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Autore: Luce_Della_Sera    08/05/2015    2 recensioni
Dal primo capitolo:
“La rosa blu in natura non esiste: è solo una rosa bianca colorata. Anche io dovrò essere così: d’ora in poi, nessuno dei miei coetanei dovrà mai sapere come sono fatta in realtà!”.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2: il primo giorno

“Letizia, alzati! Devi andare a scuola!”.
“Capirai, come se potessi scordarmelo!”, borbottò la ragazza, tirandosi su.
Dirigendosi verso la cucina, sentì un allegro chiacchiericcio: evidentemente, anche le sue sorelline erano già sveglie.
“Buon giorno a tutte! Livia, Laura, siete emozionate per oggi?”.
“Sì, lo siamo!”, risposero in coro le gemelle.
“Beate voi”, pensò la ragazza. “Vorrei tanto tornarci io, in prima elementare!”.
“Letizia, il tuo caffè!”, intervenne sua madre, strappandola ai suoi pensieri.
In realtà, avrebbe fatto volentieri a meno di berlo: non le piaceva affatto, ma verso la metà dell’anno scolastico precedente si era auto-imposta di farlo, perché durante una gita aveva fatto l’errore di dire che beveva ancora latte e cacao e la rivelazione era stata accolta da battute di scherno concernenti il suo infantilismo e la sua linea. Non che il passare da latte e cacao al caffè le avesse permesso di recuperare il rispetto dei suoi compagni, ma le era sembrato un piccolo passo in avanti per cambiare; quelli successivi erano stati la dieta e le lenti a contatto colorate. Non era nemmeno lontanamente come avrebbe voluto essere, ma almeno era diversa da quella che era stata in precedenza!
“Solo se fingo riuscirò ad avere amici. Non è assolutamente vero che bisogna sempre essere se stessi … chissà chi è stato a dire una cretinata del genere? E’ evidente che non ha mai conosciuto i miei ex compagni di classe!”.
“Letizia? Che hai, non ti senti bene?”.
“Ehm…” L’adolescente si affrettò a prendere la tazzina, che era posata sul ripiano del lavandino, e bevve tutto d’un fiato quella bevanda che tanto piaceva agli adulti. Represse una smorfia, e poi si girò verso la madre.
“Sì, certo, tutto a posto. Sono solo un po’ tesa!”.
Cercò di filare in bagno il più presto possibile, ma sua madre fu più veloce di lei e la afferrò per un braccio.
“Leti, mi raccomando per quest’anno, d’accordo? Non lasciarti abbattere per un po’ di prese in giro. Sono cose normali, alla tua età!”.
Un po’ di prese in giro? Cose normali? Lo pensi solo perché ti ho raccontato appena un decimo di quello che succedeva!”. Stava quasi per dirlo, ma poi ci ripensò: non era il caso.
“Va bene, mamma. Farò del mio meglio!”.
Detto questo, scappò via.
 
 
Qualche minuto più tardi, scese dall’autobus, e si incamminò fino a trovarsi davanti ad un edificio in muratura di colore giallo, sorretto da quattro colonne e recante la scritta Istituto d’arte: era arrivata a scuola!
Come lei, anche altri ragazzi spingevano per entrare: e in men che non si dica, si ritrovò nell’atrio, spaesata.
“Mi scusi!”, disse alla prima donna adulta che le riuscì di vedere, sperando che fosse una bidella e non una professoressa. “Saprebbe dirmi dove si trova il terzo C?”.
“Sali le scale, poi gira a destra. Ma non temere, se vuoi ti ci porto io…ho lezione proprio là, tra dieci minuti! Sei nuova?”.
“Sì. Mi sono trasferita da poco, vengo da…”. Letizia parlava automaticamente, ma intanto si complimentava con se stessa: per evitare di parlare con i suoi coetanei, aveva finito proprio per parlare con una delle sue insegnanti!
“La mia solita pessima mira!”, pensò, mentre seguiva l’adulta su per le scale.
 
