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Autore: CrisBo    08/05/2015    3 recensioni
Niente odora di caciotta e umidità come il bancone del Green Man.
È oblungo, scuro e coperto da crepe e cicatrici informe di sigarette e sigari abbrustoliti. Colpa dei passanti che ci hanno riversato sopra lacrime e risate, grida e lamenti, chi per una partita del Manchester finita male e chi per una donna fatale senz'anima. Quanti bicchieri di whiskey e amaretto consumati, rotti e martoriati, quante storie hanno avvolto il legno composto e un po' rustico di quel locale casalingo. Se ogni uomo ha una sua storia allora il Green Man – che di uomo ha almeno il nome – ne ha contate più di diecimila. [Dal prologo]
************
In una città dell'Inghilterra farete la conoscenza di Grace, di Alex, di Penny, Locke e una miriade di altri personaggi che il Green Man ha adottato tra le sue mura. Sarà proprio lì che l'incontro con un gruppo di attori cambierà la loro quotidianità. Perché c'è chi resta e chi va: ma ciò che succede al Green Man rimane al Green Man.
[ STORIA IN SOSPESO. Riprenderò al più presto. ]
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aidan Turner, Dean O'Gorman, James Nesbitt, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 14.
Uccidi la balena bianca

Fu il ballo più sconclusionato, scalpitante e idiota della storia dei balli.

La Zattera Bruciata aveva cominciato a impazzire con generi diversi e, così, eravamo passati da un Elvis in piena forma ad una sonata di Hevia, senza la cornamusa. 
Non era la stessa cosa, ma il Green Man si adegua ad ogni suono e noi con lui.

Intorno a noi vorticavano Penny con Jacq – molto più romantiche di noi – mentre Mya stava costringendo Locke a farle fare una piroetta avvitata.
Locke riuscì a farla roteare per mezzo giro e poi si erano stretti in una specie di abbraccio che li aveva fatti ridere entrambi.

Io continuavo a calpestare i piedi a Will. 
Gli andavo addosso. Avevo sgomitato, per sbaglio, lo sterno di Adam che era intento a danzare da solo un'improbabile danza fatta di schiocchi di dita e movimento fluido del bacino.

Sembrava molto Cartlon ma non ebbi il coraggio di fare questo paragone con lui. Nè tantomeno volevo rendere partecipe Will.

Non volevo constatare che quel misterioso ragazzo, che era riuscito a finire addosso a Graham mentre giravamo come due trottole davanti ad una Priscilla accordata, poteva cogliere citazioni di questo genere.

Eppure il suo modo di sorridere e di guardarmi mi faceva sentire a mio agio, per quanto non riuscivo a capire se mi fosse simpatico o meno. 
Alle volte sfuggiva dalla presa e poi mi riprendeva, facendomi girare e saltellare come un grillo per tutta la sala, finendo addosso a Penny, a Russò e anche a Paul che stava cercando di spiegare ad una ragazza che “Star Trek” poteva diventare una religione a sé stante.

Io non avevo smesso di ridere per un secondo.

L'alcol mi era salito ignobile fino alla testa e ora mi sentivo leggera come una piuma e in una piena crisi di ridarella.
Ero contenta di non possedere dei poteri magici, ed essere solo una semplice Babbana, perché avrei fatto cose alquanto bizzarre in quello stato.

Mi venne in mente di trascinare Will sopra un tavolo per tuffarci in mezzo alla gente e, solo in quel momento, mi tornò in mente che io avevo una cosa da sbrigare.

Pensare ai tavoli mi faceva venire in mente solamente una e una sola persona.
Dovevo finire un cocktail. Per James.

James.

Feci fermare Will con una sterzata di piedi e, per la sorpresa, finimmo col placcare Amanda e Martin che stavano ballando allegri, con in mano bicchieri fluorescenti. 
Io finì su Amanda e Will su Martin e ci ritrovammo in una sorta di orgia di alcol, capitombolando a terra come delle pere cotte.

«Io non ci esco vivo da questa festa.» Piagnucolò Martin, tirandosi su. Aiutò sia me che Amanda a ritornare dritte.
«Lo dicevi anche dopo ogni puntata di Sherlock.» Disse Amanda, strizzando il naso.

«Scusatemi, è stata...è che...non ho i freni a queste dannate scarpe. Non so ballare. Il pavimento è di cera lacca. Credo di aver immesso una lastra di ghiaccio per pattinare con Snoopy. Non sono stata io.»

Biascicai quelle scuse, sicurissima di me, e vidi Amanda sorridermi con aria addolcita e Martin guardarmi come se fossi un'aliena.
Will, che si era tirato in piedi come una molla, cominciò a ridere, prendendomi per le spalle.

