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Autore: CreepyGirl97    07/05/2015    3 recensioni
«Ricominciare.
Era questo ciò che avevo intenzione di fare: ricominciare da capo. Ricominciare la mia attività, condurre una nuova vita. Finalmente avrei potuto fare il doppio dei soldi che producevo in Corea del Sud e avrei vissuto una vita felice accanto alla mia futura moglie, ma forse non era destino che dovesse andare tutto così a meraviglia.»
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kim Namjoon/ RapMonster, Kim Seokjin/ Jin, Min Yoongi/ Suga, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo uno.
Ricominciare.
Era questo ciò che avevo intenzione di fare: ricominciare da capo. Ricominciare la mia attività, condurre una nuova vita. Finalmente avrei potuto fare il doppio dei soldi che producevo in Corea del Sud e avrei vissuto una vita felice accanto alla mia futura moglie, ma forse non era destino che dovesse andare tutto così a meraviglia.
 
Uno schizzo d'acqua fredda mista a cloro della piscina mi arrivò sulle gambe, facendomi lanciare un'imprecazione contro il quartetto di bambini dispettosi che da giorni mi attorniava di scherzi di pessimo gusto.
«Maledetti...» ringhiai tra i denti mentre mi allungavo verso il tavolino accanto alla sdraio su cui ero adagiato. Presi un asciugamano bianco con il logo del resort in cui alloggiavamo per le vacanze natalizie e tentai di asciugarmi alla bell'e meglio i piedi nudi, dopodiché lo passai anche sul retro del cellulare che stringevo tra le dita. Con le parole di disprezzo che ancora mi aleggiavano sulla punta della lingua, vidi con la coda dell'occhio qualcuno che si sedeva sulla sedia a sdraio accanto alla mia, lasciandosi scappare un sospiro.
«Proprio non ce la fai, eh, Yoongi?» mi domandò retorica la voce di Hana, la quale mi dava le spalle mentre frugava nella sua borsa da mare in cerca degli occhiali da sole.
«Sto solo controllando la casa che abbiamo venduto all'asta.» spiegai con un sorriso più splendente del sole che rendeva l'aria thailandese sempre più tiepida.
«La casa che hai venduto, vorrai dire.» puntualizzò con un pizzico di acidità, indossando un paio di Ray-Ban per ripararsi dalla luce mattutina. «Devi proprio controllarlo adesso?» chiese leggermente infastidita, dopo aver capito che non avrei risposto alla sua precedente provocazione.
«Si, devo farlo. E in ogni caso abbiamo un acquirente che sarebbe disposto a pagare il doppio del prezzo già proposto.» dissi sempre più eccitato, aspettandomi qualche reazione della ragazza.
«Grandioso.» commentò senza davvero pensarlo. Incrociò le braccia al petto, decidendo di non parlarmi per il resto della giornata, ma sapevo che non ci sarebbe mai riuscita. Perché si comportava così?
Cercai di dirle qualcosa per farla sciogliere, ma proprio in quel momento, prima che riuscissi ad aprire bocca, un pallone azzurro scuro grondante di acqua mi colpì in pieno viso, facendomi cadere dalle mani il cellulare. Imprecai per l'ennesima volta, notando un sorriso che provava a nascondere una risata formatosi sul viso di Hana.
I quattro bambini m'indicarono quasi piangendo dal ridere e, dopo che ebbi lanciato loro un'occhiataccia piena di odio, cercai con gli occhi qualcosa sul tavolino accanto a me ed afferrai una forchetta dal piatto di macedonia colorata che avevo ordinato per colazione. Passai un polpastrello sulle punte della posata, constatandone l'affilatezza, e di conseguenza le impiantai con forza nel pallone di gomma, sorridendo tronfio quando sentii il sibilo dell'aria che usciva e si disperdeva nell'ambiente. I quattro ammutolirono, fissandomi quasi spaventati, mentre Hana tentava di reprimere una risata.
«Stupido...» sussurrò scossa da un sorriso divertito.
«La prossima volta fareste meglio a pensarci di più prima di lanciarmi oggetti addosso.» quasi gridai ai ragazzini, passando loro il pallone sgonfio.
«Dai, poveri...» commentò Hana senza riuscire a nascondere una risatina. «Dovremo comprargli un'altra palla.» disse dolcemente, nel tentativo di persuadermi.
«Mai e poi mai. Non se la meritano.» insistetti, incrociando le braccia al petto. La mia fidanzata scosse la testa con un sorriso leggero, poi si alzò dalla sdraio, allacciandosi un pareo floreale alla vita, per velare le gambe nude.
