Nella
storia,
Renesmee non esiste , e al suo posto c’è un
ragazzo...
Per il resto
Twilight
è come è sempre stato...
Capitolo
Primo – Forks
Sono
Adriano
Ivan Rat Cullen, ho 18 anni e in teoria non sono ancora maggiorenne.
Invece per
il mio essere, lo sono già, per cui non crescerò
più.
Né
vampiro né
umano, una via di mezzo.
Preferivo
nutrirmi di sangue, perchè aveva tutto quello di cui avevo
bisogno, ma potevo
anche magiare cibo normale.
Avevo
forza e
velocità impressionanti e i poteri degli altri vampiri non
avevano effetto su
di me, ero immune a tutto, e toccando una persona, potevo fargli vedere
cosa
pensavo.
Avevo
sempre
vissuto in Alaska, con il clan dei Denali. Bella gente, forse un
po’ taciturna,
ma mai nessuno sarebbe riuscito a ballare la tarantella come quando
feci
ubriacare Tanya.
Era
uno
spettacolo impressionante.
Anche
io come
tutte le persone normali avevo degli zii e dei nonni, forse i miei
erano più
particolari di quelli normali, visto che erano tutti vampiri, ma in
compenso
non avevo mai potuto conoscerli.
È
per questo
che stressavo continuamente mia madre, chiedendole di andare a Forks.
Ora che
avrei vissuto in eterno, tanto valeva andarli a trovare, visto che
avrei avuto
tutto il tempo per vivere.
E
i miei mi
accontentarono. Il 15 novembre del 2008 arrivai a Forks.
Avevo
cercato
più volte notizie sul portatile. Le cose che avevo trovato
era che era una città
molto piovosa, buon per me, che aveva una scuola, mal per me anche se
andavo
bene, e che non c’erano scuole di danza, malissimo per me.
La
danza era
un po’ come la mia vita. Mi piaceva esprimermi ballando e a
quanto avevo visto
piaceva anche a gli altri.
Arrivai
di
pomeriggio, e ebbi solo il tempo di aggiustare la mia camera a modo mio
prima
di andare a caccia. Mio padre era fissato, secondo lui era
più prudente. Per di
più aveva messo delle regole. Non meno di
Avevo
contestato
molte volte questa regola, ma non avendo risultati, ho deciso di non
applicarla
senza che lui lo sapesse.
Era
naturale,
ero perfetto, e alle ragazze piacevo, perchè non sfruttare
questo a mio
vantaggio?
La
mattina mi
svegliai un’ora prima di andare a scuola, ma non
perchè ero un fascio di nervi,
come sarebbero stati tutti i ragazzi normali, ma perchè ci
voleva mezz’ora per
sistemarmi i capelli. Ero fierissimo dei miei capelli.
“Adri,
hai
finito?” gridò mia madre dal salotto.
Io
scesi in
un batter d’occhio le scale.
“Finalmente!”
disse guardandomi.
Mia
madre non
era cattiva, forse un po’ troppo premurosa, ma sapevo che ne
aveva passate
tante, anche per via di mio padre, per cui non le dicevo niente quando
diventava più isterica del solito.
“Come
vado a
scuola?” dissi facendo capire che possibilmente non a piedi,
anche perchè non
ci avrebbe creduto nessuno che da scuola sarei arrivato al fiume a
piedi.
“Con
la tua
macchina!”
La
nonna mi
porse delle chiavi.
“La
mia?”
dissi a occhi spalancati.
Di
solito
andavo a scuola con la macchina di mio padre. E per averla la sera
dovevo
faticare molto.
Lei
acconsentì con un cenno della testa.
Allora
mi
infilai il cellulare in tasca e corsi fuori.
Parcheggiata
c’era un incredibile Lamborghini nera e lucida.
Senza
tener
conto se fosse troppo presto o meno per andare a scuola, saltai su
quell’incredibile gioiellino di massima velocità.
Dopo
averla
girata, sfrecciai nel bosco. Non tenni conto nemmeno se andassi troppo
veloce,
non avevo paura di schiantarmi.
In
pochi minuti
raggiunsi la città.