«Scusatela, ha una grave malattia che si chiama: “brillallera”.»
«Ehi! Io non sono ubriaca.» Tirai su un indice.
«E io sono Gionni Solo.» Rispose Martin con un sorriso furbo.

Io non feci in tempo a sorprendermi della cultura di Martin su Gionni Solo perchè mi ritrovai accerchiata da Dean che teneva Walter per un guinzaglio. 
Il mio cane aveva un insolito pareo sulla testa, una sorta di velo da sposa fiorito.

«Porto Walter a fare un giro, mi sta chiedendo un po' di intimità.» Mi disse Dean con un sorriso.
«Tu passi troppo tempo col mio cane, occhio che ti curo.» Dissi io, assottigliando lo sguardo.
«Non è vero. Walter, dille che non è vero.»
Il mio cane fece un abbaio e io mi resi conto che mi aveva appena risposto. La cosa un po' mi turbo ma li lasciai andare, incapace di replicare.

Mi voltai giusto per ritornare a cercare il mio irlandese quando m'accorsi di avere una Jacq con aria un po' spiritata davanti alla faccia. 
Aveva i capelli un po' ribelli per il troppo ballare.

«Tesoro, il tuo James è appena uscito dalla porta.»
«Cosa?!»
Esclamai con fin troppa foga. Non feci caso a Martin e ad Amanda che mi avevano guardato con occhi aperti.

«Ah, caro, non ci siamo presentati. Io sono Jacq; vieni che ti presento ai miei amici.»

Jacq, che era piccola, dolce, furba e intelligente prese Will per un braccio e se lo trascinò via. 
Poi mi guardò con aria eloquente e io le feci un solo cenno. Cercai Penny con lo sguardo e la vidi guardarmi con un debole sorriso.
Poi mi fece cenno di andare, con le dita, e io mi voltai in gran fretta arrancando verso la porta.

In quell'esatto momento, dopo che avevo boicottato la Legge di Murphy per quella sera, piombò sulla mia testa con una velocità inaudita.

Aidan e la sua ragazza mi fermarono per chiedermi un cocktail d'amore. 
Una ragazza mi disse se poteva fare una foto con Dean e il mio cane. 
Graham mi aveva placcato per introdurmi in una conversazione con Stephen riguardo i Pink Floyd. 
Locke mi stava tentando con una gigantesca cheescake posata sul tavolo principale. 
Mya voleva costringermi a cantare una canzone con lei al karaoke. I
l Belgo aveva cominciato a suonare “House of the Rising Sun” sapendo quanto mi piacesse.

Io volevo solamente uscire da quella porta e cercare James.

Dopo essere riuscita a defilarmi con scuse improbabili – che stranamente riguardavano una svendita di lollipop proprio fuori dal locale – uscì fuori.
Mi accorsi subito di come l'aria fosse fredda.

Non mi ero messa niente così la mia pelle divenne una buccia d'arancia unica e cominciai a correre verso il bosco davanti al Green Man. 
L'aria di festa mi avvolgeva ancora, sentivo la musica farsi sempre più sopita, così come le luci. 
Non so perché il mio istinto mi disse di andare proprio in quel punto ma notai che avevo fatto bene.

Vidi James di schiena, si stava martoriando la fronte con la mano e camminava svelto.

Con uno scatto da maratoneta riuscì a raggiungerlo, senza più fiato in corpo.
Correre dopo ben dieci anni che non lo facevo più era un suicidio.

«James! Aspetta, dove...non è quella la strada giusta! Ti stai addentrando nel fitto. Potrebbero esserci i lupi mannari. O gli Unicorni!» Mi bloccai per un istante col dire, corrugando la fronte. «Forse gli unicorni no, sono solo cavalli con una spada in test-»

«Grace, è tutto sbagliato

Lui si fermò di scatto, voltandosi e io dovetti frenarmi di colpo per non finirgli addosso. 
La sua voce era un misto tra delusione, rabbia e qualcosa che non riuscì a definire quindi, nel mio stato alcolico, venni sopraffatta da un moto di agitazione.

Possibile che fosse colpa mia?

Mi ritrovai a guardarlo con aria sconcertata, boccheggiando qualcosa che non fossero stupide parole di circostanza, ma mi limitai a corrugare la fronte e stringermi le braccia alla vita. 
Ero sicura di non aver detto niente di insolito e imbarazzante, eppure, provai a pensare a cos'avessi fatto di sbagliato per arrivare a questo.

L'aria mi sembrava ancora più fredda, quella sera, eppure mi sembrava così vicino il fuoco di quel camino, in una casa nel terreno.

«Non va bene, non va bene per niente. Uno pensa che sia facile dover ricominciare, ma la verità è che dopo vent'anni ti ritrovi a dover fare i conti con qualcosa che pensavi di aver superato da tempo. Non mi voglio più fare carico di questo, non lo voglio pretendere da te e non voglio dover sopportare ancora il crollo di qualcosa, perché non ne ho le forze.»