«Dove stai andando?» le chiesi, ma senza ricevere risposta, perché ormai era troppo lontana da me per riuscire a sentire le mie parole. La vidi avvicinarsi al chiosco del resort con la sua andatura delicata ed appoggiarsi al bancone per richiamare l'attenzione del barista, il quale si mise subito a sua disposizione. Si scambiarono qualche rapida parola che purtroppo non riuscii a comprendere, dopodiché vidi il ragazzo chinarsi sotto il bancone e porgerle un pallone identico a quello trafitto dalla mia forchetta pochi minuti prima. Sogghignai in una velata soddisfazione quando mi accorsi che il quartetto mi fissava di sottecchi, temendo la mia prossima mossa. Notai la mia ragazza prendere la palla dalle mani del barman, per poi incamminarsi quasi saltellando verso i quattro odiati bambini. Aggrottai le sopracciglia vedendo Hana porgere il pallone ai miei nemici, con il suo sorriso persuasivo. Lessi dal suo labiale che si stava scusando, accennando con il capo verso la mia direzione, quasi a dire che anch'io ero dispiaciuto per l'avvenimento, nonostante non fosse la verità. Schioccai la lingua contro il palato - certo, come no - quando Hana tornò a sedersi sorridente sulla sua sdraio.
«Li hai spaventati.» disse ridacchiando divertita.
«Se lo meritavano.»
«Ma sono solo bambini...» rise girandosi nella mia direzione, nell'intento di riprendermi per il mio comportamento. «E in ogni caso avresti potuto almeno rompere qualcosa di loro, non il pallone del resort.» scherzò dandomi una pacca sulla spalla che mi fece sorridere leggermente. «Ora dovremo pure pagarla.»
Feci per ribattere, ma un'ombra scura eclissò il raggio di Sole che colpiva la mia testa, mentre viaggiava per raggiungere l'ovest. Roteai gli occhi, girandomi di scatto verso la persona corpulenta che bloccava l'arrossamento della mia pelle chiara sotto la luce solare. Hana diceva spesso che insieme sembravamo caffè e latte, dato che la carnagione della mia fidanzata era sempre e costantemente più scura della mia.
«Senti, puoi levarti dalle scatole?» chiesi sgarbatamente ed infastidito, ma maledicendomi ben presto della mia mancata gentilezza. «B-buongiorno, signor Carson...» dissi timidamente, con una vocina quasi acuta, accompagnando la mia gaffe con una risata imbarazzata.
«Buongiorno a lei, signor Min.» mi salutò a sua volta, con quella sua voce squillante ma composta. Tirai un sospiro di sollievo, perché probabilmente l'agente immobiliare non aveva sentito le mie imprecazioni. «Abbiamo già avviato le pratiche, sa?» mi informò la stessa persona, in un inglese con accento nordico. Era un uomo sulla cinquantina, brizzolato e ben curato. Si arricchiva viaggiando per il mondo, vendendo e comprando terreni a destra e a manca e probabilmente la Porsche nera che guidava con fierezza era una delle cose meno costose che avesse mai posseduto..
«Davvero?» chiesi per accertarmene, con uno sguardo talmente lucente da far invidia ad una  stella. «Grandioso.» commentai su di giri senza nemmeno aspettare una risposta.
«Certo, fantastico.» sentì dire acida la mia ragazza in sottofondo. Mi girai verso di lei, notandola a braccia incrociate, appoggiata allo schienale della sedia a sdraio con la mandibola serrata.
«Ehi, che cos'hai?» le chiesi senza capire cosa le prendesse, ma lei ignorò la mia domanda, rispondendomi con: «Vado nel parco.» e, detto quello, si alzò lasciando tutte le sue cose lì, indossando la sua canotta color sabbia e i pantaloncini di jeans. Alzai gli occhi al cielo per l'ennesima volta in quella mattinata e, dopo essermi scusato con il signor Carson e sua moglie, corsi dietro ad Hana.
«Si può sapere che diavolo stai facendo?» le domandai infastidito, quando la trovai a vagare tra orchidee colorate e plumerie profumate, mentre si stringeva nelle spalle, tentando di repellere gli insetti che vagavano nell'aria. Il parco, come lo chiamavano i lavoratori del resort, era una grande oasi vicino alla piscina, dove regnavano l'odore dolce dei fiori e quello acre del legno degli alberi tropicali.
«Lasciami in pace.» tentò di cacciarmi con poca convinzione.
«Mi stai facendo fare una brutta figura con il signore, Hana.» dissi duramente, afferrandole il polso e facendola voltare verso di me per la violenza che ci misi. «Lo vuoi quel pezzo di terra oppure preferisci cadere in rovina?»
