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Autore: Luna_R    14/05/2015    0 recensioni
La finestra era aperta alle spalle del suo aguzzino, riuscì a scorgere dal limbo della sofferenza, una striscia del mare di Odessa e fu felice di morire guardando per l'ultima volta, qualcosa che le ricordasse casa sua.
Era sciocco pensarci.
Era sciocco non provare una parvenza di paura.
Era sciocco patriottismo e vana speranza di essere appartenuta veramente a qualcosa.
I suoi genitori l'avevano venduta. Così, tutto era cominciato. E così, tutto stava per finire.
Era sciocco, sì.
Era sciocco avere diciassette anni e trovarsi sul punto di morte.
"Dì le tue ultime preghiere."
Udì, prima che il boato di uno sparo, risucchiò la sua vita in un secondo.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ekaterina

(La fuggitiva)






Nel cominciare il prossimo capitolo,

ci tenevo a ringraziare coloro che hanno inserito la mia storia fra le seguite.

E davvero chiunque abbia speso un minuto della propria giornata nel leggerla.

Adesso sarei davvero felice se qualcuno mi lasciasse un parere oggettivo, per chiudere il cerchio.

Vi aspetto dunque lettori!

Un saluto, Lunaedreamy.


Affinità. Capitolo 5





La bufera cessò, così come era cominciata, portando via con se i venti freddi del nord.

Qualcosa era cambiata. Elena percepiva nell'aria una strana quiete, il silenzio ambito e una nuova energia che la faceva apparire molto serena e determinata. La vita era un continuo rinnovarsi, come chiunque altro aveva fatto della resilenza un'arma infallibile per andare avanti e contro ogni previsione, era nata in lei la speranza.

War Machine guardava il suo riflesso nello specchio, ammiccando di tanto in tanto o sparando battute sconce per farla ridere, con il risultato che quella sera ci mise un quarto d'ora per passarsi un pò di rossetto sulle labbra.

"Stasera cosa abbiamo sul menù?" Chiese sarcasticamente.

Alzò gli occhi al cielo e si issò. "Un vergine e degli amici premurosi."

War Machine emise uno strano fischio contraendo il volto in una smorfia. "Non ti invidio per niente."

"Perchè non hai visto il tizio che ti ha rifilato Marcello." Replicò divertita. "Per quello non ti servono nemmeno gli auguri." La donna scosse il capo dapreggiandosi addosso un coprispalle piumato.

"Stasera mi concedo un pò di noia. Usciamo insieme o resti quì a fare la simpatica?"

Elena le passò un braccio intorno alla spalla e si portarono fuori. "Fammi gli auguri." Berciò dinnazi alla camera per gli incontri singoli.

"Tanti auguri." Rispose divertita. "Non strapazzarlo troppo."

Elena la fulminò con lo sguardo e quella proseguì ancheggiando lungo il corridoio; capì che era arrivata a destinazione e che aveva fatto la conoscenza del suo cliente perchè tutto a un tratto, nel silenzio del corridioio, si udirono epiteti in uno strano mix di lingua latino-americana. Rise e spinse in avanti la porta di ingresso.



Il ragazzo era seduto sul bordo del letto, in attesa. Trepidante attesa, quasi nervosa.

Aveva grandi occhi blu spalancati e quasì sussultò nel vederla. Elena sussultò a sua volta. Mio Dio, pensò.

Era giovane, forse la sua età o qualcosa di meno, ma la cosa che la sorprese è quanto fosse inaspettatamente bello; non che la casistica richiedesse sistematicamente uomini brutti, ma almeno mediocri e raramente aitanti come quello che le si presentava in quella occasione così particolare.

Vergine e bel fusto, uno strano connubio, era abituata decisamente ad altro.

Ripassò mentalmente la descrizione passata da Marcello -aveva saltato la trafila del bar perchè quello in teoria era il suo giorno libero ma dopo la buca di una delle ragazze si era fatta avanti dato la piega noiosa che aveva preso la serata- e non ricordava avesse accennato a regalo per i diciotto anni o addio al celibato perciò aveva davanti a se un enigmatico caso di giovane uomo vergine e bello e detta così.. cominciava a risultare un pò pesante.