James continuò quel suo discorso un po' biascicante e io non riuscivo a smetterlo di fissarlo. 
Non capivo assolutamente dove volesse andare a parare, colpa anche del fatto che l'alcol mi impediva di intrufolarmi nelle sfaccettature di quelle frasi, ma era anche colpa del Green Man che mi richiamava con le sue liane verso di sé.

Perché eravamo lì? Non era il nostro posto. 
Noi dovremmo essere ad una festa, in mezzo agli amici e ad attori fantastici, a bere, mangiare e a utilizzare i ricci di Aidan per spolverare le mensole.

«James io...»

Ci provai a parlare ma stavo cadendo nel classico cliché del: parlo anche se non so bene cosa dire. 
Così lasciai sfumare la frase volutamente, scuotendo il capo. 
Lui rimase in silenzio per molto tempo, fissandomi, continuando a bisticciare con le proprie dita.
Notai solo in quel momento che era propenso a gesticolare molto in questi casi.

«Tu mi piaci, Grace. Mi piaci tanto. E non è quel tipo di piacere da “accidenti, potresti muovere di più quelle anche? Sei una bomba!” e neanche al livello di una foto sui social network con ventimila pollici alzati e commenti che neanche nei più scabrosi siti porno troveresti. Tu mi piaci in maniera molto più pericolosa

Io, in quel momento, esplosi.
Se avevo ancora un cuore era schizzato via dal mio petto come un Alien.

«Il problema è che potrei essere tuo padre e non è giusto che io ricalchi ancora su questi punti, dopo tanto tempo. Non ce la faccio a dover ripercorrere di nuovo qualcosa che pensavo di aver lasciato alle mie spalle. Sento che potrei davvero smetterla, per una buona volta, e vivermi questo mio errore da solo, senza dover incatenare nessuno alle mie paranoie. Non voglio chiederti nulla e non voglio dover assistere, per l'ennesima volta, ad uno sguardo deluso e sofferto. Ma so che lo farò, lo so, perché sono umano e procurerò ancora dolore. Capisci...capisci cosa voglio dire?»

Lui prese un respiro tremante. 
Lo vidi guardare altrove, verso gli alberi, e la luna luminosa gli faceva luccicare lo sguardo.
Io ero in stato di infermità mentale da molto tempo.
Il mio cervello mi aveva detto addio, il mio cuore era scoppiato, il mio stomaco era diventato un wormhole.

Stavo subendo qualcosa, nel mio io, che non avevo mai provato con niente. 
Forse neanche la vigilia di Natale, sapendo che il giorno dopo avrei aperto i regali e, forse, avrei trovato finalmente il pupazzo di Hobbes che non era mai arrivato.

Scossi il capo, comunque, alla sua domanda.
In tutto questo, non avevo la più pallida idea di che cosa volesse dire.
Ma forse lo sapevo ma non volevo ammetterlo a me stessa.

«Quando sto con te mi sento me stesso. Non mi viene in mente di pavoneggiarmi, non recito, non ho bisogno di essere piacente.»

Prese un'altra pausa.

«Sei quella boccata d'ossigeno quando mi accorgo di non riuscire più a respirare perché mi mancano le mie bambine. E...mi sono accorto che io non devo provare questo, non per te, ma sta diventando difficile reprimerlo.»

Mi aveva colpito e affondato.
Si stava, veramente, dichiarando? Gli piacevo sul serio?
Ma in quale mondo, in quale universo, in quale galassia una cosa del genere sarebbe mai stata concepita?

Io non ero pronta psicologicamente ad una cosa del genere.

Non lo ero mai stata, in tutta la mia vita. 
Non avevo mai dato niente di più di quel che mostravo, ai ragazzi, e loro non avevano mai forzato la mano. 
Forse ero stata troppo cieca, o troppo intenta a preoccuparmi di difendermi da qualcosa di questo genere.

«Ti prego, dimmi qualcosa...insultami, prendimi in giro, fai la Grace, ma smettila di guardarmi così.»

Ecco che venivo chiamata in causa. 
Era una cosa che dovevo aspettarmi, visto che stava parlando con me, ma non riuscivo proprio a inserirmi dentro quella conversazione.

Mi ero bloccata, irrigidita, mi sentivo la testa scoppiare e il fatto che fossi poco sobria non aiutava a pensare lucidamente. 
Ero in balia di impulsi e torture psicologiche intense. Sentivo che le mie labbra volevano muoversi e dire tutto quello che stavo provando ma prendevo solo aria.

Accidenti, Locke ha ragione quando dice che entrano solo le mosche dentro la mia testa bacata.

E James mi guardava in quel modo.
Uno sguardo che non mi meritavo, per niente.

