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Autore: QueenB_Herm1000    31/12/2008    0 recensioni
Un qualcosa dentro di me mi disse che avrei potuto sentirlo più vicino a me, dentro di me.
Sentire quel calore scorrermi dentro, e affondare i miei denti nel suo morbido collo.
Stringerla a me e sentire il suo respiro che si affanna e il battito del suo cuore che diventa sempre più debole, fino a quando non sarebbe più percepibile, fino a perdere quel roseo colore della pelle.
Genere: Romantico, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nella storia, Renesmee non esiste , e al suo posto c’è un ragazzo...

Per il resto Twilight è come è sempre stato...

 

 

 

 

Capitolo Primo – Forks

 

Sono Adriano Ivan Rat Cullen, ho 18 anni e in teoria non sono ancora maggiorenne. Invece per il mio essere, lo sono già, per cui non crescerò più.

Né vampiro né umano, una via di mezzo.

Preferivo nutrirmi di sangue, perchè aveva tutto quello di cui avevo bisogno, ma potevo anche magiare cibo normale.

Avevo forza e velocità impressionanti e i poteri degli altri vampiri non avevano effetto su di me, ero immune a tutto, e toccando una persona, potevo fargli vedere cosa pensavo.

Avevo sempre vissuto in Alaska, con il clan dei Denali. Bella gente, forse un po’ taciturna, ma mai nessuno sarebbe riuscito a ballare la tarantella come quando feci ubriacare Tanya.

Era uno spettacolo impressionante.

Anche io come tutte le persone normali avevo degli zii e dei nonni, forse i miei erano più particolari di quelli normali, visto che erano tutti vampiri, ma in compenso non avevo mai potuto conoscerli.

È per questo che stressavo continuamente mia madre, chiedendole di andare a Forks. Ora che avrei vissuto in eterno, tanto valeva andarli a trovare, visto che avrei avuto tutto il tempo per vivere.

E i miei mi accontentarono. Il 15 novembre del 2008 arrivai a Forks.

Avevo cercato più volte notizie sul portatile. Le cose che avevo trovato era che era una città molto piovosa, buon per me, che aveva una scuola, mal per me anche se andavo bene, e che non c’erano scuole di danza, malissimo per me.

La danza era un po’ come la mia vita. Mi piaceva esprimermi ballando e a quanto avevo visto piaceva anche a gli altri.

 

Arrivai di pomeriggio, e ebbi solo il tempo di aggiustare la mia camera a modo mio prima di andare a caccia. Mio padre era fissato, secondo lui era più prudente. Per di più aveva messo delle regole. Non meno di 1 metro di distanza dalle ragazze.

Avevo contestato molte volte questa regola, ma non avendo risultati, ho deciso di non applicarla senza che lui lo sapesse.

Era naturale, ero perfetto, e alle ragazze piacevo, perchè non sfruttare questo a mio vantaggio?

 

La mattina mi svegliai un’ora prima di andare a scuola, ma non perchè ero un fascio di nervi, come sarebbero stati tutti i ragazzi normali, ma perchè ci voleva mezz’ora per sistemarmi i capelli. Ero fierissimo dei miei capelli.

“Adri, hai finito?” gridò mia madre dal salotto.

Io scesi in un batter d’occhio le scale.

“Finalmente!” disse guardandomi.

Mia madre non era cattiva, forse un po’ troppo premurosa, ma sapevo che ne aveva passate tante, anche per via di mio padre, per cui non le dicevo niente quando diventava più isterica del solito.

“Come vado a scuola?” dissi facendo capire che possibilmente non a piedi, anche perchè non ci avrebbe creduto nessuno che da scuola sarei arrivato al fiume a piedi.

“Con la tua macchina!”

La nonna mi porse delle chiavi.

“La mia?” dissi a occhi spalancati.

Di solito andavo a scuola con la macchina di mio padre. E per averla la sera dovevo faticare molto.

Lei acconsentì con un cenno della testa.

Allora mi infilai il cellulare in tasca e corsi fuori.

