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Autore: fren    10/05/2015    3 recensioni
'«Non l'ho presa perché la desideravo» mi aveva rivelato, tanti anni prima. «L'ho portata via perché stava avvelenando il cuore delle persone che amavo. Il potere logora l'anima degli uomini.»
Le sue parole mi avevano fatto rabbrividire. Sì, io lo sapevo. L'avevo provato sulla mia pelle.
Gourry, invece, sembrava estraneo a quel richiamo. Infatti non si era fatto problemi a cedere la Spada, quando gli era stato imposto come prezzo da pagare per riavere me.
La sua anima era incorruttibile. Il suo cuore era puro e trasparente come il vetro.
Solo lui poteva portare l'arma di luce senza restarne abbagliato. Questo, la sua famiglia, non lo aveva mai accettato.'
Seguito di una mia precedente fanfiction, 'The Borderline'. Mi vedo costretta, per ragioni di trama, a mettere l'avvertenza OOC. Lettori avvisati^^
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gourry Gabriev, Lina Inverse, Personaggio originale
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ritrovarsi
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Proverai la tremenda ansia di non essere abbastanza. L'amore ci rende fragili.
(Dell'amore e di altri Demoni, Gabriel Garcia Marquez)



La sua pelle, il suo profumo, il suo respiro.

Lina.
La strinsi a me. Era rimasta esile e minuta, sentivo le scapole sporgere dalla schiena come due accenni di ali. Fragile come un uccello, e come un uccello altrettanto inafferrabile, incapace di piegarsi a qualunque gravità. Affondai le dita tra i suoi capelli, ancora più lunghi, sempre più indomabili.
Avevo ceduto subito, al primo sguardo. Maledizione.
Per tutto il viaggio mi ero ripromesso di mantenere un formale distacco, di non lasciarle capire che in quei quattro anni non c'era stato un giorno, un solo giorno, in cui il suo ricordo non fosse tornato a tormentarmi. Le avrei sorriso, forse. Più probabilmente mi sarei limitato a un breve cenno del capo.
Ah, Lina. Ci sei anche tu?
Così, indifferente.
Invece, in quel corridoio buio tutti i miei buoni propositi si erano sgretolati come un castello di sabbia. In quel corridoio buio, era bastata una scintilla di luce a farmi crollare. Perché in quella scintilla di luce avevo scorto i suoi occhi, e ai suoi occhi non potevo nascondermi. In nessun modo.
Restammo lì, senza parlare, fino a quando una porta non si aprì, lasciando che un fascio di luce ci illuminasse. Volevo tenerla ancora stretta addosso, invece fui costretto a separarmene e fu doloroso quasi come l'ultima volta che ero stato obbligato a farlo.
Ci sono cose a cui non ci si abitua mai.
«Cosa diavolo...?»
Un uomo era apparso sulla soglia della stanza da cui proveniva quella luce tanto beffarda. Per un breve istante lo scambiai per Gourry. Poi mi accorsi che non poteva essere lui: l'espressione era gelida, la bocca atteggiata a una smorfia che il mio amico non sarebbe mai riuscito ad esibire.
Lina fece un passo indietro, fissando quello che doveva essere suo cognato con malcelato disprezzo. Supponevo che tra di loro non corresse buon sangue. Gourry mi aveva accennato qualcosa, in passato, riguardo al brutto carattere del fratello. Sul brutto carattere di Lina, invece, ne sapevo quanto bastava per riempire un libro intero. Un libro molto grosso.
«Posso presentarti Joy Shadow, Duca di Solaria?» disse Lina, rivolta al cognato. Sebbene la distanza fra di noi fosse ormai quella che si conveniva, lui continuava a fissarci con le sopracciglia aggrottate. «È  il migliore amico di Gourry» aggiunse, come se questo bastasse a sgravarci da ogni sospetto. Ma Gabriev non sembrava affatto convinto. Sorprendere la moglie di suo fratello che abbracciava uno sconosciuto nell'oscurità di un corridoio deserto poteva fare sorgere qualche dubbio, in effetti.
«... e del gelato alla crema, William esclamò in quel momento una voce femminile, dall'interno della camera. Con della panna!»