«Mi dispiace di averti rovinato la festa. Vedi, ho già cominciato male. Ti-ti lascio andare e io è meglio se mi allontano per un po'. Torna da quel ragazzo, non preoccuparti.»

Mi disse lui, con aria abbattuta, e si voltò di schiena per procedere di nuovo nel fitto del bosco.

Questa volta non avevo tempo per pensare. 
Dovevo flettere i muscoli delle gambe e fare quel dannato passo, per una buona volta. 
Chiusi gli occhi fino a strizzarli e provai ad immaginare qualcosa che mi desse la carica.

Non so perché ma vidi una galletta di mais, gigantesca, che mi guardava con due occhi enormi.
Chissà perché proprio una galletta di mais, poi.

“Noi siamo obbligati ad essere felici, Grace. Prenditela e non lasciarla andare, o potrai prendertela solo con te stessa.”

La galletta di mais scomparve dopo quella sua perla di saggezza e io trovai il coraggio di fare, finalmente, il passo. 
Stavo abbattendo il mio muro. Avevo ucciso la mia balena bianca.

«James, anche tu mi piaci.»

Lo dissi veloce e con un pizzico di tonalità da papera ma mi bastava che lui sentisse.
Lo vidi voltarsi verso di me, di nuovo.

«Sì è vero, potresti essere mio padre – e meno male che non lo sei o sarebbe un po' inquietante – ma non m'importa. Mi piaci da morire. E non da morire come “oh mai gAd, non potrò andare a vedere il gruppo dei Biscotti Ribelli, voglio morire” ma nel senso che stai facendo un lavoro di prestigio, dove ciò che non si vedeva ora si vede e provo cose complesse. E ho paura, ho tremendamente paura che sia tutta colpa del fatto che io ti idealizzo come vorrei che tu fossi, perché io sono una tua fan e questo complica le mie vere percezioni in materia. Non so se fidarmi e, nello stesso tempo, vorrei farlo e rischiare. Ma ho la propensione a difendermi, a creare barriere, ho i cancelli di Mordor chiusi. Ma tu...tu...»

Dopo quella valanga di parole mi accorsi di essere completamente avvolta in un'aura di imbarazzo epocale e ripresi a balbettare.
James mi stava fissando come non aveva mai fatto, in quei giorni, e ritornai a vedere Chewbecca parlarmi con i suoi gargarismi.

«Capisci...capisci quello che voglio dire?»

Lui aveva le labbra schiuse e gli occhi ingigantiti. Scosse la testa lentamente e io presi un sospiro.
Non eravamo molto bravi con una chiara sintassi.

«Mi piace come mi fai sentire, mi piace sentirmi così per te. E vorrei davvero smetterla di vivere dentro al mio guscio e permetterti di farmi male, se è così che deve andare.»
«Io non voglio farti del male.»

Mi sussurrò lui, infine. 
Finalmente stavamo avendo un riscontro ma io sentivo solamente dei tamburi da guerra dentro la testa e forse stavo abbrustolendo sotto tutto quel caldo.
L'aria non mi stava più aiutando.

«Ma non voglio che mi riempi di promesse dove dici che non succederà. Perché succederà e io forse lo farò di rimando.»

Chiusi le labbra e rimasi a guardarlo ancora. Lui fece lo stesso con me ma, adesso, lo vidi fare un passo in avanti. 
Era lento nelle movenze.
Aveva smesso di gesticolare e ora gli vedevo le dita chiudersi e aprirsi tra loro, come in un tic nervoso.

«Tu sei ancora innamorato di tua moglie.»
Dissi io, di botto. Lui bloccò il passo e corrugò la fronte, affilando appena lo sguardo.

«Perché lo pensi?»
«Non lo penso. Ma l'ho visto.» E detto questo allungai le dita per indicare le sue.

Lui alzò le mani per guardarsele e fece un sospiro.

Ecco il motivo per cui, quella sera nel bosco, a cantare stupide filastrocche e a mangiare un cornetto, mi ero bloccata ed ero voluta fuggire da quella situazione.

Aveva ancora la fede al dito. 
Gliela sentivo ogni volta che lui mi prendeva la mano e bruciava, per quanto non volessi ammetterlo. 
Dovevo smetterla di preoccuparmi per quelle cose, ma in quel momento tutto stava fluendo via. 
L'alcol è un nemico astuto, in questi casi.

Alle volte ti fa prendere in mano il cellulare per scrivere messaggi d'amore sapiente ad una tua vecchia fiamma, altre volte non blocca più alcun pensiero e ti fa diventare vulnerabile e fragile. 
Ma se c'è qualcuno pronto a raccoglierti prima che tu possa cadere e romperti, allora può diventare un ottimo alleato.

