreranno nel tardo pomeriggio-.
Dash alzò il braccio con la mano stretta a pugno. -Andiamo a riprenderci tua figlia, Knuckles!- esclamò come grido di battaglia.

***
Frenai di scatto, derapando vicino al bordo della scogliera e alzando un immenso nuvolone di detriti. Dash si fermò qualche metro prima di me, guardandomi spaesato.
-Perché siamo qui?- chiese con una nota di panico, completamente paralizzato mentre fissava a disagio il mare, il quale sembrava dominato da quella grossa arma volante.
-Perché dovremo rincorrere la nave, che in questo momento è laggiù- spiegai, indicandogli con il dito un piccolo, distante puntino già visibile nel cielo. 
-Tu resterai qui. Se ci mettiamo troppo tempo per tornare, vai ad avvertire Rouge e veniteci a cercare- dissi. Knuckles salì sulla piccola navicella volante che Tails gli aveva fornito per riuscire a tenere il mio passo quando saremmo stati in mare. Se la situazione non fosse stata così rischiosa avrei già iniziato a sfotterlo.
-Cosa?! Papà, aspetta un attimo!- provò a fermarmi Dash.
Mi avvicinai al bordo della scogliera, finché le mie scarpe non furono per metà nel vuoto. -Fai come ti ho detto-.
Poi mi buttai giù, senza pensarci troppo. Poco prima di affondare il corpo nell’acqua, cominciai a correre, e dopo qualche attimo avevo già preso contatto con quell’enorme massa liquida di acqua che una volta era capace di farmi cadere in ginocchio, ai suoi piedi. Potevo avvertire l’enorme scia che mi lasciavo dietro. Knuckles mi raggiunse dopo poco, anche se stava provando in ogni modo di mantenere la navicella in una traiettoria stabile.
-Da quando hai cominciato a correre a pelo d’acqua spontaneamente?- strillò, cercando di farsi sentire sopra il rumore dell’acqua che veniva sollevata dietro di me. Alzai le spalle, sorridendogli con fare sbruffone.
Passarono solo pochi minuti dalla nostra partenza quando fummo a praticamente due passi dalla nave.
-Come facciamo?- mi chiese Knuckles, pensando che sapessi dargli una risposta.
-Sali sulla nave-.
-È troppo in alto, come dovrei fare!?- A quel punto cominciai a rotolare su me stesso, spiccando un altissimo balzo e arrivando quasi all’altezza del nostro obiettivo. Continuavo a salire a velocità elevatissima, finché non avvertii un violento impatto che mi scosse tutto il corpo, il tutto seguito da un’esplosione. Capii di aver appena attraversato la nave dal basso verso l’alto, poiché poi rividi il cielo azzurro sopra di me dopo qualche momento. Mi preparai per atterrare sul ponte, vedendo che Knuckles stava facendo lo stesso visto che la nave si era abbassata gradualmente.
-Bella mossa- mi disse mentre scendeva da quel mezzo.
-Ne dubitavi?-
Guardammo entrambi davanti a noi, prima di rivolgerci la parola, consapevoli che il vacillare improvviso della nave poteva solo significare che saremmo “atterrati” presto in acqua.
-Io entro e cerco Amethist.- disse determinato il mio amico
-Io invece cerco quei bravi ragazzi e poi ci faccio una bella chiacchierata-.
-Va bene. Seguimi!-
-No, tranquillo, prendo la scorciatoia- ridacchiai, lasciandomi cadere nel buco che ero appena andato a creare. Una volta toccata terra, vidi che avevo letteralmente distrutto la sala di controllo, o roba del genere. Non saremmo rimasti in aria ancora a lungo, quindi cominciai a correre. Vagai per tutta l’ala ovest della nave, cercando di trovare con una fretta disperata i miei obbiettivi. Delle sirene rosse illuminarono i corridoi, facendo un gran fracasso. Subito dopo, il loro insopportabile rumore fu sostituito da un gracchiare elettronico.
-Sonic, da quanto tempo!- strillò allegra quella che probabilmente era la voce di Jet.
-Da quando la tua voce è così scura? Me la ricordavo molto più stridula e acuta- dissi di rimando, consapevole del fatto che lui probabilmente potesse sentirmi.
-Mooolto simpatico. Adesso ascoltami: so che questa situazione ti può sembrare strana, ma posso spiegarti tutto. Niente è come sembra-.
-Sì, certo. Nulla è reale, tutto è lecito, come vuoi.- Lo ignorai e continuai per la mia strada.
-Andiamo Sonic, parliamone con calma- sbuffò. Davanti a me, una decina di spesse porte blindate cominciarono ad abbassarsi rapidamente. Accelerai, sorpassandole prima che mi tagliassero fuori. Feci una scivolata per oltrepassare l’ultima porta, che si chiuse pesantemente a qualche centimetro da me.
Ripresi immediatamente a correre, diretto verso l’ultima porta del corridoio, isolata da tutto il resto.
-Jet!- 

