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Autore: DarkNeptune    07/05/2015    1 recensioni
La vita di Roza può essere descritta in poche parole : semplice, ripetitiva, monotona...
Niente di più e niente di meno. Come anche le cose che la interessano. Poche, pochissime. Ama la sua gattina, le passeggiate notturne e la sua copertina lillà.
Lo scopo della sua vita è di creare qualcosa di perfetto con le sue stesse manine. Sì, Roza è una ragazza che cerca la perfezione, ma non in se stessa.
Ma chi è quella sagoma nera che sta sempre accucciata sopra il suo appartamento? Qual'è la vera identità di Roza? Si tratta di una ragazza troppo intelligente o è solo malata?
Niente di vagamente fantasy in questa storia.
Genere: Azione, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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I personaggi e i luoghi sono inventati, riferimenti a persone e luoghi esistenti sono puramente casuali.


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Seconda Iniezione



Due settimane dopo...

7 novembre


Quella mattina Roza si svegliò con uno strano formicolio dietro le orecchie. Non aveva nulla a che fare con il ronzio persistente che le trapanava la testa senza tregua. Era qualcos’altro, provava una strana sensazione, come di un presentimento.

Non appena si alzò dal suo divano letto, vide Kira girare con uno scatto improvviso la sua testa corvina e fissarla con occhi attenti. Forse era riuscita a percepire il suo turbamento. Si mosse leggiadra e – ancheggiando - arrivò ai piedi del divano. Iniziò a leccarle le dita fredde, facendo sorridere teneramente la ragazzina.

“Sei preoccupata per me, ma belle?” le arruffò il muso, beccandosi persino un piccolo morso da quel sacco di pelo.

Si alzò in piedi seguita dal miagolio insistente della sua gatta. Roza capì che non era la sua preoccupazione a farla sembrare così affettuosa, bensì la fame.

“Voi gatti siete proprio degli egoisti.” Pensò ad alta voce dirigendosi verso la dispensa per prendere le crocchette “Ecco perché vi adoro.” soggiunse, mettendole una buona dose dentro la ciotola viola. Kira si tuffò immediatamente a mangiare e ignorò totalmente la padrona. Quest’ultima posò lo sguardo sul balconcino ancora chiuso e intravide oltre le tende un cielo uggioso e completamente immacolato. Non sentiva nemmeno il cinguettio degli uccellini, solo i lavori di ristrutturazione nei cantieri vicini.

Lasciò il suo gatto mangiare tranquillo e si chiuse dentro il bagno. Si fece una doccia veloce e ghiacciata: un modo efficace per svegliarsi e per ripulire la sua mente. Il continuo vociare nelle orecchie le tartassava la testa, ma Roza cercava con tutte le sue forze di non farci caso. Non poteva dare ascolto a nessuna di quelle voci altrimenti avrebbe sicuramente bussato alla porta della Pazzia. E con tutta probabilità, sarebbe entrata. Fermò lo scrosciare dell’acqua e appoggiò la sua fronte contro le piastrelle gelide del bagno. Prese un respiro profondo prima di uscire da quel buco completamente nuda e gocciolante.

“Kira.” Chiamò perentoria e la gatta si girò subito. Con quel solo tono di voce, il felino capì cos’avrebbe dovuto fare. Gattonò fino al piccolo armadio posto vicino al divano letto, aprì con i canini un cassetto e prese - sempre con la bocca - un asciugamano verde acido. Guardò la sua padrona e si diresse immediatamente verso di lei, porgendole il tessuto spugnoso. Roza lo prese e lo avvolse attorno al suo corpo pallido, per poi chinarsi e lasciare un piccolo buffetto sul muso dell’animale.

“Sai Kira, oggi succederà qualcosa. Forse morirò.” Riferì alla piccola gattina con voce apparentemente tranquilla, come se l’avesse appena informata che fuori faceva più freddo del solito. Kira continuò a guardarla attentamente con i suoi lapislazzuli, come se in qualche modo riuscisse veramente a capire le parole dell’umana.
Roza però, riusciva ad udire forte e chiaro un campanello di allarme. Il suo cuore quella mattina si era fatto più pesante, come se un grosso macigno di ansia e inquietudine l’avvolgesse. Era l’istinto umano, qualcosa le diceva di non uscire di casa quel giorno.

Lo squillare del telefono la fece sobbalzare. Arrossì appena si accorse di essere veramente preoccupata per la sua persona. Si alzò in piedi - sempre seguita dal felino - e si avvicinò cautamente verso il cordless. Guardò il numero: era Lexy. Sospirò di sollievo e rispose prontamente alla chiamata.

