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Autore: Cygnus_X1    09/05/2015    3 recensioni
[SOSPESA]
Sirya vive in un castello sperduto tra le montagne, affidata da sua madre a un vecchio amico; non ha mai visto nulla oltre l'orizzonte frastagliato di quella stretta vallata.
Mizar è uno studente della più prestigiosa scuola aeronavale di Selaera. C'è solo un piccolo problema: lui lì non ci vuole stare.
Sono poco più che bambini, e non sanno dell'esistenza l'uno dell'altro, ma ciò che li lega è vasto. Un disegno ancestrale che guida i destini fin dall'inizio del mondo.
Un disegno che potrebbe trascinarli nella sua distruzione. O farli splendere al di sopra del caos.
[Fantasy/Fantascienza; accenni di Steampunk, Contemporary Fantasy]
Genere: Angst, Science-fiction, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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***†  Eventide   ***


I Figli del Caos






 


*** Parte Prima ***

Eljrinn



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Capitolo 1

L'apprendista
 


15 Vejezel 771, ore 18:00
Regno di Eythsun
Andrèlle, valle del Baill, tenuta dell'ayra Leànyar Neja Talléran

L



a giornata sta finendo. Il glorioso cerchio incandescente di Kuna rosseggia sull’orizzonte, spargendo ovunque la sua ultima luce prima di lasciare spazio alla notte. I raggi infuocati trafiggono l’aria come frecce, spargendosi tra cielo e terra, tra oceano e montagne, illuminano d’oro e fiamme boschi, fiumi, pianure e città, regalano al mondo l’ultima luce d’estate.
Scorrono su castelli e torri, oltrepassano arcane vestigia dei tempi andati e profondità marine, si librano tra le nuvole e le stelle che cominciano ad apparire a est, dove l’oro del tramonto già stinge nel blu del crepuscolo, quando le ombre lasciano le loro dimore e inizia il tempo dei sogni.
Saettano tra monti e colline, nei luoghi più segreti, nelle valli più nascoste.
Da un estremo all’altro delle Frontiere, salutano Selaera prima di dileguarsi oltre l’orizzonte lasciando a Naleion il compito di vegliare la terra e le sue creature.
Sono quegli stessi raggi dell’ultimo sole d’estate che entrano nella tranquillità di una vallata boscosa tra alte montagne scintillanti di ghiaccio, abbracciano la torretta di una piccola tenuta tra gli alberi, cingono i merli sulle mura, risplendono sull’intonaco bianco, scivolano luminosi dentro le finestre e infilzano la volta irregolare delle chiome dei due aceri nel giardino, disegnando forme acuminate e dorate sul terreno e sulle persone di sotto.
Una decina scarsa di persone, tra servitori e guardie, occupa un lato del cortile. Siedono sulle radici ritorte del grande albero oppure sul bordo della vasca in marmo rosso della piccola fontana poco distante. Chènter, in piedi accanto al tronco dell’acero, si volta per un secondo verso il capitano con aria interrogativa – un lampo di bronzo riflesso sull'acqua lo acceca per un istante –, ma l'altro stira l’angolo della bocca in un sorriso appena accennato e gli indica di osservare. Il ragazzo solleva appena un sopracciglio, sinceramente dubbioso.
Al centro dello spiazzo di terra battuta tra i due vecchi alberi ci sono due persone una di fronte all’altra. Uno dei due è il padrone della tenuta: un uomo alto, giovane, dal fisico asciutto; i capelli castani lunghi fino a metà schiena sono trattenuti in una coda morbida che si riversa sulla camicia di cotone bianco. Nelle sue mani sta ben saldo uno spadone come quelli antichi, dalla lunga lama intaccata in tre punti e la semplice elsa crociata.
Il secondo contendente ha un aspetto molto meno minaccioso, ma tutti quelli che sono lì hanno detto e ripetuto al giovane che è molto più pericoloso. Tiene con sicurezza una spada lucida e chiara nella mano sinistra e aspetta, le gambe leggermente divaricate e piegate per restare in equilibrio.
Chènter non può fare a meno di scorrere lo sguardo tra uno e l’altro. Fin dalla prima volta in cui l’ha incontrato, Leànyar Talléran gli ha dato l’impressione di essere una persona particolare: non ha l’arroganza tipica dei suoi pari con cui il ragazzo ha lavorato in passato. Ora, vedendolo al centro del cortile con le maniche della camicia arrotolate oltre i gomiti, fasce di stoffa avvolte intorno alle mani e semplici stivali di pelle impolverati, nemmeno appare come un ayra. Pensandoci bene, però, che cosa ci faccia un Talléran come lui in una minuscola tenuta dispersa tra quelle montagne e dimenticata dal cielo, quando avrebbe a disposizione ville enormi sparse un po’ ovunque per Eythsun, è un mistero non indifferente.
Tipi strani, gli ayra, si dice Chènter tra sé.
I duellanti cominciano a muoversi in cerchio, lentamente. Si studiano a vicenda, occhi fissi negli occhi, ad aspettare come predatori. Il capitano gliel’ha detto: entrambi conoscono a memoria le mosse dell’altro, il suo modo di combattere; entrambi cercano qualcosa, un lampo degli occhi, lo scatto di una mano.
Questo segnale arriva, improvviso e indistinguibile. Chènter non può impedirsi di sussultare quando scattano entrambi contemporaneamente. Il lungo spadone di Leànyar ruota a destra, dove l’avversario, mancino, è più debole; ma quest’ultimo lo sa, e si sposta appena fuori dalla traiettoria, roteando la spada con un guizzo del polso.
Le due lame si incrociano con un alto clangore metallico e restano lì. Gli occhi di ciascun contendente sono fissi in quelli dell’altro.
Per un attimo tutto rimane immobile.
Per un solo, lunghissimo attimo.
Poi i duellanti riprendono a combattere, feroci e rapidissimi. Chènter non è in grado di distinguere nitidamente i colpi, solo qualche dettaglio si fissa nei suoi occhi.
Un guizzo di capelli neri.
Il lampo di fuoco della luce di Kuna su una lama.
Un pugnale danzante nell’aria stretto in una mano sottile.
 

