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Autore: Sea    12/05/2015    1 recensioni
Si sa, il blocco dello scrittore può farti impazzire ed Ed Sheeran stava cominciando a perdere colpi. Non voleva partire, per fuggire dai suoi problemi gli bastava il suo appartamento, non aveva bisogno di vacanze. Eppure si trovava lì, intrappolato dal suo manager, senza poter gestire la sua vita come una qualsiasi persona.
Non voleva che qualcuno interrompesse la sua solitudine, ma successe. Quell'incontro avrebbe trasformato la sua gabbia dorata in una via d'uscita, ma ancora non lo sapeva. Il suo deserto stava per trasformarsi in una florida oasi. Così, visse.
ATTENZIONE: IL CAPITOLO "TERZO GIORNO - PT II" è STATO MODIFICATO IN QUANTO MANCANTE DI UNA PARTE DELLA NARRAZIONE, ORA REINTEGRATA NELLO SCRITTO.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Settimo Giorno - II

Lo avrebbe fatto impazzire. Shit, shit, shit.
Si era allontanato da quella porta, altrimenti l’avrebbe buttata giù. Non doveva reagire così, ma lei…lei prima gli si attaccava addosso e poi scappava via. No, non poteva farlo, non a lui. Chi le capiva le donne. Prese un sasso e con rabbia lo lanciò con tutta la forza che aveva, urlando. Ora si era chiusa lì dentro, senza dargli la possibilità di parlare, anche se non sapeva cosa le avrebbe detto, perché l’unica cosa che lo assillava in quel momento era una domanda: perché?
Si erano provocati abbastanza, si erano aspettati abbastanza ed ora che l’aveva sfiorata, lei negava ogni cosa. Non capiva che anche lui aveva il cuore martoriato e che gli veniva da piangere? Non capiva che doveva baciarla o sarebbe impazzito? Non capiva che se non l’avessero fatto, si sarebbero pentiti?
Stavano già soffrendo, non era abbastanza?
Voleva soltanto farle passare quella paura infondata e inesistente di soffrire di un dolore che stava già vivendo. Voleva il ricordo delle sue labbra. Aveva sete.
Camminò velocemente verso la doccia pubblica del lido e si ripulì di quella sabbia peccaminosa. Si avvolse un telo intorno alla vita e raccolse le loro cose dalla spiaggia per poi portarle sul tavolino di plastica. Non udiva alcun rumore provenire dall’interno del bungalow.
Rimase lì fuori a sbollire per la successiva mezz’ora, facendo molleggiare la gamba nel tentativo di scaricare la rabbia, ma servì soltanto a farlo stancare. Quando fu stufo di aspettare un suo cenno, si alzò, ormai del tutto asciutto grazie allo scirocco. Il sole era ancora alto sulla linea dell’orizzonte. Si avvicinò alla porta e bussò tre volte. All’interno Sara sobbalzò, ma non gli rispose. Non era ancora pronta, non riusciva neanche a muoversi dal bordo di quel materasso.
  • Sara…rispondimi. – silenzio – Guarda che apro la porta.
  • No! Non aprire.
  • Allora parlami. Dovrai farlo prima o poi.
  • Cosa vuoi? – intanto lei si alzava dal letto, alla ricerca dei suoi vestiti.
  • Voglio che ne parliamo. Perché sei scappata via?
Ci fu un lungo silenzio durante il quale Ed poggiò la testa sulla porta di legno che li separava.
  • Perché è meglio così. – disse lei, infine.
  • Meglio di cosa? Meglio di baciarci? – disse, esasperato.
  • Meglio di piangere la tua assenza, Ed.
  • Di cosa hai paura?
  • Di non riuscire a dimenticare, ecco di cosa. Se non succede nulla, non dovrò cercare di cancellare il passato. – la sua voce era tremula.
  • Stiamo già soffrendo, non te ne accorgi? Ti sei inflitta una pena senza aver commesso il delitto. Come fai a riuscirci?
  • Domani andrai via e non ci rivedremo mai più, lo sai che è così.
