Capitolo 8
Quando
terminarono le lezioni quel giorno mi sentii più viva che mai. Era successo di
tutto ed io ero piena di entusiasmo, come non lo ero da un bel po’.
Camminavo
con Lissa nei corridoi, dopo che lei mi aveva appena confessato, imbarazzata,
che doveva andare dalla psicologa Carmack. Lo faceva due volte a settimana, ma
non mi disse il perché.
Di
certo, una ragazza che restava sola, dopo la morte della sua famiglia e la
quasi estinzione della sua casata, non doveva essere una persona molto
spensierata. Ai miei occhi lei non era pazza, come lo pensava il resto
dell’accademia, anzi, vedevo solo quante buone qualità la distinguessero dagli
altri.
Stavamo
ridendo di una delle mie battute stupide sul mio intervento nella lezione di
Stan, che le avevo raccontato, quando dalla porta della signora Carmack, alla
quale eravamo quasi arrivate, uscì un moroi dai capelli neri e dagli occhi
furenti. Qualcuno doveva avergliele fatte girare tanto. Una cosa però mi colpì
e fu vedere quegli occhi così carichi di rabbia, trasformarsi in quiete una
volta incontrato la figura di Lissa. Era stato come vedere redenta un’anima
persa, spettacolare.
Guardai
Lissa e lei era calma, come sempre, forse i suoi occhi ora erano leggermente
più brillanti. L’aria puzzava di cotta bella e buona.
Il
ragazzo si fermò davanti a noi dopo aver sbattuto la porta.
“Non
so come fai a sopportarla quella!” di sicuro si riferiva alla psicologa, perché
con la testa aveva accennato verso la porta.
Lissa
sorrise angelica.
“Hai
poca pazienza, ecco perché. Christian, lascia che ti presenti la mia nuova
amica, Rose. Rose, lui è Christian.”
Se
c’era un’altra persona con cui Lissa andava d’accordo, non vedo come mai non me
lo avesse menzionato. Forse si piacevano, ma nessuno si faceva avanti e quindi
ognuno restava per le sue.
“Ciao!”
gli dissi, dandogli la mano, ma lui non la prese, anzi la guardò con un ghigno.
“Guarda
che non ho la lebbra!” gli dissi un po’ acida. Che cafone.
“Voglio
solo risparmiarti una crisi di nervi dopo che avrai saputo chi sono. L’ultima a
cui ho dato la mano è andata a farsi esorcizzare da padre Anthony. Tzè.” E così
si allontanò, cupo com’era uscito dalla signora Carmack.
Mi
voltai e guardai Lissa in cerca di spiegazioni.
“Ora
devo andare, Rose, sono in ritardo, ma dopo potrei venire nel tuo dormitorio,
ti va?”.
“Si,
certo. Mi ha proprio incuriosito quel Christian.”
Lei
aprì la porta tranquilla.
“E’
solo incompreso, tutto qui” disse, poi si chiuse la porta alle spalle.
Era
triste, quando lo aveva detto e mi lascò davvero senza parole. Più tardi
speravo che me ne avrebbe parlato, nel frattempo, però, avrei cercato un’altra
persona con cui dovevo ancora parlare. Ci avevo pensato durante tutte le
lezioni del dopo pranzo.
Rivivere,
raccontando, l’attacco degli strigoi mi aveva destabilizzato e necessitavo
parlarne. Lui si era offerto di ascoltarmi, no?
O
forse io avevo capito male e lui intendeva che tutti i guardiani sarebbero
stati disposti a farlo?
Poco
importava, ormai ero diretta a passo di carica verso la palestra, visto che sospettavo
di trovarlo lì e così fu. Si stava allenando con dei manichini. All’ingresso mi
bloccai affascinata a guardarlo. Si muoveva come Nikolai mi aveva insegnato, con
qualcosa di più, qualcosa forse solo di suo. Era così concentrato e così
determinato. Il suo sguardo bruciava, sembrava si stesse sfogando, ma con
moderazione. Forse solo in quel momento capii cosa Nikolai intendesse quando
diceva che eravamo simili.
“Ti
stai controllando!”.
La
mia voce lo colse di sorpresa, perché lo vidi vacillare, ma quando si voltò non
c’era traccia di stupore sul suo viso.
“Cosa
te lo fa pensare?”.
Si
era ripreso e si era impossessato della maschera da guardiano intoccabile.
“I
tuoi occhi!”.
Non
capivo da dove arrivasse quella tranquillità con cui gli parlavo, ma mi
sembrava di avere con lui un legame vecchio di cent’anni. Mi veniva così
normale e non capivo perchè. Eppure avrei dovuto portargli rispetto, dato che
era un guardiano, un mio insegnante ed era pieno zeppo di molnija.