 
******
 

 

Il combattimento si protrae per alcuni minuti, le lame si incrociano velocemente nell’aria della sera e i due contendenti sembrano eguagliarsi. Il giovane soldato assiste a quel combattimento sempre più incredulo, mentre al suo fianco il capitano ridacchia.
E alla fine un lungo spadone a due mani dalla lama intaccata cade a terra tintinnando sulla terra battuta.
La gragnola di fendenti si blocca di colpo, e Chènter vede Leànyar, i capelli sparsi per il volto arrossato, improvvisamente a mani vuote e con una spada sottile puntata alla gola.
«Leàr è così scarso da farsi disarmare da una ragazzina di neanche undici cicli!» grida una delle guardie, ridendo. Il ragazzo sbarra gli occhi inconsapevolmente. Undici cicli!
«Così pare!» risponde l’uomo, sorridente. Poi, rivolgendosi al suo avversario: «Perfetto, Sirya, complimenti.»
La ragazzina rinfodera le armi. Un lupo dalla pelliccia chiara si alza dall'angolo del cortile in cui era accoccolato e le si accosta – Chènter nemmeno l’aveva visto prima, tanto è silenzioso. La ragazzina saluta il maestro con un cenno, poi, sempre in silenzio, lascia il cortile sotto gli sguardi di tutti, seguita dal lupo. Il giovane si riscuote quando il capitano gli rivolge la parola, ma non può fare a meno di scoccare un’occhiata per un istante nella direzione in cui quella se n’è andata.
Ma che cosa è quella bambina?
 

 
******
 

 

