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Autore: Its Ellie    10/05/2015    0 recensioni
[Vagamente ispirata alla canzone "Otherside" di Macklemore]
Quando Thomas, un pomeriggio qualunque, si ritrova fuori dalla casa della persona che per tanti anni ha amato segretamente, i pensieri scomposti e il cuore frantumato, non ha idea del lento declino che di lì a poco caratterizzerà inevitabilmente la sua vita.
Per lui droga ed alcolici, prima senza nessuna attrattiva, ora unico strumento per dimenticarsi di tutto ciò che lo fa star male, sono destinati a diventare un'arma a doppio taglio.
Un'arma che, se usata nel modo sbagliato, può portare alla fine del gioco.
***
“Quella roba sì che lo porta in alto, così in alto che il mondo da lassù gli sembra così piccolo ed insignificante che tutti i problemi ed i dolori si azzerano e non contano più niente.
Certo, poi l’effetto pian piano svanisce e la ricaduta al suolo non è altrettanto delicata, anzi. Ogni volta gli sembra che tutte le sue ossa si spezzino con violenza, ancora, ancora e ancora. È un circolo vizioso e, non potendone uscire, si ritrova a renderlo ancora più complesso.”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Failure

“Tom, mi dispiace...”
L’unica cosa che riesce a pensare mentre attraversa lo stretto corridoio, la mascella serrata e gli occhi lucidi, è: non sarei dovuto venire qui.
“Parlami, ti prego.”
E invece lui non dice niente. Vuole solo arrivare a quella dannata porta, allungare la mano e aprirla. E poi andarsene.
Via via via.
“Tom, per favore-”
Ma lui le ha già sbattuto la porta in faccia. Oddio, non è neanche colpa sua, ma in quel momento non potrebbe fregargliene di meno. È stato tutto un grosso errore, non sa come abbia fatto anche solo a pensare che sarebbe potuta andare diversamente.
Non provo lo stesso.
Se glielo avesse detto con cattiveria, magari anche accompagnando quella frase che adesso gli sta lacerando il cuore con una risata di scherno, se lo avesse fatto, probabilmente gli avrebbe fatto meno male.
Invece l’ha guardato quasi con pietà, con quegli occhi grandi e dolci che sembrano sempre annullare tutto il resto dell’universo, e gli ha parlato con così tanta delicatezza da ferirlo. Non è mica un cerbiatto dalle zampe fragili, lui.
Eppure è proprio così che si sente ora. Fragile.
E stupido. Soprattutto stupido.
Sei un idiota. Scemo, scemo, scemo.
E adesso che si sta allontanando da quella casa che per una vita intera lo ha accolto all’interno  delle sue mura, così familiare prima, così estranea ora, deve decidere dove andare.
Tornare a casa? Non se ne parla. In quel buco stretto e per niente accogliente dove vive solo, tra i fantasmi del passato e i mostri del presente. C’erano anche i dubbi del futuro, fino a poco tempo fa. Adesso, un futuro, neanche gli sembra di avercelo.
Non vuole stare da solo, in preda ai suoi pensieri, a farsi assorbire dal dolore. Ha bisogno di staccare.
Il telefono squilla. Ha paura che sia lei, ma quando sul display crepato, dopo un attimo di esitazione, legge ‘Matthew’ all’improvviso gli sembra di avere la soluzione a tutto davanti agli occhi.
“Amico, com’è andata?”
“Vienimi a prendere, Matt, sto impazzendo. Sono al parco di fronte alle elementari.”
“Niente da fare, eh? Quella troia. Tra cinque minuti sono lì.”
È paradossale, ma non gli va che la chiami troia. Non è stata cattiva con lui per un solo attimo, e forse è proprio quello il problema. È così gentile, delicata, dolce. È buona, è l’unica cosa bella che gli sia mai capitata.
Dio, basta.
Sì, ha proprio bisogno di staccare.
 