  • E allora perché non mi baci? È l’unica occasione che abbiamo…
Aspettò che lei rispondesse, ma non udì un fiato.
Se davvero non voleva, glielo avrebbe dovuto dire guardandolo dritto negli occhi. Doveva leggerglielo in faccia e forse, allora, si sarebbe rassegnato anche lui. Impaziente, aprì la porta di scatto e fece il primo passo all’interno, col fiato sospeso, ma era il momento sbagliato. Lei si voltò, reggendosi con le braccia il costume che aveva appena slacciato. Urlò il suo nome.
  • Ed! Che diavolo fai?
  • Cazzo! – disse voltandosi. – Non volevo, lo giuro!
Lei si rilegò il costume più velocemente che poteva e riprese a sgridarlo.
  • Ma vuoi bussare prima di fiondarti dentro come un pazzo?
  • Non pensavo che ti stessi cambiando. – disse, voltandosi di nuovo verso di lei.
  • Cosa c’è? – fece lei, arrabbiata.
Allora Ed ricordò con quale intento era entrato nella casetta e procedette dritto verso di lei, facendola indietreggiare di qualche passo.
  • Guardami. – disse, mettendosi dinanzi a lei. – E dimmi che non vuoi baciarmi. Dimmelo in faccia e non mi avvicinerò più a te, non ti sfiorerò nemmeno per caso.
  • Ma cosa-
  • Niente ma, voglio una risposta. – il suo sguardo era duro e determinato. Era per lei che lo stava facendo, era per lei che si stava affannando.
  • Non puoi chiedermi una cosa del genere – disse flebilmente – perché già sai la risposta.
  • Allora non pretendere che io non ti fraintenda quando mi cavalchi, seduto sulla sabbia.
  • Io non…
  • Dimmelo ed io ti lascerò stare.
C’era un calore nei suoi occhi, una rabbia e una determinazione che le facevano paura e la lasciavano interdetta allo stesso tempo. Trattenne le lacrime, arrendendosi a se stessa. Cosa stava facendo? Cosa stava aspettando? Cosa voleva di più dalla vita?
Lui stava combattendo contro di lei, solo per avere un suo bacio e lei lo rifiutava. Ma quella paura la bloccava, non riusciva a superarla. Non riusciva nemmeno a rispondergli, tanta era la frustrazione che sentiva nel ripudiare la realizzazione di quel momento. Era decisamente masochista.
Ed, dopo interminabili attimi di silenzio, cominciò a smontare quella sua espressione. Sara vide la delusione e l’amarezza dipingersi sul suo volto. Quando vide una lacrima presentarsi nei suoi occhi, nell’attimo in cui stava per allontanarsi da lei, capì che era davvero una sciocca. Quella, come aveva detto lui, era la sua unica occasione.
  • Ed. – riottenne la sua attenzione.
La guardò con una grande delusione negli occhi, aveva il cuore ferito e adesso lui stesso lo avrebbe calpestato, ascoltandola. Ma ancora una volta, l’aveva giudicata troppo presto.
  • Baciami.
Il suo cuore perse un battito, fu l’unica cosa che riuscì a sentire. Non importava più dove fossero o perché. C’erano soltanto il suo respiro, i suoi occhi, le sue labbra.
Le posò una mano sulla guancia e, finalmente, dopo averlo desiderato così a lungo, la baciò. Era sicuro che quella fosse la fine del mondo. Sentì esattamente il momento in cui le loro labbra si sfiorarono e si perse completamente nella sensazione di quel contatto. Sentì le sue dita sottili correre sulla sua nuca, le sue mani si infilavano tra i capelli, i loro corpi erano uno solo. I loro volti si muovevano con una sincronia irreale e quando dischiusero le labbra, Ed sentì il cuore fermarsi definitivamente. Qualcosa lo pervase totalmente e la strinse a sé più che poteva, tirandola verso di lui anche quando i loro corpi erano già in contatto. Quel bacio così delicato si trasformava lentamente in un turbinio di mani e sentimenti, i respiri acceleravano, le lingue si cercavano.
