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Autore: Koa__    08/05/2015    2 recensioni
Scappa, da lei, da lui, da te stesso.
Prega, che non sia vero, che sia tutta un'illusione: di stare ancora dormendo.
Ama, e fallo da lontano.
[Prequel di: 'Prigione di seta']
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Altro personaggio, Mrs. Holmes, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Prigione di seta'
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Note introduttive. Questo è un prequel di: 'Prigione di seta', che è fondamentale aver letto. Leggendo 'Scappa, prega, ama' da sé, si perderebbero molti dettagli e soprattutto, si perderebbe la visione d'insieme riguardo Mycroft, che è il fulcro della trama. Non lo dico per obbligarvi a leggerla, ma perché è importante sapere come sarà Mycroft in futuro, prima leggere dei fatti che hanno scatenato il tutto. 
Inoltre, sarà composta da tre parti: Scappa, Prega e Ama, il che richiama in parte un film di qualche anno fa con Julia Roberts (Mangia, prega, ama).
Ogni parte viene costruita attorno ad uno specifico brano musicale, che ne delinea le atmosfere. L’ascolto è quindi caldamente consigliato. 
 
 
 

 

 
Scappa, prega, ama
 
 
 


Scappa
 
 
 
 
 
 
Dicono che tu sia un genio. Naturalmente, per saperlo non hai bisogno delle dicerie e chiacchiere di corridoio sussurrate alle tue spalle, mentre ti additano come strambo. Né servono a qualcosa gli sguardi ammiccanti e le pacche sulle spalle dei tuoi superiori. Tu sai di essere straordinariamente intelligente ed è un dato di fatto come la terra che ruota attorno al sole. Sei così fin da quando eri un bambino, anche a sei anni eri sicuro di possedere la sciagura d’avere una mente senza pari. Sì: sciagura. Sembra assurdo, ma ci sono momenti in cui invidi gli idioti e coloro che hanno la fortuna di non essere come te. Tu che anche da piccolino sapevi di essere diverso, di essere il migliore. Questo, oltre che ad ingrassare il tuo già smodato ego, ti ha sempre fatto sentire un po’ solo. Ed anche se un lato nascosto di te ne ha sofferto, il tuo non avere nessuno non ha mai realmente inficiato sulla tua felicità: meno persone attorno, significa meno fastidi. Eppure, ed è ridicolo, con tanto genio e con già un’ottima carriera politica ben avviata, con te introdotto alla Regina Elisabetta, ancora non sei riuscito a cavar fuori qualcosa di buono. Sei uno smidollato senza coraggio. In vita tua sei da sempre pigro, non hai mai fatto attività fisica e spesso anche solo il pensare ti risulta eccessivo; ci sono infatti giorni in cui è una fatica addirittura l’alzarsi dalla poltrona. Eppure non hai mai avuto modo di riflettere riguardo il coraggio, più che altro non è un qualcosa su cui ti sei soffermato a pensare; perché avresti dovuto? Non era necessario, non ti interessava.

A che serve quando sai già tutto?

Oggi però ti sei reso conto di essere un vigliacco perché stai scappando e lo stai facendo da te stesso, dalle tue paure, dalle tue più perverse e profonde fantasie. Fuggi da tua madre e da quello che, di te, potrebbe venire a sapere se soltanto si soffermasse un istante a guardarti negli occhi. Per alcuna ragione al mondo lei dovrà venirne a conoscenza e quindi fuggi, via da quell’odio che potrebbe nutrire nei tuoi confronti se sapesse chi in realtà sei e quali illusioni alimenti. Scappi e lo fai da così tante cose che ne hai perduto il conto. Che tu stia fuggendo da te stesso o da ciò che temi di diventare, questo, invero, non importa. Non cambierebbe nulla perché, in fin dei conti, tu rimarresti comunque inchiodato al seggiolino di quel pianoforte a mezza coda del quale, ormai, ti sei appropriato. Il tuo tormento sarebbe identico, sempre lo stesso e perennemente uguale, così troppo forte da tollerare.

E quindi suoni.