Ieri
mia
madre mi aveva fatto vedere dov’era la scuola, e grazie alla
mia incredibile
memoria, ci arrivai in un batter d’occhio. Ovviamente dopo
aver superato il
limite.
La
scuola
era.... Bè, a prima vista non sembrava una scuola,
però mi sarei accontentato.
In
Alaska
andavo in una scuola privata, ma non solo maschile ovviamente.
Parcheggiai
vicino ad una Cadillac nera.
Ma
chi mai
sarebbe andato in giro con un trattore del genere! Superava per fino
quello di
mio zio Emmett.
Scesi
dalla
macchina, e, senza macchia e senza paura come i cavalieri, mi diressi a
scuola.
Mentre
camminavo diedi un occhiata alla gente.
Gruppetti
qua
e là, si distinguevano in una maniera incredibile.
Un
gruppo di
punk a destra, che a parer mio volevano fare i vampiri ma non ci
riuscivano per
niente, visto che con quelle creste sembravano più dei galli.
A
sinistra
invece, c’erano quelli che sicuramente saranno stati gli
“in”.
Tra
di loro
qualcosa, o meglio, qualcuno attirò la mia attenzione.
Mi
soffermai
nei minimi particolari di quegli occhi che continuavano a fissarmi con
curiosità.
Marroni,
con
leggere increspature più chiare. Ma dolci, tanto dolci.
Mi
rigirai
con lo sguardo verso la scuola, ed entrai, cosciente che dentro sarebbe
stato
peggio di fuori.
Mi
diressi in
segreteria, dove proprio oggi, c’era una fila impressionante.
Davanti
a me,
c’era un punk.
Io
quelli
proprio non li sopportavo.
Alla
fine,
riuscì a passargli avanti e lui, essendo uno stolto fatto,
non se ne accorse
nemmeno.
A
prima ora
avevo letteratura.
Non
andavo
male a scuola, perchè come tutti i vampiri avevo una memoria
forte e un
apprensione indiscutibile.
Ma
sicuramente avrei preferito passare una giornata a fare altro piuttosto
che
sapere la vita di qualcuno vissuto tanto tempo fa, e che sicuramente
non avrei
più sentito nominare.
Entrai
in
classe, per la prima volta in vita mia in perfetto orario.
Guardai
un
po’ la classe.
C’era
un
gruppetto in fondo di... non so nemmeno io cosa, ma non mi piacevano.
Poco
più a
lato invece c’erano tre ragazzi. Visto che ancora non
conoscevo nessuno decisi
di andare vicino a loro.
“Posso
sedermi?” dissi indicando il posto vuoto.
“Certo!”
rispose un ragazzo con uno strano modo di vestire, ma molto simpatico.
“Io
sono
Adriano!”
“Jason”
disse
dandomi la mano “ e loro sono Sean e Teddy” mi
indicò i due ragazzi dietro di
noi.
Io
diedi la
mano anche a loro, che ovviamente fecero una smorfia.
Sapevo
di
avere le mani piuttosto fredde, ma non potevo farci niente.
Durante
la
lezione, o meglio, lezione non si poteva definire, durante la
chiacchierata,
avevo capito già tutto di quei ragazzi.
Jason
era un
tipo che se ne fregava delle conseguenze di qualsiasi azione.
Teddy
ci
pensava due volte prima di fare una cosa, mentre Sean le cose non le
faceva e
basta, perchè era un nullafacente.
La
seconda
ora la passai con Teddy, perchè c’era solo lui in
classe con me.
Mi
incuriosiva il fatto che tre ragazzi tanto diversi fossero diventati
amici, ma
mi andava bene.
La
lezione
proseguiva normalmente, stavolta però, Teddy mi aveva
imposto di seguirla, fino
a quando non si sentì bussare.
“Avanti”
disse il professore.
Entrò
una
signora piuttosto bassina, con dei capelli ricci e lunghi, e un viso
abbastanza
simpatico.
“Salve”
disse
entrano in classe.
Poi
prese una
sedia e si sedette di fronte a noi.
“Oramai,
penso sappiate chi sono, e per chi non lo sa” disse
guardandomi “sono la
professoressa di teatro”
poi
diede
ancora un occhiata in giro.