 
Due ore più tardi, aveva capito che la docente da lei incontrata era la professoressa di lingua e letteratura italiana, e che ci avrebbe avuto a che fare per parecchie ore alla settimana; quello a cui non era preparata, invece, erano le domande dei suoi compagni, sette ragazzi e sette ragazze, ansiosi di conoscerla meglio.
“Come ti chiami?”
“Letizia”.
“Letizia, che bel nome!”.
“Grazie”.
“Quanti anni hai?”.
“Sedici, come credo tutti voi!”.
“Da dove vieni?”
“Da Rieti”.
“Quindi, sei una aretina?”.
“Reatina. Gli aretini sono gli abitanti di Arezzo”.
“Ah, già, vero!”.
La ragazza che aveva parlato, una mora con i capelli lisci e lunghi fino a metà della schiena, divenne rossa come un peperone per l’imbarazzo.
“Non fare caso a quello che dice Ambra”, si intromise un’altra ragazza, lanciando un’occhiata colma di disprezzo alla compagna. “Dice sempre un mucchio di sciocchezze!”.
“Beh, questa non è una sciocchezza. Tanti non sanno come si chiamano gli abitanti di Rieti, in effetti!”.
Non sapeva se il prendere le difese di una ragazza che non conosceva e che chiaramente non godeva della simpatia degli altri fosse una buona cosa, specie essendo appena arrivata, ma non le importava: detestava le ingiustizie di qualunque forma, non poteva proprio farne a meno!
“Comunque” riprese, capendo che tutti si erano zittiti perché volevano vedere cos’altro avrebbe aggiunto, “Mi sono trasferita qui per via del lavoro di mia madre, che è impiegata alla banca”.
“E tuo padre che lavoro fa?”.
Stavolta, era stato un ragazzo a porre la domanda; Letizia esitò, innervosita.
“Tuo padre si sarà buttato apposta contro il guard rail per la vergogna di avere una figlia grassa e brutta come te!”.
La voce nella sua testa, che somigliava fin troppo alla voce di una sua ex compagna di classe, la fece rabbrividire. Non poteva raccontare la verità… doveva mentire, per evitare che un giorno quello che aveva detto della sua famiglia potesse essere usato contro di lei.
“Mio padre e mia madre si sono separati qualche anno dopo la nascita delle mie due sorelle… è tanto che non lo vedo, e a dire il vero non so neanche che fine abbia fatto! Le mie sorelline invece si chiamano Livia e Laura, sono gemelle e hanno sei anni…”.
Con suo grande sollievo, nessun altro le fece domande sull’unico membro maschile della sua famiglia: forse, avevano tutti capito che era un argomento delicato. Il suo sollievo fu ancora più grande, però, quando la campanella suonò annunciando la fine della ricreazione!
 
 

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Nonostante non amasse i social network, Letizia era grata ad internet: sarebbe stato suo prezioso alleato nel suo proposito di nascondersi agli altri.
 
Trasferirsi in un’altra città con figli piccoli.
La sentenza numero 43292 della Cassazione, emessa nell’ottobre del 2013, ha stabilito che la madre separata non può trasferirsi arbitrariamente in un’altra città portando con sé i figli senza aver prima consultato il padre degli stessi…
 
“Questo può essermi utile. Devo tenerlo bene a mente!”
Stava per andare a cercare altri articoli simili, quando la porta della sua camera si aprì e lei sobbalzò con aria colpevole, credendo che fosse entrata sua madre: proprio non riusciva a farle capire che il primo giorno di scuola non potevano esserci già compiti da fare!
Si girò, e si ritrovò davanti due visetti vivaci ed identici che la fissavano con curiosità.
“Ciao ragazze! Che c’è?”.
“Volevamo farti sentire il nostro duetto!”, cinguettò Laura, eccitata.
“Avete fatto un duetto? Brave! Su cosa?”.
“Su ‘Oggi per la prima volta’ !”
“Ah, Frozen ! Che bello!”.
La ragazza pensava davvero quello che aveva detto: adorava quel cartone animato, come tutti gli altri del resto. Nonostante nella sua ex scuola le avessero sempre detto che guardare i cartoni animati era da bambini e che anche sua madre fosse dello stesso parere, lei non poteva fare a meno di guardarli ancora, quando le capitava. Non era la sua attività preferita, ma non ci vedeva nulla di male nel farlo, ogni tanto!
“L’avete già fatto sentire a mamma?”.
“No: è un’adulta, non capirebbe!”, rispose Livia, facendo una smorfia. “E poi, adesso sta stirando!”.
“D’accordo, allora. Chi comincia?”.
Le due bimbe si guardarono.
“Io!” fece Laura, quasi saltellando. Poi attaccò:
 

La luce che irrompe fin quassù
Credevo che non accadesse più …
Non ho mai visto tanti piatti qua!