Parcheggiata c’era un incredibile Lamborghini nera e lucida.

Senza tener conto se fosse troppo presto o meno per andare a scuola, saltai su quell’incredibile gioiellino di massima velocità.

Dopo averla girata, sfrecciai nel bosco. Non tenni conto nemmeno se andassi troppo veloce, non avevo paura di schiantarmi.

In pochi minuti raggiunsi la città.

Ieri mia madre mi aveva fatto vedere dov’era la scuola, e grazie alla mia incredibile memoria, ci arrivai in un batter d’occhio. Ovviamente dopo aver superato il limite.

La scuola era.... Bè, a prima vista non sembrava una scuola, però mi sarei accontentato.

In Alaska andavo in una scuola privata, ma non solo maschile ovviamente.

Parcheggiai vicino ad una Cadillac nera.

Ma chi mai sarebbe andato in giro con un trattore del genere! Superava per fino quello di mio zio Emmett.

Scesi dalla macchina, e, senza macchia e senza paura come i cavalieri, mi diressi a scuola.

Mentre camminavo diedi un occhiata alla gente.

Gruppetti qua e là, si distinguevano in una maniera incredibile.

Un gruppo di punk a destra, che a parer mio volevano fare i vampiri ma non ci riuscivano per niente, visto che con quelle creste sembravano più dei galli.

A sinistra invece, c’erano quelli che sicuramente saranno stati gli “in”.

Tra di loro qualcosa, o meglio, qualcuno attirò la mia attenzione.

Mi soffermai nei minimi particolari di quegli occhi che continuavano a fissarmi con curiosità.

Marroni, con leggere increspature più chiare. Ma dolci, tanto dolci.

Mi rigirai con lo sguardo verso la scuola, ed entrai, cosciente che dentro sarebbe stato peggio di fuori.

Mi diressi in segreteria, dove proprio oggi, c’era una fila impressionante.

Davanti a me, c’era un punk.

Io quelli proprio non li sopportavo.

Alla fine, riuscì a passargli avanti e lui, essendo uno stolto fatto, non se ne accorse nemmeno.

 

A prima ora avevo letteratura.

Non andavo male a scuola, perchè come tutti i vampiri avevo una memoria forte e un apprensione indiscutibile.

Ma sicuramente avrei preferito passare una giornata a fare altro piuttosto che sapere la vita di qualcuno vissuto tanto tempo fa, e che sicuramente non avrei più sentito nominare.

Entrai in classe, per la prima volta in vita mia in perfetto orario.

Guardai un po’ la classe.

C’era un gruppetto in fondo di... non so nemmeno io cosa, ma non mi piacevano.

Poco più a lato invece c’erano tre ragazzi. Visto che ancora non conoscevo nessuno decisi di andare vicino a loro.

“Posso sedermi?” dissi indicando il posto vuoto.

“Certo!” rispose un ragazzo con uno strano modo di vestire, ma molto simpatico.

“Io sono Adriano!”

“Jason” disse dandomi la mano “ e loro sono Sean e Teddy” mi indicò i due ragazzi dietro di noi.

Io diedi la mano anche a loro, che ovviamente fecero una smorfia.

Sapevo di avere le mani piuttosto fredde, ma non potevo farci niente.

Durante la lezione, o meglio, lezione non si poteva definire, durante la chiacchierata, avevo capito già tutto di quei ragazzi.

Jason era un tipo che se ne fregava delle conseguenze di qualsiasi azione.

Teddy ci pensava due volte prima di fare una cosa, mentre Sean le cose non le faceva e basta, perchè era un nullafacente.

 

La seconda ora la passai con Teddy, perchè c’era solo lui in classe con me.

Mi incuriosiva il fatto che tre ragazzi tanto diversi fossero diventati amici, ma mi andava bene.

La lezione proseguiva normalmente, stavolta però, Teddy mi aveva imposto di seguirla, fino a quando non si sentì bussare.

“Avanti” disse il professore.