“Quest’anno,
hanno vinto le ragazze. Infatti a essere messa in scena sarà
una storia
drammatica e romantica...” parte della classe era col fiato
sospeso, sperando
che non fosse...
“Romeo
+
Juliet”
Appunto.
“Allora,
chi
vuole venire ai provini?” disse prendendo foglio e penna.
Una
mano, fu
velocissima ad alzarsi.
“Non
preoccuparti Lucy ti ho già scritta”
La
ragazza,
fece un sorriso.
“vediamo...”
disse prendendo il registro.
“Cullen?
Sei
tu quello nuovo?” e mi guardò.
Io
risposi
con un cenno della testa.
“Ho
letto la
tua scheda, fai danza giusto?”
Anche
qui
feci un cenno, maledicendomi per quello che avevo fatto.
“Sarebbe
un
modo per farlo, e per cominciare ad entrare nel ritmo della
scuola”
No,
non
l’avrei mai fatto.
“Professoressa!”
disse una voce sulla porta.
Guardai.
Era
quella ragazza, quella che avevo visto all’entrata.
“Si
è
scordata di scrivermi!” disse con un sorrisone.
Era
davvero
carina.
Carnagione
chiara, capelli lunghi e marroni, e un fisico davvero bello.
Più
che
carina era bellissima.
Per
di più,
quegli occhi.
Stavolta
non
mi guardarono, forse perchè non si era accorta che ero qui.
“Ah
giusto,
scusami Serena!” rispose la professoressa scrivendo sul
foglio.
Poi
la
ragazza andò via.
“Allora?”
disse guardandomi.
“Si!”
Lei
sorrise.
“Perfetto!”
Poi
prese
altri nomi ed uscì.
Finita
quella
lezione, c’era matematica.
Non
ero
impedito in quella, ma la odiavo perchè era confusionaria.
Per
questo
decisi di andare un po’ prima, giusto per dare una ripassata.
Nella
classe
c’erano tre posti vuoti. Uno vicino al tipo fatto e altri due
vicini.
Andai
ai due
vuoti, prima di tutto perchè vicino a quello non ci sarei
stato, poi perchè ero
curioso su chi sarebbe venuto vicino a me. Sempre sperando che non
fosse uno di
quei galli.
Il
professore
entrò. La lezione stava per cominciare.
Comunque
era
sempre meglio stare da solo che con quel fatto.
Poi
la porta
di aprì.
Ad
entrare fu
lei, la ragazza dagli occhi dolci, quella bellissima.
Fece
un
sorriso al professore, e si mise a sedere vicino a me.
Mi
persi nel
suo profumo. Non dava di rose o di viole, dava di amore.
Era
sofisticato ma allo stesso tempo caldo.
Non
so neanche
io come definirlo.
Un
qualcosa
dentro di me mi disse che avrei potuto sentirlo più vicino a
me, dentro di me.
Sentire
quel
calore scorrermi dentro, e affondare i miei denti nel suo morbido collo.
Stringerla
a
me e sentire il suo respiro che si affanna e il battito del suo cuore
che
diventa sempre più debole, fino a quando non sarebbe
più percepibile, fino a
perdere quel roseo colore della pelle.
Lo
scatto
della porta che si chiudeva mi fece tornare alla realtà,
svegliandomi da quel
bellissimo ma allo stesso tempo bruttissimo sogno.
Lei
era
ancora qui, vicino a me.
Ancora
con il
suo profumo, che mi rendeva incontrollabile, che mi stordiva, fino a
non
rendermi più capace di ogni volere.
Mi
girai a
guardarla. Lei invece guardava il professore. Ogni suo lineamento, ogni
suo
respiro, ogni minimo movimento, ogni gesto, mi diceva che non ne valeva
la
pena. Che lei meritava la sua vita.
Mentre
qualche altra parte di me diceva che avrei potuto averla in qualsiasi
momento.
Sentirla ancora mia, sfiorare la sua candida pelle.
Tornai
a
guardare il professore. Ora qualsiasi cosa era buona per distrarmi.
Stavolta
fu
lei a guardarmi.
Mi
girai
nuovamente.
Vidi
spalancare quei grandi occhi marroni, per tornare a posarli sulla
lavagna.
Quante
cose
dicevano quegli occhi.