Non si sarebbe staccato da lei mai più, lo giurò a se stesso, altrimenti si sarebbe privato del suo stesso ossigeno. Con le labbra attaccate alle sue, era come se vivesse per la prima volta. Era rinato, era completo, si stava dissetando pur continuando a sentirsi assetato.
Più la baciava, più voleva baciarla.
La prese per la vita e la tirò su, tenendola in braccio, senza mai staccarsi da lei. Non seppe come, chiuse la porta e camminò fino al letto. Vi poggiò un ginocchio e poi si lasciò cadere su di lei, sovrastandola. Non seppe se il tempo si fosse fermato o se fossero già passate ore, ma ad ogni bacio, ad ogni morso, ne voleva sempre di più, non importava se fosse giorno o notte. Non seppe frenarsi e le baciò il collo, mentre le mani di lei scorrevano sulla sua schiena già nuda. Prima di cercare di nuovo le sue labbra, la guardò. Aveva le gote rosse e gli occhi luminosi come due stelle. Con la mano che scivolava lungo il suo fianco, studiò la sua espressione e vi trovò dentro la sua stessa eccitazione. Si piegò su di lei e la baciò lentamente, mentre lei lo accoglieva tra le sue gambe. Quando nel vortice di quel bacio le allacciò al suo bacino, Ed credette di impazzire. Si incollò a lei, senza permetterle di respirare se non dalle sue labbra. Le sue mani bollenti correvano lungo il suo corpo, facendole mancare il respiro. La desiderava come un assetato desidera l’acqua. Piano, riportò la mano verso l’alto e tirò il laccetto del costume, sciogliendo il nodo e – ormai senza freni – glielo tirò via.
Il resto dei loro pezzi finì a terra e rimasero nudi. Steso su di lei, la guardò ancora negli occhi, cercando la sua approvazione.
  • Se ti fermi adesso, Ed, ti uccido.
Adorava quel suo romanticismo alternativo.
Non aveva mai desiderato così ardentemente di fare l’amore con una donna. La baciò ancora e si amarono per la prima volta.
 
Non aveva mai urlato durante un orgasmo. E non poteva credere a ciò che avevano appena fatto. Il suo cuore ancora doveva decelerare i battiti, ma infondo come poteva se continuava a ricordare la sensazione della sua bocca, delle sue mani, del suo corpo. Guardava il suo profilo, persa nei suoi pensieri. I suoi capelli rossi spiccavano sul cuscino bianco. Non stava dormendo, lo capiva dal suo respiro. Vederlo aprire gli occhi la fece rabbrividire, aveva uno sguardo così profondo e dolce che la sua gola si strinse in una morsa, quando la avvicinò di nuovo al suo corpo. Il lenzuolo con cui si stava coprendo non la seguì. Aveva appena fatto l’amore con Edward e desiderò subito farlo ancora. Lo guardava con gli occhi del tutto aperti, ancora troppo incredula per riuscire a cambiare espressione. Gli carezzò la guancia, pensando che un bacio, in quel momento, era proprio ciò che ci voleva. Non aveva mai provato nulla del genere per qualcuno, mai. Quelle sensazioni erano del tutto nuove per lei, persino quella voglia di saltargli addosso nonostante avessero appena finito. Voleva sapere cosa pensava, voleva poter interpretare ogni suo movimento, ogni suo sguardo, ma si rese conto che non le sarebbe servito a molto, poiché il bacio che le stava chiedendo con gli occhi parlava da sé.
Le sue spalle si aprirono ad accoglierla, le sue mani si allungarono a cercarla e lentamente Ed fece incontrare le loro labbra di nuovo. Avevano sempre saputo di essere attratti l’uno dall’altra, ma non avrebbero mai pensato che un sentimento del genere potesse annullare tutte le loro priorità. La razionalità era stata del tutto bandita.
  • Oh mio Dio, ho fatto l’amore con Ed Sheeran.
Lui rise, perso tra i ricordi e la realtà. Era vero, Sara doveva ancora entrare nell’ottica che lui fosse quell’uomo con la chitarra. Era così assurdo che non riusciva quasi ad accettarlo. Lui era finito a letto con lei. Quante possibilità c’erano che una cosa del genere accadesse davvero?