***
Knuckles
Mi catapultai immediatamente giù dalle scale sfondando l’entrata, cominciando ad aprire ogni porta che trovavo e a cercare nella sua rispettiva stanza.
-Amethist!- gridai, sperando con tutto il cuore di trovarla. I minuti passavano, la nave precipitava poco a poco e l’ansia per ritrovare mia figlia mi annebbiava la mente.
Quando uscii dall’ennesima camera senza aver trovato nulla, vidi che al termine del corridoio mi aspettava una piacevole sorpresa.
-Storm- sussurrai in un ringhio impercettibile.
-So che tutto questo ti può sembrare strano, ma se ti calmi un attimo potrò spiegarti tutto quello che è successo- bofonchiò con la sua vociona.
-RIDAMMI MIA FIGLIA!- urlai a pieni polmoni, lanciandomi di corsa contro di lui.
-Aspetta un…- Lo zittii con un potente pugno sulla mascella, che lo catapultò contro il muro opposto. Cadde a terra con un potente tonfo.
-Dimmi. Dov’è. MIA FIGLIA!-
L’albatros si rialzò, scrocchiandosi il collo con una mano. -Vedo che vuoi risolvere le cose alla vecchia maniera… va bene. Facciamolo- rise lui.
Mi scrocchiai le nocche e le spalle, sfidandolo apertamente con lo sguardo. -Fatti sotto-.
Storm mi lanciò contro una tavola di quelle appese al muro. La afferrai in tempo, ma il volatile mi si era già avvicinato, colpendomi lo stomaco con una ginocchiata. Fui senza fiato per diversi secondi. Gli colpii la faccia con la tavola, spaccandola in due e confondendolo. Approfittai della sua momentanea cecità e lo riempii di pugni sul becco. Mi afferrò per un braccio e mi lanciò con violenza contro una porta distante qualche metro da me, distruggendola. Mi rialzai.
Lui mi saltò addosso, facendoci entrare nella stanza rotolando e continuando a picchiarci a vicenda. Ero schiacciato dal suo peso, quindi gli tirai un calcio nello stomaco. Lui si strinse la pancia e io ne approfittai per sbalzarlo via.
Afferrai una sedia vicino a me e gliela sfasciai sulla schiena. Storm mi afferrò per le spine e mi fece girare attorno alla stanza, facendomi sbattere per tutti gli spigoli della stanza. Mi diedi una spinta con i piedi contro il muro e colpii l’albatros con una testata, mandandolo a terra.

***
Sonic
Distrussi la porta dell’ufficio di Jet con uno Spin-Dash. Mi rialzai e mi spolverai le ginocchia.
-Ora, mi devi delle spiegazioni-.
Jet incrociò le mani, facendomi segno di aspettare. -Certamente. Ma prima dobbiamo atterrare-. 

***
Knuckles
Stavamo di nuovo per attaccarci a vicenda, quando un improvviso urto ci vece cadere entrambi a terra. Quel violento scossone durò per un minuto circa. Quando finalmente tutto fu più calmo, io e Storm ci calmammo.
-Credo che sia il caso di darsi una calmata e di parlare con calma di quello che è successo- borbottò, stirandosi la schiena. -Anche perché credo che la nave si sia appena schiantata sul mare-.
-Va bene. Ora portami da mia figlia-.

