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Autore: mikchan    09/05/2015    1 recensioni
[NON COMPLETA] La ginnastica artistica è sempre stata la più grande passione di Chiara. Non c'era niente di meglio che qualche giro sulle parallele o un salto al volteggio per rendere migliore la giornata.
Ma nel momento in cui questa possibilità le viene tolta, Chiara si ritroverà catapultata nella vita di una qualunque adolescente, tra scuola, libri, amicizie e primi amori. I problemi quotidiani sembrano molto più grandi se vissuti dall'interno e Chiara dovrà imparare ad affrontarli con coraggio e tenacia.
E chissà che, forse, non trovi anche il ragazzo che le faccia battere forte il cuore.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Grazie di cuore a Witchligh per la bellissima copertina!

1- L'INIZIO DOPO LA FINE



"Io vado".
Mi infilai velocemente le scarpe, sistemandomi poi la tracolla sulla spalla. Non feci un tempo a fare un passo verso la porta che mia madre comparve dalla cucina.
"Mi raccomando", disse sorridendo emozionata.
Alzai gli occhi al cielo. "Mamma, non vado in guerra", risposi scherzando.
"Lo so, però...".
"Va tutto bene, mamma. È solo il primo giorno di scuola".
"Lo so", ripeté mentre il labbro inferiore le tremava e gli occhi le si inumidivano. "Era da tanto che non ti vedevo così bella".
Il sorriso mi morì sulle labbra, capendo all'istante cosa volesse dire. "Sono come sempre", ribattei.
Lei prese un respiro profondo, cercando di trattenere le lacrime. "Lo dai un abbraccio alla tua mamma prima di andare?".
Non potei fare a meno di sorridere e annuire, avvicinandomi e lasciandomi stringere dalle sue braccia calde e profumate. Solo lì mi sentivo a casa e al sicuro, coccolata da quell'aroma che mi aveva accompagnata per tutta la vita e che mi tranquillizzava ogni volta. Mia madre era un po' svampita, decisamente emotiva e a volte rompiscatole, ma sapeva meglio di me quando avevo bisogno di uno dei suoi abbracci, così come quel giorno.
Potevo capirla, in fondo. Era dalle medie che non avevo un vero e proprio "primo giorno di scuola". Negli ultimi anni avevo sempre studiato da privatista e tornare in mezzo agli altri ragazzi, frequentare le lezioni, studiare, fare i compiti era qualcosa che, forse, scoinvolgeva più lei che me stessa. Io, in fondo, me ne ero fatta una ragione, ma sapevo che mia madre stava ancora soffrendo per quello che era successo la primavera prima e faceva sempre fatica ad accettare novità così grosse.
Ma, in fondo, era per quello che le volevo così bene.
Mi staccai dall'abbraccio, dandole un bacio sulla guancia. "Ci vediamo pomeriggio", le dissi con un sorriso.
Lei annuì, accarezzandomi i capelli. "Fai a vedere a tutti quanto vali, Chiara".
"Come sempre", affermai sicura, uscendo poi di casa dopo averla salutata con un gesto.
Fuori dalla porta mi fermai un attimo per prendere un grosso respiro.
Alzai gli occhi verso il cielo di inizio settembre, leggermente illuminato dal primo sole che stava sorgendo.
In quel momento iniziava una nuova parte della mia vita e dovevo farmene una ragione. Sarebbe stato difficile, avrei sofferto, ma non avrei mollato. E se un giorno avessi perso la speranza, mi sarei ricordata di mia madre, quella donna stupenda che aveva sempre assecondato ogni mia passione e che mi aveva supportato fino alla fine, forse anche oltre.
Sorrisi di nuovo e uscii dal vialetto di casa, chiudendomi il cancelletto alle spalle. Mi incamminai verso la fermata dell'autobus che distava meno di cinque minuti di cammino.