Io ero in bilico, ma l'avevo scelto da me. 
Se mi rompevo avrei sempre avuto un cane bavoso e un branco di matti a cercare di rimettermi in sesto.

Sarei diventata un Picasso.

«Io e mia moglie ci siamo separati consapevoli che dovevamo farlo. L'ho amata tantissimo e, sì, è vero: non volevo che finisse così. Ma è successo, perché io ho fatto tanti errori e non ho saputo salvare il salvabile. La tengo qui per ricordarmi ciò che ho perso, ogni giorno.»

Lui tornò a guardarmi, dopo aver accarezzato l'anello, e io chiusi gli occhi, cercando di pensare.

«Non sei il mio contentino, va bene? Non voglio che tu pensi questo.»
«In questo momento c'è una galletta di mais gigante che sta cercando di dirmi qualcosa e non mi permette di pensare.»

Lui si bloccò per un istante e poi si mise a ridere. 
Non era una risata sentita, era più un fluido suono un po' roco.

«Cosa ti dice?»
«Mi dice di abbassare la musica della radio perché non riesce a sentire la partita.»
«Oooh, chi gioca?»
«Chelsea contro Manchester.»
«Non posso perdermi una partita del genere! Forza Manchester!»
«La galletta di mais ti ha appena detto di rosicare

Lui si stava avvicinando sempre di più.
Lento, troppo lento. Era una tortura, come al solito.

Io, intanto, ero imbambolata come una pera cotta e non riuscivo né a muovermi avanti né indietro. 
Il Gran Passo – e non stavo parlando di Aragorn – mi aveva annullato il collegamento tra cervello e azioni motorie muscolari.

«Non mi sta molto simpatica, te lo devo dire.» Mi disse James e, intanto, era giunto talmente vicino da riuscire a cogliere mille e più dettagli del suo volto.
«Forse...dovremmo tornare alla festa. Anche perché potrebbero pensare che siamo scappati per andare in cerca dell'Area 51. E il fatto che i miei amici lo penserebbero sul serio un po' mi preoccupa.»

Stavo di nuovo tentando di defilarmi da quella situazione. Era bello come non riuscivo mai a essere coerente con le mie decisioni.
Lui, intanto, mi fissava in un modo strano. Lo sentivo respirare e lo vidi muovere una mano verso di me, ma poi si bloccò.

«Ti ho vista ballare, prima. Con quel ragazzo.» Premette le labbra tra loro e io percepì, per la seconda volta, una nota disturbata nella sua voce. 
Se quello era il suo modo per dirmi che era geloso allora: apriti cielo. «Mi sei sembrata così felice e in pace. È una di quelle cose che le persone tendono a dimenticare.»

Ero egregiamente riuscita a evitare l'imbarazzo in quei dieci secondi di conversazione demenziale ma, come una lepre, era tornato all'attacco.
Tutte quelle sensazioni erano deleterie per i miei organi interni.

«La festa...non è ancora finita. Posso essere sorridente e felice anche...anche per te. Non...non c'è una sorpresa? Ancora una?»

La mia voce stava scandendo note sussurrate e balbettanti. Se non fosse così vicino a me lui non sarebbe riuscito neanche a sentirmi, probabilmente.

«Sì, dovremmo tornare dentro. Ma in questo momento sono impossibilitato a muovermi perché ho la testa piena di rum, whiskey, birra e uno strano intruglio alla pera che mi ha offerto Locke. Quindi passo da uno stato ragionevole ad uno stato altamente impulsivo da un secondo all'altro. In questo momento...» mi sussurrò lui, facendo un altro passo. Mi accorsi di averlo letteralmente appiccicato allo sterno. «...vorrei fare una di quelle cose da cui non si torna indietro facilmente, ma il lato che ancora mi permette di parlare con tempi verbali giusti non mi aiuta.»

Adesso ero letteralmente in trappola.
Decisi che la festa sarebbe stata ancora lì, al nostro ritorno. 
Razionalmente forse non era vero, ma d'altronde ero diventata improvvisamente ottimista.

«Obbligo o verità?»
«Obbligo.» Lui mi rispose senza esitare un secondo.
«Non pensare

Non feci in tempo a sussurrare quelle parole che lo vidi avvicinarsi col volto e premere le sue labbra contro le mie. 
Dentro la testa avevo le campane di Notre Dame intente a suonare tutte insieme all'unisono. 
Il mio cuore stava ballando un “Alleluja” con il cervello e io avevo lasciato andare paranoie, dubbi, gallette di mais e scongiuri e mi ero abbandonata a quel bacio.

Non fu un bacio dolce e soave. Lo sentivo bisognoso.