«Devi ancora capire che a me del tuo pezzo di terra non frega niente, Yoongi!» sbottò strattonando con forza il polso nella mia mano nel tentativo di liberarsi e riappropriarsene.
«E allora perché ti comporti così?» chiesi roteando gli occhi, senza riuscire a trattenere una sfumatura di nervosismo.
«Perché a te importa solo del lavoro!» rispose girandosi verso il piccolo laghetto di carpe giapponesi del giardino, con il proprio polso in mano.
«È un acquirente importante, Hana. È naturale che mi preoccupi di quello.» ragionai tra i denti, iniziando ad innervosirmi.
«Il problema è che tu ci pensi sempre, Yoongi.» disse con voce leggermente tremolante. Odiavo quando mi parlava usando il mio nome di battesimo: lo faceva solo quando era davvero arrabbiata.
«Non è vero...» tentai di difendermi, mentre mi incupivo alla sua insistenza.
«Ah, no? "Oh, guarda quella bella spiaggia incontaminata, potrei costruirci un lussuoso hotel cinque stelle. Oppure quell'oasi, deve essere perfetta per un supermercato".» mi imitò baldanzosa, ma sull'orlo delle lacrime.
«Siamo venuti qui per questo...» sussurrai guardando dappertutto fuorché nella direzione di Hana.
«Per cosa? Per distruggere il mondo con la tua stupida mentalità materialista ed imprenditoriale?!» domandò retorica comprimendo i denti all'interno della bocca con abbastanza forza da poter essere comparata ad una bomba ad orologeria. «Io sono venuta qui solo perché mi hai obbligata tu, Yoongi. Me ne restavo in Corea, altrimenti.» disse abbassando la voce e rilasciando un po' di quella forza nucleare che le conficcava i denti nelle gengive.
«Mi dispiace.» tentai di scusarmi abbassando lo sguardo e fissandomi le dita dei piedi ancora nudi.
«Ti dispiace sempre, ma questa volta non ti perdonerò tanto facilmente.» continuò, affacciandosi alla staccionata che divideva la pozza d'acqua dalla terra del giardino. «E ora va'. Il tuo amico ti aspetta.»
«Non tornerò da lui senza di te.»
«E allora preparati a dormire qua fuori.» disse sgarbata, con una punta d'ira.
«Avanti, Hana, non fare la bambina, non hai tre anni.» la ripresi aggrottando le sopracciglia al suo comportamento. In  qualche modo avevo il sentore che stesse imitando il mio atteggiamento quando ero arrabbiato.
«Mi sto comportando esattamente come fai tu, Yoongi!» mi ammazzò con uno sguardo, stringendo con tale forza il palo orizzontale della staccionata da farsi sbiancare le nocche. Con il suo silenzio, era ancora più pericolosa di quanto potesse sembrare.
«Non voglio litigare con te.»
«Neanche io, ma è impossibile non farlo, ormai! Anche io ho un limite.» sbottò di nuovo, girandosi verso di me. «Siamo a Phuket, te lo ricordi? Siamo venuti qui per le vacanze, l'hai detto tu stesso che avresti pensato a divertirti e non al lavoro, come invece fai quando siamo a Bangkok. Perché sei diventato così ossessionato dai soldi?» mi chiese guardandomi con le lacrime agli occhi. «Potrei morire dissanguata sul pavimento del tuo ufficio e tu penseresti prima alla macchia di sangue che spaventerebbe i clienti!» continuò a tenere lo sguardo puntato su di me e, anche dopo che ebbi abbassato la testa, potei percepire i suoi occhi di fuoco trapanarmi il cranio.
«Guardati anche adesso. Abbassi la testa come un codardo.» la vidi scuotere il capo sprezzante. «Chiudere gli occhi non cambierà nulla. Niente scomparirà soltanto perché non puoi vedere cosa sta succedendo.» disse duramente, come se riuscisse a leggere gli impulsi nervosi che mi fecero abbassare le palpebre.
«"Non alzare la voce, migliora il tuo ragionamento".» recitai quasi meccanicamente una frase del suo libro più recente. Hana fece un minuscolo passo indietro, probabilmente presa in contropiede dal fatto che io leggessi le sue creazioni, poiché  mi reputava uno stupido insensibile a cui non importava niente all'infuori del denaro.
«Allora fallo.» si riprese subito dalla sorpresa. «Mostrami che i miei libri lasciano un segno nella vita delle persone.».
Feci per parlare e spiegare civilmente le mie ragioni, ma non ci riuscii. Non ne ebbi il tempo. Non potei scusarmi con lei, perché madre natura decise di punirmi proprio in quel momento.
 
