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Autore: stay here    08/05/2015    1 recensioni
Dal testo:
Il silenzio, che s’era andato a creare fra le due, era intervallato dal soffice rumore che le lacrime producevano, quando atterravano sulle coperte.
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Può essere considerato il seguito della Flashfic "Untitled" pubblicata sul mio profilo. Può essere compresa anche senza.
***
Di cosa parla? Un'adolescente un po' particolare. No, non è bulimica. No, non è anoressica. No, non si droga. No, non si taglia.
Bisogna per forza fare qualcosa di estremo per essere particolari? A mio avviso, non necessariamente.
Se volete addentrarvi in questa storia, vi dico solo "lasciate ogni speranza" ahaha.
No, okay, però non ci saranno rose e fiori. Sarà solo la verità.
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Annalisa diede una rapida occhiata alla classe. Lei non esisteva per nessuno di loro.
Renata le stava accanto e di tanto in tanto le diceva qualcosa, cose del tutto futili, prive di valore.
La conosceva da ben nove anni, ma le cose non erano mai cambiate. Il loro legame non aveva subito chissà quali trasformazioni, non era deteriorato né si era fatto più solido.
Erano sospese in un’amicizia fittizia, fatta di risate e di convenienza.
Annalisa mormorò qualcosa, concordando la frivolezza condivisa della compagna di banco pochi secondi prima. E la giornata seguì il suo monotono corso.

Di ritorno a casa Annalisa già sentiva la puzza di guai farsi sempre più oppressiva nelle sue narici.
Non aveva portato le chiavi di casa dato che, quando era tornata dal soggiorno studio in Francia, sua madre e sua sorella avevano fatto piazza pulita delle sue cose. Il disordine che si era lasciata alla spalle era stato rimpiazzato da un immacolato ordine. Peccato che non trovi più le mie chiavi, aveva pensato dopo aver messo un po’ di caos durante la ricerca dell’oggetto – che presumeva fosse andato - perduto.
Suonò il campanello. Attese con pazienza.
Non dirmi che non sono in casa, mormorò a nessuno in particolare.
Fece un profondo respiro per tenere i nervi saldi.
Suonò di nuovo, rinnovata dalla speranza. E ancora nulla.
Spazientita iniziò a premere il campanello a intermittenza, nella speranza di un guasto del citofono.
Persa la fiducia, afferrò il cellulare che aveva deposto nella tasca del giubbotto, e chiamò sua madre.
Il cellulare squillava a vuoto, poi un rumore gli suggerì che la chiamata era stata presa.
Delle voci confuse uscirono dal cellulare e subito dopo furono stroncate dal bip di chiusura. Aveva attaccato. Era caduta la linea?
I battiti del suo cuore accelerarono. Si stava innervosendo e non poco.
Mio padre non era di ferie oggi?, si domandò a voce alta.
Compose il numero di sua sorella Stefania.
Vuoi vedere che non risponde anche lei?, la voce che trapelava di stizza.
- Pronto? Anna? – La voce dall’altro capo del telefono la rincuorò un pochino.
- Stefi, sono chiusa fuori casa. Tu dove sei? – chiese, il tono quasi accusatorio.
- Io sono in palestra… Non ti sei portata le chiavi?
- No, sapevo che ci fossi tu e papà. E poi me le sarei portate, ma non le trovo da quando avete messo le mani nelle mie cose. – Un lieve accenno di rabbia riaffiorò, ma fece appello a tutta la sua volontà per soffocarlo.