Ti
aprivano
mille porte.
Poi
finalmente lo squillo della campana.
Mi
alzai in
piedi.
La
vidi
prendere le sue cose, per poi fare un lungo respiro e alzare il viso
dal banco.
Era
come un
respiro di coraggio.
“Ciao,
io
sono Serena” disse porgendomi la sua mano.
Sorrisi
a
vederla.
“Adriano”
e
gli diedi la mia.
In
confronto
la sua era piccola e delicata, avevo paura di farle del male.
Per
di più
sentivo una certa tensione da parte sua. I muscoli erano rigidi.
Qualcosa le
faceva paura.
Lasciai
la
sua mano.
“Ci
vediamo”
disse sorridendo.
Un
sorriso di
quelli che era difficile vedere, un sorriso semplice ma vero. Era
davvero
contenta del fatto che ci saremmo rincontrati.
Anche
io
sorrisi.
“Ok”.
Poi
la vidi
girarsi, muovendo i suoi lunghi capelli e andare verso la porta.
Sapevo
che
l’avrei rivista.
I
provini
erano alle 16.00.
Io
uscì
velocemente dall’ultima ora.
Non
sapevo
nemmeno dove fosse l’ auditorium, ma l’avrei
trovato.
Una
grande
porta con una scritta sopra mi fece capire che la mia missione era
riuscita.
Fuori
c’era
già Jason. Anche lui qui.
“Adri”
disse
vedendomi “Che ci fai qui? Anche tu vorresti fare
Romeo?” e fece un sorrisone.
“Diciamo
che
mi accontento di far parte del corpo dei ballerini” ammisi,
sapendo che anche
essendo abbastanza bravo a recitare, non mi sentivo a mio agio nei
panni di
Romeo.
Si
era ucciso
per amore. Solo un’altro che era davvero stato innamorato
sarebbe riuscito a
farlo bene.
Entrammo
alle
16.30, quando oramai c’era abbastanza gente dentro da non
essere notati.
Guardai
in
fondo al salone.
Era
vicino al
portatile.
Mi
rivolse
uno sguardo, e io un sorriso.
Chissà
che
avrebbe fatto lei. Troppo perfetta per essere un comune mortale.
Ma
troppo
dolce e generosa per essere una qualsiasi altra creatura.
Un
angelo,
forse quella sarebbe stata la parte migliore per lei.
La
professoressa ci distribuì un foglio, nel quale per i
ragazzi c’era un pezzo di
Romeo e alle ragazze di Giulietta.
Lo
lessi
velocemente.
“Ecco
l'Oriente e Giulietta è il Sole. Alzati, dunque, o vivo sole
e spegni la luna
fioca, pallida di pena, che ha invidia di te perché sei
bella più di lei. Oh, è
lei, la mia donna, ma non lo sa ancora. Guarda come posa la guancia
sulla
mano!”
Non
avevo mai capito cosa
questo ragazzo volesse davvero.
Ma
mi limitai
a tenere quello che pensavo solo nei miei pensieri.
“Andiamo
a
dire le canzoni” disse Jason tirandomi verso
l’altra parte della sala.
“Che
canzoni?”
“Avrai
preparato un pezzo!” e mi guardò a occhi
spalancati.
“In
realtà
no. Bisogna ballare per forza?”
“Si,
per
forza, ma se non vuoi ballare puoi sempre cantare”
Ripensai
alla
mia ultima prova di canto.
“Improvviserò
qualcosa!”
Lui
acconsentì con la testa.
Man
mano che
la fila finiva, mi avvicinavo sempre più a lei.
Aspettavo
con
ansia quel momento, in cui mi sarei perso in quegli occhi, in cui avrei
capito
cosa provava guardandomi.
Sentivo
le
canzoni scelte dagli altri.
La
maggior
parte desideravano quella di Britney Spears,
“Womanizer”.
A
me quella
canzone piaceva, ma non era il genere di canzone su cui avrei ballato.
Toccava
a
Jason prima di me.
Lui
scelse “love In This Club” di Usher.
Toccò
a me.
Lei
mi
guardò.
“Che
canzone?” mi chiese con un sorrisone.
Non
mi
spiegavo il perchè solo a me avesse fatto la domanda, ma ci
passai su.