La terra sotto ai nostri piedi iniziò a tremare violentemente assieme alle pareti fatte di vetro del resort. I fiori di plumerie e orchidee barcollavano precari, dando premonizioni poco allegre su quello che sarebbe successo di lì a pochi minuti. Mi voltai a guardare verso la piscina, intravedendo tra le foglie di alberi tropicali delle donne urlare e cadere a terra dopo aver perso l'equilibrio, mentre altri chiamavano aiuto svenendo poi sul pavimento. Sentii la stretta di Hana prendermi la mano per restare in piedi e, forse, anche per cercare conforto alla sua paura crescente.
«Yoongi, guarda...» sussurrò con voce strozzata, indicando terrorizzata verso il mare che riuscivamo a vedere splendidamente da quel punto. Ma quella volta non fu uno spettacolo guardarlo.
Sentimmo uno schianto al di là degli chalet con il tetto in paglia secca: una palma ne aveva distrutto uno cadendoci sopra.
 
Poi ci travolse. Senza avvertirci, un'onda con un'incredibile potenza investì qualunque cosa sul suo cammino: dai vetri del resort a quelli delle case costiere, dalle sdraio a bordo piscina ai meravigliosi arbusti che ricoprivano l'esterno dell'albergo. Non sentivo più la mano di Hana nella mia e quella sensazione di vuoto mi angosciò, ma senza durare troppo. Oggetti di ogni tipo mi venivano incontro, facendomi dimenticare per alcuni minuti della mia ragazza: tavoli, stoviglie, materassi, sdraio, ombrelloni e perfino automobili mi sfregiavano la pelle, disegnandomi lividi e ferite sanguinose sulla pelle lattea. L'acqua sporca mi trascinava dove preferiva, ma, nonostante ciò, riuscii a far riaffiorare la testa per prendere una boccata d'aria. Alzai le mani verso l'alto, nel tentativo di trovare qualcosa a cui aggrapparmi, ma non riuscivo a vedere cosa ci fosse attorno a me per via degli occhi irritati dall'acqua e per i capelli che mi restavano appiccicati alla fronte. Non potei curarmene molto, in quel momento, poiché le forze mi vennero meno.
Prima di abbassare definitivamente le palpebre, afferrai con le unghie un tronco di una delle tante palme precipitate, sperando di restarci fino alla fine del cataclisma per ricevere una sepoltura decente ed idonea alla mia persona. Poi mi lasciai andare e spirai il mio presunto ultimo respiro, con un dolore lancinante al ginocchio e al costato.
Ma, per mia sfortuna, quella volta non morii.

 
 

Capitolo uno. 

Ricominciare.

