Nuova vita?
“Casa “ non credevo avrei mai chiamato così un piccolo buco
nel quale mi ero rifuggita per scappare da coloro che mi consideravano una
minaccia. Per loro non ero altro che uno strumento pericoloso, tenuta sotto
stretto controllo ventiquattro ore su ventiquattro. Eppure loro erano la mia
famiglia, e lasciarli mi era costato tanto.
Passai la notte a guardare il cielo. Il giorno dopo avrei
avuto scuola e non me la sentivo di mettermi a letto. Non ne sentivo il
bisogno, non ero stanca. Ma affamata si e anche tanto.
Quella stessa mattina arrivo lenta e inesorabile. Ogni
minuto, ogni secondo, erano per me una angoscia. Il solo pensiero di essere
trovata e di ritornare con i Volturi mi faceva rabbrividire. Ormai però era
mattina e dovevo andare a scuola. Mi ero iscritta a l’unica scuola disponibile
nel piccolo paesino di Forks, l’unica scuola che avevo avuto il piacere di
notare in quella cittadina. Dopo una nottata tanto bella era sicura che la
giornata lo sarebbe stata altrettanto ma mi sbagliato. Il cielo era nero, carico
di pioggia. Non che la cosa mi desse fastidio, anzi, ma quella atmosfera mi
faceva quasi pentire di non aver comprato una macchina per arrivare fino a
scuola. Avevo con me solo la mia bellissima bicicletta, spostarmi inosservata
per me non era mai stato un problema, ero agile, scattante e soprattutto molto
tranquilla.
Uscendo di casa avevo visto passare una ragazza con un pick-up
arancio, speravo non si dirigesse alla mia stessa scuola, anche se la direzione
era la stessa. Sarei di sicuro arrivata prima io e, a quel punto, dovuto
spiegare troppe cose. Finsi di non averla vista e iniziai la mia corsa verso la
scuola. Passai per la foresta. Questa portava da casa mia al grande plesso
composto da molte case una affianco all’altra, non mi aspettavo di trovarla
così.
Orientarmi tra la folla non mi sarebbe di sicuro risultato
facile, per questo arrivai un po’ in anticipo. Già il giorno prima mi ero
recata lì per ritirare i libri e una cartina della scuola per orientarmi. Parte
del pomeriggio prima lo avevo passato a studiarla cercando ci capire quali
erano le strade migliori per arrivare nella aule. Le uniche due che ero
riuscita ad imparare erano il laboratorio di arte e la sala da pranzo, per il
resto ero ancora una principiate.
Alla prima ora avevo storia. Una bella materia, sarei di sicuro stata la prima
della classe. Mio…”padre” ci teneva alla mia istruzione scolastica quindi non
avrei avuto problemi. Ma i miei pensieri erano tutti posti su una sola domanda:
Come mi sarei presentata quel primo giorno a scuola? Non potevo di certo andare
in giro per la scuola dicendo “Salve io sono Elaisa Allen. Sono una vampira, ho
circa 17 anni….” La storia era poco credibile, -oltre che una totale pazzia. Mi
avrebbero presa per pazza, o peggio, creduta e a quel punto sarei diventata un
mostro agli occhi di tutti- e in più non era nel mio carattere.
Riuscii a passare inosservata nel corridoio, un bel
vantaggio per me, ma non sarebbe di sicuro stato lo stesso in classe. Come
prevedibile non fui la prima ad entrare, mi ero persa poco prima a cercare la
classe. Entrai con testa bassa, un po’ ristretta su me stessa. Mi sentivo
osservata. Ventuno alunni mi guardavano ammaliati come se avessero per la prima
volta visto una ragazza. Il brutto di essere un vampiro è che solitamente si è
dotati di una straordinaria bellezza, e anche se io mi ritenevo la più brutta,
sembrava che la mia classe non pensasse lo stesso di me. Ero una ragazza non
troppo alta per la mia età, capelli castano chiaro sempre lisci e portiti
sciolti sulle spalle, abbastanza magra ma non eccessivamente, occhi verdi –o
almeno così sembravano per le lenti a contatto che indossavo- viso aggraziato e
dolce candido come la neve e ,soprattutto, pelle fredda come il ghiaccio. Il
professore si avvicinò a me, cercò di posarmi una mano sulla spalla ma la
evitai - non mi lasciavo toccare e avevo le mie buone ragioni-. I ragazzi
rimasero sorpresi quando evitai la mano del professore e come si fa in una
piccola città, iniziano a spettegolare tra di loro. Il mastro riattirò l’attenzione
della classe con un colpo di tosse per poi passare a presentarmi.