 
Letizia guardò le sue sorelline, e per la seconda volta in meno di poche ore le invidiò un po’.  Alla loro età non vedeva l’ora di crescere, ma in quel momento desiderava tanto essere piccola come loro!
Ricordi dell’infanzia le si affollarono alla mente, uno dopo l’altro: e quando tornò al presente, era già il turno di Livia.
 

Non dire mai la verità:
se sei brava nessuno lo saprà…
celare,
domare
perché io so
che è un segreto e lo proteggerò.

 
“Anche io avrò dei segreti da celare”, pensò. “E spero tanto di non finire come Elsa dopo che è stata scoperta, poverina! Ma perché diavolo la vita deve essere sempre così complicata, specie durante l’adolescenza? E perché dovevano esserci sempre dei ragazzi che fingevano di amare ad una ragazza solo per portarsela a letto?
Quel pensiero le fece mancare l’aria: nonostante fossero passati ben cinque mesi da quello spiacevole episodio, la sofferenza era ancora parecchia.
Cercò di trattenersi, ma ben presto il suo respiro iniziò a farsi sempre più affannoso, e iniziò a girarle la testa; riuscì ad alzarsi dalla sedia, ma a malapena sentiva le voci delle sue sorelline che, allarmate, la chiamavano.
Poi, tutto divenne buio.
 
 
“Letizia? Letizia??”
Una voce che pronunciava il suo nome, e sembrava venire da molto lontano.
Ma chi poteva essere? Le sembrava molto familiare, eppure non riusciva ad identificarla.
“Letizia, mi senti?”.
In un attimo, tutto le fu chiaro.
“Mamma!”.
Sua madre era dietro di lei, occupata a tenerle le gambe sollevate.
“Che è successo?” chiese la ragazza, anche se conosceva già la risposta.
“Sei svenuta”, rispose l’adulta, lasciandole delicatamente gli arti inferiori e aiutandola a mettersi seduta.
“Ho capito”, disse, trasalendo per il dolore alla schiena.
“Come hai fatto? C’è forse qualcosa che ti preoccupa, oppure qualcosa che dovrei sapere? O magari entrambe le cose?”.
L’adolescente fissò l’adulta nei suoi occhi azzurri, così identici a quelli delle sorelle e molto più veri dei suoi, che erano frutto delle lenti a contatto colorate. Doveva stare bene attenta a non abbassare lo sguardo, altrimenti si sarebbe capito subito che stava nascondendo qualcosa!
“No mamma, sarà stato un qualche calo di pressione!”
“Sicura?”.
“Sì, sono sicura”.
“Lo sai che puoi parlarmi di tutto, vero?”.
“Sì, lo so”.
“Posso lasciarti sola? Devo andare a fare la cena, e intanto sorveglio le tue sorelle”.
“Per me va bene … se dovessi sentirmi ancora male ti avvertirò, semmai. Ma dove sono Laura e Livia, a proposito?”.
“Le ho mandate a guardare la tv, erano preoccupatissime. Livia è andata a chiamarmi, e quando siamo tornate c’era Laura che aveva le mani sotto la tua testa: probabilmente ha pensato che quello fosse il punto principale da proteggere, quando sei caduta”.
“E ha fatto bene, direi: in effetti, che io sappia è proprio la testa la parte più delicata, in questi casi!”.
“Allora, posso andare? Vuoi venire di là anche tu?”.
“No grazie, ehm… preferisco restare qui”.
“Come vuoi. Ma se ti senti ancora male chiamami!”.
“D’accordo!”.
La porta della camera si chiuse, e Letizia rimase sola.
“Finalmente”, pensò la ragazza. Fece per sedersi di nuovo davanti al computer, ma le bastò un’occhiata per capire che l’apparecchio si era scaricato e si era spento…
“Che stupida sono stata, avrei dovuto inserire il cavetto! Meno male che non avevo nessun documento importante da salvare, altrimenti a quest’ora l’avevo perso”, si rimproverò mentalmente.
“Che razza di giornata”, si disse ancora, sospirando, mentre andava a sedersi sul letto. “E’ stata già piuttosto movimentata, direi… e siamo solo all’inizio. Non oso pensare a cosa succederà da domani in poi!”.
Per impedire al suo cervello di fare altri brutti pensieri, accese la televisione della sua camera, e si mise a cercare qualcosa da vedere per occupare il tempo che la separava dall’ora di cena.

  
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