Entrò una signora piuttosto bassina, con dei capelli ricci e lunghi, e un viso abbastanza simpatico.

“Salve” disse entrano in classe.

Poi prese una sedia e si sedette di fronte a noi.

“Oramai, penso sappiate chi sono, e per chi non lo sa” disse guardandomi “sono la professoressa di teatro”

poi diede ancora un occhiata in giro.

“Quest’anno, hanno vinto le ragazze. Infatti a essere messa in scena sarà una storia drammatica e romantica...” parte della classe era col fiato sospeso, sperando che non fosse...

“Romeo + Juliet”

Appunto.

“Allora, chi vuole venire ai provini?” disse prendendo foglio e penna.

Una mano, fu velocissima ad alzarsi.

“Non preoccuparti Lucy ti ho già scritta”

La ragazza, fece un sorriso.

“vediamo...” disse prendendo il registro.

“Cullen? Sei tu quello nuovo?” e mi guardò.

Io risposi con un cenno della testa.

“Ho letto la tua scheda, fai danza giusto?”

Anche qui feci un cenno, maledicendomi per quello che avevo fatto.

“Sarebbe un modo per farlo, e per cominciare ad entrare nel ritmo della scuola”

No, non l’avrei mai fatto.

“Professoressa!” disse una voce sulla porta.

Guardai. Era quella ragazza, quella che avevo visto all’entrata.

“Si è scordata di scrivermi!” disse con un sorrisone.

Era davvero carina.

Carnagione chiara, capelli lunghi e marroni, e un fisico davvero bello.

Più che carina era bellissima.

Per di più, quegli occhi.

Stavolta non mi guardarono, forse perchè non si era accorta che ero qui.

“Ah giusto, scusami Serena!” rispose la professoressa scrivendo sul foglio.

Poi la ragazza andò via.

“Allora?” disse guardandomi.

“Si!”

Lei sorrise.

“Perfetto!”

Poi prese altri nomi ed uscì.

 

Finita quella lezione, c’era matematica.

Non ero impedito in quella, ma la odiavo perchè era confusionaria.

Per questo decisi di andare un po’ prima, giusto per dare una ripassata.

Nella classe c’erano tre posti vuoti. Uno vicino al tipo fatto e altri due vicini.

Andai ai due vuoti, prima di tutto perchè vicino a quello non ci sarei stato, poi perchè ero curioso su chi sarebbe venuto vicino a me. Sempre sperando che non fosse uno di quei galli.

Il professore entrò. La lezione stava per cominciare.

Comunque era sempre meglio stare da solo che con quel fatto.

Poi la porta di aprì.

Ad entrare fu lei, la ragazza dagli occhi dolci, quella bellissima.

Fece un sorriso al professore, e si mise a sedere vicino a me.

Mi persi nel suo profumo. Non dava di rose o di viole, dava di amore.

Era sofisticato ma allo stesso tempo caldo.

Non so neanche io come definirlo.

Un qualcosa dentro di me mi disse che avrei potuto sentirlo più vicino a me, dentro di me.

Sentire quel calore scorrermi dentro, e affondare i miei denti nel suo morbido collo.

Stringerla a me e sentire il suo respiro che si affanna e il battito del suo cuore che diventa sempre più debole, fino a quando non sarebbe più percepibile, fino a perdere quel roseo colore della pelle.

Lo scatto della porta che si chiudeva mi fece tornare alla realtà, svegliandomi da quel bellissimo ma allo stesso tempo bruttissimo sogno.

Lei era ancora qui, vicino a me.

Ancora con il suo profumo, che mi rendeva incontrollabile, che mi stordiva, fino a non rendermi più capace di ogni volere.

Mi girai a guardarla. Lei invece guardava il professore. Ogni suo lineamento, ogni suo respiro, ogni minimo movimento, ogni gesto, mi diceva che non ne valeva la pena. Che lei meritava la sua vita.

Mentre qualche altra parte di me diceva che avrei potuto averla in qualsiasi momento. Sentirla ancora mia, sfiorare la sua candida pelle.