<< Lei è Elisa Allen… >>
<< Elaisa >> corressi interrompendo il suo
discorso, ma non ci volle molto prima che ricominciasse a parlare
<< Si giusto….Elaisa Allen. Si è iscritta a questa
scuola proprio ieri quindi siate buoni con lei >> lasciò qualche minuto di
pausa - il tempo necessario ai ragazzi per iniziare a commentare il mio
comportamento - poi continuò << Bene! Allora….credo proprio che si dovrà
sedere da sola qui davanti! >> esclamò il professore. Non mi feci ripetere
due volete la cosa e mi sedetti senza proferire parola. Non ascoltai molto la
spiegazione del professore. Prima guerra
mondiale non c’era niente di più facile e noioso. Passai l’intera ora a
fare disegni sul mio quaderno bianco. Il professore mi guardava di tanto in
tanto con aria infastidita dal mio comportamento, ma non ci potevo fare niente,
sapevo tutto a memoria. Aspettai con ansia il suono della campanella. Il tempo
sembrava non passare mai e più della metà della classe non mi toglieva gli
occhi di dosso. Io ero il nuovo giocattolo in quel asilo, la novità che
stuzzicava gli animi degli altri.
L’attesa angosciante però finì presto e finalmente potevo
dirigermi verso l’unica aula di cui conoscevo l’ubicazione: laboratorio di
arte. Non mi ritenevo un nuovo Raffaello o Giotto ma ero brava e lo sapevo. Non
riuscii nemmeno ad alzarmi dal banco che mi ritrovai addosso quattro ragazzi
che si offrivano di portarmi i libri. Parlavano insieme contemporaneamente.
Portai le mani alle orecchie per non sentirli quando notai che iniziarono a
litigare tra di loro su chi aveva la precedenza. La mia occasione. Scivolai via
dalla classe senza farmi notare e mi diressi con aria tranquilla all’aula di
arte, ma proprio poco prima che riuscissi a mettervi piede, una mano si posò
sulla mia spalla. Una ragazza dall’aspetto dolce e cordiale si era avvicinata a
me forse per fare amicizia. Non sembrava essere tanto più grande di me, forse
un anno, era davvero bella. In lei c’era qualcosa di strano che mi faceva quasi
sentire come a casa, ma non fu lei a sorprendermi più di tutti. Accanto a lei,
un ragazzo, alto, bellissimo, capelli bronzei e occhi color oro fuso. Occhi
particolari, occhi come i miei. Un vampiro? No non ne ero certa. Non potevo azzardare
tanto!
La ragazza continuava a guardarmi sorridendo, mentre il
ragazzo al suo fianco mi fissava come per studiarmi.
<< Ciao io sono Bella e lui è Edward! >> esclamò
la ragazza sorridendo
<< Io….Io sono Elaisa Allen .>> . Il mio volto
freddo e candido non si scompose. Rimasi tranquilla ma risposi con una certa
aria di timidezza
Bella notò all’instante la vena di timidezza e paura nella mia risposta e cercò
di farmi sentire a mio agio continuando a parlare
<< Quindi sei nuova di qui? Sei la nuova cavia dei
ragazzi di questa scuola >>
<< In effetti… >>risposi a bassa voce quando notai
che il ragazzo, Edward, si allontanava da noi dopo aver dato un bacio a Bella.