“Conga,
di
Gloria Estefan” dissi sicuro.
Più
volte
avevo ballato su quella canzone, e un po’ di improvvisazione
non mi avrebbe
costato molto.
“Ok”
mi
rispose ancora con un sorriso.
Io
camminai e
mi sedetti vicino a Jason.
Ci
eravamo
già cambiati, visto che di ballare in Jeans e Timberland
proprio non me la
sentivo.
Alcuni
cominciarono a ballare.
Vedevi
di
tutto.
Dalla
classica, al pop. Vidi anche uno di hip-hop, ma più che
improvvisare il pezzo
improvvisò i passi.
“Vado”
mi
disse Jason ad un certo punto.
La
musica
partì e cominciò a muoversi su una mano, o anche
solo sulla testa. Era un
ballerino di breakdance formidabile.
Tutti
applaudirono quando finì.
Venne
vicino
a me.
“Come
sono
andato?”
Io
acconsentì
con la testa.
“Mitico”
dissi infine.
Lui
rise.
Toccò
a me.
Salì sul palco.
Stare
davanti
a tanta gente non mi faceva paura.
La
musica
partì e io mi persi in una marea di passi.
Dagli
Scoubot
agli Stop And Go, per finire con Point.
Quando
finì
tutti applaudirono.
Scesi
dal
palco ed andai vicino a Jason.
Dopo
un po’
la professoressa ci venne vicino.
“Presi
tutti
e due!”
Poi
tornò al
suo posto.
“Non
avevo
dubbi” disse Jason in preda all’euforia.
“Ma
perchè ci
tenete tanto a questo spettacolo?”
Lui
mi
guardò.
“Si
vede che
non sei di Forks. È l’unico modo per farsi
conoscere, è anche l’unica cosa che
si fa qui. Oltretutto sai come impegnare il tuo tempo”
Lo
guardai
sbalordito.
“Non
pensavo
fosse così tragica la situazione qui!”
Poi
mi diede
uno spintone.
Molti
dei
ragazzi entrati uscirono.
Jason
intanto, mentre passavano, gli prendeva in giro con un “ciao,
grazie di averci
provato”.
“Bene,
ora
che siamo solo noi, ovvero il cast vero e proprio. Decideremo insieme i
ruoli,
per cominciare da domani con il vero lavoro!” disse la
professoressa.
Invitò
alcuni
di noi a ripetere il foglio, e altri cominciarono a salire.
Le
prime a
salire furono le ragazze che non avevano fatto il provino. Quelle che
facevano
lo spettacolo dal primo anno.
Approfittai
delle due davanti a Serena per parlare con Jason.
“Ma
tu, la
conosci Serena?” dissi guardandola.
“Ovviamente,
tutti conoscono Serena.” Rispose lui guardando la ragazza che
era appena salita
con un po’ più di interesse.
L’amica
di
Serena, quella con i capelli corti che aveva avuto il ruolo della
nutrice.
“Come
mai?”
Eravamo
appoggiati al muro, non vicini ma nemmeno lontani dal palco.
E
mentre
parlavamo continuavamo a guardare davanti.
“Non
c’è un
perchè. È così e basta. Tutti sanno
tutto di lei, ma non tutti le hanno mai
parlato. Io sono uno di quelli”
Feci
si con
la testa, anche se non avevo capito cosa intendesse in
realtà.
“Io
la conosco!”
Lui
alzò gli
occhi al cielo.
“Si
certo,
questa è buona per farti pubblicità!”
disse ancora guardandomi.
“Non
scherzo,
ci ho parlato parecchie volte. E poi, si può sapere di cosa
parli?”
Lui
sospirò.
“Serena
è
quella che tutti vorrebbero. È come un traguardo impossibile
per quelli come
me, ed è un traguardo passabile ma duro per quelli come
Zac” disse indicando un
ragazzo seduto dall’altra parte della scala.
“A
prima
vista tu sembri uno di quei tipi lo sai?” mi disse stavolta
guardandomi.
“Cioè?”
Mi
guardò
ancora, squadrandomi da sopra a sotto.
“Sembri
uno
di quei fighetti-figli di papà, ma in realtà non
sei così”
Allora
feci
di si con la testa.