Chiunque in quel castello isolato dal mondo si fa domande su quella strana ragazza. Leàr – così tutti alla tenuta hanno soprannominato Leànyar – non è mai stato prodigo di dettagli quando gli si chiede chi diavolo sia e da dove venga, e quindi, di riflesso, le storie assurde e incredibili si sprecano. E siccome né il padrone del castello né la diretta interessata si preoccupano di smentire questo o quel dettaglio inverosimile, niente impedisce che le ipotesi e gli aneddoti rimbalzino tra le persone e si ingigantiscano a dismisura.
D’altronde è chiaro che un personaggio come quella ragazzina alimenti le dicerie. È strana, e questo è evidente a chiunque.
Non è normale che una ragazza di neanche undici cicli si comporti in quel modo. Sempre silenziosa, fredda come il ghiaccio. Non gioca mai, non parla con nessuno, se si escludono il suo lupo e Leàr. Probabilmente si possono contare sulle dita di una mano le persone che l’hanno sentita dire più di una frase alla volta; e anche tra i servitori che lavorano lì da sempre non ce n’è uno che ricordi di averla vista ridere. In generale, tutti  evitano accuratamente il suo animale e lei, e cercano di non incrociare mai i suoi gelidi occhi verdi, taglienti come le sue lame. Il fatto, poi, che combatta come una furia, apparentemente in contatto telepatico con il lupo, non aiuta certo a renderla più umana.
Con le armi è semplicemente impareggiabile.
È nota a tutti una vecchia storia, sussurrata timorosamente sottovoce tra le cuoche e i paggi e i soldati. Si racconta che una volta, quando lei aveva sei o sette cicli, un servitore curioso è entrato nella sua stanza di notte. Girano varie versioni di quella storia, ma secondo la più comune, appena il servitore ha messo piede nella camera, lei ha lanciato tre pugnali in un colpo, che, senza nemmeno ferirlo, l’hanno inchiodato alla porta per i vestiti. L’abilità di lanciatrice di pugnali di quella ragazza è nota quasi quanto la sua bravura pressoché irreale con la spada, ma il dettaglio che rende quella storia sconvolgente per chiunque è che la ragazza ha lanciato i coltelli con una precisione da cecchino senza accendere la luce. Completamente al buio.
Di qui la diceria che la ragazza possieda una qualche magia ignota e misteriosa. Infatti, nessuno dei sei elementi dà la capacità di vedere anche nelle ombre più fitte. Un potere come quello non esiste.
Tranne che in quella ragazza.
Altra questione di cui si parla molto è la sua origine. Leàr ha sempre detto solamente che è la figlia di una sua vecchia amica scomparsa. Prima di svanire nel nulla, questa fantomatica donna avrebbe affidato sua figlia di neanche un ciclo a lui, con la richiesta che fosse addestrata nel combattimento fin da piccola. Per quanto riguarda l’addestramento, sembra che nessuno possa avere da ridire, dato che è evidente che quella ragazza abbia imparato a tirare di spada come ha saputo stare in piedi. Ma è il resto della storia il problema. Quale madre lascerebbe la figlia per poi sparire di colpo, e non rifarsi viva mai una volta in dieci cicli?
Ma soprattutto insospettisce tutti il modo che ha Leàr di comportarsi quando si tratta di lei. Ha proibito categoricamente a chiunque di raccontare in giro dell’esistenza della ragazza, e quando arrivano persone a fargli visita lei sparisce in camera. Da questi fatti sono nate un sacco di storie secondo cui la ragazza sia, alternativamente, la figlia illegittima di Leàr, l’erede al trono di Eythsun, o chissà che altro.
Se poi si ascoltano le stravaganti teorie che orbitano intorno al suo animale domestico, un lupo di Zeya che la segue dovunque come se fosse la sua ombra, nessuno può dormire sonni tranquilli sapendo di vivere sotto lo stesso tetto di una pericolosa strega proveniente da oltre le Frontiere.
Che cosa sia vero e che cosa no di tutta questa matassa di dicerie, tutte intrecciate e discordanti, non lo sa nessuno, a parte lo stesso Leàr.
L’unica cosa su cui tutti sembrano concordare è che Sirya è strana.
 

 
******
 

 