“Ehi tesoro! Ma dove sei finita?” irruppe dal telefono la voce preoccupata della rossa.

“A casa.” Rispose senza giri di parole.

“È da quattro giorni che non ti fai più vedere!”

“È ovvio, siamo in vacanza.” la ragazzina si girò a guardare il calendario appeso alla porta d’ingresso. Segnava il 7 novembre. Lei odiava il numero sette. Ci fu un silenzio talmente tombale dall’altro capo del telefono che Roza si chiese se l’amica avesse buttato giù.

“Roza... cerco sempre di stare al passo del tuo cervello, ma certe volte mi sorprende. E non positivamente.” Enfatizzò con voce seria. La ragazzina aggrottò le sopracciglia palesemente confusa e Lexy lo capì subito dal silenzio che ne seguì. “Le vacanze di Toussaint sono finite. Bisognava rientrare il 3.” Le spiegò con pazienza, senza però omettere uno sbuffo.

“Oh sono finite... di già?” chiese distratta. Appena formulò quella frase, l’amica partì con un lungo sproloquio fatto di lamentele e di rimproveri, ma Roza non ci fece caso più di tanto. I suoi occhi stavano fissando insistenti quel sette. Posò una mano sul calendario e fece scorrere le dita affusolate sul numero. Quest’ultimo cambiò forma, per prenderne una più a spirale. Quel cambio repentino fece emettere un gridolino dalla bocca della ragazzina.

“Sempr... Cos’è successo?!” chiese allarmata la rossa, bloccando di colpo la sua lagna.

“N-niente, sono scivolata.” Si giustificò in fretta. Guardò nuovamente il numero maledetto e lo trovò fermo e dritto in tutta la sua normalità. Passò più volte la mano su di esso, ma niente mutò.

“Sei scivolata?” chiese con voce scettica.

“Lexy ho bisogno di un parere professionale.” sorvolò la domanda dell’amica per chiedere ciò che più la premeva in quel momento.

“Oh ehm... sì, dimmi.”

“Ti è mai successo di provare un brutto presentimento?” chiese senza preamboli andando subito al sodo.

“Un presentimento come?”

“È come un brivido lungo la schiena, o la sensazione di essere sospesi a mezz’aria.”

“Ehm... credo, credo di sì...cioè sì, mi è già capitato.”

“E cosa succede dopo?”

“Niente... aspetto e non succede niente. Si tratta solo di un comune sintomo di stress.” Affermò con voce più sicura. Dopotutto quello era il suo campo.

Se la futura psicologa dice niente, allora è niente, pensò la mora un po’ più sollevata.

“Mi fiderò della tua diagnosi e aspetterò.”

“E oggi non vieni a lezione?”

“Come mai tanta insistenza?” si fece di colpo sospettosa.

“Oh! N-niente... solo che è da un po’ che non ci vediamo.” Balbettò senza ritegno. Balbettava sempre quella strana rossa. La mora riuscì facilmente a immaginarla intenta ad arrotolarsi attorno a un dito un ricciolo ramato e a nascondere con la stessa mano il viso completamente in fiamme.

“Ti manco forse?” la provocò sorridendo appena. Era da qualche giorno che si comportava in maniera strana la sua amica.

“Oh ehm... sì, un po’...” la sua voce si abbassò decisamente di qualche ottava, ma Roza la ignorò. Quell’inquietudine non le dava tregua.

“No, non vengo. Non oggi perlomeno.”
Conclusero subito dopo la chiamata, con una Lexy decisamente delusa e una Roza meno turbata.
Sospirò nuovamente, facendo miagolare di più la sua gatta. Perse il conto di quanti sospiri emise quella mattina. Aveva decisamente bisogno di una distrazione. Dopotutto doveva solo aspettare.
Rimase solo in asciugamano e prese un foglio da disegno e il suo set di matite. Si stravaccò sopra il divano ancora sfatto e iniziò a disegnare...


***


Passarono minuti, persino ore e Roza era ancora lì, intenta a rifinire il suo disegno. Aveva usato l’immaginazione per quella volta, dato che nessun volto visto in giro voleva farsi spazio nella sua mente.