Mi aveva raccolto prima che io potessi crollare a terra e rompermi. Sentivo che avevo avuto bisogno, di quelle mani, dal primo momento in cui mi ero accorta di provare qualcosa per lui. Forse sarebbe stato un veleno pericoloso, lasciarsi andare così, ma era così dolce come sensazione che non mi preoccupai di questo. Volevo solo continuare a sentirlo.

Alzai le mie mani verso i suoi capelli e incastrai le dita tra i ciuffi, tirandomelo verso di me. 
Lui aveva fatto scivolare le mani dal mio viso, fino al mio vestito e aveva stretto i lembi, tirandomi verso di lui.

Continuavamo a baciarci con morsi e qualche sorriso, nel mezzo, prima di sentirlo spingermi con un po' di prepotenza verso un tronco bitorzoluto. 
Evitai di cacciare un'esclamazione colorita quando un ramo mi si conficcò nella schiena, ma lui lo notò e rise sulle mie labbra, finendo poi col plasmarsi contro di me come una cozza.

Io cominciavo a sentire un caldo che neanche una distanza ravvicinata col Sole avrebbe potuto eguagliare. 
Lui continuava a muovere le mani su di me e non smetteva, un secondo, di baciarmi.

Io abbassai le mani e mi arpionai alla sua camicia, tirandolo ancora.

Potevo sentire battere il suo cuore, contro il mio e stavo raggiungendo vette di felicità immense. 
Neanche un gallo sarebbe stato così felice di svegliare tutti col suo canto alle sei del mattino come lo ero io in quel momento.

«James...» Provai a chiamarlo.
«Mh.» Mi rispose lui, staccandosi per un secondo, prima di riprendere a baciarmi. Se continuava così lo avrei divorato, me lo sentivo.
«James...» Riprovai.
«Mmmh.» Questo era un mugolio di protesta.
Si staccò dalle mie labbra giusto per prendere a baciarmi il mento e scivolare giù, arrivando al collo. 
Il mio corpo stava subendo un martirio di brividi poco pudici.
«James se continui così...» Avevo la voce un po' roca e quando me ne accorsi mi venne da arrossire. Funzionavo un po' in ritardo, in quel frangente.
«Mi è venuta improvvisamente fame.» Mi rispose lui, sul mio collo, prima di provare a morderlo. 
Io mi misi a ridere, rialzando le mani per prendergli il volto e cercare di allontanarlo da me.

«Non mi far perdere la festa dei 111 anni di Bilbo!»

Mi lagnai io, con un sorriso divertito, prima di guardarlo negli occhi.
Lui mi guardò con aria un po' delusa ma poi fece uno scatto all'indietro, prendendomi per mano, cominciando a tirarmi in una corsa lungo il sentiero.

«Oh cavolo! Cavolo cavolo cavolo cavolo cavolo...»

Questo suo gergo un po' da vegetariano continuò finché non mi arrivammo, di nuovo, dentro al Green Man. 
Lui mi stava letteralmente trascinando, con passo veloce, e io non ci stavo capendo più niente.

Il mio amato locale mi sembrava ancora più caldo, adesso. 
Le fiaccole mi sembravano più accese, l'odore più buono e io ero in uno stato di stordimento generale.

Quando arrivammo Locke stava facendo tutti uscire nella zona della veranda. 
Fuori brillava lo striscione sotto le luci del fuoco e c'erano delle lanterne volanti, già accese, che stavano per prendere il volo.

«Ma dove eravate finiti voi due? Ci manca solo che Grace si perde questa cosa e non me la perdona per il resto della sua vita. Non ho voglia di sentirla ciarlare esorcismi verso di me.»

Ci disse Locke, spingendoci letteralmente fuori.
Io e James, senza neanche consultarci, tentammo di rispondere all'unisono.

«Eravamo in bagno.»
«Abbiamo raccolto dei funghi.»

Ci bloccammo e ci fissammo, guardandoci con aria stralunata. Locke fece altrettanto.

«Eh?»

«Abbiamo raccolto dei funghi.»
«Eravamo in bagno.»

Ripetemmo la stessa cosa, ma all'inverso. 
Di nuovo ci guardammo e ci mancò poco che scoppiassimo a ridere. 
Locke, che per fortuna nostra aveva Mya vicino che ci guardava con un sorriso da una che aveva colto tutto, decise che non era il caso di indagare e ci sventolò una mano davanti.

«Oooh Grace, guarda! Ci sono dei fuochi d'artificio!»

Penny venne verso di me con un sorriso raggiante e la chioma rossa di fuoco. 
Io sorrisi fin troppo pienamente e lei colse qualcosa. 
Mi guardò con aria indagatrice, poi guardò verso James. 
Entrambi eravamo un po' sconvolti e io avevo pezzi di albero conficcati nel vestito.

«Questa me la dici dopo.» Mi sussurrò, prima di darmi un bacio sulla guancia e scivolare via. 
Jacq mi salutò con una mano e vidi Alex, poco più avanti, imboccare con un tortino la ragazza con le lentiggini.