"Ciao." Inspirò, cercando di apparire distesa. "Sono Elena, la principessa di Troia."

Recitò la sua frase di benvenuto con il sorriso malizioso di chi sa cosa intende, quello dal sapore di mille promesse, che restò però senza seguito, dato che il ragazzo alzò un sopracciglio perplesso.

"A me non sembri una principessa." Esordì con pieno candore nel tono di voce.

Elena strabuzzò gli occhi, interdetta. "E a me non sembri un diciottenne." Rispose piccata, riacquistando lucidità.

Il ragazzo schizzò in piedi, "Perchè non ho diciotto anni!" Prese a camminare nervoso su se stesso, lei seguì attentamente ogni movimento, quando si fermò e alzò gli occhi nei suoi, si diresse verso il piccolo bancone bar.

Ogni stanza ne aveva uno e per quanto odiasse il fetido odore di alcool nella bocca umana, benedisse il fatto che ci fosse; questo lo aveva imparato da Marcello, sciogliere la tensione mostrando al cliente dei gesti metodici, confidenziali come offrire un drink, cercare un primo contatto, instaurare fiducia, perchè per quanto tutti fossero attratti dal sesso e dalle sue varianti più o meno pericolose, non tutti riuscivano poi ad arrivare fino in fondo.

E questo ragazzo le sembrava, minuto dopo minuto, proprio uno di quei casi.

Si piegò lentamente mostrando con tutta la sensualità che possedeva la gamba lunga e magra fasciata dalle autoreggenti chiare e voltò nuovamente il capo nella sua direzione. "Whisky?" Pronunciò con dolcezza.

Il ragazzo annuì appena, il groppo in gola evidente.

Con molta calma lasciò che la guardasse preparare i due bicchieri, agitando sfacciatamente ed eroticamente i seni baldanzosi stretti nel corsetto bianco e i lunghi capelli scuri sulle spalle, cercando di tanto in tanto la sua attenzione; quando il rituale terminò, lo avvicinò porgendogli il bicchiere.

Diede per prima un assaggio, invogliando il ragazzo a fare altrettanto; il tocco gelido del ghiaccio, lo calmò.

"Come se fosse impossibile essere vergine a ventiquattro anni." Commentò fra se e se spezzando il silenzio.

"E' impossibile che tu sia cattolico in questo mondo perverso." Gli rispose, ferma. "Non è impossibile che tu sia vergine, se fossi di un altro pianeta."

Risero all'unisono, Elena posò il bicchiere sul pavimento e si sedette.

Il ragazzo sorseggiò ancora, sedendole accanto.

Era parecchio bello, constatò ancora, fissandolo negli occhi blu. "Come ti senti?" Chiese.

"Meglio."

"Voglio che tu sappia che questo spazio è fatto per farti sentire a tuo agio. Ogni richiesta che farai sarà dettata solo ed esclusivamente dal tuo volere e dal tuo piacere. Possiamo parlare del tempo, di te, dei tuoi interessi. O possiamo sfruttare l'ora che i tuoi amici ti hanno regalato. A tal proprosito ho una serie di regole.."

Il ragazzo la interruppe. "Mi hanno dato un'ora?" Chiese quasi infastidito. "Questa la loro valutazione? Vado alla grande direi.."

Elena sorrise. "Immagino che invece loro siano pieni di racconti di stoccate che neanche uno schermidore.." Il suo volto tradì una smorfia sarcastica. "Alcuni maschi parlano più di quanto concludono. Pensiamo a noi, ti va?" Il ragazzo annuì. "Partendo dal presupposto che io non sono una principessa e che tu non sei un diciottenne, possiamo continuare a stercene così, rilassati.. senza pressioni." Si lasciò cadere all'indietro, fra le morbide coperte di raso. "Magari se vuoi puoi dirmi il tuo nome."

"Mi chiamo Guido Andrea." Rispose stendendosi su un fianco.

"Molto aristocratico."

"Sei molto profonda." Disse, per finire in un mucchio di risate quando Elena lo guardò maliziosa. "Non ti fai scappare i dettagli eh?!"