“Comunque,
te
lo ripeto per l’ultima volta, io ci ho parlato. Siamo a
matematica insieme!”
Lui
sospirò
ancora.
“Visto
che ci
tieni tanto ti credo!”
Guardai
il
palco.
Sapevo
che mi
aveva risposto così perchè non voleva essere
disturbato. Almeno, non quando sul
palco c’era Lucy.
Ma,
forse
pensava che anche lei fosse “irraggiungibile”.
Dopo
di lei,
toccò a Serena.
Salì
sul
palco. Con passi lenti e delicati. Muovendo i capelli, che dopo aver
finito le
scale, gli si posarono dolcemente sulla spalla.
Cominciò
a
leggere il suo pezzo. Come solo lei sapeva fare, come solo lei riusciva
a fare.
Si
vedeva che
era più che portata per Giulietta. Ogni sua smorfia o
espressione ti dava
l’impressione che ci fosse davvero lei davanti a raccontarti
la sua storia.
Il
tono della
voce invece, ti trasportava chissà dove. In un luogo in cui
nemmeno tu ne
sapevi l’origine o l’arrivo e di cui non conoscevi
nemmeno il modo in cui ci
eri arrivato.
Mi
sarebbe
piaciuto vederla cantare.
Il
tono non
era forte e deciso, ma delicato, soave e pulito. Senza imperfezioni,
proprio
come lei.
Qualsiasi
vampira si sarebbe arrabbiata a vedere che quello che loro avevano
avuto con la
morte, lei era riuscito ad averlo da viva.
Mi
dispiacerebbe vederla morire, ma per il ruolo di Giulietta era
perfetta, forse
neanche Giulietta sarebbe riuscita a farla bene come lei.
“Mi
propongo
per il ruolo della Morte!” disse infine.
Come
può la
vita in se per sé a rappresentare la morte?
No,
non ci
sarebbe mai riuscita.
“Richiesta
respinta” disse la professoressa. Poi si girò a
noi. “ragazzi, che ne pensate
di Giulietta?”
La
vidi un
po’ imbronciata.
Non
se la
sarebbe dovuta prendere. C’era troppa vitalità in
lei per riuscire bene in quel
pezzo.
Non
si è mai
vista una Morte che quando ti guarda ti sorride. Un sorriso che ti
scioglie il
cuore, che riesce a farlo in mille pezzi in un solo secondo.
Tutti
acconsentirono.
Anche
io, nel
mio piccolo, mormorai un “Si” dal fondo della sala.
“A
posto
Giulietta” disse la professoressa mandandole un bacio volante.
Lei
con la
solita grazia tornò a sedersi vicino all’amica,
che l’aveva già accolta con un
sorrisone ed un abbraccio.
“Adriano”
disse
la professoressa.
mi
misi in
piedi e mi diressi, senza il foglio, sopra il palco.
Lei
aveva
avuto Giulietta, e io sarei stato Romeo, solo per lei. Solo per averla
fra le
mie braccia, per esserle tanto vicino da sentire il suo respiro.
Sapevo
che
era pericoloso, ma ne valeva la pena.
Ci
misi tutto
me stesso. Cercai di viverla dal suo lato. Come mi sarei sentito se mi
avessero
tolto la mia ragione di vita? Sicuramente perso, o forse incapace di
tutto,
fino ad essere incapace di vivere ed andare avanti. Tenevo conto che
fosse
stata una cosa su cui non puoi passare su. E che se
c’è, ti sembra di volare,
dove nessuno può arrivare, magari nel cielo, e di camminare
sulle nuvole,
saltando.
Tormento
e
oppressione ma anche amore, tanto amore. Quello era stato difficile da
rappresentare, perchè non l’avevo vissuto di prima
persona.
Quando
finì,
la professoressa applaudì.
“Adriano
divino”.
Avevo
capito
che aveva cominciato ad avere un debole per me, ma dirmi
“Divino” sembrava più
una presa in giro.
“Ragazzi
io
per il nostro nuovo arrivato, propongo il bel Romeo” disse
rivolta agli altri.
Tutti
annuirono, tranne quello che mi aveva indicato Jason.
