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Autore: Clockwise    13/05/2015    1 recensioni
«Tu sei... come le matite.»
Amelia aggrotta le sopracciglia.
«Grazie?»
«No, volevo dire...» Davide strizza gli occhi, maledicendosi in aramaico. «Nelle matite c'è la grafite, no? E la grafite è fatta di carbonio puro. Ma anche i diamanti sono fatti di carbonio puro. Quindi in pratica i diamanti sono... matite a pressione elevatissima rimasti in mezzo alle rocce per milioni di anni. E tu...»
Deglutisce. Diamine, quant'è difficile – nella sua testa, tutto suonava decisamente meglio.

Amelia non sorride da troppo tempo.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La mela di Newton'
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Grafite
 
 
And I could not love,
'Cause I could not love myself
Never good enough, no,
That was all I'd tell myself.
And I was not well
But I could not help myself.
I was giving up on living.
Gotye – Save Me
 
 
 
Tre mesi sono passati dall'ultima volta in cui Amelia ha sorriso.
Davide li ha contati con dolorosa rassegnazione, guardandola allontanarsi e sbiadire ogni giorno di più, impotente. Le ha provate tutte: dai dolci, alle commedie sciocche, alle feste tranquille ma divertenti. L'ha perfino lasciata ubriacare, una sera, sperando che così potesse abbandonarsi alla spensieratezza, ma aveva sortito l'effetto opposto: aveva dovuto ripulire le sue lacrime e il suo vomito per ore, lasciarla piangere sulla sua spalla e infine metterla a letto come una bambina – a casa sua, altrimenti i suoi l'avrebbero cacciata in convento, se fosse tornata in quello stato, e a lui avrebbero staccato e fatto ingoiare le orecchie – sì, il padre di Amelia era nella polizia, non un tipo da scherzi.
Non sapeva più che pesci prendere, ma non era tipo da arrendersi – cocciuto come un mulo, gli aveva sempre detto sua madre e, per una volta, aveva ragione.
 
 
«Mi passi il sale, per favore?»
Davide sbatte le palpebre e aggrotta le sopracciglia, guardandola come se gli avesse chiesto la luna.
«No.»
Amelia sgrana gli occhi e finalmente una scintilla – tenue, piccola, ma c'è – di curiosità e stupore balena nelle iridi scure.
«Che cosa... Puoi passarmi il sale, per favore?»
«No» ripete l'altro, posando la forchetta e incrociando le braccia al petto, reclinandosi sullo schienale.
«Non finché non mi dirai che cos'hai.»
Amelia rotea gli occhi e sbuffa, infastidita – le avrà posto quella domanda minimo un migliaio di volte, negli ultimi mesi.
«Passami il sale, dai» ripete, stanca, allungando una mano. Ma lui è più rapido, prende la saliera e inizia a giocherellarci, passandola da una mano all'altra.
«No, finché non avrai risposto» contratta, un mezzo sogghigno compiaciuto sul volto. Amelia chiude gli occhi.
«Davide» inizia, perentoria.
«In fondo non è una domanda così difficile, sicuramente conosci la risposta, non è che una variante di “passami il sale”, tu vuoi il sale che dia sapore alla tua pasta, io voglio una risposta che dia un senso alle mie giornate, non mi sembra-»
«Davide, Cristo santo, dammi quel cazzo di sale!» esplode la ragazza, battendo un pugno sul tavolo. Le posate tintinnano, l'acqua gocciola dal bicchiere troppo pieno. Davide, per la sorpresa, lascia cadere la saliera, che si infrange sul pavimento, in un lago di vetro e sale.
Amelia trema, mordendosi il labbro per non far sgorgare alcuna lacrima dai suoi occhi lucidi.
Davide la guarda desolato, sconfitto.
«Vado a prendere una scopa» mormora. La sedia stride terribilmente quando si alza, voltando le spalle alla ragazza appena in tempo per non vederla scoppiare a piangere.
 
 
Ora sono quattro giorni che lo ignora completamente. Fa finta di non vederlo quando si incrociano, ignora i suoi messaggi e le sue chiamate, lo evita in tutti i modi.
Davide sbatterebbe la testa al muro dalla frustrazione, se solo servisse a qualcosa.
È all'ennesima chiamata rifiutata che scaglia il telefono sul letto e decide di dover scoprire che cos'ha quella ragazza, a tutti i costi.
 