"Mai! Quindi ci ho preso. Sei anche ricco."

"Anche?!" Le fece eco.

Elena si sdraiò sul fianco fino ad essere perfettamente allineata al suo volto. "Sei molto bello, giovane, vergine ed anche ricco. Una categoria di donne quì dentro impazzirebbe per te. Mi chiedo cosa ci faccia io quì."

Guido schioccò la lingua. "Non sono per tutte, evidentemente."

"Non ti offendere, era un complimento. C'è una concorrenza spietata quando si tratta di bei fustacchioni ricchi."

Il ragazzo scivolò all'indietro, pesantemente. "Se te lo fossi chiesta, questo è il motivo per cui sono vergine."

"Naa. Non credo tu sia spaventato da questa tipologia di donne. Penso c'entri di più una madre opprimente o un conflitto padre-competitore.. ma io non sono una psicologa, fra le altre cose."

"No, direi di no." Disse lui sorridendo sarcastico.

"Sei molto sgarbato con queste risposte." Finse dispiacere, abbandonandosi nuovamente con la schiena all'indietro. "Allora, ci ho preso anche stavolta?!"

Guido si portò una mano sugli occhi, il resto del volto scoperto, era vestito di un bellissimo sorriso spontaneo; Elena desiderò baciarlo e questo desiderio la imbarazzò molto. Non le capitava da tempo di confrontarsi con un cliente coetaneo, ma considerò che i turbamenti che provava fossero normale attrazione fisica fra giovani della stessa generazione e a giudicare dalla complessità dello splendido individuo che le giaceva accanto, anche degli stessi vissuti.

"Pensa che ho la fortuna di avere entrambi i casi. Sono il figlio maschio primogenito di una dinastia che ha avuto solo donne negli ultimi venti anni e mio padre è a capo della Franciolli, azienda che ha assorbito quando aveva ventitre anni. Sono indietro di un anno nella sua personale tabella da primatista del cazzo e studio giurisprudenza, tanto per fargli un dispetto." Rispose dopo un pò.

Franciolli, pensò Elena. La Brianza era sovrastata da questo nome. E lei era sovrastata dal rampollo della grappa a quanto pare. Accidenti, che confusione! Non era abituata nemmeno a questo, i clienti in genere si sfogavano parando di vite sessuali insoddisfacenti o lavori precari. I ricchi tacevano. Ma Guido proseguì, dileguando i pensieri.

"E comunque neanche io dovrei essere quì. E credo nemmeno il futuro sposo che siamo venuti a festeggiare.. mi avevano detto fosse una tranquilla festa fra amici, quando mi hanno tirato in mezzo, non ho avuto le palle per tirarmi indietro."

"Se lo avessi fatto sarebbe stato peggio." Ammise rammaricata. "Ma possiamo rimediare e mettere fine alle chiacchiere di questi stronzetti." Si tirò su e con molta attenzione si sfilò gli slip, porgendoli nella sua direzione.

"Oddio ti prego no. E' davvero umiliante come cosa."

Elena sbuffò. "E allora mi arrendo!" Alzò le mani in segno di resa e si stese dandogli la schiena.

Si trovò a sorridere del grado di intensità, del tutto sbagliato e assolutamente vietato dal regolamento, del suo coinvolgimento verso quel cliente così bizzarro e pensò che era arrivato esattamente nel momento giusto, in questo stato un pò di oblio in cui versava, senza lacrime e tragedie.

Guido la sorprese. Protese la mano verso il suo fianco, aggrappandovi ma senza alcuna inflessione carnale, quanto più un tocco delicato e delizioso, una testimonianza di presenza. Restò immobile, ad assorbire quel calore così estraneo eppure confidenziale, quasi già conosciuto, senza dire o fare alcuna cosa potesse spezzare quel flusso di piacere.

Aveva scopato tante volte, ed era riuscita ad arrivare al piacere altrettante, ma l'appagamento di quel momento le valeva tutte messe insieme. Non era un discorso puritano e non avrebbe rinnegato ciò che aveva fatto o stava facendo per vivere, solo una piccola ricompensa e l'illusione di essere toccata dopo molto tempo, dalla purezza nella sua forma più grezza.