Lo fai ad occhi chiusi e con le mani che viaggiano svelte e rapide, suoni con la testa che ondeggia al ritmo di un delicato valzer. Ami il pianoforte ed anche se non lo suoni da troppi anni, la sensazione di totale estraniazione è forte come un tempo. Quando le dita si appoggiano sui tasti bianchi e neri è come se il resto del mondo scomparisse e tu, finalmente, rimanessi solo con la parte buona di te stesso. È quel che sopra ogni cosa preferisci. Sei da sempre un uomo solo e più cresci e diventi adulto, più ti rendi conto che sarà così finché avrai vita. Al tuo fianco non ci sarà mai nessuno e d’altra parte, chi potresti mai accettare? Chi mai potrebbe accettarti? O amarti per ciò che sei? Nessuno. No, Mycroft, non è questione di merito e non c’entra neanche con il tuo elevarti ad essere superiore, col tuo crederti Dio e il farti carico dei mali del mondo. Ha piuttosto a che vedere con ciò che chiami maschera, con lo spesso muro di avorio che ti sei eretto attorno. Una torre bianca come l’anima che non hai. Per non far vedere. Per celare agli occhi del mondo quel che sei in realtà: un mostro.

E quindi suoni.

Non lo facevi da secoli, perché non è facile trovare un pianoforte decente e non sei più a Cambridge da anni, non puoi semplicemente chiuderti in una stanza qualsiasi; nel mondo reale è estremamente difficile riuscire a reperire uno strumento in buono stato. Ma Abel, il vecchio rigattiere, con quel suo negozietto strambo, polveroso e ricco di cianfrusaglie, sembra ben disposto a concedertelo per qualche ora. Di solito ci vai in quel momento delicato e speciale e che adori al pari di una torta alla crema, l’ora del giorno in cui inizia a farsi sera ed il cielo si colora di mille sfumature diverse, creando straordinari riflessi. È la luce che entra con prepotenza dalla vetrina e che si scontra con i vetri del lampadario appeso al soffitto, proiettando colori dell’arcobaleno su muri e oggetti. E tu, fanciullescamente, ne rimani estasiato e rapito, ammutolito da tanta bellezza.

E intanto suoni. Tentando disperatamente d’accantonare la parte stramba e odiosa di te stesso. In quegli attimi lunghi, infiniti, quasi eterni, resti solo con il tuo buon senso. Ne assapori ogni istante perché sì, esiste e il fatto che tu sia qui ne è la prova. Dimentichi chi sei e per un istante la felicità arriva. In fondo è questo ciò che conta: azzerare tutto e scordarsi di ogni cosa, estraniarsi da un mondo orribile e nel quale non ti senti a tuo agio, via da quel te stesso che ti spaventa, ti orripila, ti terrorizza. Suonare melodie ogni volta diverse sotto lo sguardo trasognante del rugoso Abel, ed in nome di esso donare il meglio di sé, talvolta con un Chopin quasi traballante, altre invece con le melodie romantiche di Beethoven o Debussy. Incredibile è il fatto che il gelido Mycroft dia tutto ciò che possiede, tutta la sua sana passione, esclusivamente per lui. Per qualcuno che a stento conosce e che lo ha accettato nel suo negozietto disordinato, un uomo che lo guarda con malinconia e che pare addirittura commuoversi.

Forse gli ricordi qualcuno, pensi.

Una persona che ha amato e che, magari, ha suonato proprio il pianoforte che ora occupi abusivamente. Chissà chi è, ti domandi. Chissà cos’erano uno per l’altra. Chissà se vivrai mai un affetto del genere, un amore in grado di accenderti lo sguardo anche tra cinquant’anni. Di certo a te non è concessa questa possibilità, perché i mostri non amano. I mostri si ossessionano di un finto amore intriso di sentimenti sbagliati e fuggono agli occhi del mondo, ricoprendosi di viltà.

Fa caldo nella piccola bottega da rigattiere di Abel, probabilmente l’ultima che c’è a Londra e che sta al primo piano della palazzina in cui vivi. La tazza di tè ancora piena e fumante se ne sta in bilico a lato della tastiera e di tanto in tanto traballa pericolosamente. Il ventilatore non serve poi a molto, fa soltanto un gran rumore e se non fosse per le decine di orologi a cucù posizionati un po’ ovunque che ticchettano di continuo, non ti darebbe nemmeno troppo fastidio. L’aria è rarefatta e pesante, servirebbe qualcuno per tergerti il sudore della fronte, piuttosto che per asciugare i tasti umidi del pianoforte sui cui le dita scivolano facendoti inceppare. Ma a te non importa, non del caldo e nemmeno della polvere tagliata a metà dalla luce imperiosa del sole. No perché, caparbio, prosegui lungo il tuo tortuoso e tormentato cammino.

Ad occhi chiusi per non vedere. Per non vederti.