Una parte del suo inconscio le ripeteva – Svegliati – come per convincerla che fosse solo un sogno troppo nitido, ma la sua carezza, il suo calore, erano veri abbastanza da farla fremere.
Non era mai rimasta nuda a letto con un uomo, eppure non aveva la minima voglia di vestirsi, forse perché senza abiti riusciva a sentire meglio la sua presenza, mentre Ed annullava qualsiasi spazio vuoto ci fosse tra loro. Sentì la sua mano scivolarle sulla schiena e pensò che fossero delle braci. Emanava un calore disumano, mentre la stringeva, soprattutto quando si guardavano negli occhi. Oh Dio, Ed Sheeran era nudo davanti a lei, per questo il suo cervello stava dando di matto!
D’improvviso cominciò a canticchiare il motivetto di una canzone e si concentrò cercando di indovinare quale fosse. La conosceva, ne era sicura.
  • Darling, hold me in your arms the way you did last night and we’ll lie inside, a little while he wrote. I could look into your eyes until the sun comes up and we’re wrapped in light, in life…
  • In love. – capì, alla fine.
  • Put your open lips to mine and slowly let them shut, - e le diede un bacio – for they’re designed to be together, oh. With your body next to mine our hearts will beat as one and we’re set alight…we’re afire love.
La sua voce le risuonava nel petto e nella stanza e nella vita. Quelle erano le parole di suo nonno e il fatto che le stesse cantando a lei, la sorprese. Dovevano essere importanti per lui. Lo abbracciò, sentendo la sua voce rimbombare nella sua gola. Non sapeva spiegare cosa provasse, col seno schiacciato sul suo petto. Forse era meglio così. Forse era meglio limitarsi a sentire.
 
Quella canzone aveva un significato particolare per lui, gli stava a cuore più di ogni altra. Non l’aveva mai cantata ad una donna, ma mentre la guardava negli occhi, stesi in quel letto, capì cosa intendesse suo nonno con Afire love. Si sentiva bruciare dentro e fuori in modo incontrollabile.
La sentiva addosso e desiderava ogni centimetro di lei, mentre faceva scendere la mano sulle sue natiche. La sentì sussultare e quel suo piccolo movimento lo fece accendere ancora di più.
Ma come sempre, qualcosa li interruppe. Sbuffò apertamente mentre una voce si diffondeva nell’altoparlante.
Si avvisano i signori ospiti che il campeggio chiuderà fra 30 minuti.
Si guardarono, parlandosi con gli occhi. Dovevano alzarsi e rivestirsi.
Lentamente, la strinse un’ultima volta e poi la lasciò andare. Avrebbe voluto dirle qualcosa mentre sentiva il suo profumo, ma gli mancavano le parole. Era ancora totalmente sopraffatto da lei.
Scivolarono fuori dal letto e non smisero di guardarsi. Voleva che l’immagine di lei che si rivestiva gli rimanesse impressa nella mente, poiché era l’unica prova che quella ragazza era stata tua. Era sua.
Con la borsa piena e i vestiti addosso, si guardarono intorno per assicurarsi di non aver dimenticato nulla, poi diedero le mandate alla porta e si incamminarono nella pineta. C’era profumo di resina e di mare. Fece un bel respiro per godersi l’aria pulita e le prese la mano. Quella volta le loro dita si intrecciarono immediatamente e si strinsero forte. Le parole sarebbero state di troppo.
Riconsegnata la chiave, si diressero alla moto. Incastrarono per bene la borsa nel piccolo sellino, con qualche difficoltà, ma riuscirono a chiuderlo. Ed prese il casco di lei e glielo passò, ma le impedì di metterselo poggiando la mano sul suo braccio. Voleva comunicare con lei. Voleva che lo capisse senza parole. Lei aspettava qualcosa, così, senza che gli venisse in mente un’altra soluzione, fece un passo verso di lei, facendo scricchiolare gli aghi di pino sotto le scarpe e la baciò. Sentì la sua nuca ancora umida, mettendole le mani tra i capelli. Lei respirò profondamente, godendosi la sua vicinanza.