Questo significava soltanto una cosa. Il ragazzo dal viso perfetto non poteva
essere un vampiro. Un vampiro non può amare un essere umano, o almeno questo mi
avevano insegnato i Volturi.
<< Entriamo? >> chiese Bella dolcemente
Non ebbi nulla da obbiettare e entrai in classe al seguito
di lei. Cercai di scappare alla presentazione andandomi a mettere subito a
sedere, ma la professoressa di accorse subito di me e, come durante l’ora di
storia, mi ritrovai addosso lo sguardo di metà classe.
La lezione non era particolarmente difficile. La
professoressa voleva che noi facessimo una copia più simile possibile alla Venere di Botticelli. Non mi ci volle
molto a finire il disegno, avevo anche tentato di sbagliare qualcosa –il
problema dei miei disegni è che poi finivano con l’essere la copia precisa
dell’originale- per cercare di evitare le simpatie della professoressa. Non
volevo essere la cocca della maestra, mi sarei sentita troppo osservata. I
volturi mi avevano fatta diventare così. Erano gentili l’uno con l’altro,
tranne che con me. Io ero il giocattolo di Demetri e nessuno mi si poteva
avvicinare senza il suo permesso- che logicamente non concedeva mai-. L’unico
che si avvicina a me di tanto in tanto era Marcus. Quando vedeva che Demetri mi
trattava troppo male interveniva in mia difesa. Era stato proprio lui ad
aiutarmi a fuggire da Demetri. Se Aro lo fosse venuto a sapere Marcus sarebbe
finito nei guai, questo era uno dei motivi per il quale non volevo tornare a
casa.
Continuai la lezione guardando di tanto in tanto Bella che a
scuola volta faceva la stessa cosa. Il tempo passò veloce e per mia sfortuna
non riuscii a finire il disegno. Quando suonò la campanella scattai
all’inpiedi, feci un cenno di saluto a Bella e uscii dalla classe dirigendomi
verso la prossima aula. Passai la mattinata a seguire lezioni noiose cambiando
da aula ad aula e subendo sempre la stessa identica umiliazione di presentarmi
all’intera classe. Però finalmente arrivò l’ora di pranzo.
La sala da pranzo era grande e c’erano tutti gli studenti
riuniti a grandi gruppi intorno ai tavoli.
Presi una mela da mangiare, ma ci giocavo solamente. Si
avevo molta fame, ma ero anche un vampiro, non potevo sperare di mangiare una
mela. Il mio viso era solcato da profonde segni simili a lividi intorno agli
occhi – coperti da del trucco logicamente-. Era il segno che avevo fame e che
non mangiavo da troppo tempo. Eppure anche a scuola riuscivo a trattenermi dal
mordere i ragazzi- era un grande sacrificio ma era fattibile-
Dal tavolo in cui ero seduta da sola osservavo gran parte
della mensa e subito mi saltarono all’occhio Edward e Bella seduti ad un tavolo
con un’altra ragazza da un lato e un gruppetto di ragazzi dall’altro. Nel mezzo
c’era una specie di confine invisibile che li divideva.
Edward di tanto in tanto si girava a guardarmi e io cercavo
di scostare lo sguardo. In un certo senso il comportamento di Edward mi
spaventava e intimoriva, esattamente come quello di Demetri, ma Bella, con quei
suoi modi di fare, sembrava quasi addolcirlo verso di me.
<< Bella lo avrai notato anche tu… >>Sussurrò
Edward alla ragazza. Peccato che non sapesse che lo potevo sentire << …è
una vampira lo si capisce subito >>
<< Non dare giudizi affrettati Edward. Forse ti puoi
anche sbagliare >>Rispose bella con calma guardando il ragazzo
Non ci volle molto prima che anche la seconda ragazza
intervenne. Dai discorsi precedenti avevo capito che si chiamava Alice e che in
qualche modo era imparentata con Edward, ma non sapevo di più.