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Migliaccio abitava in una desolata ma silenziosa zona di periferia, un manipolo di ville costeggiate da colline e alberi, su una strada senza uscita. Lui e sua moglie Marina lo aspettavano a cena per le nove.

Era in anticipo di mezzora.

Questo vizio non lo avrebbe mai abbondonato e questo vizio era diventato negli anni quasi una mania; non era preoccupazione per il traffico o il tempo, era protezione, un vizio di forma che non era riuscito più a togliersi ma che tanto tempo prima, lo aveva salvato.

Restò in auto con la radio accesa e lasciò che i minuti scorressero su vecchie notizie del weekend calcistico appena trascorso, quando il cancello automatico si aprì; Migliaccio sull'uscio, smanacciava il gesto d'entrare.

"Fa sempre così." Disse sorridendo alla moglie in casa. "In anticipo su tutto, ma è una brava persona. Hai messo su l'acqua per la pasta?"

La donna annuì, accarezzandogli la guancia. "Non essere teso, ho pensato a tutto."

Leonardo salì la piccola rampa di scale fino alla porta e porse alla signora un vassoio di dolci; la donna lo ringraziò invitandolo in sala da pranzo. "Mio marito mi parla spesso di lei, dice che è un buongustaio. Ho origini terrone anche io, la capisco."

"A giudicare dai profumi so già che sarà un'ottima cena, ma ti prego Marina, stasera diamoci del tu."

Silvio spuntò alle spalle della moglie, prendendo posto. "Ancora pochi minuti e cominciamo, capo."

"Silvio, il tu." Sibilò, per poi sorridere al suo sottoposto. "Aspettiamo qualcun'altro?"

Guardò velocemente alla tavola; apparecchiata in grande stile per quattro, tovaglia, bicchiere e posate color acquamarina e un piccolo bouquet di fiori bianchi al centro, vino bianco e bevande analcoliche.

"Francesca, la ragazza del tabacchi." Migliaccio sorrise sornione e Leonardo lo incenerì.

Il campanello suonò poco dopo e Marina lasciò la stanza in balia di fulmini e saette.

"Questo è un agguato, sappilo." Bisbigliò una volta rimasti soli.

"Non volevo metterti in imbarazzo. Avevo capito che fra voi due ci fosse qualcosa."

Un paio di notti di sesso bollente e ancora.. notti di sesso. Già, solo quello. Forse era abbastanza, pensò Leonardo.

Quando la ragazza entrò nella stanza entrambi si alzarono dalla sedia per salutarla; indossava una minigonna coi tacchi e portava i capelli sciolti, morbidi sulle punte, in mano trasportava un pacchettino di una nota pasticceria del centro e porgendolo a Marina, guardò Leonardo sorridendo. "E' un piacere rivederti."

In realtà si vedevano quasi tutti i giorni, il tabacchi era attiguo al bar accanto alla caserma ma i suoi occhi vispi e maliziosi sapevano bene dove andare a parare; non l'aveva più cercata per quel qualcosa che avevano in comune.

Glissando ogni accusa, le strinse la mano nella sua, baciandola sul dorso. "Anche per me."


Come previsto Marina si rivelò un'ottima cuoca e nonostante il tranello, la serata scivolò giù piacevolmente.

Francesca era una bella ragazza, allegra, divertente fuori dagli schemi della seduzione; il suo problema era quello, era pieno di amiche, perchè quando il gioco cominciava a farsi serio, ingranava la retromarcia a velocità folle.

Non era stato sempre così, sulla soglia dei suoi trentatrè anni; aveva amato ed era stato amato, ma quell'amore gli aveva lasciato addosso una cicatrice che non s'era più rimarginata e il peso di alcune battaglie perse, che solo con grande forza di volontà, stava imparando a combattere oggi. A volte si fermava a pensare a una Francesca, o una Ludovica che sia, a quale fra quelle donne sarebbe stata in grado di cambiarlo, arrivando alla conclusione che per arrivare ad un cambiamento doveva lui stesso desiderare di cambiare e per ora, non era così.