Tornai a guardare il professore. Ora qualsiasi cosa era buona per distrarmi.

Stavolta fu lei a guardarmi.

Mi girai nuovamente.

Vidi spalancare quei grandi occhi marroni, per tornare a posarli sulla lavagna.

Quante cose dicevano quegli occhi.

Ti aprivano mille porte.

Poi finalmente lo squillo della campana.

Mi alzai in piedi.

La vidi prendere le sue cose, per poi fare un lungo respiro e alzare il viso dal banco.

Era come un respiro di coraggio.

“Ciao, io sono Serena” disse porgendomi la sua mano.

Sorrisi a vederla.

“Adriano” e gli diedi la mia.

In confronto la sua era piccola e delicata, avevo paura di farle del male.

Per di più sentivo una certa tensione da parte sua. I muscoli erano rigidi. Qualcosa le faceva paura.

Lasciai la sua mano.

“Ci vediamo” disse sorridendo.

Un sorriso di quelli che era difficile vedere, un sorriso semplice ma vero. Era davvero contenta del fatto che ci saremmo rincontrati.

Anche io sorrisi.

“Ok”.

Poi la vidi girarsi, muovendo i suoi lunghi capelli e andare verso la porta.

Sapevo che l’avrei rivista.

 

I provini erano alle 16.00.

Io uscì velocemente dall’ultima ora.

Non sapevo nemmeno dove fosse l’ auditorium, ma l’avrei trovato.

Una grande porta con una scritta sopra mi fece capire che la mia missione era riuscita.

Fuori c’era già Jason. Anche lui qui.

“Adri” disse vedendomi “Che ci fai qui? Anche tu vorresti fare Romeo?” e fece un sorrisone.

“Diciamo che mi accontento di far parte del corpo dei ballerini” ammisi, sapendo che anche essendo abbastanza bravo a recitare, non mi sentivo a mio agio nei panni di Romeo.

Si era ucciso per amore. Solo un’altro che era davvero stato innamorato sarebbe riuscito a farlo bene.

Entrammo alle 16.30, quando oramai c’era abbastanza gente dentro da non essere notati.

Guardai in fondo al salone.

Era vicino al portatile.

Mi rivolse uno sguardo, e io un sorriso.

Chissà che avrebbe fatto lei. Troppo perfetta per essere un comune mortale.

Ma troppo dolce e generosa per essere una qualsiasi altra creatura.

Un angelo, forse quella sarebbe stata la parte migliore per lei.

La professoressa ci distribuì un foglio, nel quale per i ragazzi c’era un pezzo di Romeo e alle ragazze di Giulietta.

Lo lessi velocemente.

“Ecco l'Oriente e Giulietta è il Sole. Alzati, dunque, o vivo sole e spegni la luna fioca, pallida di pena, che ha invidia di te perché sei bella più di lei. Oh, è lei, la mia donna, ma non lo sa ancora. Guarda come posa la guancia sulla mano!”
Non avevo mai capito cosa questo ragazzo volesse davvero.

Ma mi limitai a tenere quello che pensavo solo nei miei pensieri.

“Andiamo a dire le canzoni” disse Jason tirandomi verso l’altra parte della sala.

“Che canzoni?”

“Avrai preparato un pezzo!” e mi guardò a occhi spalancati.

“In realtà no. Bisogna ballare per forza?”

“Si, per forza, ma se non vuoi ballare puoi sempre cantare”

Ripensai alla mia ultima prova di canto.

“Improvviserò qualcosa!”

Lui acconsentì con la testa.

Man mano che la fila finiva, mi avvicinavo sempre più a lei.

Aspettavo con ansia quel momento, in cui mi sarei perso in quegli occhi, in cui avrei capito cosa provava guardandomi.

Sentivo le canzoni scelte dagli altri.

La maggior parte desideravano quella di Britney Spears, “Womanizer”.

A me quella canzone piaceva, ma non era il genere di canzone su cui avrei ballato.