Cercai di non fare vagare i pensieri e mi concentrai su quello che mi trovavo davanti. Nonostante abitassi in un piccolo paesino e nonostante fossero appena le sette del mattino, le strade erano più trafficate di quanto mi aspettassi e, lungo la via, incontrai anche altri ragazzi che conoscevo solo di vista. In fondo, non avevo mai interagito molto con loro, non tanto perché fossi timida, ma perché negli ultimi cinque anni avevo passato praticamente tutta la mia vita in palestra.
Passai di fianco al parchetto dove andavo sempre da bambina e, d'istinto, lanciai un'occhiata al grosso albero sul quale avevo imparato a fare le capovolte. Avevo tanti ricordi legati a quel posto e troppi, purtroppo, erano qualcosa che ormai non possedevo più.
Scossi la testa per scacciare quei pensieri. Non potevo farmi contagiare dalla tristezza di prima mattina, soprattutto in una giornata così speciale.
In pochi minuti arrivai alla fermata e, preso il biglietto dal portafoglio, mi guardai intorno, incontrando lo sguardo curioso di alcune ragazze. Abbozzai un sorriso di saluto nella loro direzione, ma non dissi nulla. Sapevo benissimo cosa stavano pensando e, dopotutto, quello era il brutto di abitare in un piccolo paese. Tutti sapevano del mio incidente e, soprattutto, tutti sapevano della mia passione. Non me ne ero mai curata molto, ma sentire gli sguardi della gente addosso era davvero fastidioso. L'ultima cosa che volevo era essere compatita ed era esattamente ciò che quelle due ragazze stavano facendo.
"Ehi Chiara!". Mi voltai di scatto e sorrisi.
Greta era l'unica ragazza del mio paese con la quale avevo mantenuto un buon rapporto. L'avevo conosciuta in prima media e, nonostante l'anno dopo avessi lasciato la scuola, avevamo continuato a tenerci in contatto e potevo benissimo considerarla la mia migliore amica.
"Ciao", la salutai.
"Come va? Sei nervosa? Immagino di sì, in fondo non conosci nessuno a parte me".
Trattenni a stento una risata di fronte alla sua solita parlantina. Quello era un tratto caratteristico di Greta e adoravo la sua schiettezza, anche se a volte rasentava addirittura la maleducazione. Ma lei era fatta così: sincera fino al midollo, sempre, ed era l'unica che mi diceva le cose in faccia senza paura di offendermi. Quell'estate era stata proprio la sua presenza che mi aveva aiutata a risollevarmi e per quello le ero estremamente grata.
"Sono un po' nervosa, ma se non mi abbandoni andrà tutto bene".
"Tranquilla", disse lei facendomi l'occhiolino. "Ti starò attaccata come una sanguisuga".
Risi, mentre vedevo il pulman girare la curva e avvicinarsi a noi. Salimmo e seguii Greta verso il fondo. Si sedette accanto a due ragazzi, nei posti a quattro, e mi fece segno di imitarla.
"Ragazzi, lei è Chiara. Chiara, loro sono Filippo ed Elisa. Sono in classe con noi".
Li salutai con un sorriso, appoggiandomi la tracolla sulle gambe. Il pullman era piuttosto affollato e c'erano parecchie persone in piedi, quindi ringraziai mentalmente gli amici di Greta per aver lasciato liberi quei due posti.
"Hai sentito Lorenzo quest'estate?", chiese Elisa a Greta mentre il mezzo ripartiva. Lorenzo era il ragazzo di Greta, quello con cui faceva tira e molla da più di due anni e che io non avevo mai incontrato.
La mia amica annuì. "Sì, ma diciamo che avevo di meglio da fare", rispose, lanciandomi un'occhiata complice e un mezzo sorriso. Mi sentii un po' in colpa per quelle parole: Greta aveva passato l'estate con me e aveva trascurato il suo ragazzo per non farmi sentire sola.
"Tornerete di nuovo insieme?".
Greta fece spallucce. "Probabilmente", disse solo.
"Ma ti piace?", le chiesi io d'impulso. Nonostante la sua parlantina, Greta era molto riservata quando si trattava della sua vita privata e non mi aveva mi parlato molto della sua relazione con Lorenzo e quindi sapevo poco, sicuramente di meno di Elisa, che mi guardò sorpresa.