La macchina di Matt fa schifo.
È un’utilitaria che ha trovato chissà dove e che ha risistemato con le sue stesse mani. Cade ancora a pezzi, ma almeno non fa più brutti scherzi come lasciarli da soli in mezzo alla strada alle tre del mattino. Puzza di erba, ci sono scatolette e pacchetti del cibo take-away ovunque e ogni tanto emette uno strano stridio, ma è quasi una casa per loro due: lì dentro ne sono successe davvero di tutti i colori.
Matt parcheggia in una zona della periferia che ha tutta l’aria di essere stata dimenticata anche da Dio, dove è tutto così immobile che sembra che il tempo si sia fermato. Non è un posto inquietante, però, e qui i poliziotti non passano mai, così Matt può fumare in santa pace. A casa sua non può farlo, con la povera nonna che è ancora sicura che suo nipote sia un bravo ragazzo.
Non voglio crearle problemi, dice sempre con gli occhi tristi.
Matthew, per essere una persona tendenzialmente allegra e divertente, ha gli occhi perennemente velati da un’ombra di malinconia.
È il minimo, gli ha risposto mesto quando Thomas gliel’ha fatto notare un giorno.
Ora sta rollando una canna con la massima tranquillità, e sembra davvero il ritratto della serenità se non fosse che lo sta fissando con aria preoccupata.
“E quindi è andata male.”
A questa constatazione si aspetta di certo che l’amico cominci a parlare, a raccontare per filo e per segno quello che le ha detto e quello che lei ha replicato, ma la verità è che lui neanche ci vuole pensare. Se ne avesse la possibilità, cancellerebbe l’ultima mezzora. A dire il vero, cancellerebbe tutta la sua vita, dimenticherebbe di averla mai conosciuta.
Matt intanto se l’è accesa, la canna, e aspira continuando a fissarlo con insistenza.
Lui continua a non dire niente, gli sembra di aver finito le parole e di non riuscire a metterne insieme delle nuove. Mentre l’altro soffia il fumo fuori dal finestrino, l’unica cosa che riesce a borbottare è: “Passamela.”
Matthew lo fissa stupito e un po’ contrariato e in effetti non ha tutti i torti. Thomas non ha mai fumato erba in vita sua, solo scroccato una sigaretta ogni tanto e solo per far compagnia agli altri del gruppo. Non è mai stato interessato a quella roba, non ha mai avuto un vero motivo per avvicinarcisi se non per atteggiarsi un po’ alle feste.
Ora invece l’unica cosa che vuole è estraniarsi dal mondo intero. Evitare i problemi almeno per quel pomeriggio.
“Amico, sei sicuro? Guarda che...”
Ma lui gliela strappa di mano e se la ficca in bocca senza fare complimenti. Aspira. Gli gira la testa. Non gli importa. Cerca di non tossire. Espira.
“Tutto bene?”
Adesso Matt è decisamente preoccupato, ma lui all’improvviso si sente molto meglio. Potrebbe spiccare il volo in questo preciso istante. Fanculo, fanculo tutto.
E per l’ora successiva continua così. Inspira. Espira. Inspira. Espira. Dentro. Fuori. Dentro. Fuori.
Alla fine Matthew si arrende e lascia cadere l’argomento, cominciando a parlare di tutto ciò che gli passa per la testa, forse per distrarre l’amico, forse perché infondo fa bene anche a lui. Si comporta sempre così quando l’erba inizia a fare effetto.
“Ieri mentre uscivo dal supermercato ho visto una ragazza bellissima... anzi, non era bellissima. Forse era carina, non ne sono sicuro. Però accidenti, aveva due occhi da non crederci. Di un azzurro che più azzurro di così si muore. Credo di essere rimasto a fissarla per almeno vent’anni, poi lei se n’è accorta ed è arrossita. Ti rendi conto? È arrossita! Cristo, avrei dovuto parlarle, perlomeno chiederle come si chiamasse. Magari ci rivedremo...”
Poi si accorge che Thomas non lo sta guardando e sembra capire che, in realtà, non lo sta nemmeno ascoltando. Così smette di parlare del tutto, e finalmente cala la pace.
Thomas si sente bene. Non gli sembra possibile, ma è proprio così che si sente: bene. Alla grande. Meravigliosamente.
Perché diavolo non ho cominciato prima a fumare questa roba?
 
Un mese dopo lui e Rose non si parlano ancora.
Lei ci ha provato ad avvicinarlo, ma ogni suo tentativo è andato a vuoto. È così difficile capire che lui vuole solo dimenticarla? Deve per forza tentare in tutti i modi di ricordargli che gli ha rubato il cuore per poi frantumarlo con una facilità disarmante? Non si rende conto che non fa altro che peggiorare la situazione così?
E, per ogni volta che lei gli si avvicina e prova a dirgli che le dispiace tantissimo, che possono ancora essere amici, che senza lui si sente sola, Thomas rolla una canna e se la accende.
Quella roba sì che lo porta in alto, così in alto che il mondo da lassù gli sembra così piccolo ed insignificante che tutti i problemi ed i dolori si azzerano e non contano più niente.
Certo, poi l’effetto pian piano svanisce e la ricaduta al suolo non è altrettanto delicata, anzi. Ogni volta gli sembra che tutte le sue ossa si spezzino con violenza, ancora, ancora e ancora. È un circolo vizioso e, non potendone uscire, si ritrova a renderlo ancora più complesso.
Quando si rende conto che l’erba non gli basta più per scordarsi dei tratti delicati del volto di Rose, dei suoi occhi grigio tempesta, delle sue labbra sottili, delle sue mani affusolate, della curva del suo collo, delle sue gambe lunghe ed esili...
... capisce di dover passare ad altro.
 