William si riscosse, senza tuttavia smettere di spostare lo sguardo da me a Lina e viceversa. Uno scalpiccio di piedi, alle sue spalle, ruppe la tensione. Sulla porta si affacciò una donna con dei lunghi capelli color miele. Era molto giovane e incredibilmente bella. La vestaglia aperta sulla camicia da notte lasciava scorgere la dolce rotondità di una gravidanza.
«Anzi, no, non crema. Meglio... fragola. Sì, gelato alla fragola» trillò, sorridente. «E una montagna di panna!» disse, stringendo il braccio di William.
«Dove diavolo pensi che possa trovare delle fragole in questa stagione, Isobel?» rispose lui, brusco.
Lei si imbronciò.
«Non vorrai che il tuo secondo figlio nasca con delle orribili voglie a forma di fragola, vero Will? O, peggio, a forma di cono gelato!»
Lui sospirò e solo a quel punto lei sembrò rendersi conto di me e Lina, che eravamo rimasti immobili e silenziosi nel corridoio.
«Oh, scusate... non volevo interrompervi.» Ci sorrise con calore e io vidi Lina rivolgere un'occhiata torva al suo ventre gonfio, prima di distogliere rapidamente lo sguardo.
«Si è fatto tardi. Gourry sarà molto felice di sapere che sei arrivato. A domani, Joy. William, Isobel...» le parole le morirono sulle labbra e io percepii che qualcosa l'aveva turbata, spingendola lontana da me. Lontana da tutti. Avrei voluto afferrarla di nuovo ma lei ci diede le spalle e si allontanò nel corridoio buio, svanendo fra le ombre.

La mattina dopo rimasi a guardare l'alba farsi strada tra nubi grigie e un cielo spento, che sapeva di polvere.
C'era qualcosa di ironicamente macabro nel fatto di rincontrare Lina in occasione di un funerale. Mi passai la mano sul volto, tastando la barba ispida che mi copriva le guance; avevo dormito poco e male, ma ormai con l'insonnia avevo legato. Si poteva dire che fossimo quasi amici, dopo tutti quegli anni. Oltre le finestre della mia stanza scorsi i servitori predisporre il cortile per la cerimonia funebre, che si sarebbe svolta qualche ora dopo.
Quando mi voltai mi resi conto di non essere più solo nella stanza.
Un'anziana signora sedeva sul letto su cui mi ero solo appoggiato, senza disfarlo. I capelli d'argento erano lungi e inanellati in una complicata acconciatura. Il volto, per quanto segnato dall'età, conservava una fiera dignità.
«Joy Shadow» disse, sorridendomi. Un sorriso gentile, pieno di affetto. «Mio nipote parlava sempre di te, nelle sue lettere di mercenario.»
«Anche Gourry mi parlava sempre di voi, Lady Gabriev.»
La vecchia signora agitò la mano davanti a sé.
«Oh, chiamami Ivy. Ci sono un po’ troppe signore Gabriev in questo palazzo» rispose, riferendosi alle mogli dei suoi nipoti.
«Ivy» ripetei, inclinando il volto e guardandola con più attenzione. «Perché siete ancora qua? Sono passati tanti anni da…»
«Dalla mia morte? Sì, sono passati tanti anni. Gourry se ne era andato di casa da pochi mesi, quando successe.» Si portò una mano al petto. «Il cuore, sai. Il cuore non ha retto. Era il mio nipote prediletto. Lo è ancora, in effetti. Anche se non dovrei avere preferenze.» Scosse la testa. «Li amo entrambi, ma Gourry… Gourry è stata la luce della mia vita, non mi vergogno ad ammetterlo.»
«Sarete felice di sapere che non siete l’unica a pensarla così. Gourry è, ed è stato, luce per molte persone, accanto a lui.»
«È un ragazzo speciale» concordò Ivy, annuendo. «Beh, ora è un uomo. Un marito. Ha sposato una strana ragazza, ma sembra esserne davvero innamorato. E lei di lui.»
Lasciai passare solo qualche secondo prima di rispondere.
«Sì, è così. Sono stato il loro testimone di nozze, posso garantirvi che non esistono due persone che si amano quanto si amano loro.»
«Questo mi è di grande conforto. I Gabriev, sai, non hanno fatto buoni matrimoni. Quello di mio figlio è stato fragile e tormentato. Mia nuora era sempre infelice e lui...» Lasciò passare qualche secondo «Lui ha fatto tanti errori.»