Toccava a Jason prima di me.

Lui scelse “love In This Club” di Usher.

Toccò a me.

Lei mi guardò.

“Che canzone?” mi chiese con un sorrisone.

Non mi spiegavo il perchè solo a me avesse fatto la domanda, ma ci passai  su.

“Conga, di Gloria Estefan” dissi sicuro.

Più volte avevo ballato su quella canzone, e un po’ di improvvisazione non mi avrebbe costato molto.

“Ok” mi rispose ancora con un sorriso.

Io camminai e mi sedetti vicino a Jason.

Ci eravamo già cambiati, visto che di ballare in Jeans e Timberland proprio non me la sentivo.

Alcuni cominciarono a ballare.

Vedevi di tutto.

Dalla classica, al pop. Vidi anche uno di hip-hop, ma più che improvvisare il pezzo improvvisò i passi.

“Vado” mi disse Jason ad un certo punto.

La musica partì e cominciò a muoversi su una mano, o anche solo sulla testa. Era un ballerino di breakdance formidabile.

Tutti applaudirono quando finì.

Venne vicino a me.

“Come sono andato?”

Io acconsentì con la testa.

“Mitico” dissi infine.

Lui rise.

Toccò a me. Salì sul palco.

Stare davanti a tanta gente non mi faceva paura.

La musica partì e io mi persi in una marea di passi.

Dagli Scoubot agli Stop And Go, per finire con Point.

Quando finì tutti applaudirono.

Scesi dal palco ed andai vicino a Jason.

Dopo un po’ la professoressa ci venne vicino.

“Presi tutti e due!”

Poi tornò al suo posto.

“Non avevo dubbi” disse Jason in preda all’euforia.

“Ma perchè ci tenete tanto a questo spettacolo?”

Lui mi guardò.

“Si vede che non sei di Forks. È l’unico modo per farsi conoscere, è anche l’unica cosa che si fa qui. Oltretutto sai come impegnare il tuo tempo”

Lo guardai sbalordito.

“Non pensavo fosse così tragica la situazione qui!”

Poi mi diede uno spintone.

Molti dei ragazzi entrati uscirono.

Jason intanto, mentre passavano, gli prendeva in giro con un “ciao, grazie di averci provato”.

“Bene, ora che siamo solo noi, ovvero il cast vero e proprio. Decideremo insieme i ruoli, per cominciare da domani con il vero lavoro!” disse la professoressa.

Invitò alcuni di noi a ripetere il foglio, e altri cominciarono a salire.

Le prime a salire furono le ragazze che non avevano fatto il provino. Quelle che facevano lo spettacolo dal primo anno.

Approfittai delle due davanti a Serena per parlare con Jason.

“Ma tu, la conosci Serena?” dissi guardandola.

“Ovviamente, tutti conoscono Serena.” Rispose lui guardando la ragazza che era appena salita con un po’ più di interesse.

L’amica di Serena, quella con i capelli corti che aveva avuto il ruolo della nutrice.

“Come mai?”

Eravamo appoggiati al muro, non vicini ma nemmeno lontani dal palco.

E mentre parlavamo continuavamo a guardare davanti.

“Non c’è un perchè. È così e basta. Tutti sanno tutto di lei, ma non tutti le hanno mai parlato. Io sono uno di quelli”

Feci si con la testa, anche se non avevo capito cosa intendesse in realtà.

“Io la conosco!”

Lui alzò gli occhi al cielo.

“Si certo, questa è buona per farti pubblicità!” disse ancora guardandomi.

“Non scherzo, ci ho parlato parecchie volte. E poi, si può sapere di cosa parli?”

Lui sospirò.

“Serena è quella che tutti vorrebbero. È come un traguardo impossibile per quelli come me, ed è un traguardo passabile ma duro per quelli come Zac” disse indicando un ragazzo seduto dall’altra parte della scala.

“A prima vista tu sembri uno di quei tipi lo sai?” mi disse stavolta guardandomi.