La sua solitudine si era cucita così perfettamente addosso, da non sentire la necessità di sporgliarsene.

"Migliaccio mi raccontava che vieni da Napoli. Come è stato lavorare in una realtà così diversa da quella in cui ti trovi ora?" Chiese Francesca a metà fra il secondo e il dolce. Leonardo si pulì l'angolo della bocca e riflettendo un pò su, sorrise e si versò dell'acqua; Francesca seguì attentamente la sua scelta e i suoi occhi si accesero.

Ricordava molto bene le fugaci notti sbronze che avevano passato insieme, appena conosciuti un anno prima; di lui sapeva ben poco e poco voleva saperne, quegli occhi di ghiaccio e tormentati raccontavano molto più di quello che lui stesso ammetteva e le bottiglie vuote accanto al comodino raccontavano verità che forse era meglio tacere, per un uomo come lui.

Si erano fatti compagnia, avevano fatto del buon sesso e Leonardo era un uomo colto e interessante, quel vizietto non sporcava l'idea che si era fatta di lui, trovarsi in sua compagnia dopo molto tempo e constare che non aveva toccato alcool per tutta la cena, la rendeva contenta.

"Avventuroso. Complicato. Bellissimo." Rispose fermamente. "Ma il mio lavoro è fatto di traferte, ed ora eccomi quà, nell'ordinaria Brianza piena di gatte da pelare che al confronto di prima, sembrano Baghdad."

Marina rise e Francesca s'accigliò. "Ho sentito dire che state seguendo una pista per le prostitute uccise."

Leonado guardò Silvio di soppiatto. "Certi colleghi parlano troppo fra un caffè e l'altro."

"Non si parla di lavoro, ricevuto." Francesca sorrise e si alzò. "Marina ti aiuto a sparecchiare."

"No stai pure lì, mi aiuta Silvio, così prepariamo un buon caffè."

L'uomo guardò la moglie con complicità e la seguì in cucina.


"Credevo non fosse stata tua la scelta di venire quì." Sussurrò Francesca una volta soli.

Leonardo spalancò gli occhi, cercando di ricordare cosa le avesse raccontato fra i fumi e i fiumi di acool.

S'affacciarono altri ricordi.




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Napoli


"Un altro bacio."

"Roberta, devo andare.."

"Solo uno. Piccolo. E dove vai sempre di corsa!"

La ragazza bruna scivolò dal letto seminuda, il viso pieno di lentiggini appiccicato al suo; gli era volata in braccio come al solito. Sembrava una bambina mentre reclamava un altro bacio del buongiorno.

La baciò e lei sorrise appagata. Era un incanto ed era veramente tardi, la tangenziale intansata, gli avrebbe fatto rimpiangere quel momento. "Ora vado. Ho preso l'accappatoio e il bagnoschiuma, non passerò per casa stasera, quindi non ti dimenticare l'appuntamento con gli altri alle otto e mezza. Pizza o quello che ti pare."

"Va bene." Biascicò lei, rimettendo piede in terra. "Otto e mezza, pizza. Ma come mai una rimpatriata? Adele e Gianluca sono un anno che non li vediamo, si sposano forse?"

Leonardo sorrise. "Eh si, mi sa che vogliono darci questa notizia."

"Evviva.." Rispose senza troppe inflessioni, diregendosi in bagno. "Meglio che mi do una sistemata, oggi sarò via tutto il giorno con Tiziana, per il progetto della casa nuova. Il tuo capo la tratta da vero stronzo."

Leonardo restò a fissarla tirarsi su i capelli, con il suo bel profilo mediterraneo; incazzata era ancora più bella.

"Il potere genera onnipotenza, lo sai."

"Lo so." Ribattè certa, una strana venatura nella voce. "Tu quando farai tua questa filosofia?"

Stava spingendo per la sua promozione quasi fosse una coach impazzita.

Non parlava altro da sei mesi, da quando le aveva comunicato che c'erano alte probabilità lo facessero ispettore. Aveva organizzato cene con il questore e sua moglie, vernissage, aperitivi, con il risultato che si era accaparrata la loro fiducia e simpatia e pure la ristrutturazione di un appartamento in pieno centro.