- Eh… al massimo vieni qui, in palestra.
Annalisa ci pensò su, ma l’eventualità di occhi puntati addosso mentre era all’ingresso come un baccalà, non le piaceva proprio.
- No, ho fame e al massimo scavalco.
- Va bene. Sarei venuta, ma mi sembra brutto lasciare dopo aver fatto a malapena venti minuti. Ciao.
- Ciao – rispose Annalisa mogia.
Ora occorreva scavalcare.
Oltre a essere in piedi da un quarto d’ora buono, la ragazza aveva un carico non indifferente di libri sulla schiena e si stava bagnando.
Si era dimenticata l’ombrello. O meglio, non se l’era dimenticato, quella mattina si era fatta qualche domanda a riguardo mentre lo fissava indecisa, ma aveva scartato l’opzione di brutto tempo. Ottimo intuito, si era complimentata fuori da scuola, calandosi il cappuccio sul capo.
Fece diversi tentativi, ma il cancello sembrava rappresentare un ostacolo insormontabile.
Raccolse tutti i buoni propositi e, dopo aver appeso lo zaino ad uno degli elementi verticali con punte acuminate di cui era provvista la ringhiera - ed anche il cancello automatico -, cercò di trovare il modo di passare dall’altra parte.
Cazzo!, imprecò mentre la rabbia iniziava a radicarsi dentro di sé. Dopo essersi aggrappata alla ringhiera e stava azzardando una mossa per il suo scopo, si accorse che i jeans le impedivano il movimento, (senza contare che lei non aveva un fisico snodato e quindi se li avesse strappati, non ne sarebbe valsa la pena).
Andò alla parte ovest dell’ingresso, costeggiata da un alto muro di mattoni. Possibile che fosse inespugnabile quanto una fortezza la sua casa? Urgeva una scala.
Forza e coraggio, si disse mentre le rotelline del suo cervello si mettevano in funzione e cercavano di trovare una soluzione. Fece numerosi tentativi solo quando la strada era deserta, e quando passavano veicoli o pedoni, coglieva l’occasione per riempirli di improperi sottovoce. Non voleva dare spettacolo della sua prestanza fisica.
Ultima volta, poi ci rinuncio, era l’ultimatum. Alzò la gamba e provò per l’ennesima volta a farla passare dall’altra parte e…
- Annalisa! Che stai facendo? – sentì gridare una voce: suo padre.
Porca puttana!, sussurrò. Scese in un baleno dal muretto.
- Sto bene! – urlò, stufa di quella sfiga che la perseguitava da troppe ore.
Il padre si era preso un bello spavento e continuava ansioso a chiederle cosa avesse intenzione di combinare.
- Nulla, papà. Avevo solo appoggiato lo zaino alla ringhiera perché pesava – mentì, sbuffando.
Recuperò la cartella e attese che le aprisse il cancello.
Quando udì il suono confortevole della serratura che scattava, Annalisa sospirò di sollievo.
Il padre aveva numerose cose per la testa e quindi non si astenne dal ricoprire di insulti la sorella, che stava da tutt’altra parte, ignara.
A grandi falcate attraversarono il vialetto di sassi e con il padre entrò in casa.
Si tolse le scarpe fin da subito, odiava indossarle dopo essere stata all’esterno.
Calzò le sue ciabatte viola a righe bianche, le stesse che sua madre le aveva comprato per Cannes, e si svestì della giacca. Poi fece lo stesso coi vestiti, e al loro posto indossò una comoda tuta pesante, dato il freddo pungente che c’era.