 
Daniela dice che è perché Sandro l'ha lasciata.
Davide fa una smorfia disgustata.
«È troppo intelligente per lasciare che un coglione come Rapanelli la riduca in questo stato!» protesta, indignato. Daniela fa spallucce, soffiando via una boccata di fumo.
«Le voci così dicono.»
Davide rotea gli occhi, mandando a quel paese lei e le sue voci.
 
Sonia dice che è perché i suoi genitori sono troppo protettivi.
Davide storce il naso.
«Va be' che a momenti non fanno entrare in casa manco me che la conosco da quando le rubavo i colori all'asilo, però dai! Scappa dalla finestra senza troppi problemi da quando aveva tredici anni!» protesta, con una smorfia nostalgica – quante volte aveva rischiato di spezzarsi l'osso del collo, facendolo starnazzare come una chioccia apprensiva.
Sonia fa spallucce e torna a guardarsi la manicure.
Davide manda a quel paese anche lei e le sue unghie.
 
Filippo dice che è perché da quando si era messa con Sandro aveva perso tutte le sue amiche e i suoi voti erano calati.
Davide spalanca gli occhi.
«Non gliene è mai fregato niente, né delle une né degli altri!» protesta. Filippo fa spallucce e solleva le sopracciglia, in una smorfia che vuole essere dispiaciuta, ma che risulta piuttosto grottesca.
«Ma che vuoi farci, le donne sono così, hanno i loro umori, valle a capire...»
Gli dà anche una pacca sulla spalla.
Davide si trattiene dallo staccargli la mano e lo manda a quel paese nella sua testa.
 
Sandro dice...
Davide non ricorda bene cos'ha detto Sandro, perché non appena la frase iniziata con “Amelia” è giunta a “puttana”, è partito il suo pugno. E poi è seguito quello di Sandro, e così via finché Abel, con il suo metro e novanta e gli annessi muscoli e notevole peso, li ha separati.
 
Abel dice che Davide è un coglione.
«Ti sembra di poter risolvere qualcosa prendendo a pugni Rapanelli? Che poi è il doppio di te e gioca a pallanuoto, e tu sei un un pittore del cavolo...» borbotta col suo vocione scuro, mentre gli schiaffa la borsa del ghiaccio sull'occhio sinistro senza troppi complimenti, strappandogli un gemito.
«L'ha chiamata puttana» si difende l'altro, pressando il ghiaccio sull'occhio.
«Ma tu perché vai a parlare con lui, per prima cosa? Cosa speravi di ottenere?» lo rimprovera Abel, cercando di farlo ragionare, mentre rovista nei cassetti della cucina in cerca della pomata per i lividi.
«Voglio solo sapere perché Amelia è triste! Sono mesi che a malapena parla, e non sorride mai! Quand'è l'ultima volta che te la ricordi sorridere?» lo attacca. Abel aggrotta le sopracciglia, voltandosi verso di lui.
«Hai ragione, sono secoli che non... Quella volta da Federico! Quando abbiamo suonato! Lì stava ridendo!» proclama trionfante. Davide si toglie la borsa del ghiaccio per poterlo fulminare meglio.
«Era Natale. Ora è giugno.»
Abel aggrotta le sopracciglia ancora di più.
«Oh. Merda.»
«Esattamente» sospira Davide, rimettendo il ghiaccio al suo posto. Sente Abel frugare di nuovo nei cassetti.
«In ogni caso, secondo me queste inchieste alla Montalbano non servono a niente, solo a farti venire un occhio nero.»
«Ma non so che altro fare! E non capisco quale sia il suo problema, e perché non vuole parlarmene...»
«Forse te lo ha fatto capire, ma tu non te ne sei accorto» suggerisce tranquillamente Abel, chiudendo un cassetto e svitando il tubetto di crema. Toglie la borsa del ghiaccio e, con delicatezza insospettabile, spalma la pomata sull'occhio gonfio e violaceo di Davide, che si lascia sfuggire un gemito di sollievo.
«Che vorresti dire, quando...»
Aggrotta le sopracciglia.
 
«Quello lì! Dai, è perfetto, è rosso, come piace a te, non troppo scollato, non troppo corto, ed è pure in saldo, dai provalo!»
Amelia aveva scosso la testa.
«No, è troppo...»
La sua voce si era smorzata, gli occhi bassi.
«Dai, è perfetto! Adesso te lo provi, non mi interessa...»
«... è troppo bello, lascia stare.»
«Ma cosa... che vuol dire, scusa? Amelia! Dove vai?»
 