«Chi non ne fa?» commentai, con un sussurro.
Lady Ivy sollevò gli occhi nei miei.
«Tutti sbagliamo, su questo hai ragione. Ma alcuni errori sono più grandi di altri. E più alto è il prezzo da pagare.»
«Vi riferite alla fuga di vostro nipote?» domandai, scrutando nel blu delle sue iridi.
«Sì, ma non solo. Gourry ha seguito quello che era il suo destino. Suo padre questo lo ha sempre saputo, e lo ha lasciato libero di agire. Ora, però, Gourry dovrà fare i conti con…» si bloccò, come se cercasse le parole giuste. «Con le scelte sbagliate di chi lo ha preceduto.»
«Per questo siete rimasta?» le domandai, con dolcezza.
Lady Ivy annuì.
«Dovevo assicurarmi che mio nipote avrebbe avuto qualcuno, al suo fianco, in grado di dividere con lui il peso dell’eredità che mio figlio gli ha lasciato.»
«Gourry ha Lina, Lady Ivy. Credetemi, se volessi avere qualcuno accanto capace di sostenermi… vorrei lei.» dissi, tutto d’un fiato. Nel pronunciare quelle parole qualcosa mi punse, dentro. In un punto un po’ troppo vicino al cuore.
L’espressione della vecchia signora si ammorbidì.
«Deve essere una persona speciale, la moglie di mio nipote.»
«Lo è.» Deglutii. «Lina ha sempre combattuto, per Gourry. Lo ama più della sua stessa vita. Sarebbe disposta a tutto, per proteggerlo.»
Lady Ivy spostò lo sguardo oltre i vetri della finestra. Il cielo era plumbeo, color peltro.
«Il cuore è un fragile strumento. E l’amore… l’amore può diventare una trappola. Promettimi che veglierai su di loro, Joy Shadow.»
«Ve lo prometto. Farò quello che è in mio potere fare.»
«Grazie.»


Gourry mi venne incontro, nel cortile gremito di gente vestita di scuro, e mi abbracciò.
«Sono felice di vederti, Joy.»
«Anche io, amico.»
Lina era rimasta un passo indietro. Indossava un abito lungo, di velluto nero, che accentuava il pallore della sua pelle. I capelli erano raccolti in una reticella di perline d’onice. Mi rivolse un breve e tirato sorriso, e io pensai, di nuovo, che c’era qualcosa che la teneva prigioniera, in un posto lontano. Non era la Lina che ricordavo, quella che avevo davanti. Se la notte appena trascorsa ne avevo avuto un lieve sentore, vederla lì, nella luce gelida del mattino, non fece che confermare i miei dubbi. Qualcosa aveva smorzato la luce del suo sguardo. Un dolore inconfessato, un segreto.
Guardai Gourry, e anche lui mi apparve provato.
Cos’era successo ai miei amici? Quale dura prova la vita aveva inflitto loro per piegarli dentro, per renderli un pallido riflesso delle persone che ricordavo?
Non feci in tempo a domandarlo. La bara contenente le spoglie mortali di Lord Gabriev uscì dal palazzo in quel momento, portata a spalla da quattro portantini.
La cerimonia si svolse secondo i riti classici. L’incenso bruciava nella piccola e gremita cappella, facendo lacrimare gli occhi dei presenti. Le parole del sacerdote rimbombavano tra le pareti grigie e fredde. Lord Gabriev era stato un signore temuto e rispettato. Immobile, accanto al feretro riccamente decorato di fiori azzurri come i suoi occhi, lo vidi guardare verso i suoi figli, le folte sopracciglia bianche aggrottate.