"Se le piace?" esclamò. "Dio, è completamente cotta".
Ridacchiai, mentre Greta arrossiva. "Non sono cotta di nessuno, io".
"Certo, certo", la zittì l'amica. "Però ogni volta che lo vedi gli fai gli occhi dolci come un pesce lesso".
"Non è vero", ribatté. "Chiara non crederle. Io non sono un pesce lesso".
"Oh, invece sì", continuò Elisa, facendomi l'occhiolino. "Lo vedrai tu stessa quando lo conoscerai".
Greta borbottò qualcosa, imbarazzata, mentre io ed Elisa ridevamo delle sue espressioni.
La mezz'ora di viaggio passò in fretta e, quando scesi dal pullman che si era fermato davanti al piazzale della scuola, mi trovai a pensare che non era stato per niente difficile fare amicizia e sperai che fosse così anche per il resto della classe.
Filippo ci salutò con uno sbadiglio e si incamminò a passo dondolante verso l'istituto; Greta ed Elisa, invece, si fermarono poco davanti il cancello e si accesero una sigaretta. Come ogni volta, lanciai un'occhiataccia alla mia amica, che si limitò ad abbozzare un sorriso. Certo, quella era una scelta sua e io forse ero troppo fissata su quelle cose, ma non mi piaceva proprio vederla fumare.
In ogni caso non dissi nulla, limitandomi a seguire il discorso delle due su qualche professore che non vedevano l'ora di incontrare. Ironicamente, presumevo.
Appena entrammo nell'istituto mi fermai davanti all'ingresso, sorpresa. La quantità di persone che vagavano nei corridoi era immensa, chi con aria assonnata e un caffé in mano, chi già pieno di energie, ma tutti sembravano piuttosto contenti di trovarsi lì, se non tanto per la scuola in se, proprio per le persone che avevano incontrato di nuovo dopo tre mesi.
Elisa e Greta andarono a controllare il numero della classe per quell'anno e, tornate da me, mi fecero fare l'intero giro della scuola prima di raggiungerla. Ovviamente ci avrei messo un po' ad ambientarmi, ma almeno avevo scoperto dov'erano i bagni, la segreteria e altri posti essenziali.
Quando arrivammo alla classe successe l'inevitabile: tutti si voltarono a guardarmi, sorpresi, e arrossii. "Ciao", mormorai, stringendo le dita attorno alla spallina della tracolla.
"Ragazzi, lei è Chiara, la mia migliore amica". Mi sorrise rassicurante. "Chiara, loro sono Alice, Claudia, Caterina, Filippo che hai già conosciuto, Luca, un'altra Chiara...".
Dopo i primi nomi mi ero già persa e li avevo scordati subito tutti. Avevo davvero una pessima memoria e sapevo già che avrei impiegato parecchie settimane a ricordarmeli tutti.
"Ehi, aspetta!", mi richiamò una ragazza.
Mi voltai verso quella voce e mi immobilizzai sul posto. Conoscevo quello sguardo e quel tono e, forse, sarebbe stato peggio di quanto mi ero mai immaginata.
"Ti riconosco, tu sei Chiara Fumagalli, quella in Nazionale Italiana di ginnastica artistica".
Strinsi le labbra, percependo addosso gli occhi di tutti. Sì, era decisamente peggio del previsto.
Greta mi si avvicinò, dispiaciuta e mi abbracciò mentre io rimanevo lì, immobile, incapace di agire. Cosa avrei dovuto rispondere? Sì, sono io?
No, io non ero più in Nazionale. Quindi no, io non ero "Chiara Fumagalli, quella in Nazionale Italiana", io ero semplicemente Chiara e avrei dovuto imparare ad accettarlo. Però... però in fondo Chiara era anche la "Chiara Fumagalli, quella in Nazionale Italiana" o, almeno, lo ero stata e non c'era alcun bisogno di nasconderlo.
Per questo sciolsi l'abbraccio e annuii. "Sì, sono io".
Era l'inizio di una nuova vita e non mi sarei fatta sconfiggere di nuovo. 

  
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