Tutti parlavano, ridevano e scherzavano. 
Anche il Belgo aveva smesso di suonare e s'era prodigato in una finta camminata da ragazzo pacato alla volta di Jacq. 
Vidi lei voltarsi e sorridergli come non faceva con nessun altro e io mi sentì felice.

Martin Freeman era al centro di tutti e guardava verso una piccola zona adibita per una persona sola. 
C'era una sedia, un cavo e un microfono.
Forse Locke aveva intenzione di turbarci col karaoke anche in quel momento.

«Conosco la metà di voi soltanto a metà e nutro per meno della metà di voi metà dell'affetto che meritate.»

Martin si prodigò in quella massima di Bilbo Baggins e tutti risero. 
Anche se lui era, effettivamente, l'unico hobbit lì presente ci sentivamo tutti un po' mezz'uomini.

«Non si può amare un nano a metà. Un nano lo ami tutto!» Esclamò Dean.
Lo vidi intento a mangiare un pezzo di qualcosa di non identificato. Il mio cane era dietro di lui e scodinzolava allegro.
Feci un piccolo schiocco con la lingua – il mio richiamo segreto per Walter – e lui, quando mi vide, mi venne incontro gioioso.

«Monello, la smetti di amare Dean? Io sono gelosa, sai?» Dissi al mio cane. 
Lui mi slinguazzò la faccia e poi si prodigò in feste anche verso James. Lui gli fece qualche smorfia un po' scema e lo coccolò con carezze sapienti.

«Mi dispiace che non ci sia il tuo Simon Pegg.»
Mi disse James, ad un certo punto. Io caddi dalle nuvole e mi voltai a fissarlo. Mi ero del tutto scordata di Simon Pegg e della sua presunta venuta.

Fino a una settimana prima sarei sciolta come una cascata di cioccolato a quel pensiero e, adesso, speravo – addirittura – che non venisse. 
Non che avessi smesso di amarlo a livello cinematografico, non rinnegavo il mio primo vero amore. 
Ma adesso non facevo altro che pensare a cosa sarebbe successo una volta finita quella festa.

Volevo ancora baciare quello strano spaventapasseri che tenevo per mano.
Volevo sentirlo contro di me. Volevo che mi facesse ridere, ancora e ancora.
Accidenti, dopo questa avrei dovuto davvero passare una giornata ad aiutare Jacq con i fiori. Per quanto potessi provarci non avrei mai potuto nasconderlo.

Feci per rispondere ma venni deviata da un'altra cosa, che mi distolse l'attenzione.

«Oh, finalmente ti sei degnato a venire. Sei solo in ritardo di due ore, e meno male che gli scozzesi sono puntuali.»
«C'era traffico!» Rispose stizzita una voce che conoscevo.

La conoscevo non per via diretta ma l'avevo sentita molte volte. Negli speciali del Signore degli Anelli. In Master and Commander. In dei brani musicali.
E nella canzone. La canzone. L'ultimo Addio.
Ero riuscita a ricollegare ogni cosa, adesso. Il Billy di cui parlavano da giorni era proprio uno dei miei hobbit preferiti.
Alzai di scatto la testa e per poco non svenni sul colpo.
Pipino Tuc era proprio davanti a me.

«Nessuno mi offre una pinta?»
«Tieni primadonna

Martin gli passò un boccale di vetro che per poco non gli frantumò il naso e lo scozzese lo prese con entrambe le mani. 
Ne bevve una gran quantità prima di sorridere, contento.

«Avete fatto un ottimo lavoro, è bellissimo qui! Accidenti Bilbo, i tuoi centoundici anni li porti davvero...male
«Tu sei venuto con il gonnellino, non hai il diritto di dirmi niente.»

Rispose Martin, mentre Amanda gli stringeva un braccio.
Allungai la vista e vidi Billy attrezzato con un kilt scozzese davvero ridicolo.

Dovevo averlo assolutamente.

Intanto Locke gli si era avvicinato e dopo tutte le presentazioni – mi indicò e io evitai accuratamente il suo sguardo – lo fece sedere e gli piazzò una chitarra acustica in mano.

Io stavo per avere un attacco di cuore immediato.
James mi strinse le dita tra le mie. Non capivo più niente. 
Passò Alex giusto per donarci un paio di cocktail – quelli che io prima avevo abbandonato – ora più colorati e molto alcolici. 
Mi fece un occhiolino e sparì di nuovo.

«Cheers, Grace.»

Mi sussurrò James. Brindai con lui e poi alzai il gomito e mi lasciai invadere di nuovo.

Fu in quel momento che Billy cominciò a cantare.