Era questo ciò che avevo intenzione di fare: ricominciare da capo. Ricominciare la mia attività, condurre una nuova vita. Finalmente avrei potuto fare il doppio dei soldi che producevo in Corea del Sud e avrei vissuto una vita felice accanto alla mia futura moglie, ma forse non era destino che dovesse andare tutto così a meraviglia.

 

Uno schizzo d'acqua fredda mista a cloro della piscina mi arrivò sulle gambe, facendomi lanciare un'imprecazione contro il quartetto di bambini dispettosi che da giorni mi attorniava di scherzi di pessimo gusto.

«Maledetti...» ringhiai tra i denti mentre mi allungavo verso il tavolino accanto alla sdraio su cui ero adagiato. Presi un asciugamano bianco con il logo del resort in cui alloggiavamo per le vacanze natalizie e tentai di asciugarmi alla bell'e meglio i piedi nudi, dopodiché lo passai anche sul retro del cellulare che stringevo tra le dita. Con le parole di disprezzo che ancora mi aleggiavano sulla punta della lingua, vidi con la coda dell'occhio qualcuno che si sedeva sulla sedia a sdraio accanto alla mia, lasciandosi scappare un sospiro.

«Proprio non ce la fai, eh, Yoongi?» mi domandò retorica la voce di Hana, la quale mi dava le spalle mentre frugava nella sua borsa da mare in cerca degli occhiali da sole.

«Sto solo controllando la casa che abbiamo venduto all'asta.» spiegai con un sorriso più splendente del sole che rendeva l'aria thailandese sempre più tiepida.

«La casa che hai venduto, vorrai dire.» puntualizzò con un pizzico di acidità, indossando un paio di Ray-Ban per ripararsi dalla luce mattutina. «Devi proprio controllarlo adesso?» chiese leggermente infastidita, dopo aver capito che non avrei risposto alla sua precedente provocazione.

«Si, devo farlo. E in ogni caso abbiamo un acquirente che sarebbe disposto a pagare il doppio del prezzo già proposto.» dissi sempre più eccitato, aspettandomi qualche reazione della ragazza.

«Grandioso.» commentò senza davvero pensarlo. Incrociò le braccia al petto, decidendo di non parlarmi per il resto della giornata, ma sapevo che non ci sarebbe mai riuscita. Perché si comportava così?

Cercai di dirle qualcosa per farla sciogliere, ma proprio in quel momento, prima che riuscissi ad aprire bocca, un pallone azzurro scuro grondante di acqua mi colpì in pieno viso, facendomi cadere dalle mani il cellulare. Imprecai per l'ennesima volta, notando un sorriso che provava a nascondere una risata formatosi sul viso di Hana.

I quattro bambini m'indicarono quasi piangendo dal ridere e, dopo che ebbi lanciato loro un'occhiataccia piena di odio, cercai con gli occhi qualcosa sul tavolino accanto a me ed afferrai una forchetta dal piatto di macedonia colorata che avevo ordinato per colazione. Passai un polpastrello sulle punte della posata, constatandone l'affilatezza, e di conseguenza le impiantai con forza nel pallone di gomma, sorridendo tronfio quando sentii il sibilo dell'aria che usciva e si disperdeva nell'ambiente. I quattro ammutolirono, fissandomi quasi spaventati, mentre Hana tentava di reprimere una risata.

«Stupido...» sussurrò scossa da un sorriso divertito.

«La prossima volta fareste meglio a pensarci di più prima di lanciarmi oggetti addosso.» quasi gridai ai ragazzini, passando loro il pallone sgonfio.

«Dai, poveri...» commentò Hana senza riuscire a nascondere una risatina. «Dovremo comprargli un'altra palla.» disse dolcemente, nel tentativo di persuadermi.

«Mai e poi mai. Non se la meritano.» insistetti, incrociando le braccia al petto. La mia fidanzata scosse la testa con un sorriso leggero, poi si alzò dalla sdraio, allacciandosi un pareo floreale alla vita, per velare le gambe nude.