Aveva disegnato una donna, dai capelli lunghi e mossi. Gli occhi erano mezzi addormentati e la bocca piegata in una smorfia triste. Era dannatamente bella in tutta la sua malinconia. E Roza iniziò ad amarla sempre di più, man mano che la disegnava. Amò ogni sua più piccola ciglia, ogni suo singolo capello, incondizionatamente.
Era un disegno buio, pieno di ombreggiature e la ragazza decise che quella sarebbe stata la sua amante e la sua consolatrice per quella sera. A disegno finito, posò un leggero bacio a fior di labbra su quella fronte grigia. Sospirò e mise da parte il disegno. Guardò fuori dalla finestra e si accorse del buio minaccioso che incombeva fuori. Da brivido com’è volato via il tempo, pensò. Controllò l’ora sull’orologio appeso sopra il cucinino e si accorse che erano le sette di sera. Aveva passato sette ore su quel disegno.

Sette.

Rabbrividì e non per il freddo. Si portò le braccia attorno al suo corpicino e cercò di bloccare i fremiti. Aveva aspettato, ma il presentimento era ancora lì, a deriderla e a tenerla ancora imprigionata. Fu il suo stomaco a destarla da quel tremore improvviso. Non aveva né fatto colazione, né pranzato e in quel momento l’organo le stava urlando pietà.

Ma certo! Tremo perché non ho mangiato nulla da ieri sera, pensò, il mio livello di zuccheri deve essere sceso drasticamente. Si diede della stupida per aver pensato che quel tremore fosse dovuto a una possibile paura.

Si posizionò davanti al piccolo frigorifero e lo aprì. Ciò che vide dentro la fece arrancare. Il nulla faceva da padrone in quella piccola scatola fredda. Neanche l’ombra di qualcosa di commestibile o altro. Si sorprese per la sua negligenza. Ieri sera aveva mangiato l’ultimo pezzo di formaggio e ora lì non c’era più niente. Chiuse pazientemente l’anta, per poi girarsi verso Kira.

“Se fossero state le due di notte, ti avrei rubato le crocchette, ma belle. Ritieniti fortunata.” E l’avrebbe fatto per davvero. Infondo quelle crocchette erano piene di vitamine.
Aprì il cassettone dove teneva le felpe più calde, ne prese una color bordeaux e aggiunse un paio di jeans e l'intimo. Si vestì in tutta tranquillità e cercò di trattenere i fremiti sempre più frequenti.

“Va tutto bene, mangerò fra poco.” Rassicurò il suo stomaco, portando nel frattempo una mano ad accarezzarlo. I tremolii cessarono all’istante.
Prese il suo portafoglio sopra il piccolo comodino in legno e si chiuse la porta dietro le spalle. Scese le scale due a due, senza preoccuparsi minimamente di poter cadere. Dopotutto non era nel pieno delle sue forze, ma poco importava per lei.

Aprì il cancello e una sferzata di aria fresca la colpì in pieno viso. Respirò a pieni polmoni, facendo qualche passo in avanti. Si mise in mezzo alla strada deserta e iniziò a piroettare su se stessa. L'aria fredda le giovava alla salute e la fece sentire più libera che mai. Neppure il ronzio nelle orecchie rovinò quel momento. Il presentimento e la paura di qualche ora fa si erano dissolti completamente, come neve al sole. Sospirò, ma questa volta di beatitudine. E rise, rise tanto.

***


Sopra il tetto del condominio...

“Finalmente è uscita dalla sua tana. Ho passato le ultime settantadue ore ad aspettarla come un allocco.” si stiracchiò stancamente una figura possente, per poi accovacciarsi e ritornare a fissare la ragazzina. “Ehi, dopo aver preso quello che devo, posso farla fuori? Mi sta dando decisamente sui nervi la sua risata.” sopra il tetto dell'edificio più logoro di Parigi, un ragazzo incappucciato guardava infastidito verso il basso.

“Smettila. I nostri lavori non coinvolgono nessun tipo di omicidio.” lo rimproverò stancamente una voce contraffatta, ma si sentiva chiaramente che dall'altro capo ci fosse una giovane donna.

“E poi quella è l'ultima persona al mondo che potresti uccidere.”

“Già, l'avevo quasi dimenticato.” sbuffò annoiato senza togliere gli occhi da quella ragazza poco sana di mente. Fece un tiro veloce dalla sua sigaretta, pentendosene un minuto più tardi.

“Stai fumando per caso?” chiese con fare minaccioso la persona oltre l'auricolare.

“Non oserei mai, tesoro.” negò senza però evitare di espirare via il resto del fumo.

“Sei un irresponsabile. Non devi lasciare alcuna prova della tua esistenza dietro di te!”

“Se vuoi, la ingoio quando finisco.” propose ironicamente.

“Non scherzare.”