 ***
Sonic
Jet mi portò fino alla stanza di Amethist, accompagnato da Wave. Dovevo ammettere che ero stato sorpreso nel vedere come fossero cambiati entrambi nel corso del tempo. Wave bussò alla porta.
-Chi è?- domandò la voce di Amethist dall’altra parte. La rondine aprì la porta, aprendomi una camera per niente male, che avrei potuto definire piuttosto lussuosa.
Amethist ci guardò leggermente confusa, seduta su un letto abbastanza grande. -Cosa ci fate tutti qui?- Poi mi guardò. -Un momento… credo ci averla già vista da qualche parte- rifletté.
-Sono un amico di tuo padre, che tra l’altro è venuto qui per riportarti indietro-.
-Cosa?-
Fummo interrotti da il rumore di passi che proveniva da fuori la stanza. Storm e Knuckles apparirono improvvisamente nella camera.
-Amethist!- ansimò Knuckles con il fiatone, appoggiandosi allo stipite della porta.
La ragazza sorrise gioiosa, alzandosi dal letto. -Papà!-
Knuckles quasi la fece cadere a terra per lo slancio con cui le si era praticamente buttato addosso, abbracciandola con forza. -Oh Dio, grazie- borbottò, sembrando voler cullare la giovane echidna tra le sue braccia. -Sei viva. Stai bene-.
Amethist ridacchiò imbarazzata. -Certo che sto bene-.
Knuckles  si allontanò leggermente, il volto che sembrava aver finalmente ripreso un po’ di colore e le spalle rilassate.
-Torniamo a casa ora. Tua madre e io siamo morti un paio di volte in questi giorni-.
Amethist si morse il labbro, guardandoci incerta. -Ecco, a questo proposito…- sussurrò, grattandosi una guancia. -…non voglio tornare indietro-. Knuckles strabuzzò gli occhi, guardandola scioccato.
-Finalmente qui posso trovare qualcuno che mi insegni cosa voglio fare nel mio futuro, e lo sto imparando in un modo che mi piace. Io voglio…-
Wave le pizzicò con forza il collo, roteando la mano in un movimento circolare. Amethist si bloccò all’improvviso, cadendo di botto sul pavimento, svenuta.
-Sei troppo giovane per rovinarti la vita in questo modo- ridacchiò tristemente Wave. Poi guardò me e Knuckles. -Prima abbiamo spiegato a Sonic perché ci stessimo dirigendo verso Angel Island, Knuckles. Volevamo solo riportarti tua figlia. Ci abbiamo messo tutto questo tempo solo perché lei non era intenzionata a dirci chi erano i suoi genitori- disse.
Knuckles mi guardò incerto, e io annuii, rispondendo alla sua silenziosa domanda: Dobbiamo fidarci?
-Bene. Allora noi ce ne andiamo- dissi. 

***
Jet
Io e Wave stemmo sul ponte della nave, osservando mentre Sonic e l’echidna se ne andavano velocemente dalla nostra casa. Knuckles caricò sua figlia su quella piccola navetta con cui era arrivato lì, attivandola e volando via. Sonic partì, alzando un enorme quantità d’acqua che ci bagnò solo lievemente.
-Storm, prepariamo il necessario alle riparazioni, dobbiamo occultarci al più presto- ordinai.
-Sì signore!- disse prima di dileguarsi.
Wave era muta, mentre osservava mentre quei tre si allontanavano. Le diedi un piccolo e amichevole pugno sul braccio.
-Se vuoi ne possiamo sempre rapire un’altra- le dissi, cercando di provocarla e di farla sorridere. Ma rimase seria, in silenzio, continuando a fissare Amethist mentre se ne andava, contro la sua volontà e svenuta.
Ci sono cose che nemmeno un Capitano può fare per la sua ciurma. Solo la solitudine poteva aiutare la mia amica in quel momento. 