«Dove stai andando?» le chiesi, ma senza ricevere risposta, perché ormai era troppo lontana da me per riuscire a sentire le mie parole. La vidi avvicinarsi al chiosco del resort con la sua andatura delicata ed appoggiarsi al bancone per richiamare l'attenzione del barista, il quale si mise subito a sua disposizione. Si scambiarono qualche rapida parola che purtroppo non riuscii a comprendere, dopodiché vidi il ragazzo chinarsi sotto il bancone e porgerle un pallone identico a quello trafitto dalla mia forchetta pochi minuti prima. Sogghignai in una velata soddisfazione quando mi accorsi che il quartetto mi fissava di sottecchi, temendo la mia prossima mossa. Notai la mia ragazza prendere la palla dalle mani del barman, per poi incamminarsi quasi saltellando verso i quattro odiati bambini. Aggrottai le sopracciglia vedendo Hana porgere il pallone ai miei nemici, con il suo sorriso persuasivo. Lessi dal suo labiale che si stava scusando, accennando con il capo verso la mia direzione, quasi a dire che anch'io ero dispiaciuto per l'avvenimento, nonostante non fosse la verità. Schioccai la lingua contro il palato - certo, come no - quando Hana tornò a sedersi sorridente sulla sua sdraio.

«Li hai spaventati.» disse ridacchiando divertita.

«Se lo meritavano.»

«Ma sono solo bambini...» rise girandosi nella mia direzione, nell'intento di riprendermi per il mio comportamento. «E in ogni caso avresti potuto almeno rompere qualcosa di loro, non il pallone del resort.» scherzò dandomi una pacca sulla spalla che mi fece sorridere leggermente. «Ora dovremo pure pagarla.»

Feci per ribattere, ma un'ombra scura eclissò il raggio di Sole che colpiva la mia testa, mentre viaggiava per raggiungere l'ovest. Roteai gli occhi, girandomi di scatto verso la persona corpulenta che bloccava l'arrossamento della mia pelle chiara sotto la luce solare. Hana diceva spesso che insieme sembravamo caffè e latte, dato che la carnagione della mia fidanzata era sempre e costantemente più scura della mia.

«Senti, puoi levarti dalle scatole?» chiesi sgarbatamente ed infastidito, ma maledicendomi ben presto della mia mancata gentilezza. «B-buongiorno, signor Carson...» dissi timidamente, con una vocina quasi acuta, accompagnando la mia gaffe con una risata imbarazzata.

«Buongiorno a lei, signor Min.» mi salutò a sua volta, con quella sua voce squillante ma composta. Tirai un sospiro di sollievo, perché probabilmente l'agente immobiliare non aveva sentito le mie imprecazioni. «Abbiamo già avviato le pratiche, sa?» mi informò la stessa persona, in un inglese con accento nordico. Era un uomo sulla cinquantina, brizzolato e ben curato. Si arricchiva viaggiando per il mondo, vendendo e comprando terreni a destra e a manca e probabilmente la Porsche nera che guidava con fierezza era una delle cose meno costose che avesse mai posseduto..

«Davvero?» chiesi per accertarmene, con uno sguardo talmente lucente da far invidia ad una  stella. «Grandioso.» commentai su di giri senza nemmeno aspettare una risposta.

«Certo, fantastico.» sentì dire acida la mia ragazza in sottofondo. Mi girai verso di lei, notandola a braccia incrociate, appoggiata allo schienale della sedia a sdraio con la mandibola serrata.

«Ehi, che cos'hai?» le chiesi senza capire cosa le prendesse, ma lei ignorò la mia domanda, rispondendomi con: «Vado nel parco.» e, detto quello, si alzò lasciando tutte le sue cose lì, indossando la sua canotta color sabbia e i pantaloncini di jeans. Alzai gli occhi al cielo per l'ennesima volta in quella mattinata e, dopo essermi scusato con il signor Carson e sua moglie, corsi dietro ad Hana.

«Si può sapere che diavolo stai facendo?» le domandai infastidito, quando la trovai a vagare tra orchidee colorate e plumerie profumate, mentre si stringeva nelle spalle, tentando di repellere gli insetti che vagavano nell'aria. Il parco, come lo chiamavano i lavoratori del resort, era una grande oasi vicino alla piscina, dove regnavano l'odore dolce dei fiori e quello acre del legno degli alberi tropicali.