William sedeva accanto alla graziosa moglie, avvolta in un mantello di pelliccia nera. Accanto a loro c’era quella che presumevo essere la balia, con un bambino biondo, chiaramente un Gabriev, sulle ginocchia. Il bimbo si dimenava come un’anguilla e scalpitava per correre a giocare. Gli angoli della bocca di William erano piegati all’ingiù, nessuna emozione traspariva dal suo sguardo. Isobel si accarezzava piano il pancione, che spuntava dal mantello come una luna piena, e sussurrava paroline dolci all’altro figlio per tranquillizzarlo. Mi chiesi cosa diavolo ci facesse una ragazza così adorabile con un pezzo di ghiaccio come il fratello di Gourry. Dall’altra parte della navata sedevano Lina e Gourry. Sembravano stranamente fragili, sperduti. Vidi Lina tenere la mano stretta in quella del marito, che aveva lo sguardo fisso alla bara del padre e gli occhi lucidi. Nonostante la distanza e le incomprensioni, Gourry aveva amato profondamente suo padre.
Il vecchio Gabriev lo scrutò con aria preoccupata per alcuni secondi, poi sollevò gli occhi verso di me. Gli feci un cenno con la testa e lui annuì: era tempo di andare. Scorsi Lady Ivy, in un angolo della cappella. La nonna di Gourry non sembrava intenzionata a seguire il figlio oltre il confine. Mi chiesi quali questioni in sospeso, oltre a quelle di cui mi aveva parlato, la trattenessero ancora nel nostro mondo.

Al banchetto commemorativo presi posto accanto a Lina, che sbocconcellava un pezzo di fagiano ripieno senza entusiasmo. Non era da lei. La Lina che conoscevo non si sarebbe fatta problemi a fare piazza pulita di tutto quello che aveva nel piatto, anche se si trattava del funerale di suo suocero.
«Che ti succede, Lina?» le domandai, dopo alcuni secondi di silenzio.
«Beh, mi sembra piuttosto evidente. Il padre di Gourry è morto e… insomma…» rigirò la forchetta tra le carote e i piselli del contorno, evitando il mio sguardo, poi lanciò una breve occhiata a Gourry. Stava parlando con la moglie di suo fratello, poco distante. Tra le braccia teneva il nipotino, che gli stava spalmando della crema di formaggio sui capelli, prima di attaccarci delle stelline di pastina. Al mio amico non sembrava dare fastidio.
«I bambini sono così maledettamente irritanti…» commentai, bevendo un sorso di birra. Lina aggrottò le sopracciglia.
«Sì, condivido. Versami un po’ di birra.»
«A cosa brindiamo?» domandai, sollevando il boccale.
«A noi» rispose Lina. «E al vecchio Gabriev, la cui dipartita ci ha dato modo di rincontrarci.»
«Sono d’accordo.»
Bevemmo, poi Lina mi rivolse uno sguardo indagatore.
«E dunque, Joy, come te la passi?»
Mi strinsi nelle spalle.
«Ah, il solito mortorio.»
Un lieve sorriso comparve sulle sue labbra.
«Simpaticone.»
«E tu, cosa mi dici di te? Quattro anni sono lunghi.»
«Sì, quattro anni sono lunghi.» Sospirò. «Noi… abbiamo viaggiato. La nostra vita non è poi così diversa da quella che abbiamo sempre vissuto.»
Di nuovo, guardò verso suo marito. Gourry si era messo il nipote sulle spalle e il bambino teneva strette nei pugni alcune ciocche dei suoi capelli, come se fossero le redini di un cavallo. Isobel Gabriev li guardava sorridendo.
Lina bevve un sorso di birra, pulendosi la bocca con la manica del vestito.
«Sono tutti così dannatamente biondi, i Gabriev. Temo che Gourry abbia interrotto una tradizione millenaria, sposando me.»
«Ha fatto la cosa migliore della sua vita, sposandoti.»
Lina scosse la testa.
«Non ne sono così convinta.»
«Spero tu stia scherzando. Mi sono fatto venire i capelli bianchi per permetterti di sposare quell’uomo» scherzai. Lina, però, sembrava aver smarrito chissà dove molto del suo proverbiale sarcasmo. La vidi incupirsi.
«Sai, Joy… qualche volta mi chiedo come sarebbe andata, se non ti fossi intestardito a volermi salvare. Forse sarebbe stato meglio. Per tutti.»
«Tutti chi? Intendi… la corporazione dei locandieri, i demoni che infestano la Penisola e quelli a cui hai pestato i piedi in questi anni? Perché non vedo chi altro…»
«Intendo te e Gourry.»
Mi allungai sul tavolo, togliendole il boccale di birra dalla mano.