La
mia risposta lo innervosì leggermente, ma se la cosa lo avesse toccato non
avrei saputo dirlo. Vedevo che si dava un contegno. Cosa mi ero messa in testa?
Non potevo trattarlo come una specie di amico, per lui ero solo un’allieva. Di
sicuro bellissima e dotata, viva la mia modestia, ma comunque un’allieva.
“Le
lezioni sono terminate, Rose. Come mai sei qui?”.
Giusto,
perché ero lì? Ah, si, l’avevo quasi scordato. Bastava guardarlo per perdere il
lume della ragione.
Ok, stop! Contegno!
Iniziai
a camminare di lato, per dargli leggermente la schiena, mi sentivo imbarazzata.
“Dopo
il rapporto di oggi e di alcuni avvenimenti avvenuti questi giorni, mi sono
resa conto di aver bisogno del tuo aiuto.”
Alzò
un sopracciglio, non sembrava preparato a questa piega di conversazione.
Ancora.
“Non
credo di aver capito.”
Sospirai.
“C’era
un motivo se Nikolai era il mio mentore. Lui mi aiutava non solo nel
combattimento. Lui mi insegnava a dominarmi.” Mi seguiva attento e vigile con
lo sguardo. “Come lo aveva insegnato a te.”
Lo
vidi sbattere lentamente gli occhi, stava assemblando e magari formulando una
delle sue risposte da psicologia avanzata.
“Ti
sto chiedendo di farmi da mentore.”
Fissò
i suoi occhi nei miei e dopo un silenzio lungo una vita, rispose.
“No!”.
Suonò
così secco e preciso. Ero convinta mi avrebbe detto di si.
“I-io
ne ho bisogno.” Balbettavo agitata. “E poi qui hanno già iniziato con il
paletto. Io ho fatto solo la teoria. Sono indietro”. Cercavo di arrampicarmi
sugli specchi, la sua risposta mi aveva fatto defluire il sangue dai piedi al
cervello.
Lui
mi guardava un po’ meno duro, ma sapevo non avrebbe cambiato idea.
“Rose,
hai ucciso uno strigoi. Non penso proprio che sei più indietro dei tuoi
compagni. Farai presto a metterti in pari.”
Sapevo
di guardarlo come un cucciolo bastonato. Mi sentivo come una bambina a cui le
veniva negato il suo giocattolo preferito.
“Perché
no? Insomma io…”
“Roza,
no!”.
Lo
disse con una tale intensità, che mi fece sudare e rabbrividire allo stesso
tempo. Avevo una sensazione strana allo stomaco, mi sentivo come rifiutata. Oh,
dannazione. Dovevo andarmene o sapevo avrei pianto.
A
cosa diavolo stavo pensando quando sono venuta qui? Io non capivo. Avrei messo
la mano sul fuoco che con me lui si comportava diversamente che con gli altri,
ma a questo punto mi domandavo se fosse un bene o un male.
“Scusi
il disturbo” dissi come se parlassi ad un estraneo. Quello che insomma avrebbe dovuto essere lui, in effetti.
Mi
girai e camminai via. Affrettavo i passi sempre di più, volevo mantenere almeno
un po’ di dignità. Quando fui sicura di essere fuori dalla sua visuale iniziai
a correre, inoltrandomi nella vegetazione che circondava la scuola e mi fermai
solo quando sentii di avere un fiume in piena sul viso.
Stupida.
Stupida. Stupida.
Che
reazione era quella? Perché piangevo? Non era normale, che diavolo mi prendeva?
Aprii
gli occhi e distrarmi fu facile. Ero nella parte sud est della scuola, ma non
avevo mai notato questo spettacolo. Al chiaro di luna, di fronte a me, si
arrampicavano, intorno ad una piccola fontana, un cespuglio di rose nere. Era
impossibile che ne crescessero di quel colore, eppure ce le avevo proprio di
fronte a me, sbocciate e profumate. Quella visione mi calmò, erano uno
spettacolo surreale. Restai ad osservarle per un tempo indefinito.
Dopo
minuti o ore mi ricordai che Lissa sarebbe venuta nel mio dormitorio, perciò
come un fulmine mi misi a correre, conscia di aver trovato un paradiso, un
posto che sembrava calmare i miei nervi sempre tesi. Questa cosa mi aveva allentato
la pressione dentro ed ero ben intenzionata a rivendicare quel posto come mio.
Mi vedevo già mentre appendevo un cartello con su scritto ‘proprietà di Rose Hathaway’.
Passai
accanto alla palestra, era inevitabile, e con la coda dell’occhio scorsi una
figura sulla porta. Avrebbe potuto essere Dimitri, ma non ero sicura e non mi
voltai per verificarne la veridicità. Dovevo evitare lui e il pensiero di lui.