«Lasciami in pace.» tentò di cacciarmi con poca convinzione.

«Mi stai facendo fare una brutta figura con il signore, Hana.» dissi duramente, afferrandole il polso e facendola voltare verso di me per la violenza che ci misi. «Lo vuoi quel pezzo di terra oppure preferisci cadere in rovina?»

«Devi ancora capire che a me del tuo pezzo di terra non frega niente, Yoongi!» sbottò strattonando con forza il polso nella mia mano nel tentativo di liberarsi e riappropriarsene.

«E allora perché ti comporti così?» chiesi roteando gli occhi, senza riuscire a trattenere una sfumatura di nervosismo.

«Perché a te importa solo del lavoro!» rispose girandosi verso il piccolo laghetto di carpe giapponesi del giardino, con il proprio polso in mano.

«È un acquirente importante, Hana. È naturale che mi preoccupi di quello.» ragionai tra i denti, iniziando ad innervosirmi.

«Il problema è che tu ci pensi sempre, Yoongi.» disse con voce leggermente tremolante. Odiavo quando mi parlava usando il mio nome di battesimo: lo faceva solo quando era davvero arrabbiata.

«Non è vero...» tentai di difendermi, mentre mi incupivo alla sua insistenza.

«Ah, no? "Oh, guarda quella bella spiaggia incontaminata, potrei costruirci un lussuoso hotel cinque stelle. Oppure quell'oasi, deve essere perfetta per un supermercato".» mi imitò baldanzosa, ma sull'orlo delle lacrime.

«Siamo venuti qui per questo...» sussurrai guardando dappertutto fuorché nella direzione di Hana.

«Per cosa? Per distruggere il mondo con la tua stupida mentalità materialista ed imprenditoriale?!» domandò retorica comprimendo i denti all'interno della bocca con abbastanza forza da poter essere comparata ad una bomba ad orologeria. «Io sono venuta qui solo perché mi hai obbligata tu, Yoongi. Me ne restavo in Corea, altrimenti.» disse abbassando la voce e rilasciando un po' di quella forza nucleare che le conficcava i denti nelle gengive.

«Mi dispiace.» tentai di scusarmi abbassando lo sguardo e fissandomi le dita dei piedi ancora nudi.

«Ti dispiace sempre, ma questa volta non ti perdonerò tanto facilmente.» continuò, affacciandosi alla staccionata che divideva la pozza d'acqua dalla terra del giardino. «E ora va'. Il tuo amico ti aspetta.»

«Non tornerò da lui senza di te.»

«E allora preparati a dormire qua fuori.» disse sgarbata, con una punta d'ira.

«Avanti, Hana, non fare la bambina, non hai tre anni.» la ripresi aggrottando le sopracciglia al suo comportamento. In  qualche modo avevo il sentore che stesse imitando il mio atteggiamento quando ero arrabbiato.

«Mi sto comportando esattamente come fai tu, Yoongi!» mi ammazzò con uno sguardo, stringendo con tale forza il palo orizzontale della staccionata da farsi sbiancare le nocche. Con il suo silenzio, era ancora più pericolosa di quanto potesse sembrare.

«Non voglio litigare con te.»

«Neanche io, ma è impossibile non farlo, ormai! Anche io ho un limite.» sbottò di nuovo, girandosi verso di me. «Siamo a Phuket, te lo ricordi? Siamo venuti qui per le vacanze, l'hai detto tu stesso che avresti pensato a divertirti e non al lavoro, come invece fai quando siamo a Bangkok. Perché sei diventato così ossessionato dai soldi?» mi chiese guardandomi con le lacrime agli occhi. «Potrei morire dissanguata sul pavimento del tuo ufficio e tu penseresti prima alla macchia di sangue che spaventerebbe i clienti!» continuò a tenere lo sguardo puntato su di me e, anche dopo che ebbi abbassato la testa, potei percepire i suoi occhi di fuoco trapanarmi il cranio.