“Devi assolutamente provarlo!” esclama Jason porgendogli un bicchierino colmo di un liquido di un verde così finto ed artificiale da far capire subito a Thomas che qualunque sia il tipo d’alcolico, sicuramente è una schifezza. Schifezza in senso buono, tipo le patatine e le caramelle. Roba forte.
Non dice niente e, afferrato il bicchiere, se lo scola tutto d’un colpo. Tossicchia appena, strabuzza gli occhi e infine rivolge lo sguardo a Jason, che sta sorridendo soddisfatto.
“Forte, vero?” gli chiede con fare complice.
“Cristo santo” riesce solo a rispondere Thomas. Poi, con un po’ più d’impegno, aggiunge in un sussurro “Me ne porti altro?”
“Cosa?” Il rumore della musica elettronica è assordante e Jason non riesce naturalmente a sentirlo.
“Portamene altro, per favore!” gli urla allora in un orecchio. “Anzi, portami direttamente la bottiglia che voglio capire cos’è questa bomba.”
Jason ridacchia e annuisce, poi sparisce tra la folla di ragazzi che si agitano a tempo, muovono le braccia freneticamente e saltano e urlano.
Thomas ha ballato per tutta la notte e non ne può più. Ha già fatto parecchi tiri e si sente piuttosto stordito, vuole solo buttarsi da qualche parte e magari dimenticarsi di essere mai esistito.
Quando infine riesce a trovare un divanetto che non sia occupato da una coppia di ragazzi che si bacia furiosamente, si lascia cadere senza grazia e si stende completamente. Poco dopo arriva Jason che gli porge la bottiglia del miracoloso liquido verde-fluo e, nonostante inizi a vederci sfocato, Thomas riesce comunque a leggere il nome dell’alcolico: Green Paradise.
A quel punto sa già cosa fare: si porta la bottiglia alle labbra e manda giù un sorso dopo l’altro, sempre più velocemente, finché qualcuno non gliela strappa bruscamente dalle mani.
Si volta e vede due figure tremolanti danzare davanti a lui, che si congiungono e poi si separano, per poi ritornare insieme. È Matt, e lo sta guardando con severità.
Eppure, quando parla, il suo tono è lo stesso di una mamma comprensiva.
“Forza, ti riporto a casa.”
 
È una settimana che Thomas non va a scuola.
Certo, prolungare un’assenza così tanto a metà maggio non è esattamente la più saggia delle mosse, ma tanto non ha alcuna importanza. Lo bocceranno in ogni caso, visto che i suoi voti sembrano un falco in picchiata.
Non gli sembra più di essere se stesso. A dire il vero, non gli sembra neanche più di essere qualcuno. Lui è niente e basta.
Ora il suo compagno fidato è il Green Paradise. Ha scoperto di amare follemente quel cocktail, tanto che ne tiene sempre una bottiglia poggiata sul comodino, sempre a portata di mano. E, ora più che mai, ne ha proprio bisogno.
A scuola gli è giunta la voce che Rose stia uscendo con qualcuno. Che me ne frega, è stato il suo primo pensiero, per poi rendersi conto che quella non è altro che una grandissima cazzata. Gliene frega eccome del tipo con cui sta uscendo Rose, quel Mike, Michael o come si chiama. Non la merita, non potrebbe mai renderla felice. Lei ha bisogno di qualcuno che le stia accanto, che sia presente, che la rassicuri, che le dica che va tutto bene, invece quello è solo uno stronzo che vuole portarla a letto per poi scaricarla. Glielo farebbe notare, a Rose, se non fosse sicuro di non avere alcuna voce in capitolo, il che non fa che irritarlo. Non riesce a smettere di pensarci, diventa un pensiero ossessivo. Quel tizio non può averla, le farebbe solo del male. Thomas, invece, l’avrebbe trattata come si tratta una principessa, un fiore delicato, il più prezioso dei gioielli. Con cura e attenzione. Insieme sarebbero stati completi, invece non potrà mai succedere. Gli sembra di impazzire. Sta impazzendo.
E così fuma, e poi beve, e poi fuma ancora, e poi afferra il Green Paradise e lo butta giù finché non si sente mancare. Allora dorme, dorme tanto, dorme poco, a volte sviene direttamente. Fa tutto schifo.
Certe notti si sveglia bagnato completamente dal sudore, con cuore che batte velocemente e così forte che sembra essere l’unico rumore esistente al mondo e gli occhi che saettano da una parte all’altra del monolocale senza vedere niente e l’unica cosa che riesce a pensare è oddio oddio oddio.
Poi riesce a riprendersi quel poco che basta per allungare il braccio e stringere la bottiglia di Green Paradise in una morsa disperata e portarsela alle labbra e bere. Poi si calma, ma dura sempre poco.
È un incubo dal quale non si esce semplicemente svegliandosi.
La soluzione è una sola, e Thomas la conosce bene.
 