"Sono incorruttibile." Rispose serio. L'avvicinò e la strinse a se. "Incorruttibilmente pazzo di te. A stasera." E la baciò sulla bocca ancora sporca di dentifricio, con un sorriso fanciullesco.

La porta di casa si chiuse in un tonfo.

Roberta fissò lo specchio intensamente e maliziosa afferrò il cellulare nascosto accanto alla trousse.

Compose velocemente un numero. Rispose una voce roca.

"Buongiorno.." Soffiò melensa e proseguì la conversazione come se gli impegni fuori, potessero aspettare in eterno.


Giulio non era in ufficio, aveva pensato alle parole di Roberta come se le avesse pronunciate la prima volta e finalmente si era deciso ad affrontare il discorso con lui; tanto per chiarire a che punto fosse la trattativa e l'esame per la promozione, che aveva svolto poco tempo prima. Se tutto sarebbe andato come i piani, avrebbe occupato una comoda poltrona in questura e scongiurato, almeno per un bel pò, imminenti trasferimenti.

In realtà i piani erano molto più ampii e per nulla dati al caso.

Quella sera stessa avrebbe chiesto a Roberta di diventare sua moglie. L'amozione gli attanagliava la gola, ma sapeva che non poteva più aspettare, l'amava troppo per iniziare dei nuovi progetti di vita, senza quello più importante, al momento; creare una famiglia con lei. Il resto, lo avrebbe scelto il destino.

E quello scelse, lanciando in aria la sua moneta.

Quel pomeriggio passò molto velocemente, nel solito tram tram metropolitano fatto di rapine, violenze domestiche, furti e quanto più una città potesse offrire. Rientrò in ufficio per delle segnalazioni e guardò rapidamente all'orologio.

Erano le sei, avrebbe fatto una veloce doccia in caserma e confermato la presenza degli amici, con un giro di telefonate. Alle sei e un quarto era già sotto al getto d'acqua bollente.

Sereno, appagato.


Roberta era a casa, guardava nervosa l'orario, chi aspettava era in ritardo e se c'era una cosa che odiava davvero, era aspettare. Il suo tailleur scuro era appeso alla gruccia, dove lo aveva lasciato la mattina.

Quella stronza non ha avuto neanche il buon gusto di scusarsi, pensò quando il trillo del campanello scolorì la rabbia.

"Sei arrivato.." Disse, accogliendo l'ospite e richiudendosi la porta alle spalle.

Quando il mondo fu fuori, aprì adagio la vestaglia, scoprendo il corpo tonico, nudo e desideroso.

L'uomo soffiò un ringhio glutturale dalla bocca, portandosi avidamente le mani sulla cintura dei pantaloni.

"Si è slogata una caviglia al corso di pilates. Con quello che mi è costato, finirà per non tornarci più." Fece scivolare i pantaloni lungo le gambe e con un gesto secco, tolse via il resto degli indumenti.

La prese a se come un animale agguanta una preda, scaraventandola sullo schienale del divano.

La stronza è pure bugiarda. Noie sul lavoro, certo. Roberta si leccò le labbra, guardandolo fisso oltre le sue spalle.

La penetrò con rabbia e lei gracidò.

"Fottimi." Disse. "Non pensare a lei. Fottimi."

L'uomo iniziò le sue spinte domato dalla foga, dalla lussuria e una certa volgarità.

Affondò i suoi colpi a suoni di epiteti e Roberta gemeva e rideva come se fosse le parole più dolci del mondo.

Si girò velocemente e lo accolse nuovamente arrampicandosi alle sue spalle, stringendo i suoi capelli brizzolati, che profumavano di mare, fra le mani. Sentiva il volto in fiamme e provava un desiderio per quell'uomo così diverso dal suo compagno, che certe emozioni la sconvolgevano per quanto intense. L'orgasmo arrivò in fretta.

Giulio si spostò e le rovesciò i suoi fluidi sulla gamba.

Aprì di fretta gli occhi. Un rumore sul fondo così diverso dai loro respiri.

La visuale era il seno nudo di Roberta e la porta alle sue spalle.

"Leonardo." Gli sentì pronunciare.