Era
rimasto
seduto sulla sedia, con le braccia incrociate e lo sguardo duro e
cattivo
contro di me. Come se potessi avere paura di lui.
Dopo
aver
avuto la parte che desideravo, scesi giù, e tornai vicino a
Jason.
Ora
toccava a
lui.
“Dammi
la
forza!” disse salendo sul palco.
Due
respiri
forti, e cominciò a leggere.
Cercò
in
tutti i modi di farsi notare, chissà da chi.
Le
frasi finali
le urlava, ma alla fine, ebbe la parte di Mercuzio.
Mentre
scendeva dal palco fece segno di si con il braccio dicendo “
era questo che
volevo!”.
Finimmo
di
scegliere i personaggi alle 20.30.
Dopo
essermi
cambiato, uscì fuori con Jason.
“Come
mai
volevi quella parte?” dissi con un sorrisino malizioso.
Lui
guardò da
un’altra parte.
“No...
così...” e fece spallucce.
“Si
si
certo!” dissi dandogli una spinta “Io penso che ci
sia un certo interesse per
una ragazza”
Lui
mi guardò
sbalordito.
“Chi?
Io? Per
una ragazza? Scherzi?”
“A,
be, se
non ti piacciono le ragazze potevi anche dirmelo prima!”
Stavolta
fu
lui a spingermi.
“Usciamo
insieme stasera?” disse camminando affianco a me.
“Veramente...
dovrei sistemare ancora alcune cose...cioè... no,
scusa” dissi infine.
“Ma
domani
non scappi”
“ok”
dissi
dando la mia parola, e, non so se mi spiego.
“Allora
a
domani” disse salutandomi con la mano ed andando verso
Ok
forse
avevo esagerato a definirla.
Io
intanto
diedi un’ultima occhiata alla scuola, mentre mi dirigevo alla
mia Lamborghini.
Serena
era
vicino all’entrata, e Lucy ce ne era appena andata.
Chiamava
qualcuno, ogni tanto gesticolava, ma i suoi gesti non erano fastidiosi.
Io
salii in
macchina e accesi la radio.
Le
note di
“Claire De Lune” si dispersero nell’auto.
Una musica docile, così bella da
farti ricordare qualcuno.
Ad
un tratto
sentì bussare al finestrino.
Sapevo
chi
era, riuscivo a captare la sua presenza anche a una lontananza
impressionante.
Ero
curioso
di sapere cosa volesse.
Abbassato
il
vetro nero la vidi.
Ancora
una
ventata di profumo, di un dolce sapore in bocca.
La
vidi,
quasi vicinissima al mio viso.
Ancora
i suoi
occhi, e il suo profumo, era una droga per me.
“Senti,
potresti darmi un passaggio? Mio padre mi ha dato buca”
Non
avrei mai
potuto lasciarla lì.
Ma
avevo
paura di quello che sarebbe successo se fossimo rimasti soli.
Una
parte di
me diceva che era il momento giusto, il momento in cui avrei potuto
avere
quello che desideravo. Un’altra
diceva
che sarebbe stata l’opportunità per conoscerla
meglio, per passare più tempo
con lei, e magari anche per sentirla ancora vicina a me.
“Sali”
dissi
infine.
Non
mi
importava di quello che sarebbe successo, io non le avrei fatto del
male.
Delicatamente
sentì aprire la portella, e si sedette vicino a me.
Accesi
l’auto, e spinsi l’acceleratore.
“Dove
abiti?”
chiesi sia per accompagnarla, sia perchè mi interessava
davvero saperlo.
Magari
un
giorno sarei potuto passare a trovarla, senza che lei lo sapesse
ovviamente.
“Vicino
al
ferramenta, è l’unica villa arancione”.
La
guardai, anche
il suo minimo movimento di labbra mi sembrava una cosa straordinaria.
Non
continuai
a chiedermi perchè mi facesse quell’effetto.
Al
clan dei
Denali, avevo conosciuto la perfezione in persona, e davanti a una
semplice
umana stordivo così tanto.
La
guardai
ancora, visto che anche lei guardava me.
Non
avevo più
niente da scoprire nei suoi occhi, li avevo osservati fino a conoscere
le
minime sfumature, fino a riuscire ad entrarci.