«Mi ricordavo che reggessi meglio l’alcol, Inverse. Perché sei decisamente ubriaca, e stai straparlando.»
«Non straparlo affatto.»
«Oh, assolutamente sì. E hai anche la sbornia triste. Andiamo, siamo a un funerale… cerchiamo di stare allegri. O ci ritroveremo a camminare sull’argine del fossato con una pietra al collo prima ancora di avere il tempo di dire William-faccia-da-culo
«Sei sempre il solito sbruffone.»
Mia cara, vorrei poter dire lo stesso di te, credimi. Lo pensai, ma le mie labbra rimasero sigillate. Che fine aveva fatto la Lina esuberante, chiacchierona e prepotente che avevo conosciuto una sera di cinque anni prima in una taverna malfamata? Non la riconoscevo in quella ragazza pallida e tesa che mi sedeva davanti, facendo discorsi assurdi e tristi.
«Come sta Anouk?» mi domandò, per smorzare un po’ l’atmosfera cambiando discorso.
«Anouk sta bene. Ha una missione, adesso che è cresciuta: mettere al tappeto il sottoscritto in qualsiasi circostanza. Devo ammettere, a malincuore, che ci riesce anche piuttosto bene.»
«L’adolescenza è un periodo buio. Quanti anni ha, adesso?»
«Quattordici, quasi quindici.»
«La stessa età che avevo io quando sono scappata di casa e ho conosciuto Gourry.»
«Se stai cercando di farmi paura, non abboccherò. Anouk non andrà da nessuna parte senza il mio benestare. Quanto al fatto di conoscere un uomo… dovranno passare almeno altri dieci anni. Come minimo.»
«Che fratello opprimente!»
«Nella maniera più assoluta.»
«Ma la hai lasciata a Solaria da sola?»
Aprii la bocca, poi la richiusi. Non sarebbe stato saggio rivelare a Lina con chi avevo lasciato Anouk. Qualcosa mi diceva che, se ci tenevo a tenere la testa sul collo, era meglio non svelare affatto chi si aggirava per il mio palazzo in quel momento. Al pensiero di Camelia un brivido mi percorse la schiena, ma Lina non se ne accorse.
«C’è la servitù. Persone fidate, su cui faccio affidamento. E comunque starò via solo pochi giorni.»
Qualcosa di simile alla delusione offuscò i lineamenti della maga.
«Oh… riparti di già?»
«Non ho altra scelta.»
«Beh, comunque anche noi ripartiremo a breve. Credo.»
Lina lanciò l’ennesima occhiata a Gourry, sempre intento a giocare con il nipotino. Sembrava non riuscisse a staccarsene. In quel momento compresi i dubbi della mia amica. Ora che Gourry aveva ritrovato la sua famiglia, separarsi da loro non sarebbe stato semplice.
«Tu e Gourry non lo fate un marmocchio?» domandai, senza riflettere. Forse, se lo avessi fatto, avrei capito che si trattava di un argomento spinoso. Gli sguardi che Lina rivolgeva a quel bambino biondo e al ventre gravido della cognata sarebbero state sufficienti a farmi capire che qualcosa non andava come avrebbe dovuto. Ma la perspicacia che sentivo di aver sviluppato nei confronti della maga venne meno, proprio quando mi sarebbe servita.
«Sai, Joy, forse hai ragione. Credo di aver bevuto troppo, stasera. Penso che mi ritirerò» disse lei, alzandosi.
«Lina…» mormorai solo, osservando la sua figura esile allontanarsi.
Gourry mi raggiunse poco dopo.
«Lina?»
«Era stanca, è andata a dormire. Mi è sembrata piuttosto… scossa, stasera.»
Il volto di Gourry si adombrò. Prese una sedia e sedette al mio fianco, passandosi una mano sul volto.
«È… un momento difficile. Non so cosa fare.»
«Hai appena sepolto tuo padre. Prenditi un po’ di tempo, amico.»
«Non mi riferisco a questo. Parlo di Lina. Qualcosa si è rotto, da qualche parte, e non riusciamo a rimetterlo insieme.»
Lo guardai per un lungo istante. Mi sembrava sfinito.
«Siete Gourry e Lina. Le cose si sistemeranno.»
Gourry rimase in silenzio, giocherellando distrattamente con alcune briciole di pane sparse sulla tovaglia.