Quando le labbra si chiusero e gli occhi si riaprirono, montarono in sella e si diressero in città.
 
Da quando si erano sfiorati, si sentivano stranamente scoperti quando camminavano per strada. Chiunque li guardasse, anche se per caso, li faceva sentire come colti nel sacco, come se quel piccolo incidente nel bungalow fosse un segreto da mantenere. Quasi avevano paura di essere scoperti, di essere additati: “Guardateli, quei due hanno fatto l’amore”.
Le luci al neon dei ristorantini sul mare piano piano si accendevano, le luci del tramonto svanivano, il fresco cominciava a calare e loro non parlavano. Sembrava che il silenzio gli venisse naturale, mentre digerivano gli ultimi eventi, come se stessero semplicemente riposando.
  • Qui ti piace? – le prime parole.
Sara annuì alla vista di quel piccolo ristorante con le panche bianche e le reti al soffitto. Salirono gli scalini d’ingresso e si fermarono sulla pedana di legno. Qualche cliente stava già cenando nella zona all’aperto.
Il proprietario del posto li accolse e li condusse ad un tavolo appartato, accendendogli la candela al centro del tavolo. Ordinarono due pizze.
  • Come stai? – disse lui, quasi impaurito.
  • Beh…bene. – rispose lei, chiedendosi a cosa fosse riferita precisamente la domanda.
  • Non ti ho fatto male, vero? – la vide arrossire.
  • N-no, ma che dici…sei stato… - quasi non riuscì a continuare vedendo tutta quell’aspettativa nel suo sguardo. – …è stato bello.
  • Sì.
Quel luccichio nei suoi occhi azzurri era la sua gratificazione. Gli venne naturale poggiarle una mano su una gamba. Dentro di lui quello era un gesto di demarcazione, di segnalazione e di sentimento, il fatto che lui la toccasse il quel punto in particolare era il segno di un’appartenenza.
  • Volevo assicurarmene… dato che…insomma, ero un po’ trasportato.
  • Sta tranquillo. – rispose lei, stretta nella spalle – E tu come stai?
  • Io?
Forse la domanda giusta era “Dove sei?”, dato che la sua mente sembrava persa in una magnifica oasi, da qualche parte.
  • Sto benissimo, solo che non me l’aspettavo. Non fraintendermi, non vedevo l’ora che succedesse!
Sara pensò che l’imbarazzo sul suo viso fosse leggibile per chiunque, dato che Ed sembrava convinto di aver fatto una figuraccia. Sembrava un bambino mentre si agitava in quel modo, un ragazzino alle prime armi.
  • Ho capito – disse lei, posando la mano sulla sua – Va bene.
Sorrise mentre lui si passava una mano tra i capelli, lusingata da tutto quel trasporto da parte sua. Lui le prese le dita e le strinse nel suo palmo, lasciando che la tensione scivolasse via. Ora che erano lì, seduti a quel tavolo con l’anima quieta, si sentiva felice. Era quella serenità che mancava nella sua vita e l’aveva trovata in lei, nel solo stringerle la mano, nel baciarle la guancia. Gli piaceva il fatto che lei usasse la mano libera per toccargli i capelli chiari e la barba, con una confidenza e una naturalezza disarmanti. Come se le loro anime fossero sedute lì da sempre, nell’attesa che i loro corpi si incontrassero e tornassero a prenderle.
Sara sentiva la barba rossa sotto i polpastrelli e guardava il sorriso nascere sul suo viso. L’interezza della sua figura, la luce dei suoi occhi, le mancavano già. Era una persona così semplice. Così piena. Riusciva a scorgere il suo spirito nei suoi occhi e nei suoi gesti e le piaceva dannatamente quell’eterno ragazzo col quale si ubriacava e giocava. Se avesse potuto esprimere un desiderio in quel momento, avrebbe chiesto un’altra vita, per trascorrerla con lui.