Nel giro di pochi minuti arrivarono due personaggi che la ragazza aveva avuto modo di incontrare prima. Erano l’architetto e il geometra.
Dovevano discutere dei lavori che quel certo Giacomo aveva eseguito nove mesi prima. L’uomo non era altro che un truffatore ipocrita e imbroglione che esigeva una somma di denaro troppo elevata per il lavoro che aveva svolto. Dopo aver ingannato i genitori di Annalisa, il perdente era arrivato a minacce e stratagemmi allo scopo di ottenere i suoi quattrini, a detta sua, meritati.
Annalisa non voleva saperne di quella storia, perché a causa di essa non aveva avuto la possibilità di iscriversi in palestra o in qualche altro sport. Insomma, Annalisa odiava Giacomo.

I due ospiti dovevano discutere del fatto in cucina, la quale fungeva anche da sala da pranzo. Così salto anche il suo pranzo.
La ragazza si concentrò sul bere l’acqua, per acquietare la fame che le faceva brontolare lo stomaco ormai da un’ora e mezza. Circa mezz’ora più tardi, la famiglia era al completo, seppur situata in stanze diverse. Annalisa era intenta a leggere per evitare di pensare alla fame, i genitori erano nel pieno di una conversazione importante e a tratti burrascosa e la sorella era in procinto di svestirsi. Anche Stefania aveva optato per rimanere in cameretta, (la quale condividevano insieme da circa un anno).
Stefania era stata influenzata dal nervosismo che formicolava un po’ in tutti e non sembrava molto rilassata malgrado l’attività fisica; la sorella più piccola se n’era accorta.
Le due si erano messe ad origliare qualche stralcio di frase quando la conversazione raggiungeva livelli incandescenti.
Annalisa si era lasciata sfuggire una stupida frase: - Se le rate durano fino all’anno prossimo vuol dire che non farò sport anche quest’anno…
- Ma ti rendi conto di ciò che hai detto? – Stefania era esterrefatta.
- Cosa ho detto? – Anna alzò lo sguardò e incontrò quello della sorella pieno di rabbia.
- Non capisci. Sei così bambina che vai a pensare al tuo sport. Loro sono… Noi siamo nei casini e pensi al tuo sport! – disse dura, lo sguardo infiammato.
- Be’ era solo un pensiero – si difese.
- Eh no, Annalisa, non era un tuo pensiero. Tu sei egoista.
La ragazza cercò qualcosa da dire a sua discolpa, ma le parole dell’altra sfociarono con prepotenza dalle sue labbra.
- Sei un’ingrata! Con tutti i vestiti che ti ho comprato visto che tua madre – usò quel tua come una provocazione, lo faceva spesso quando la loro genitrice faceva qualcosa di sbagliato – non ti guarda nemmeno. Come se tu fossi mia piena responsabilità!
- Io…
- Smettila di fare l’ingrata. Non te ne frega proprio nulla degli altri. Purché tu stia bene, giusto? – Il suo sguardo la squadrava dall’alto al basso, in una posizione di superiorità.
- Ho detto solo una frase e tu hai iniziato a dire questo… - Annalisa non ne poteva più. Perché non c’era un attimo di pace in quella casa?
- Oh, Annalisa… tu non ti rendi conto della gravità.
La minore sospirò.
- Non possiamo parlarne stasera? Stanno già urlando loro, ti prego – il tono di supplica.
- No. Stasera devo fare i massaggi e domani non voglio pensarci.
- Ti prego, non ora. Devo fare i compiti – disse ed era vero, ne aveva da fare per il giorno seguente. Aveva già accennato qualcosa prima quando si era ritrovata sola in camera.
- Ne parliamo ora. Anche quando dici che Lucia non ti piace. Che come sorella preferisci me. Sai che…
- Io non l’ho detto per leccarti il culo, è la verità.
- Sì, lo so, ma non è questo il punto. Il punto è che lei si preoccupa di te. Quando era andata a Roma e ci parlavamo a telefono, mi chiedeva di te. Mi chiedeva se ti eri cacciata nei guai. – Anna capì a cosa si riferisse, a tutte quelle cazzate che aveva fatto fino a luglio dell’anno passato. Scosse la testa affinché quei pensieri non si impadronissero della sua mente. Quelle immagini… - Lei è preoccupata sempre per te. Non pensa a come sgridarti. – Eppure Annalisa non ne era così convinta di questo.
Era come in trance, non voleva ascoltarle quelle cose. Il predicozzo glielo facevano già da tempo e troppo spesso per i suoi gusti.
Non rispondeva, né annuiva. Rimaneva in silenzio nel tentativo di farsi scivolare le cose da dosso.
- Non sembri mai coinvolta in nulla. Non hai alcuna passione. E quando parli dei tuoi aneddoti, sembra che tu stia raccontando qualcosa che non ti appartiene. Infatti credo che sia per quello che quando parli le persone non ti ascoltano. Non lo fanno perché non gli interessa cosa hai da dire, il problema è come lo dici. Hai un distacco spaventoso, come se le cose non ti toccassero.

La maggiore ripeté di nuovo le cose già dette, come per perforarle lo scudo che indossava.
E ad un certo punto: - Sai cosa sembra? Che tu non abbia un cuore. Anche quando zia Federica è morta… è per quello che tu non hai pianto. È per questo motivo che tu non piangi se qualcuno muore – disse aspramente.
- Tu non sai amare – disse, nel suo tono si distingueva una nota di comprensione. Ora la sorella credeva di aver capito.
Annalisa accusò malamente il pugnale che le stava trafiggendo il cuore.
Le lacrime zampillarono rapide dai suoi occhi e incontrarono il piumino del letto su cui stava seduta. E non erano solo due, ben presto iniziarono a moltiplicarsi e divennero troppe da contare.
Il silenzio, che s’era andato a creare fra le due, era intervallato dal soffice rumore che le lacrime producevano, quando atterravano sulle coperte.
Annalisa voltò la testa, non perché non voleva mostrarsi fragile, bensì perché non voleva suscitare pietà.
La ragazza sentì tutti i puzzle della sua vita andare al posto giusto. Tutto aveva un senso ora.
Annalisa non sapeva amare.





Angolo autrice:
Avevo bisogno di sfogarmi, semplicemente.
Se vi state chiedendo se ciò che ho narrato sia vero, ve lo confermo. Se in principio poteva sembrare comica come cosa… avete visto che piega ha preso la fine (del capitolo).
Ad ogni modo, grazie anche solo per essere passato/a.
E ti auguro buona serata :)
stay here



   
 
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