L’hanno bocciato.
La telefonata con il professor Boswell dura poco ed è fredda e formale, infondo non è che ci sia molto da dire.
Dopo aver riattaccato, Thomas si fionda in bagno in preda ai conati e inizia a rigettare quel poco di pranzo che è riuscito a mangiare. Il resto è solo bile.
Come diavolo ho fatto a ridurmi così?
Il monolocale in cui vive non gli è mai sembrato così squallido e soffocante. Eppure da un mese è rinchiuso lì dentro e non ha la minima intenzione di uscire.
Sono passati tutti: Matt, Jason, gli altri del gruppo, addirittura la vicina di casa. I suoi genitori non si sono presentati nonostante Boswell abbia telefonato anche a loro, ma niente che Thomas non si aspettasse. È venuta anche Rose.
Quando il ragazzo le ha aperto ha avuto l’impressione di sentire il cuore fermarsi, ma la sensazione è durata molto poco perché poi ha preso a battere ad una velocità inaudita. Lei l’ha guardato allibita: Thomas quel giorno era in condizioni davvero pessime. Capelli più che spettinati, occhiaie profonde, occhi iniettati di sangue accompagnati da un’eccessiva magrezza.
“Thomas... ma cos’è successo... sei così...”
Quelle sono state le uniche parole che le ha lasciato pronunciare, poi le ha sbattuto la porta in faccia.
Anche Matthew si è arreso e ha smesso di andarlo a trovare.
“Amico, sappi solo che là fuori c’è una vita” gli ha detto afflitto l’ultima volta che è passato. “E, quando l’avrai realizzato, mi troverai sempre lì ad aspettarti a braccia aperte.”
Gli è sfuggito che Thomas lo sa già, che là fuori c’è una vita, solo che non gliene importa niente, non vuole farne parte.
Al ragazzo sembra che il tempo non abbia più una misura: a volte sembra non trascorrere mai, e i minuti diventano giorni interi, altre volte passa così velocemente che, senza che lui se ne accorga, se n’è già andata una settimana.
 
Un giorno, quando ne trova la forza, barcolla fino allo specchio e guarda il suo riflesso. E all’improvviso, nel fissare quella figura pallida ed esile, con gli occhi infossati e l’aria da psicopatico, viene travolto da un odio profondo e totale. Più osserva la sua immagine riflessa nel vetro, più si odia.
Sei un cretino, un bastardo, un fallito. Sei una delusione per tutti, Thomas.
È proprio così: ha fallito. Ha deluso i suoi genitori, che non l’hanno mai ritenuto all’altezza dei progetti che avevano in serbo per lui sin dalla sua nascita. Ha deluso Matt, che è sempre stato il miglior amico che una persona possa sperare di avere, escludendolo completamente dalla sua vita. Ha deluso gli altri del gruppo, che lo hanno sempre ritenuto una persona forte, che da tempo ha imparato a non cadere, a farsi forza e proseguire. Ha deluso i professori, il coach, l’insegnante di piano. Ha deluso Rose, la persona migliore che esista sulla faccia della Terra. La persona che l’ha sostenuto, che lo ha consolato, che lo ha fatto ridere, che c’è sempre stata per lui e lentamente lo ha fatto innamorare di sé.  L’ha punita per una colpa che non è mai stata sua, pur sapendo quanto sia sensibile, pur conoscendo quella sua abitudine di credersi sempre colpevole anche quando non lo è.
Come essere umano fa piuttosto schifo, c’è poco altro da aggiungere.
Eppure lui voleva diventare qualcuno, se lo ricorda bene. Era pieno di sogni e speranze: si sarebbe iscritto alla facoltà di informatica, che è sempre stata la sua grande passione, o almeno lo era, avrebbe fatto il consulente per le aziende più importanti e avrebbe viaggiato in tutto il mondo, poi un giorno sarebbe andato a vivere con Rose, che intanto avrebbe studiato lettere e magari sarebbe stata anche in procinto di pubblicare il suo libro. Insieme avrebbero avuto una vita felice e piena di soddisfazioni.
Ripensandoci ora, ha l’impressione di vedere quell’immagine di gioia svanire lentamente e scivolare via. Più che un sogno ora gli sembra un ricordo lontanissimo, qualcosa di molto distante da lui.
Per lui adesso è finita. Ha fallito.
Quasi senza rendersene conto si ritrova il Green Paradise stretto in mano, così fa l’unica cosa che gli è rimasta da fare: bere, e beve.
Forse sta bevendo troppo, forse lo sta facendo apposta. Si sente sempre più confuso, ma continua a mandare giù il liquido che gli raschia la gola e gli fa pizzicare gli occhi, che si serrano lentamente. Utilizza quel poco di energia che gli è rimasto per stendersi a terra, poi lascia che la bottiglia gli scivoli via dalle dita.
È finita. Ora è stanco, vuole solo dormire. Magari riuscirà a trovare un po’ di pace almeno nei suoi sogni.
Il respiro si fa sempre più flebile e lui scende sempre più in profondità. L’oblio lo avvolge.
 