«Guardati anche adesso. Abbassi la testa come un codardo.» la vidi scuotere il capo sprezzante. «Chiudere gli occhi non cambierà nulla. Niente scomparirà soltanto perché non puoi vedere cosa sta succedendo.» disse duramente, come se riuscisse a leggere gli impulsi nervosi che mi fecero abbassare le palpebre.

«"Non alzare la voce, migliora il tuo ragionamento".» recitai quasi meccanicamente una frase del suo libro più recente. Hana fece un minuscolo passo indietro, probabilmente presa in contropiede dal fatto che io leggessi le sue creazioni, poiché  mi reputava uno stupido insensibile a cui non importava niente all'infuori del denaro.

«Allora fallo.» si riprese subito dalla sorpresa. «Mostrami che i miei libri lasciano un segno nella vita delle persone.».

Feci per parlare e spiegare civilmente le mie ragioni, ma non ci riuscii. Non ne ebbi il tempo. Non potei scusarmi con lei, perché madre natura decise di punirmi proprio in quel momento.

 

La terra sotto ai nostri piedi iniziò a tremare violentemente assieme alle pareti fatte di vetro del resort. I fiori di plumerie e orchidee barcollavano precari, dando premonizioni poco allegre su quello che sarebbe successo di lì a pochi minuti. Mi voltai a guardare verso la piscina, intravedendo tra le foglie di alberi tropicali delle donne urlare e cadere a terra dopo aver perso l'equilibrio, mentre altri chiamavano aiuto svenendo poi sul pavimento. Sentii la stretta di Hana prendermi la mano per restare in piedi e, forse, anche per cercare conforto alla sua paura crescente.

«Yoongi, guarda...» sussurrò con voce strozzata, indicando terrorizzata verso il mare che riuscivamo a vedere splendidamente da quel punto. Ma quella volta non fu uno spettacolo guardarlo.

Sentimmo uno schianto al di là degli chalet con il tetto in paglia secca: una palma ne aveva distrutto uno cadendoci sopra.

 

Poi ci travolse. Senza avvertirci, un'onda con un'incredibile potenza investì qualunque cosa sul suo cammino: dai vetri del resort a quelli delle case costiere, dalle sdraio a bordo piscina ai meravigliosi arbusti che ricoprivano l'esterno dell'albergo. Non sentivo più la mano di Hana nella mia e quella sensazione di vuoto mi angosciò, ma senza durare troppo. Oggetti di ogni tipo mi venivano incontro, facendomi dimenticare per alcuni minuti della mia ragazza: tavoli, stoviglie, materassi, sdraio, ombrelloni e perfino automobili mi sfregiavano la pelle, disegnandomi lividi e ferite sanguinose sulla pelle lattea. L'acqua sporca mi trascinava dove preferiva, ma, nonostante ciò, riuscii a far riaffiorare la testa per prendere una boccata d'aria. Alzai le mani verso l'alto, nel tentativo di trovare qualcosa a cui aggrapparmi, ma non riuscivo a vedere cosa ci fosse attorno a me per via degli occhi irritati dall'acqua e per i capelli che mi restavano appiccicati alla fronte. Non potei curarmene molto, in quel momento, poiché le forze mi vennero meno.

Prima di abbassare definitivamente le palpebre, afferrai con le unghie un tronco di una delle tante palme precipitate, sperando di restarci fino alla fine del cataclisma per ricevere una sepoltura decente ed idonea alla mia persona. Poi mi lasciai andare e spirai il mio presunto ultimo respiro, con un dolore lancinante al ginocchio e al costato.

Ma, per mia sfortuna, quella volta non morii.

 

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Il mio spazietto: Oh, yeah, sono tornata (per vostra sfortuna e.e) con una nuova ff ~ E' da un sacco di tempo che ci lavoro e ho deciso di iniziare a postarla, visto che sono quasi giunta alla fine nello scriverla. Vi dico solo che non durerà molti capitoli, ma spero possa coinvolgervi in ogni caso ~ Fatemi sapere cosa ne pensate, sarò felicissima di rispondervi con i miei più sentiti ringraziamenti, indipendentemente dal tipo di recensione ~ Alla prossima ♥ (tutti i giovedì probabilmente, sì.)

 


 

   
 
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