***
Amethist
Non ricordo cosa successe. Non riuscii mai a capirlo appieno. La cosa più sensata che mi veniva in mente fu che la stanchezza mi aveva tradito, ma ci credevo ben poco.
Sentivo delle voci mentre dormivo, e l’aria salmastra che mi graffiava un po’ le narici. Quando mi svegliai, vidi un ragazzo che mi stava osservando, seduto su una sedia vicino al letto in cui ero sdraiata. Ricordavo di averlo già visto altrove, anche se non mi concentrai subito su tutte le sue caratteristiche.
-Svegliata?- mi disse dolcemente. Mi stropicciai gli occhi con le dita, confusa ed esausta. Dopo essermi ripresa un attimo dalla confusione e quando la vista smise di essere appannata, riuscii a inquadrare il ragazzo che avevo davanti. Un riccio dalle spine lunghe e dalla pelliccia blu mi guardava interessato con degli occhi davvero belli, di un colore verde smeraldo. ‘‘Interessanti…’’
-Tu… chi sei?- chiesi leggermente imbarazzata per la situazione.
-Ero uno dei maschi presenti a quella festa a cui hai partecipato qualche tempo fa con i tuoi genitori- disse sorridendo.
-Mhh…-
-Ero uno di quelli blu-.
-Mhhh…-
-Quello più blu!-
-Oh, ora ricordo!- ridacchiai.
Lui rispose al riso, guardandomi divertito. Aveva una bella risata: calda, solare e quasi amorevole.  -Beh, va tutto bene?- domandò lui.
-Sì, da favola. Esattamente, come ci sono arrivata qui?-
-Non ne ho idea. Mio padre e gli altri non me l’hanno voluto raccontare-.
-Perché no?-
Lui si strinse nelle spalle. -Credo che stiano parlando di altre cose, urgenti probabilmente-. Poi ritornò a guardarmi interessato. -Toglimi una curiosità: sono vere quelle storie sui rapimenti? Cioè che ti chiudono in una stiva senza né pane né acqua e ti lasciano lì per giorni?-
Ridacchiai. -Sì, qualcosa del genere-. Sembrò davvero crederci. Fischiò ammirato, incrociando le gambe sulla sedia. -Però sembra che tu non te la sia cavata tanto male, no?- affermò, squadrandomi dall’alto verso il basso.
-Giusto- risposi, cercando di non mostrarmi troppo divertita.
-Non voglio sembrarti troppo rude, ma…com’è successo?-
 -…In che senso?- dissi, confusa per un momento su quello che mi volesse chiedere, anche se a dire la verità potevo già immaginarlo.
-Perché ti hanno rapita, com’è andata?-
-Rapita? Diciamo che in un certo senso sono io quella che è andata da loro…-
-In quale dei tanti possibili sensi?-
-Avevo visto… una luce in lontananza, e ho seguito l’istinto, decidendo di seguirla. Sto ancora cercando di capire il perché ad essere sincera-.
Vidi la sua faccia che cominciava a velarsi di un alone di divertimento. -Cioè? Posso capire la curiosità, ma eri da sola, a tarda notte, hai volato in mezzo al mare, e ti sei ritrovata da sola in una nave di cui nemmeno sapevi la provenienza, o chi vi risiedesse sopra. Cosa ti è passato per la testa?!-
-Forse era curiosità, come dicevi tu. Ma…credo di aver avuto in mente…non so…un modello che volevo superare a tutti i costi-.
La sua espressione cominciò a farsi seria. -Tu…capisci ciò che voglio dire?- mormorai, studiando il suo volto.  
Mi guardò sorridendo. Non l’ho mai dimenticato quello sguardo. -Sì. Sì, credo di capire molto bene-.
E fu solo in quel momento che vidi una parte di lui che prima non avevo notato. C’era qualcosa che ci rendeva incredibilmente simili. C’era qualcosa che ci legava inevitabilmente, una specie di connessione tra le nostre anime. Lui capiva. Capiva come mi sentivo, capiva come mi ero sempre sentita. Capiva chi ero.
Dal momento in cui mi ero svegliata fino a quando non avevo iniziato a studiarlo attentamente non avevo parlato a vanvera. Lui mi capiva.
‘’Inoltre… è piuttosto carino’’ pensai con un pizzico di malizia.
Il nostro momento fu interrotto dal violento sbattere della porta della mia camera. Mia madre mi fissava distrutta, letteralmente a pezzi. Crollò in ginocchio davanti a me, abbracciandomi con forza. Dopo un attimo la seguii a ruota, ricambiando l’abbraccio.
-Sei scappata senza dirci nulla e senza che nessuno se ne accorgesse. Sei la ladra migliore che io conosca- disse, lasciandosi scappare dei gemiti piagnucolosi dovuti al magone del momento. -Non farlo mai più-. Ammetto che qualche lacrima me la lasciai scappare anch’io.
-Dove siamo, mamma?- chiesi, guardando con attenzione la stanza in cui mi trovavo.
Lei mi sorrise, gli occhi lucidi per le lacrime trattenute troppo a lungo. -A casa di un amico. Staremo da lui per un po’ di tempo-.
-Cosa? Perché?-
-Sono successe un po’ di cose mentre eri via. Ti racconterò tutto dopo, con calma. Ora riposati- disse, scoccandomi un bacio sulla fronte. Il riccio ghignò divertito, chiudendo gli occhi e appoggiando la testa contro il muro con aria spensierata. Arrossii lievemente per la manifestazione d’affetto di mia madre ricevuta in sua presenza.
-Mamma…- borbottai imbarazzata. Lei mi guardò con aria interrogativa, prima di rivolgere una veloce occhiata al riccio e chiedendomi un silenzioso e non propriamente sincero perdono.
-Dash, tuo padre ha detto che era ora di tornare a casa- disse lei rivolta al ragazzo.‘’Dash! Ecco come si chiama!’’
Lui saltò giù dalla sedia con un balzo, sorridendomi. -Beh, è stato un piacere rincontrarti…-
-Amethist!- dissi, forse con un po’ troppa enfasi. Lui ridacchiò.
-Amethist, giusto-. Mi salutò allegramente con la mano. -Allora ci si vede in giro-. Se ne andò, strizzandomi l’occhio. ‘’Dash… sei un ragazzo interessante. Un tipo un po’ ingenuo.’’
Sorrisi tra me e me, piegando un poco la testa di lato e osservandolo mentre se ne andava. ‘’E la cosa mi piace’’. 