Roberta ancora in braccio e stordita dal sesso, lo guardò truce. "Leonardo?!"

Il volto di Giulio era bianco come uno straccio, allora capì, si voltò lentamente, la paura stampata sul bel volto mediterraneo. Guardò l'orologio. Erano le sette.

Era tutto sbagliato; Leonardo, i suoi amici sul pianerottolo che guardavano la scena basiti di lei e il questore nudi, con ancora i postumi dell'orgasmo stampati sui volti. Qualcuno andò via, scongiurando una tragedia.

Era tutto sbagliato. Anche le sue lacrime.

Poi la furia di Leonardo abbattersi su Giulio, con due cazzotti che lo stramazzarono al pavimento e non contento una scarica di calci, alla quale l'uomo riverso in terra cercava di rimediare stringendosi su se stesso.

"Così lo ammazzi!" Riuscì a dire Roberta, afferrando la vestaglia per ricoprirsi, nel tentativo di fermarlo.

Alcuni ragazzi entrarono in casa, cercando di aiutarla a tirarlo via.

Fu tutto inutile. Giulio venne portato via da un'ambulanza, due costole rotte e una frattura al setto nasale; Leonardo fu allontanato dai colleghi, portato in questura in stato di fermo.

Voleva farle una sorpresa, ma la sorpresa l'avevano fatta a lui. Erano mesi che organizzava la cosa, con la complicità degli amici, una richiesta di matrimonio plateale certo, ma vera, che nasceva dal profondo del suo cuore.

Da quel giorno, cominciò a temere gli imprevisti, le sorprese stesse.

Da quel giorno si scatenò una vera e propria psicosi per gli anticipi.

Come se aspettasse ancora di aprire quella porta e trovare davanti a se quella scena.

Una catastrofe imminente.

Da quel giorno la sua vità cambiò e tutto il male che riuscì a provare per quella violazione di animo e fiducia, l'acool lo curò con un finto oblio caldo e un vizio chiamato alcolismo.




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Aria. Mancava l'aria. Buttò giù il suo bicchiere d'acqua, mentre Francesca abbassò lo sguardo sulla tavola.

Credette di esser stata invadente. "Tu mi incuriosisci molto, scusa."

Leonardo si sforzò di dirle qualcosa. "Tu sei una brava ragazza, davvero, non credevo di piacerti o interessarti, sono un coglione."

"Sta tranquillo. E' stato solo sesso anche per me." Ribattè decisa. "E sono felice di vederti sereno." Gli strinse affettuosamente la mano, guardando verso il corridoio. "Quei due non tornano più, fa una battuta stupida così che io possa ridere come una stupida, almeno pensano che siamo vivi."

L'uomo la guardò intensamente. "Sei davvero interessante, ero serio prima." Poi si avvicinò al suo orecchio. "Ho pestato di botte il capo questore che ho trovato a fottersi mia moglie, in casa mia. L'ho quasi ammazzato. Sono stato mandato quì appena ricevuta la promozione, non mi ha denunciato per il tacito accordo di non farmi più vedere."

Tornò al suo posto, sorridendo gelido.

Francesca alzò un sopracciglio. "Divertente, sapevo che eri pazzo." E lo lasciò appeso al dubbio se avesse accettato o solamente sorvolato, i piccoli particolari della sua confessione. "Andiamo via?!" Si guardarono con desiderio malcelato e si sciolsero in una risata, però sincera e di gusto.

Marina e Silvio tornarono con i caffè che sorseggiarono in fretta e furia.

"La scorto fino in città, meglio se andiamo."

Migliaccio annuì ben felice e Marina li ringraziò per i dolci. "A presto."

Si chiuse il cancello automatico alle loro spalle e si aprì dinnanzi a loro una notte, fatta di quel qualcosa che certe persone trovano in comune, senza giudizi, pressioni, rimpianti, come se la vita fosse racchiusa in quei momenti e in quegli attimi. Tutta là. Preziosa, unica, irripetibile.

Leonardo accarezzò il corpo di Francesca tutta la notte e tutta la notte non disse una parola.