“Cioè?”

Mi guardò ancora, squadrandomi da sopra a sotto.

“Sembri uno di quei fighetti-figli di papà, ma in realtà non sei così”

Allora feci di si con la testa.

“Comunque, te lo ripeto per l’ultima volta, io ci ho parlato. Siamo a matematica insieme!”

Lui sospirò ancora.

“Visto che ci tieni tanto ti credo!”

Guardai il palco.

Sapevo che mi aveva risposto così perchè non voleva essere disturbato. Almeno, non quando sul palco c’era Lucy.

Ma, forse pensava che anche lei fosse “irraggiungibile”.

Dopo di lei, toccò a Serena.

Salì sul palco. Con passi lenti e delicati. Muovendo i capelli, che dopo aver finito le scale, gli si posarono dolcemente sulla spalla.

Cominciò a leggere il suo pezzo. Come solo lei sapeva fare, come solo lei riusciva a fare.

Si vedeva che era più che portata per Giulietta. Ogni sua smorfia o espressione ti dava l’impressione che ci fosse davvero lei davanti a raccontarti la sua storia.

Il tono della voce invece, ti trasportava chissà dove. In un luogo in cui nemmeno tu ne sapevi l’origine o l’arrivo e di cui non conoscevi nemmeno il modo in cui ci eri arrivato.

Mi sarebbe piaciuto vederla cantare.

Il tono non era forte e deciso, ma delicato, soave e pulito. Senza imperfezioni, proprio come lei.

Qualsiasi vampira si sarebbe arrabbiata a vedere che quello che loro avevano avuto con la morte, lei era riuscito ad averlo da viva.

Mi dispiacerebbe vederla morire, ma per il ruolo di Giulietta era perfetta, forse neanche Giulietta sarebbe riuscita a farla bene come lei.

“Mi propongo per il ruolo della Morte!” disse infine.

Come può la vita in se per sé a rappresentare la morte?

No, non ci sarebbe mai riuscita.

“Richiesta respinta” disse la professoressa. Poi si girò a noi. “ragazzi, che ne pensate di Giulietta?”

La vidi un po’ imbronciata.

Non se la sarebbe dovuta prendere. C’era troppa vitalità in lei per riuscire bene in quel pezzo.

Non si è mai vista una Morte che quando ti guarda ti sorride. Un sorriso che ti scioglie il cuore, che riesce a farlo in mille pezzi in un solo secondo.

Tutti acconsentirono.

Anche io, nel mio piccolo, mormorai un “Si” dal fondo della sala.

“A posto Giulietta” disse la professoressa mandandole un bacio volante.

Lei con la solita grazia tornò a sedersi vicino all’amica, che l’aveva già accolta con un sorrisone ed un abbraccio.

“Adriano” disse la professoressa.

mi misi in piedi e mi diressi, senza il foglio, sopra il palco.

Lei aveva avuto Giulietta, e io sarei stato Romeo, solo per lei. Solo per averla fra le mie braccia, per esserle tanto vicino da sentire il suo respiro.

Sapevo che era pericoloso, ma ne valeva la pena.

Ci misi tutto me stesso. Cercai di viverla dal suo lato. Come mi sarei sentito se mi avessero tolto la mia ragione di vita? Sicuramente perso, o forse incapace di tutto, fino ad essere incapace di vivere ed andare avanti. Tenevo conto che fosse stata una cosa su cui non puoi passare su. E che se c’è, ti sembra di volare, dove nessuno può arrivare, magari nel cielo, e di camminare sulle nuvole, saltando.

Tormento e oppressione ma anche amore, tanto amore. Quello era stato difficile da rappresentare, perchè non l’avevo vissuto di prima persona.

Quando finì, la professoressa applaudì.

“Adriano divino”.

Avevo capito che aveva cominciato ad avere un debole per me, ma dirmi “Divino” sembrava più una presa in giro.

“Ragazzi io per il nostro nuovo arrivato, propongo il bel Romeo” disse rivolta agli altri.