***
Sapevo che non dovevo uscire di casa. Molto probabilmente, proprio in quel momento quegli uomini ci stavano cercando. Ma c’era un’ultima cosa che dovevo fare. Uscii di nascosto dalla casa di Tails. Era notte fonda, e in casa erano tutti stanchi morti, quindi nessuno avrebbe pensato che avessi ancora voglia di fare queste cavolate. Ma si sbagliavano di grosso.
L’aria notturna cittadina era, come sempre, fredda e solitaria, ma non erano i gioielli che cercavo. Mi coprii per bene con degli abiti pesanti prima di uscire, non perché avessi freddo, ma perché non mi veniva niente di meglio in mente che mi potesse nascondere agli occhi che fosse rapido, silenzioso, e che mi tenesse per un po’ di tempo lontana dagli occhi di quell’attenta agenzia. Presi la linea notturna ad alta velocità che portava a Mistic Ruins, e riuscii ad arrivarci in circa mezz’ora: poco, considerando la differenza tra il luogo di partenza e di arrivo.
Seguii il passaggio, piuttosto bizzarro, a dire il vero, visto che bisogna letteralmente farsi trasportare in alto da una corrente d’aria, che portava a casa mia, Angel Island. Attraversai il ponte, sorpassando la piccola casa in cui avevamo risieduto fino a poco tempo prima. Trovai strano che la G.U.N. avesse già interrotto le ricerche in quel luogo o che non mi stesse aspettando, ma mi rassicurai quando mi tolsi il copertone che mi ero portata fin lì. L’unica luce nelle vicinanze era quella del Master Emerald, verde ed intensa, che dominava sull’altare su cui mio padre eseguiva il suo compito di guardiano. Smisi di ammirarlo, e cominciai a guardare il mare.
Infine, ero nuovamente lì, ad osservare l’immensità del cielo notturno puntellato di stelle. Mi presi il volto tra mani, seduta a gambe incrociate al limite di una delle scogliere di Angel Island. 
Il nostro destino lo possiamo decidere solo noi. Non vi era nessun potere superiore che ci faceva da guida. Sapevo che avrei dovuto essere cresciuta, dopo quell’esperienza. Che avrei dovuto accettarlo. Ma ci sono tesori che nessuno può ottenere, non importa quanto li cerchi.
Avevo sempre avuto paura di ciò che mi avrebbe riservato il futuro. Ma da quel momento…non avrei avuto pietà, e sarei stata io a tirarlo per i capelli, non il contrario. Avrei deciso io.
Fu una famigliare luce rossa ad attirare la mia attenzione. Come la prima volta che l’avevo vista, galleggiava nel bel mezzo dell’oceano, lontanissima da me e incurante dell’acqua che sballottava da un lato all’altro la nave su cui era installata. Dopo qualche minuto quella piccola lucina cominciò a salire alta nel cielo, segno che la nave stava salpando. Quel quasi impercettibile bagliore rosso cominciò a lampeggiare, sempre più velocemente, fino a che non scomparì del tutto. Avevano attivato gli specchi.
Sospirai, consapevole che di lì a poco se ne sarebbero andati per sempre dalla mia vita, togliendomi ogni possibilità di poterli rivedere di nuovo.
Ma nonostante in quel momento io non li vedessi, sapevo che erano lì, mimetizzati tra le stelle. 
E una parte di me sperava che anche loro mi stessero osservando dall’alto, dandomi un silenzioso addio, andandosene dalla mia vita come ci erano entrati: contro la mia volontà.

  
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