«Amelia! Consegnami subito quel pacchetto di sigarette!»
«E dai, Davide, piantala di fare la mamma...»
«È per il tuo bene, scema! Perché ti vuoi distruggere da sola?»
Amelia si era limitata a fare spallucce e dargli le sigarette con occhi bassi – tanto sapeva benissimo che poteva riprendersele in men che non si dica, a Davide avrebbero rubato anche la testa, se non l'avesse avuto attaccata al collo...
 
«Amelia... Sono i tuoi disegni questi?»
Davide era inorridito, e triste oltre ogni dire. Amelia aveva alzato le spalle.
«Erano, una volta.»
«Perché l'hai fatto? Erano belli...» mormora, sfogliando l'album sfigurato – i delicati acquerelli e i lievi ritratti a matita e carboncino sfregiati da orribili sferzate di nero, in alcuni punti persino stracciati e accartocciati.
«Lascia stare» aveva detto lei, strappandogli l'album di mano e gettandolo via sotto il letto.
«Andiamo a finire quella versione, su.»
«Ma...»
«E basta!»
 
Abel lo scuote per una spalla – e non è che si possa ignorare Abel, gli sta praticamente scardinando l'articolazione.
«Ti sei addormentato?»
Davide scuote la testa.
«No, scusa, stavo pensando...»
«Eh, bravo, e che hai pensato?» chiede, appoggiandosi al bancone della cucina con le braccia incrociate sul petto.
«Che forse non ha importanza perché sta male. Cioè, sì, però...»
«Secondo me, è troppo sola. E la cosa, quando sei solo, è che un po' ti convinci che è quello che vuoi, e allontani gli altri, ma in realtà non ti piace stare solo, però ormai è questo che credono tutti... E diventi inavvicinabile.»
Davide sbatte le palpebre, guardando il ragazzone davanti a lui come se avesse appena annunciato la scoperta dell'America. Abel si stringe nelle spalle, in soggezione.
«Quindi forse, è questo il suo problema, si sente sola e non accettata. Magari è lei stessa che non si accetta... Però dev'essere qualcosa di radicato, che è esploso all'improvviso anche per una sciocchezza, ma in realtà...»
«Tu sei un genio!» prorompe Davide, alzandosi in piedi e soffocando Abel in un abbraccio – praticamente, appendendosi al suo collo con le braccia, dato che è più basso di lui di quasi una testa.
«Ti adoro, sei un grande!»
E gli appioppa anche un bacio umido sulla guancia. Abel lo guarda perplesso.
«Stai bene?»
Ma Davide, dopo un sorriso smagliante, è già corso via. Abel scuote la testa.
 
 
La madre di Amelia non era molto collaborativa, all'inizio.
«Non vuole uscire, e io non posso mica costringerla...»
«Devi provarci, solo stavolta...»
Ma Davide era un abile oratore.
«E sia.»
E aveva un bel sorriso.
«Ci proverò.»
 
Amelia era stata anche meno collaborativa.
«Neanche per sogno.»
«E dai, è da tempo che non esci, è una così bella giornata...»
«Mamma, piantala, per favore.»
«Amelia...»
La ragazza guarda altrove, incrociando le braccia al petto. Suo madre le accarezza il viso, come non fa da tempo, e i suoi occhi si inumidiscono.
«Sei tanto bella...»
Amelia scosta il viso e torna in camera sua.
La donna rimane in corridoio un momento di più, il tempo di ritrovare la sua compostezza, poi torna in cucina.
«Non ci riesco. Mi dispiace» sussurra. Davide annuisce.
«Non preoccuparti. Vado io.»
 