Tutti annuirono, tranne quello che mi aveva indicato Jason.

Era rimasto seduto sulla sedia, con le braccia incrociate e lo sguardo duro e cattivo contro di me. Come se potessi avere paura di lui.

Dopo aver avuto la parte che desideravo, scesi giù, e tornai vicino a Jason.

Ora toccava a lui.

“Dammi la forza!” disse salendo sul palco.

Due respiri forti, e cominciò a leggere.

Cercò in tutti i modi di farsi notare, chissà da chi.

Le frasi finali le urlava, ma alla fine, ebbe la parte di Mercuzio.

Mentre scendeva dal palco fece segno di si con il braccio dicendo “ era questo che volevo!”.

Finimmo di scegliere i personaggi alle 20.30.

Dopo essermi cambiato, uscì fuori con Jason.

“Come mai volevi quella parte?” dissi con un sorrisino malizioso.

Lui guardò da un’altra parte.

“No... così...” e fece spallucce.

“Si si certo!” dissi dandogli una spinta “Io penso che ci sia un certo interesse per una ragazza”

Lui mi guardò sbalordito.

“Chi? Io? Per una ragazza? Scherzi?”

“A, be, se non ti piacciono le ragazze potevi anche dirmelo prima!”

Stavolta fu lui a spingermi.

“Usciamo insieme stasera?” disse camminando affianco a me.

“Veramente... dovrei sistemare ancora alcune cose...cioè... no, scusa” dissi infine.

“Ma domani non scappi”

“ok” dissi dando la mia parola, e, non so se mi spiego.

“Allora a domani” disse salutandomi con la mano ed andando verso la Cadillac.

Ok forse avevo esagerato a definirla.

Io intanto diedi un’ultima occhiata alla scuola, mentre mi dirigevo alla mia Lamborghini.

Serena era vicino all’entrata, e Lucy ce ne era appena andata.

Chiamava qualcuno, ogni tanto gesticolava, ma i suoi gesti non erano fastidiosi.

Io salii in macchina e accesi la radio.

Le note di “Claire De Lune” si dispersero nell’auto. Una musica docile, così bella da farti ricordare qualcuno.

Ad un tratto sentì bussare al finestrino.

Sapevo chi era, riuscivo a captare la sua presenza anche a una lontananza impressionante.

Ero curioso di sapere cosa volesse.

Abbassato il vetro nero la vidi.

Ancora una ventata di profumo, di un dolce sapore in bocca.

La vidi, quasi vicinissima al mio viso.

Ancora i suoi occhi, e il suo profumo, era una droga per me.

“Senti, potresti darmi un passaggio? Mio padre mi ha dato buca”

Non avrei mai potuto lasciarla lì.

Ma avevo paura di quello che sarebbe successo se fossimo rimasti soli.

Una parte di me diceva che era il momento giusto, il momento in cui avrei potuto avere quello che desideravo.  Un’altra diceva che sarebbe stata l’opportunità per conoscerla meglio, per passare più tempo con lei, e magari anche per sentirla ancora vicina a me.

“Sali” dissi infine.

Non mi importava di quello che sarebbe successo, io non le avrei fatto del male.

Delicatamente sentì aprire la portella, e si sedette vicino a me.

Accesi l’auto, e spinsi l’acceleratore.

“Dove abiti?” chiesi sia per accompagnarla, sia perchè mi interessava davvero saperlo.

Magari un giorno sarei potuto passare a trovarla, senza che lei lo sapesse ovviamente.

“Vicino al ferramenta, è l’unica villa arancione”.

La guardai, anche il suo minimo movimento di labbra mi sembrava una cosa straordinaria.

Non continuai a chiedermi perchè mi facesse quell’effetto.

Al clan dei Denali, avevo conosciuto la perfezione in persona, e davanti a una semplice umana stordivo così tanto.

La guardai ancora, visto che anche lei guardava me.

Non avevo più niente da scoprire nei suoi occhi, li avevo osservati fino a conoscere le minime sfumature, fino a riuscire ad entrarci.