«Per gli dei, io vi ho visto. Vi ho visto sfidare la morte per stare insieme» sussurrai, abbassando la voce. «Litigare è normale» aggiunsi subito dopo, con tono normale.
«Forse è questo il problema. Noi non litighiamo. Lina… io ho paura che lei si sia arresa.»
Stava versando dell’acqua in un bicchiere, ma all’improvviso si bloccò. I suoi occhi si sgranarono, la bocca socchiusa.
«Gourry?»
La mano con cui il mio amico reggeva la brocca si irrigidì e la caraffa cadde a terra andando in mille pezzi. Centinaia di schegge di vetro si allargarono sul pavimento come comete in una notte d’estate.
«Gourry, cos’hai?» domandai, alzandomi e avvicinandomi a lui, che era rimasto immobile, come congelato.
«Gourry?!»
I presenti smisero di parlare tra di loro e concentrarono la propria attenzione su di noi. Fu in quel momento che il mio amico sbatté le palpebre, scrollando le spalle, e tornò in sé.
«Io… niente, non ho niente. È stato… solo un attimo.»
Sospirai.
«Un attimo di cosa, esattamente? Sembrava che stesse per venirti un infarto…»
Gourry abbassò lo sguardo, osservando i pezzi di vetro ai suoi piedi.
«Come se qualcosa mi avesse punto, vicino al cuore…» disse, tastandosi il petto con le sopracciglia aggrottate. Un lieve sbuffo di vapore uscì dalla sua bocca, ma la stanza era calda dato che nel grande camino a parete crepitava il fuoco. «Ma adesso sto bene.»
«Forse dovresti raggiungere tua moglie e metterti a letto» commentai, con aria grave.
«Sì, forse hai ragione. È stata una lunga giornata.»
Lo aiutai ad alzarsi e lui mi strinse la mano in segno di saluto.
«A domani, Joy.»
«Sì, a domani.»
«Sono davvero felice che tu sia qui. Le sei mancato più di quanto sia riuscita ad ammettere in questi quattro anni. Forse con te riuscirà ad aprirsi, a parlare di quello che a me si ostina a nascondere.»
Quando se ne fu andato aprii la mano che lui aveva appena stretto. Era gelida.
Gourry non aveva mai le mani fredde.

Rimasi nel salone, a bere e chiacchierare fino all’alba. Non facevo un simile bagno di folla da… bah, non ricordavo più nemmeno io da quando. La cosa commovente era che erano tutti in vita, per una volta.
Il cielo rischiarava appena quando, con passo strascicato, mi incamminai nel corridoio che portava alla mia stanza. Avevo appena superato una porta quando percepii, nel silenzio, un respirare affannoso, seguito da un singhiozzo. Mi immobilizzai, ascoltando. Avevo la mente annebbiata dal vino, ma non servivano riflessi lucidi per rendersi conto che qualcuno stava piangendo, oltre una di quelle porte.
Lentamente mi avvicinai, e scoprii che l’uscio era accostato. Deglutii, poi lo spinsi. Si aprì su una stanza in cui sembrava essere passato un tornado. I mobili erano rovesciati, i vestiti sparsi a terra. L’anta di un armadio era divelta e scalfita, come se qualcuno ci si fosse accanito con forza; le coperte del grande letto a baldacchino giacevano aggrovigliate sul pavimento e lì, in mezzo a quel disastro, c’era Lina, con lo sguardo fisso nel vuoto. Era nuda e si teneva un lembo di lenzuolo premuto addosso, a difendere il suo esile corpo. Accanto a lei c’era una tazza da cui si era rovesciato del liquido scuro e una custodia di velluto nero, aperta. Era vuota.
«Oh miei dei. Lina» sussurrai, vinto dall’orrore di quella scena.
Speravo che fosse un incubo. Forse avevo già raggiunto la mia stanza e stavo sognando.
Ma quando Lina sollevò nei miei due occhi lucidi di lacrime, e io vidi i sangue che le sporcava le labbra tumefatte, e il livido blu intorno alla palpebra, rimasi impietrito.
No, non era un incubo. Era troppo, persino per un incubo.
«Se ne è andato» disse solo, con voce tremante. «Gourry se ne è andato.»
 

 
  
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