“Ok”.
La
stavo
ancora guardando. Non avrei tolto gli occhi da lei per nessun motivo al
mondo.
“Scusa
potresti guardare la strada, non mi offendo se non mi guardi in
faccia” disse
lei, preoccupata, non infastidita.
Io
annuì con
la testa, ma un po’ mi venne da ridere.
Non
avevo mai
fatto un incidente, ma comunque, se era questo che voleva.
Per
la prima
volta mi ritrovai a fare qualcosa che altri mi avevano detto.
Non
che non
fossi un bravo ragazzo, ma di solito agivo di testa mia. Con lei invece
era
diverso. Eppure la conoscevo da poco, solo un giorno. Ma mi sembrava
che la
conoscessi da una vita, mi sembrava di aver già visto e
conosciuto quegli
occhi. Da un lato era una ragazza bellissima e sensuale,
dall’altro sembrava
una dolce bambina, pura di cuore, tutto il contrario di me. Forse era
questo che
mi attirava di lei, quella parte che mi diceva che non
c’è solo cattiveria
nelle persone, che può esserci di più.
“Dove
vivevi
prima?”
Mi
girai a
guardarla ancora.
Non
c’era
cattiveria nemmeno nelle sue parole, c’era solo
curiosità, e perchè non soddisfarla?
“In
Alaska”
risposi, e mi accorsi di essere vicinissimo a casa sua.
Presto
sarebbe scesa, ma non volevo.
“brrr...
deve
essere più freddo di qui e?” disse lei cercando di
mantenere su un discorso.
“si...
direi
di si”
Qual
è
l’unico argomento per dire qualcosa? Il tempo e le condizioni
climatiche.
Poi
mi
fermai, ero davanti casa sua.
“Bhe,
grazie
per il passaggio” disse prendendo la borsa.
“Di
niente”
risposi, guardandola.
Mi
fissava,
in continuazione. Mi chiedevo se solo per curiosità, o forse
per interesse nei
miei confronti.
Vidi
salire
un’ondata di sangue, colorandole le guance di un rosso che mi
faceva impazzire.
Ma
solo dopo
mi accorsi che non era il sangue a farmi impazzire.
Fece
un
sorriso, e quasi si muoveva a rallentatore.
Sperava
in
qualcosa?
Avrei
aspettato per dirglielo.
“Allora
ci
vediamo domani” disse fissando ancora i miei occhi.
Scese
dall’auto, e fece esattamente 5 passi.
Poi
mi sporsi
dal finestrino e la chiamai.
“Serena”.
Lei
si girò
di scatto, quasi aspettando che io la chiamassi.
“Dimmi”
mi
disse.
Era
davvero
curiosa di sapere quello che avevo da dirle, per questo aspettai un
po’.
“Non
sei un
genio in matematica vero?”
Un
qualcosa
le illuminò gli occhi dopo questa mia domanda. Una luce di
speranza forse.
Sorrise.
“Si
nota così
tanto?”
“Un
po’...”
dissi io sorridendo “ se vuoi ti do una mano
domani!”
La
luce
diventò più forte.
“Certo!”
disse sorridendo. E non si accorse di aver fatto una specie di saltino
per
l’entusiasmo.
“Ok,
allora
ne parliamo domani mattina a scuola!” dissi fra una risata e
l’altra senza
farmi notare da lei.
Non
che io la
stessi deridendo, ma era la situazione che mi faceva ridere.
Da
come me
l’aveva descritta Jason, doveva essere una ragazza
impossibile, per cui una di
quelle per cui tutti sono irrilevanti.
Lei
invece
era diversa, non era la solita barbie raggio di sole, era vera, ma allo
stesso
tempo divina per la sua perfezione.
“Va
bene...
ciao” disse muovendo leggermente la mano e facendo un altro
saltino.
“Ciao”
la
salutai, e partì, ancora stordito da quella ragazza che era
entrata come un
fulmine nella mia vita, e l’aveva attraversata senza
problemi, senza
interessarsi agli incidenti che lasciava per la strada.
Era entrata, e non penso che sarebbe più riuscita ad uscire.
Spazio Autrici
Diteci cosa ne pensate in tanti.... Grazie...
QueenB_Herm1000