Il rumore dei passi del cameriere li fece allontanare, sempre per quella questione della segretezza, così sciolsero gli sguardi e ringraziarono l’uomo. Ed si strofinò le mani prima di cominciare a mangiare. Non ci volle molto tempo affinché terminassero e Ed, non ancora sazio, ordinò due dessert.
  • Il mio è al cioccolato. – costatò, assaggiandolo. – Il tuo?
  • Il mio è alla crema. Vuoi assaggiare? – chiese, già preparando un cucchiaino stracolmo di dolce.
  • Vediamo. – e si lasciò imboccare da lei. – Uhm. Buono.
  • Non avevo dubbi! – rise lei, tornando a gustarsi la sua porzione.
  • Fidati, nemmeno io.
Per non parlare del fatto che lo adorava quando rideva di se stesso, soprattutto con quel ciuffetto di panna sull’angolo della bocca.
  • Sei sporco di panna.
  • Dove? – chiese, toccandosi nei punti sbagliati.
  • Vieni qui. – e lui sporse il collo, avvicinandosi.
Poteva anche fare a meno del tovagliolo, in effetti. Gli diede un lieve bacio, pulendolo dalla panna e lo vide spiazzato da quel gesto. Sorrise, portandosi una mano alla bocca per l’imbarazzo, aspettando che lui si riprendesse.
  • Non riuscirò mai a capirti, Sara De Amicis. Mai. – e riprese a mangiare.
Il rumore del mare accompagnava la loro ultima giornata anche mentre passeggiavano sul lungomare, osservando i negozietti di souvenir. Aveva Sara sotto il suo braccio sinistro, il suo capo poggiato sulla spalla e la sua mano aggrappata al torace. Quei pochi centimetri di differenza, forse 3 o 4, la rendevano perfettamente incastrabile al suo corpo, come il pezzo di un puzzle. La catenina che le aveva regalato luccicava alla luce dei neon, sulla sua canotta semitrasparente.
Si fermarono su una panchina a guardare il mare scuro illuminato dalla luna. Si voltò a guardarla e con una carezza le fece voltare il viso verso il suo, per baciarla. Scattò una foto di quel bacio, seduti nella penombra del lampione. Senza pensarci, la impostò come sfondo del suo cellulare, mentre lei era distratta da un gatto nero che le faceva le fusa. Bene, anche lei faceva parte della famiglia dei felini. Mentre la guardava, nacque in lui la debole speranza che forse tutta quella storia sarebbe finita bene. Una cosa del genere non poteva non avere il suo lieto fine e sperò che lei sentisse lo stesso.
  • Ti va se torniamo all’hotel? – chiese quando le lancette toccarono le 21.30 – Vorrei farti sentire la seconda strofa.
  • Non sapevo che l’avessi scritta.
  • Infatti non l’ho scritta, si sta formando adesso nella mia mente.
Corsero a comprare un taccuino e una biro. Ed scriveva forsennatamente poggiato ad un muro, senza smettere per un paio di minuti buoni. Quando ebbe finito sorrise soddisfatto e la abbracciò con uno slancio, sollevandola da terra.
Percorsero l’autostrada buia fino a Torre del Greco e alle 22:45 varcarono il cancello dell’hotel. La ragazza alla reception li guardò con sguardo malizioso mentre si allungavano all’ascensore.
Durante la salita, Sara scriveva un sms a sua madre, informandola che era tornata in città e che quindi poteva stare tranquilla. Terminò di scrivere quando Ed aveva già aperto la porta.
Lo seguì all’interno, posando la borsa sulla sedia e il cellulare sulla scrivania e quando alzò lo sguardo, lui era già seduto sul materasso, intento a riaccordare la chitarra.
  • Vieni qui – disse senza guardarla – Non sei autorizzata a stare così lontano da me.
Andò a sedersi vicino a lui, con le gambe accostate al busto. Col taccuino davanti, Ed cominciò a cantare la canzone dall’inizio, facendole scoprire che quel motivetto le era già rimasto impresso. Quasi cantava insieme a lui. Riascoltando quelle parole, capì il senso di quel brano, poiché vi si riconosceva perfettamente.