Il ragazzo, sbuffando, fece cadere qualche cenere residua dalla sigaretta. Queste - incontrollate e imprevedibili - presero una traiettoria che fece contrarre impercettibilmente il suo viso. Come per beffeggiarsi di lui, caddero proprio a pochi centimetri dal naso di Roza. Quest'ultima alzò una manina per afferrare quei fiocchi, credendo che si trattasse di neve. Si ricredette in un secondo momento quando si accorse che il colore non fosse bianco, bensì grigiastro. E capì.

La sagoma, che non si era persa neppure un secondo di quella scena, si nascose il più in fretta possibile, prima che la mora potesse alzare lo sguardo e notarla.

“Cazzo.” imprecò cercando di mimetizzarsi nel buio. Fortunatamente il tetto di quel palazzo era completamente piatto. Almeno il ragazzo non avrebbe rischiato di cadere e fare un volo di dieci metri.

“Che succede?!” chiese preoccupata la voce ovattata.

“Niente, sta’ zitta.”

Alzò leggermente la testa per controllare la situazione e si accorse che la ragazzina l'aveva completamente ignorato, iniziando ad incamminarsi per la strada buia.

“Si sta muovendo.” la informò decisamente infastidito dalla stupidità di quella bambina. Avrebbe voluto un po' di suspense in quella missione almeno.

“Non lasciartela sfuggire, inseguila e fa il tuo lavoro.”

“Agli ordini.” e iniziò a correre e a saltare sopra i palazzi vicini. Alternava lo sguardo tra la ragazza e davanti a sé. La svitata – come gli piaceva chiamarla – non smise nemmeno per un attimo di saltellare e piroettare su se stessa. Ma non ha paura di essere investita da una macchina? Si chiese stranito. Fortunatamente quella strada era completamente deserta, sennò quella ragazza si sarebbe già ritrovata a fare un salto di tre metri.

Di colpo la ragazzina si fermò e la sagoma fece lo stesso. Entrò in un supermarket vicino e il ragazzo si convinse che non era il caso di saltare giù e seguirla anche lì dentro. Si accovacciò sull'edificio sopra il negozio in questione e appoggiò un ginocchio a terra. Sospirò.

“Inizio seriamente ad annoiarmi.” alzò gli occhi al cielo e creò una piccola nuvola di fumo con le labbra.


***


La ragazzina entrò dentro il supermarket e comprò alimenti di base. Del latte, del camembert, del burro di Bretagna, delle uova, un dessert di frutta alla mela e alle fragole, l'acqua e due baguettes. Iniziò a tastare il pane e lo trovò decisamente troppo morbido.

“Non avete pane appena sfornato?” chiese con fare innocente. Il commesso la guardò come se la cliente avesse parlato aramaico e non francese. Già da quando l'aveva vista varcare la soglia del negozio, si era sentito stranamente a disagio.

“Sono le sette e mezza di sera, mademoiselle.” rispose con voce eloquente. La ragazza alzò sopracciglio, mostrando una faccia confusa. “Il che vuol dire che è troppo tardi per sfornare altro pane.” continuò parlando il più lentamente possibile, come se avesse a che fare con una ritardata mentale.

“Oh... capisco.” passò distrattamente le dita sulle baguettes e decise lo stesso di prenderle.

“Fanno nove euro e ventuno centesimi, prego.” la informò mostrandole un sorriso di cortesia. Roza fissò per un lungo momento quel viso e rimase stupita nel vedere tanta banalità concentrata in un unico essere. Tutto in lui urlava 'comune', persino le sue sopracciglia. Credette sul serio di aver visto un viso simile cinque o sei volte in vita sua. Il che era un record pazzesco.

Mademoiselle, est-ce qu’il y a un problème?” il commesso si sentì improvvisamente nervoso davanti allo sguardo attento della mora. Quest'ultima si ridestò dal suo stato di catalessi, prese meccanicamente il suo portafoglio e gli passò una banconota da dieci euro. Al commesso iniziarono a sudare le mani di freddo, ma afferrò prontamente i soldi. Quella ragazza lo faceva sentire decisamente fuori posto. Digitò sullo schermo il valore della banconota e prese velocemente il resto non appena la cassa si aprì. “E-ecco a lei il resto di settantanove centesimi. Vuole lo scontrino?”

“Certo.” Esclamò aggrottando la fronte, come se la domanda del commesso fosse stata la più stupida mai sentita prima. Il ragazzo prese con mani tremolanti il piccolo foglietto di carta e lo mise velocemente dentro il sacchetto.