La porta si apre con un lieve sospiro e si richiude alle sue spalle. Le ampie finestre lasciano entrare gli ultimi, incandescenti raggi di Kuna nella stanza, illuminandone ogni dettaglio. Adh è entrato con lei e si va subito ad accoccolare tra le coperte della sua cuccia – una sorta di ampio cesto di legno intrecciato, posto accanto al letto di Sirya.
La luce del tramonto inoltrato inonda la stanza, distorcendone i colori. La carta da parati verde chiaro appare infuocata, la vernice lucida dei mobili è percorsa da riflessi arroventati.
Sirya attraversa la camera fino a raggiungere la finestra, che si affaccia sul cortile con un davanzale di pietra chiara. La ragazzina spalanca i vetri e si sporge oltre il bordo: i lunghi capelli ondeggiano nel vuoto, attraversati e sfiorati dalla brezza leggera.
Fa forza sulle braccia appoggiate alla pietra, con una mossa agile si arrampica e si ritrova seduta sul davanzale. Con la coda dell'occhio vede Adh, all'interno della stanza, sollevare appena la testa e guardarla per qualche secondo. Ormai è abituato alle strampalate abitudini della sua padrona.
Sirya si sposta, lasciando penzolare le gambe all'esterno. Si trova al primo piano, a quasi sei metri da terra. Sotto di lei, il cortile interno: un giardino rettangolare circondato su tre lati dalla tenuta e chiuso, in fondo di fronte a lei, da un muro alto tre metri, intonacato di recente, sul quale la luce si riflette e si spande ancora più intensa, quasi dolorosa per i suoi occhi. La familiare confusione di piante ornamentali, arbusti e alberelli appena ingialliti che il giardiniere tenta invano di domare imperversa nelle vaste aiuole; mentre al centro spicca la fontana ellittica, dal cui centro un rivo zampilla ininterrotto e si riversa dalla vasca più piccola, in alto, nella sottostante.
Sirya si alza in piedi sul davanzale. Il cornicione del piano superiore corre poco sopra la sua finestra, ed è abbastanza sporgente da permetterle di camminare. Si arrampica sopra l'arco della finestra, stando in punta di piedi sullo spessore, allunga le mani e afferra il cornicione.
In piedi sulla sottile striscia sporgente, guarda per qualche istante di sotto. Si trova a tre piani da terra, e non ha la possibilità di volare o di planare, né di attutire l'eventuale caduta in qualche modo. Molti sarebbero spaventati, primo fra tutti, evidentemente, quel ragazzo che la sta fissando sconvolto dal cortile, il soldato nuovo che Leàr ha assunto di recente.
Sirya non ha affatto paura, conosce a memoria come muoversi. Solo una volta ha rischiato di cadere, ed è successo tre anni prima, quando si arrampicava lassù da poco e non aveva ancora imparato a mantenere l'equilibrio: è scivolata mentre saliva sull'arco della finestra, ma all'ultimo istante si è aggrappata con tutte le sue forze al bordo del davanzale. Non dimenticherà mai il terrore che l'ha presa quando ha sentito il vuoto aprirsi sotto di lei.
Cammina lateralmente sul passaggio sottile, tenendosi aderente al muro dietro la sua schiena. Raggiunge il condotto per lo scolo dell'acqua, pochi passi a destra: lì la falda è più bassa e la ragazzina, facendo forza sulle braccia, in pochi attimi si trova sul tetto.
Le tegole, rese ancora più rosse dal tramonto di Kuna, sono lisce e leggermente scivolose. Sirya cammina leggera fino a raggiungere uno dei camini, quello più a sud. Si siede a gambe incrociate appoggiando la schiena alla parete.
Leàr non vorrebbe che lei passeggiasse sul tetto. Però non gliel'ha mai impedito. Lei ne è felice: si sente bene lassù.
La ragazzina chiude gli occhi per un attimo, assorta. Quando li riapre, le immagini le appaiono ancora più vivide. Segue con gli occhi il profilo frastagliato e aguzzo dei massicci montuosi che abbracciano la valle con la loro mole di roccia e ghiaccio, scorre sulle foreste ancora verdi ed estive che abbracciano come un velo le aspre pendici sovrastanti la piccola magione. Il silenzio è interrotto solamente dai suoni della casa, e da qualche sporadico richiamo dei rapaci.
Il cielo si tinge dei colori del crepuscolo inoltrato: viola e bronzo e ottone e blu. Sotto di lei, la stretta vallata converge verso il letto serpentino del Baill, già in ombra insieme al resto del fondovalle. Lo smeraldo sfuma nell'ossidiana, Kuna incendia i ghiacciai dei picchi a destra di Sirya.
I suoi occhi scorrono sempre più lontano, là dove la valle si apre nella pianura di Eythsun e i contorni si fanno sfumati. La curiosità è sempre più forte.
Non è mai uscita dalla valle. Leàr gliel'ha sempre proibito chiaramente, ma lei non sa perché. C'entra con qualcosa che ha fatto sua madre – solo questa misera informazione è riuscita a strappargli.
Ma lei vorrebbe vederla, la pianura. Le grandi città dorate, le aeronavi che riempiono il cielo, e poi il mare. Chissà com'è. Ha studiato, ha visto immagini, ma vorrebbe sapere cos'è davvero.
Chissà se sua madre ha visto il mare.
Kuna scompare sotto le montagne, la luce diventa sempre più flebile. L'aria si fa pungente e affilata, un brivido scuote le spalle della ragazzina.
Si alza e ripercorre indietro il percorso, come quasi ogni giorno. Tempo fa saliva raramente, ora quasi sempre. Si sorprende a pensare a come dev'essere vivere là, fuori dalla valle.
Scuote la testa per scacciare quei pensieri. Leàr sa perché, e lei si fida.
Prima di rientrare, come ogni volta, volge lo sguardo al cielo un'ultima volta: Naleion rifulge rassicurante e azzurra nel cielo scuro, e quella luce ha il potere di calmare i suoi dubbi.











 
******* Famigerato Angolino Buio *******
Ok, è un primo capitolo pieno di cose e sostanzialmente lento. Spero di non avervi annoiato...
Il fatto è che vorrei introdurre un po' dell'ambientazione prima che succedano i casini. Mi auguro che nonostante la differenza con il prologo e i continui cambi di POV si capisca qualcosa ^^

Vy
   
 
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