  • Loving can heal. Loving can mend your soul and it’s the only thing that I know. I swear it will get easier, remeber that with every piece of ya. And it's the only thing to take with us when we die. We keep this love in a photograph…
Il ricordo di quell’ultima foto le fece perdere un battito: quella canzone parlava di loro.
 
Prese il suo cellulare e registrò la performance per intero, per mandarla a J. Doveva farsi vivo, o George sarebbe stato furioso e lui avrebbe cantato male per il nervosismo. Sara aveva poggiato la testa sulla sua spalla, ma ben presto si raddrizzò per stiracchiarsi, facendo un sonoro sbadiglio. Il pantaloncino stretto le segnava le gambe, così si alzò ed affondò le mani nel suo borsone, alla ricerca di quel pigiama di ricambio che non aveva ancora usato.
Glielo lanciò, senza darle spiegazioni. Lei aprì il groviglio di stoffa fantasiosa e capì di cosa si trattasse, ma non cosa dovesse farci.
  • Cambiati pure. – fece lui.
Lui stesso cominciò a spogliarsi per indossare la sua tuta e la sua t-shirt pulita. Quando si sfilò la maglia, il ricordo di quel pomeriggio lo colse di sorpresa, ma simulò la più completa normalità per non metterla in imbarazzo. Quel suo sforzo servì a ben poco, purtroppo. Lei stava lì e lo fissava come se fosse la prima volta che lo vedesse a petto nudo. E poi – si disse – non era una statua di marmo.
  • Vuoi che vada in bagno?
  • Oh! No, scusa… - e distolse lo sguardo – Sono una sciocca.
La vide voltarsi e sfilarsi la maglietta. La sua schiena costellata di nei si presentò di nuovo ai suoi occhi, mentre lei cercava il verso giusto della sua maglia del pigiama. Doveva essere impazzito a pensare di farla spogliare e poi permetterle di rivestirsi.
Lasciò la maglietta sull’apertura del suo borsone e percorse il mezzo metro che li separava. La moquette a terra rese il suo movimento silenzioso, così che quando le sfiorò il ventre con la mano calda, lei sussultò. Sentì il diaframma contrarsi sotto le dita per farle riprendere il respiro.
Con gli occhi chiusi, senza curarsi di una sua possibile reazione, le baciò il collo e poi le spalle, minimizzando qualsiasi distanza ci fosse tra loro. Soltanto quando le sue dita ebbero sbottonato anche i suoi pantaloncini, la fece voltare non riuscendo più a rimandare il contatto con la sua bocca. Sentire le sue mani sul petto, sulle sue spalle, nei capelli, lo mandò in una confusione tale da non riuscire a sbottonarle il reggiseno, ma fu lei stessa ad aiutarlo e a tirarlo sul letto. Sorrise, labbra a labbra con lei, rendendo quel sesso quasi un gioco a chi osava di più nonostante il tremore. Arrivò secondo quando lei, seduta a cavalcioni su di lui, gli prese il viso tra le mani e, carezzandolo con i pollici, lo guardò dritto negli occhi. Fu intenso. Gli venne la pelle d’oca. Gli baciò il naso, gli zigomi, gli occhi e per la prima volta, probabilmente in tutta la sua vita, si sentì sinceramente amato per la persona che era nel privato.
La amò con tutto il fervore che aveva in corpo e prima di dormire, la strinse a sé, pregando che quella notte fosse eterna.



Angolo autrice:

Prima di ogni altra cosa: è uscito il video di Photograph. Cioè, io sto ancora piangendo. DOVETE VEDERLO!
Oltre al fatto che la canzone è bellissima ed è stata di ispirazione per questa storia, ascoltarla guardando il videoclip è stato fantastico. Non perdetevelo.
Detto questo, grazie mille per l'assurdo numero di visite, spero vivamente di non deludervi più avanti.
Cosa pensate di questo capitolo? Non vi nascondo che mi è stato difficile affrontarlo, soprattutto su certi fronti, ma l'ho scritto con sentimento.
Fatemi sapere la vostra opinione!
A presto! :D

 
  
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