Arrivai
al dormitorio e vidi Lissa seduta sui divani della sala comune.
“Scusa,
scusa, scusa.”
Lei
mi guardava tranquilla come sempre.
“Tranquilla,
Rose. Sono appena arrivata.”
Le
sorrisi e la portai nella mia camera.
“Allora
com’è andata?” le dissi una volta seduta a gambe incrociate sul mio letto.
“Bene,
è contenta che siamo diventate amiche.”
Risi
“Perché
non sa ancora che ti porterò sulla cattiva strada.”
Anche
lei rise.
Mi
ritornò in mente di quel Christian.
“Lissa.
Racconta… c’è del tenero tra te e il bel tenebroso di oggi?”
Le
guance rosse che le si infuocarono la dicevano lunga.
“No,
Rose, ma come ti salta in mente.”
“Ma
se sei tutta rossa!”
Presi
a sghignazzare alla grande, mentre lei si portò le sue pallide mani sul viso.
“Io
e Christian siamo conoscenti e basta.”
La
guardai con un sopracciglio alzato.
Lei
sbuffò, ma col sorriso.
“L’ho
conosciuto per caso. Nel mio posto in cui vado sempre a pensare, che a quanto
pare si è rivelato essere anche il suo.”
Ti
prego fa che non sia il cespuglio di rose nere, dissi mentalmente incrociando
le dita.
“E
questo posto dove sarebbe?”.
Lei
diventò più rossa.
“La
mansarda della cappella. Ho scoperto per caso una porta che conduceva sulla
soffitta, quando avevo quindici anni.”
Se
i conti non erano sbagliati, era il periodo della morte dei suoi genitori. Trovai
conferma nei suoi occhi tristi.
“Wow,
davvero romantico, ma non credi che andrai all’inferno nell’avere incontri
amorosi in un luogo sacro?”
Lei
prese a ridere. “Rose, ma che dici! Non è affatto come pensi.”
“No?”
ridevo sotto i baffi.
“No!”
disse lei sorridente e esasperata. “Veramente siamo andati avanti a litigare
per un po’ su chi avesse il diritto di usare quel posto e alla fine siamo
giunti ad un compromesso. Ognuno lo usa a sua discrezione e non interferisce
nelle abitudini altrui.”
Mmmh
.. qualcosa mi mancava da tutto ciò.
“Cosa
non mi stai dicendo, Lissa?”.
Lei
si morse un labbro mostrando un canino.
“Oh,
Rose. Neanche mi conoscessi da una vita.”
Alzai
le spalle divertita. “Con alcune persone mi è più facile capirle.” E mi
maledissi quando il viso di Dimitri si fece largo nei miei pensieri.
“Tutto
ok, Rose?”.
Mi
ridestai.
“Come?
Perché?”.
“Ti
eri incantata.” Osservò curiosa lei.
“Sono
pazza ricordi? Comunque se non sbaglio stiamo deviando dal binario principale.”
La
guardai eloquente e lei sorrise imbarazzata. Era davvero bella, Lissa.
“Non
so, davvero. Cioè avevamo fatto questo accordo, però ultimamente lo incontro
spesso e parliamo molto. Abbiamo tante cose in comune.”
“Ti
piace!” sentenziai.
I
suoi occhi uscirono dalle orbite.
“Cosa?
Non è vero. Parliamo solo e non so neanche se siamo amici, in giro per
l’accademia non mi saluta mai.”
Uh,
tasto dolente. Questa cosa le importava davvero, lo sentivo da come lo aveva
detto.
“Davvero?
E gli hai mai chiesto perché?”.
“Lui
dice che non vuole rovinarmi la reputazione. Come se non fosse già compromessa
di suo.”
E
qui ritornammo al punto di partenza. Perché quel ragazzo credeva di essere una
disgrazia vagante?
“E
perché pensa ciò?” non riuscivo a capirlo.
“Perché
in fondo è vero…” restai perplessa dalle prime parole di Lissa, infatti lei se
ne accorse. “No, Rose, non fraintendermi. Io ho conosciuto il Christian che gli
altri effettivamente non conoscono e non la penso come tutti.”
Ok
la cosa doveva essere davvero più grande del previsto.
“Lissa
io ancora non capisco.”
Lei
mi guardò rassicurante.
“Il
cognome di Christian è Ozera”
“Oh”.
La mia risposta non fu di certo ricordata come una delle migliori della mia vita.
Ciao a tutti!Ecco l'ingresso di un altro personaggio: Christian!
Come avete notato i due si sono già conosciuti e la pentola già bolle da un po'... contenti??
Rose, invece, è stata "rifiutata" dal nostro Dimitri, cosa ne pensate?
Ci vediamo al prossimo capitolo =)
Infiniti grazie sempre a chi mi segue.
xoxo