The Last Goodbye prese vita in mezzo alle lanterne di fuoco che volavano sopra le teste di tutti i presenti. 
La voce di Billy era magica e io non sapevo più controllare nulla. Sentivo le lacrime agli occhi per la felicità e mi vergognai per questo.

Io, io che non ero riuscita a piangere nemmeno quando mi avevano detto che il programma di “Mariah Pinah e Donne in Tailleur” sarebbe finito per sempre, stavo per scoppiare in un pianto di gioia totale. Emisferico. Da scioglimento dei ghiacciai.

Ci provai con tutte le mie forze a controllarmi.
Ma poi i miei occhi si spostarono verso gli altri.

Vidi Alex e la ragazza stringersi in un abbraccio e danzare lenti, su quella canzone, ma i suoi occhi – lo sapevano – cercavano altrove un calore diverso.
Penny e Richard stavano guardando verso Billy. Lei sorrideva e lui continuava a passarsi una mano sui capelli, tirandoseli indietro.
Aidan e la sua ragazza erano seduti e si stringevano la mano, facendo strusciare i nasi tra loro in continuazione.

Locke e Mya stavano ridendo, nascosti, per chissà che cosa e vidi Stephen gesticolare a Graham qualcosa. 
Ero convinta che Stephen stesse cantando: “La pannacotta è buona / la pannacotta è sana / è ciò che noi vogliamo per una settimana.*
Adam era di fianco a loro intento ad ascoltare Billy e a provare a ignorarli. Era bravo in questo.
Dean aveva sicuramente perso l'orientamento, tra i tavoli, perché lo vidi continuare a girovagare senza meta.
Will era scomparso di nuovo, in chissà quale nascondiglio segreto.

Poi mi soffermai su Martin e Amanda. 
Si stringevano in un abbraccio. Lei gli aveva preso il volto tra le mani e lo stava schiacciando un po', ridendo felice e baciandolo sulle labbra.
Era tutto ciò che, per me, l'Amore incarnava. Niente cose arzigogolate o promesse da film.

In fondo, come un recente Simon Pegg mi aveva fatto capire, la felicità si trova quando si è amati per quello che si è.
Mi accorsi di volere, esattamente, qualcosa di simile da provare.

E mentre Billy continuava a cantare e io rivedevo, nella mia testa, tutto ciò che più amavo al mondo mi sentì stringere la vita da due braccia forti. 
Socchiusi gli occhi e mi abbandonai a quel contatto, tirando un po' indietro la testa.

James tirò su la mano che reggeva il cocktail e mi fece bere un altro sorso. Il suo era stranamente più buono.
O forse la mia percezione, in quel momento, me lo faceva credere. Non m'importava: ero veramente in alto a livelli di euforia.

«Credo che dopo ti ruberò per il break.»

Mi sussurrò all'orecchio e, di nuovo, tutti quei brividi mi salirono fino alla testa, facendomi incassare il collo.

«Ma dopo non posso. Ho un altro appuntamento.»
Dissi io con un sorriso maligno. Lui mi strinse ancora di più la vita.

Da ubriaca diventavo una sorta di romantica-maliziosa, dovevo smetterla di bere se quello era il risultato.

«Ah sì? E con chi?»
«Si chiama Bofur, non è un tipo molto alto ma è davvero simpatico.»

Lui mi diede un altro bacio sul collo, ridendo, e io persi ancora l'uso di ogni vocabolo.
Chiusi gli occhi e lasciai che Billy finisse di cantare, prima che si levasse nell'aria una canzone fatta di cornamuse e flauti.
E ripresi a godermi la mia felicità.






*Una perla creata in un attacco di sclero-time da didi_95. Amatela per questo.



NA.
Oggi va così, capitolo super mega iper romantico. Ma ci sta, perché inizia il week-end della morte lavorativo, per me, e quindi avevo bisogno di scaldar "ilmiocuordiTuscaloooosa".
Spero vi piaccia, non so bene che cosa mi sia uscito con questo capitolo, ma dopo averlo rilletto seicentocinquantanove volte ho deciso che andava bene e l'ho pubblicato. Eeee sta festa sta finendo -olèèè- ma la storia non è ancora finita, anche perché sono autolesionista e mi è già venuta un'altra mezza idea da fare prima del finale, ma vedremo.
Spero di strapparvi, come al solito, un sorriso e vi ringrazio sempre per sguirmi, leggermi e recensirmi. Ah tra l'altro, mi ero scordata perché sono bacatissima, ringrazio Eriz per avermi aggiunto alle seguite. Davvero, graziemillissime.
E' per voi che scrivo, oltrre che per me, quindi spero di farvi finire sta storia con un bel "aaaaaaaah finalmente!" <- inteso di giUoia, spero v.v 
A prestissimo girls-mie, spero di riuscire ad aggiornare in brevi tempi. 

  
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