“Ok”.

La stavo ancora guardando. Non avrei tolto gli occhi da lei per nessun motivo al mondo.

“Scusa potresti guardare la strada, non mi offendo se non mi guardi in faccia” disse lei, preoccupata, non infastidita.

Io annuì con la testa, ma un po’ mi venne da ridere.

Non avevo mai fatto un incidente, ma comunque, se era questo che voleva.

Per la prima volta mi ritrovai a fare qualcosa che altri mi avevano detto.

Non che non fossi un bravo ragazzo, ma di solito agivo di testa mia. Con lei invece era diverso. Eppure la conoscevo da poco, solo un giorno. Ma mi sembrava che la conoscessi da una vita, mi sembrava di aver già visto e conosciuto quegli occhi. Da un lato era una ragazza bellissima e sensuale, dall’altro sembrava una dolce bambina, pura di cuore, tutto il contrario di me. Forse era questo che mi attirava di lei, quella parte che mi diceva che non c’è solo cattiveria nelle persone, che può esserci di più.

“Dove vivevi prima?”

Mi girai a guardarla ancora.

Non c’era cattiveria nemmeno nelle sue parole, c’era solo curiosità, e perchè non soddisfarla?

“In Alaska” risposi, e mi accorsi di essere vicinissimo a casa sua.

Presto sarebbe scesa, ma non volevo.

“brrr... deve essere più freddo di qui e?” disse lei cercando di mantenere su un discorso.

“si... direi di si”

Qual è l’unico argomento per dire qualcosa? Il tempo e le condizioni climatiche.

Poi mi fermai, ero davanti casa sua.

“Bhe, grazie per il passaggio” disse prendendo la borsa.

“Di niente” risposi, guardandola.

Mi fissava, in continuazione. Mi chiedevo se solo per curiosità, o forse per interesse nei miei confronti.

Vidi salire un’ondata di sangue, colorandole le guance di un rosso che mi faceva impazzire.

Ma solo dopo mi accorsi che non era il sangue a farmi impazzire.

Fece un sorriso, e quasi si muoveva a rallentatore.

Sperava in qualcosa?

Avrei aspettato per dirglielo.

“Allora ci vediamo domani” disse fissando ancora i miei occhi.

Scese dall’auto, e fece esattamente 5 passi.

Poi mi sporsi dal finestrino e la chiamai.

“Serena”.

Lei si girò di scatto, quasi aspettando che io la chiamassi.

“Dimmi” mi disse.

Era davvero curiosa di sapere quello che avevo da dirle, per questo aspettai un po’.

“Non sei un genio in matematica vero?”

Un qualcosa le illuminò gli occhi dopo questa mia domanda. Una luce di speranza forse. Sorrise.

“Si nota così tanto?”

“Un po’...” dissi io sorridendo “ se vuoi ti do una mano domani!”

La luce diventò più forte.

“Certo!” disse sorridendo. E non si accorse di aver fatto una specie di saltino per l’entusiasmo.

“Ok, allora ne parliamo domani mattina a scuola!” dissi fra una risata e l’altra senza farmi notare da lei.

Non che io la stessi deridendo, ma era la situazione che mi faceva ridere.

Da come me l’aveva descritta Jason, doveva essere una ragazza impossibile, per cui una di quelle per cui tutti sono irrilevanti.

Lei invece era diversa, non era la solita barbie raggio di sole, era vera, ma allo stesso tempo divina per la sua perfezione.

“Va bene... ciao” disse muovendo leggermente la mano e facendo un altro saltino.

“Ciao” la salutai, e partì, ancora stordito da quella ragazza che era entrata come un fulmine nella mia vita, e l’aveva attraversata senza problemi, senza interessarsi agli incidenti che lasciava per la strada.

Era entrata, e non penso che sarebbe più riuscita ad uscire.

Spazio Autrici

Diteci cosa ne pensate in tanti.... Grazie...

QueenB_Herm1000

 

  
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