Stesi tra i lunghi fili d’erba, Thomas e Rose, vicinissimi, osservano il cielo.
“Tom?”
Nessuna risposta.
“Thomas?”
“Mh?”
“Tu credi che ci sia qualcosa dopo la morte?”
Lui sorride anche se lei non può vederlo. “Oddio, non dirmi che è arrivato il momento delle domande esistenziali che esigono risposte profonde. Lo sai che non sono bravo in queste cose.”
Lei ridacchia e lo colpisce piano sul braccio. Lui le prende la mano e la stringe. “Guarda che dico sul serio!”
“E va bene. Allora, io la vedo così: ci sono cose che non sopravvivono al tempo, come i nostri corpi. Tutto ciò di cui siamo fatti – pelle, carne ed ossa – è destinato a distruggersi così come è stato creato. Ma c’è qualcos’altro, qualcosa che è dentro di noi, che non può essere toccato né è visto. Io non so se sia la nostra anima, se siano le emozioni che abbiamo provato nel corso della nostra vita, i desideri, i sogni, le delusioni, i dolori, ma so che c’è, ed è qualcosa che neanche la morte può distruggere. Semplicemente, si trasforma. Va a finire da qualche parte, ma comunque rimane. E, alla fine, tutto ciò che conta è lì dentro e non svanirà.”
Rose per un po’ non dice niente, poi mormora “Quindi secondo te questo momento non se ne andrà per sempre? Sopravvivrà da qualche parte?”
Thomas chiude gli occhi e le stringe più forte la mano. Non ha bisogno di nient’altro.
“E’ ciò che spero. Spero che un giorno ritroverò tutto questo.”
 
“Tom?”
...
“THOMAS!”
 
Finalmente.




NdA
Sì, so già a cosa state pensando.
Un nome più banale di Green Paradise non si poteva trovare. Ma alla fine si stava solo cercando di rimandare a quel concetto di dipendenza che inizia come il paradiso, come un'assenza di problemi, e tutto va splendidamente, per poi finire nell'oblio.
Per il resto, come ho già detto nella descrizione, per scrivere questa shot la canzone "Otherside" di Macklemore mi ha ispirata molto. Vi consiglio di ascoltarla e poi cercare la traduzione, anche se non siete amanti del rap. E' un testo che fa riflettere.
La narrazione procede piuttosto velocemente, ma è una mia scelta. Ho preferito non soffermarmi troppo su dettagli e descrizioni, alla fine il mio obiettivo è cercare di trasmettervi qualcosa. Non deve essere necessariamente un messaggio a fin di bene, voglio solo che sentiate qualcosa nel leggere i pensieri del povero Thomas. Ma forse sono troppo ambiziosa.
Be', la finisco. Lo ripeto perché tanto non fa mai male: ogni tipo di commento è molto gradito. Non lasciatemi sola soletta e pensare che avrei fatto meglio a non pubblicare queste cose scritte di getto.
Ad ogni modo ringrazio chiunque abbia deciso di cliccare sul titoletto e donarmi qualche minuto del suo tempo per leggere le mie parole. Grazie!
Un abbraccio e alla prossima,

Ellie
   
 
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