Roza afferrò il sacchetto di plastica e le monetine. Non aveva voglia di riprendere il suo portafoglio giallo canarino, dunque lasciò il resto all'interno del suo pugno destro.
Uscì all'aria aperta e si diresse a grandi falcate verso il suo condominio. Fortunatamente quel minimarket era vicino a casa sua. Ancora qualche minuto e avrebbe mangiato.

Iniziò a consolare il suo stomaco, canticchiandogli una canzone sul cibo inventata sul momento, quando un lampione accanto a lei iniziò a sfarfallare. La strana sensazione di quella mattina s'insinuò prepotentemente dentro di lei, più forte che mai. Cercò di sembrare calma anche se percepiva chiaramente una minaccia incombere su di lei. E lo sentì. Una mano inguantata di nero le tappò con uno schiaffo forte le labbra e un'altra le bloccò tutto il corpo. Sentì uno strano gusto ferroso dentro la bocca e capì di star sanguinando. Non urlò, ma si dimenò come una forsennata.

“Shh, stai calma. Non voglio farti del male.” una voce calda e appena sussurrata le sfiorò l'orecchio sinistro e un brivido percorse la sua spina dorsale. Quella frase e quel tono di voce, fece svegliare la paura e l'eccitazione dentro Roza. L'adrenalina le scorreva veloce nelle vene, tant'è che riuscì persino a darle una forma e un calore proprio. Quel timbro così chiaro e forte, così virile... deve appartenere sicuramente a un bellissimo viso, pensò.

Anche se si trovava per la prima volta in vita sua in una situazione decisamente pericolosa, Roza s’incuriosì. Voleva, doveva vedere l’aspetto del suo aggressore. Disegnarlo le avrebbe procurato un piacere fisico e mentale che andava oltre l’immaginabile. Se vivrò, pensò logicamente. Cercò di liberarsi, ma fu completamente invano. Dopotutto, era senza forze quella sera. Un capogiro improvviso la fece arretrare e appoggiare la testa sopra il petto ampio dello sconosciuto. Sia la busta della spesa che le monetine, caddero rumorosamente sull'asfalto.

“Brava, così. Mi serve solo un po' del tuo sangue.” Continuò l'uomo incappucciato. Con un movimento di entrambe le gambe, tenne ferma quella creaturina. Era decisamente più alto e robusto di lei, sarebbe stato un gioco da ragazzi trattenerla. Liberò la sua mano destra che andò sicura verso una tasca del suo zainetto. Estrasse una bustina trasparente con all'interno una siringa nuova di zecca. Utilizzò i denti per aprirla e ci riuscì. Afferrò frettolosamente l'ago con le labbra e distese il braccio destro della ragazzina con la mano libera. Le tirò su la manica della felpa, rivelando un braccio bianco e immacolato. Con uno scatto prese velocemente l'ago per poi tornare a bloccare l'arto disteso. Stranamente la ragazza non oppose più resistenza. Tanto meglio, pensò il giovane e, senza aspettare ulteriormente, conficcò l'ago appuntito sul braccio della ragazzina. Sperò vivamente di aver centrato la vena e fortunatamente fu così. Vide il piccolo contenitore riempirsi immediatamente di liquido scarlatto. Il pizzicore sul braccio, risvegliò la ragazza che, prontamente, iniziò ad agitarsi. Di colpo sentì il pizzicore diventare più forte e l'imprecazione improvvisa del ragazzo alle sue spalle, la fece preoccupare di più.

“Il mio lavoro è fatto, non devo mettere a posto ciò che è andato storto.” sentenziò e si allontanò con uno scatto veloce. “Vivrai anche con un ago conficcato nelle vene.” la informò ridacchiando sardonico e sparì nel nulla, come se la sua presenza fosse solo aria.

Roza girò la testa più in fretta che poté, ma il ragazzo si era già dileguato. Per un breve momento, credette che si fosse dissolto nell’aria come un fantasma.
Il significato delle parole dello sconosciuto però, stavano ancora risuonando in quel vicolo buio e la destarono completamente dalla sua ricerca disperata. Sentì un moto di consapevolezza salirle dalla base dello stomaco fino al cervello. Portò la mano sinistra a sorreggere l'arto martoriato e in quel momento fu spettatrice di una scena mai vista prima di allora. L'ago spezzato dentro la sua pelle le faceva colare fiotti di sangue giù per il braccio. Il sangue fuoriusciva con schizzi regolari, a ritmo del suo cuore. Tanto, troppo sangue. E lei era senza forze quella sera. Sentì le sue gambe formicolare e la testa girare in maniera spaventosa. Stramazzò al suolo e sbatté forte la testa. Cadde nell'oblio.



Continua...




   
 
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