<< Secondo me dobbiamo conoscerla prima di giudicarla >>
aggiunse Alice
<< Alice è una vampira! >>
<< E cosa significa questo? Io sono una vampira, tu sei
un vampiro, bella vuole essere una vampira…. >>
<< Potrebbe essere malvagia >>
<< Edward tu pensi troppo! >> esclamò Alice sempre
sottovoce
Non ci volle molto prima che la situazione iniziò a
degenerare e Edward e Alice iniziassero a litigare sulla mia natura. Intanto io
però mi ero stancata di stare seduta senza fare niente e decisi di uscire
seguita poco dopo da bella che si portò al mio fianco mentre camminavo
<< Elaisa cosa hai all’ultima ora? >>
<< Educazione Fisica >> risposi mantenendo sempre
quell’aria di timidezza presente in me. Bella ne rimase sorpresa, avevamo
l’ultima lezione insieme.
<< Vieni ti accompagno! >> esclamò infine
conducendomi con lei verso la palestra
Mentre camminavamo non riuscivo a togliere gli occhi di
dosso a Bella. Era simile a me. Stesso colore di capelli, pelle chiara ed
eravamo più o meno della stessa altezza. Però lei aveva un qualcosa di strano
che mi attirava a lei. Non avevo voglia di passare l’ora in palestra,
soprattutto contando che se avessi colpito una palla sarebbe finita dall’altra
parte della scuola. Dovevo inventarmi una scusa che non comprendesse la
palestra e a quanto avevo capito dal discorso di prima Alice ed Edward erano vampiri
quindi Bella doveva per forza sapere della nostra esistenza. Mi allontanai da
lei di qualche passo poi mi fermai. Mi feci un po’ di coraggio poi iniziai a
parlare stringendo i pugni.
<< Bella… >> le lasciai il tempo di girarsi prima
di continuarne a parlare << …Edward ha ragione. Io sono una vampira, ma ti
prego non glielo dire….non lo dire a nessuno. >>
Per mia fortuna eravamo sole. Bella mi guardò con aria mista
tra preoccupazione e sconcertamento. Forse non si sarebbe aspettata una
confessione così all’improvviso, ma non potevo fare altro. Avevo fame, non
conoscevo nessuno e lei mi sembrò la mia unica via di salvezza in quel momento.
<< P…perché me lo hai detto? Perché a me? >>
chiede un po’ balbettando. A quanto pare era spaventata, la capivo. Potevo
essere malvagia e ormai il trucco da gli occhi se ne era andato. Se fosse stata
abituata a stare con i vampiri si sarebbe accorta della mia fame.
<< Scusami Bella….è che non… .>> ero troppo
dispiaciuta per averla fatta spaventare sospirai voltandomi e iniziando ad
incamminarmi verso casa. Bella non mi fermò, perché avrebbe dovuto? Ormai per
lei ero di sicuro una minaccia.
Non ci volle molto per arrivare a casa. Buttai la borsa con
i libri per terra e mi avvicinai al letto prendendo in mano il pc. Era da un
po’ che non scrivevo a Marcus. Dovevo farmi sentire o si sarebbe di sicuro
preoccupato troppo per me. Devo dire la verità, il rapporto tra me e Marcus era
più di una semplice amicizia. Non fu lui a mordermi, ma fu lui il primo a
proteggermi quando Demetri mi maltrattava. Iniziai la mia lettera in un modo
particolare. Non sapevo che scrivere. I messaggi dovevano essere veloci e
piccoli. Non potevo perdermi in chiacchiere inutili. Le nostre vite erano
entrambe in grande pericolo.
sono arrivata sana e salva in una piccola cittadina in America. Ho
conosciuto un ragazzo, anche lui è un vampiro ma non sembra fidarsi di me.
Forse è un bene. Mi manchi e mi dispiace per averti messo in questo guaio. Mi
farò perdonare
Elaisa