E sei talmente immerso nel tuo mondo composto da note ben allineate ed una melodia cadenzata, così pregno di quell’armonia quasi banale e al tempo stesso stupenda, che non ti accorgi dello scampanellio della porta che si apre. Non senti il ticchettio di eleganti scarpe da donna, così come ignori il sorriso di Abel che si stira in un: «posso aiutarla?» pronunciato con solito fare cordiale. No, tu non ci fai caso perché sei tutto note in questo momento. Sei un essere strano, una creatura amorfa e che ha pretesa assurda di potersi evolvere in qualcosa di puro. Se fossi solo melodia, se fossi quella melodia che si espande nell’aria polverosa di una bottega da rigattiere, non saresti lo strano giovane uomo che sei. Sei certo che sarebbe bellissimo perché saresti luce e armonia, saresti purezza virginale, saresti…
«Struggente e drammatico: perfettamente da te, Mickey.» Quella voce ha il potere di paralizzarti, di fendere tutte le tue barriere come una lama ben affilata trafigge una cotta di maglia. In un battito di ciglia, in uno svolazzare di costoso profumo femminile ti senti scoperto, nudo, vulnerabile. Preferiresti di gran lunga fuggire e scappare lontano, ma ora non sei in grado neanche di respirare e tutto ciò che riesci a fare è startene fermo, immobile e con il respiro che s’inceppa. Illuminato dai colori di un arcobaleno artificiale, lì con le dita ferme a mezz’aria e che pare non abbiano più il coraggio di posarsi sui quei tasti bianchi e neri che fino a poco fa erano la tua unica ragione di vita. Sei paralizzato e sì, assolutamente terrorizzato.
«Che fai qui?» biascichi, riacquistando un pallido auto controllo.
«Ti imploro» risponde e solo a questa rivelazione, così sfacciata e a tratti dura, riesci a trovare il coraggio di sollevare lo sguardo. La prima cosa che noti è la sua ostentata perfezione, la stessa che ti sbatte in faccia con prepotenza. Ha un’eleganza imponente, non ricercata ma estremamente naturale, una bellezza divina e severa ed una somiglianza a Sherlock così palese da farti rabbrividire. Lei. Con quegli occhi azzurri che te lo ricordano in modo esagerato, con quello sguardo che t’inchioda e ti fa smettere di respirare.
«Vieni con noi in Provenza» prosegue, poco più tardi mentre tu ancora boccheggi.
«Sono già venuto a Natale.» Ed è sufficiente per il resto della vita, pensi, anche se non hai il coraggio di aggiungerlo.
«Vieni ancora.»
«No.»
«Un mese.»
«No.»
«Tre o, anzi, facciamo due settimane.»
«No.»
«Qualche giorno soltanto. Non m’importa per quanto tempo, ma vieni. Ti… ti prego.»
«Da quando implori?»
«Da quando scappi?»
«Io non scappo.»
«Da quando, Mickey?»
«Ho un nome, che tu mi hai gentilmente dato, gradirei che lo usassi per intero. E comunque la mia risposta è sempre no.»
«Mick-Mycroft, c’è qualcosa che ti tormenta ed è così da troppi anni, dimmi che cos’è e lo risolveremo.»
«Niente mi tormenta.»
«D’accordo, quindi puoi venire, giusto? Se nulla ti preoccupa allora puoi venire con noi.»

Non le rispondi. Ti limiti a sospirare con un fiato leggero e timido, con il rosso che ti colora sempre più le guance e con il labbro contratto e l’espressione corrucciata di chi è stato fregato dalla propria madre. Lei è così come lui. E tutto ciò che senti, mentre le note riprendono a volare, è un suo “domani” che riecheggia secco, come il frastuono di uno sparo e poi lo scampanellio della porta che strimpella appena, prima che questa si richiuda con un tonfo lieve.

Abel non si domanda chi sia quella donna e perché tu, ora, abbia cambiato sonata. Gli piaceva così tanto quella che stavi suonando prima, tanto che vorrebbe domandarti di ripeterla. Eppure non ha il coraggio di affrontarti. Non lo ha mai quando sei lì dentro forse perché, così come te, teme di spezzare le illusioni e non vuole che esse si frantumino al suolo. Non riuscirebbe più a rivangare quel passato che gli fa brillare gli occhi in quella maniera, e che gli spezza il respiro ogni volta che ti guarda. Vorrebbe, ma non lo fa e nel mentre tu sei ignorante dei suoi dubbi e dei suoi timori perché hai i pensieri altrove, alle note cadenzate e gioiose di Fauré e della sua Sicilienne. Quella che fa da sottofondo alla tua atroce sconfitta. Quella che ti fa voltare pagina e che ti condurrà verso l’abisso.


 
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