Davide apre la porta senza bussare, entra fulmineo nella stanza e la richiude dietro di sé. Amelia si volta appena in tempo per sentire una chiave girare.
«Che cosa... Che stai facendo, chi ti ha invitato, vattene subito...»
Davide fa spallucce.
«Non posso.»
A conferma delle sue parole, tira la maniglia dietro di sé, e la porta rimane chiusa.
«Ci hanno chiuso dentro... Mamma! Mamma, apri! Che volete fare, che significa? Mamma!» grida Amelia, scuotendo affannosamente la maniglia.
«Praticamente, è la nostra prigione privata» spiega Davide, sedendosi alla scrivania. «Usciremo quando avremo risolto.»
Amelia si scaglia contro di lui, infuriata.
«Risolto un corno, non c'è un bel niente da risolvere, impiccione del cavolo! Come ti permetti di venire qui e...»
«Sono il tuo migliore amico. Ti conosco da quando eri una nanerottola con le lentiggini e le magliette dei Pokemon, ti ricordo mentre cadevi dalla bicicletta, quando ti sei rotta il braccio, quando portavi l'apparecchio, quando avevi quella terribile frangetta, quando hai dipinto il tuo primo quadro a olio; ti ho consolata quando è morta Polly il pesce rosso, quando Roberto del piano di sopra non ti degnava di un'occhiata, quando ci hanno messi in classi diverse alle superiori.»
Amelia stringe i pugni e abbassa lo sguardo, in piedi davanti a lui. Davide prende un foglio pulito dalla scrivania e una matita.
«Ci facevamo i tatuaggi temporanei che trovavamo nelle patatine, ti ho insegnato tutti i giochi di carte di questo mondo – e ti ho battuto infinite volte. Ho assistito all'ascesa e al tramonto della tua storia d'amore con la chitarra – poverina, dev'essere ancora qui da qualche parte. Ci siamo ubriacati insieme la prima volta, e davvero non so come siamo tornati a casa. Sei stata la mia prima modella, e il tuo primo ritratto è il mio.»
La sua mano scorre veloce sul foglio, gli occhi saettano rapidi. Amelia si è accasciata ai suoi piedi, ma Davide non ha bisogno di vederla.
«Ti voglio bene, Amelia. Davvero tanto. E non posso permettermi di vederti scomparire così, in un gorgo sempre più profondo, trascinata giù da te stessa...»
Aggrotta le sopracciglia, definendo la linea del naso leggermente all'insù. Gli occhi grandi, i capelli spettinati.
«Non è facile... E non so neanche quand'è iniziato. So solo che non mi ricordo più come si fa a-»
Amelia ha chiuso gli occhi, li ha strizzati forte. Davide scivola giù dalla sedia e si accuccia accanto a lei.
«Sorridere? Guarda, è facile.»
Amelia apre gli occhi e Davide mette la matita fra le sue dita e guida la sua mano sul foglio; insieme, al centro del viso rapidamente disegnato della ragazza, al posto della bocca, che Davide ha lasciato in bianco, tracciano un tremolante semicerchio – un sorriso stilizzato.
Davide ridacchia e Amelia gli lancia un'occhiata di rimprovero, sotto sotto divertita.
«Era venuto tanto bene...» si rammarica, scuotendo la testa. Fa per allungarsi e prendere una gomma, ma Davide la ferma.
«Va benissimo così.»
La guarda negli occhi e deglutisce, all'improvviso nervoso. Sente che non può permettersi nessun errore, deve scegliere le parole giuste...
«Tu sei... come le matite.»
Amelia aggrotta le sopracciglia.
«Grazie?»
«No, volevo dire...» Davide strizza gli occhi, maledicendosi in aramaico. «Nelle matite c'è la grafite, no? E la grafite è fatta di carbonio puro. Ma anche i diamanti sono fatti di carbonio puro. Quindi in pratica i diamanti sono... matite a pressione elevatissima rimasti in mezzo alle rocce per milioni di anni. E tu...»
Deglutisce. Diamine, quant'è difficile – nella sua testa, tutto suonava decisamente meglio.
«Tu sei come le matite perché... se volessi, alle giuste condizioni, potresti diventare un diamante. La capacità di tirarti fuori e splendere sta dentro di te. Soltanto tu puoi aiutarti. Ma devi sapere che avrai qualcuno, qua fuori, pronto a darti una mano quando serve. Va bene?»
Amelia non si muove, tenendo il viso basso.
«Amelia... Va bene?»
«Idiota.»
Si sporge e lo intrappola in un abbraccio.
«Idiota, stupidissimo idiota... “Sei come le matite”, questa non l'avevo mai sentita... Hai costretto mia madre a farci da carceriere, hai messo su tutto questo teatrino... Sei completamente matto» mormora contro la sua spalla. Davide la stringe a sua volta, esitante.
«Quindi ha funzionato?»
Sente la sua schiena vibrare. Si scosta leggermente, quel tanto che basta per vederla in viso.
«Finalmente» mormora, catturando una lacrima che le rotola giù per la guancia, prima che rovini quel bel sorriso.


 




Di nuovo, il professore di biologia si è rivelato un'insperata fonte di ispirazione. Tanto love per quell'uomo.
E anche per voi, che avete letto fin qui :)
E Gotye (il tipo che qualche anno fa ha rotto le scatole fino all'inverosimile con quella canzone dove veniva pitturato dalla testa ai piedi) è in realtà un gran figo. In senso metaforico.
-Clock
 
  
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