Francesca giocò a fare l'amore e parlò al posto suo,

Alcune persone non hanno nulla in comune. Ma la stretta affinità, può far diventare quel niente, tutto.




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Lo squillo del telefono sul comodino, la gettò nello spavento.

Elena aprì gli occhi impiegando qualche secondo a capire dove fosse; un braccio le cingeva la pancia.

"Oh.." Sussultò, voltandosi. Guido aprì gli occhi, inquadrandola. "Abbiamo dormito parecchio."

Il telefono continuò a squillare, afferrò la cornetta controvoglia. "Si."

Marcello rispose rispose dall'altro capo. "Tutto bene?"

Erano lì da almeno cinque ore. "Preoccupato?"

"I suoi compagni sono andati via ridendo."

"E allora? Vuoi chiamare i suoi genitori?" Guardò il ragazzo che si alzò, mimando il bagno in lontananza. "Pagherà tutte le ore, stai sereno." E agganciò senza troppe remore. Si alzò in direzione della porta del bagno e bussò delicatamente. "Se vuoi fare una doccia, hai tutto ciò che ti serve." Guido aprì la porta; si era sciaquato il viso e stringeva in mano l'asciugamano. Non si accorse subito che era nudo, ma vide bene la sua mano protesa a palmo aperto, che la invitava a seguirlo. Si scambiarono uno sguardo intenso, Elena sussultò, ma quella mano rimase ferma a mezzaria.

"Se accetto, nulla sarà più come prima."

Guido non rispose, ma si avventò sulla sua bocca, premendola forte contro la sua; Elena schizzò indietro ma sorrise, tirandolo a se, fuori dal bagno e di nuovo nella stanza. "Devi sentire tutto quello che il tuo corpo ti dice. Ma rispetta le mie regole; niente baci." Guido provò a baciarla ancora, Elena lo spinse dolcemente sul letto.

Salì a calvalcioni su di lui e lo guidò a spogliarla e accarezzarla, da manuale, come un insegnante; Guido la guardava bramoso ma attento, seguendo le forme del suo corpo, imprimendole nella mente. Si fermò ai seni, li sfiorò senza toccarli veramente, intimidito.

"Lasciati andare.." Sussurò Elena, guidando la mano con la sua.

Guido ubbidì e si tirò sù, dapprima impacciato, poi sempre più curioso, fino a che la donna lo lasciò fare, gettando le braccia all'indietro; i seni si aprirono al suo viso, con le labbra li saggiò, ridendo della sua stessa timidezza.

Sazio scese fra il solco e la pancia, facendo scivolare Elena sulla schiena, quasi fino a salirle sopra; torturò il suo collo con dei morsi ritmici e delicati, tirando le braccia della ragazza in sù, oltre il capo.

Si sentiva forte, beato, ed eccitato come non lo era stato mai.

Elena teneva gli occhi aperti, vigili, i ruoli totalmente capovolti.

Indicò il cassetto alla sua destra quando capì che era pronto; il ragazzo annuì diligentemente, passando alla scoperta del prossimo passo con gioia e curiosità.

Con i denti strappò la bustina del condom che aveva trovato e con sicurezza lo posizionò; la donna annuì e si guardarono ancora, Elena si tirò su e furono l'uno difronte all'altra, spogli dei loro pregiudizi, senza catene.

"Sdraiati." Disse con voce roca.

"Voglio sentire tutto." Rispose lui.

"Abbiamo l'intero giorno.. sdraiati." Sorrise e Guido si lasciò andare, sdraiandosi.

Elena guidò la penetrazione con lentezza disarmante, augurando fuori d'artificio per quel giovane bramoso, con le gambe strette intorno al bacino e le bocce vicine a sfiorarsi; scivolò su di lui che la teneva imprigionata per i fianchi, con le sue mani piccole e delicate, ogni tanto la mordicchiava sul mento, ridendo appagato o gemendo a seconda dell'intensità delle risalite della ragazza. Il ritmo lento-veloce, squassò Elena con un orgasmo inaspettato e violento.

Guido osservò impressionato il suo volto in estasi, la ragazza aprì velocemente gli occhi.

"Come ti senti?" Chiese.

"Mai stato meglio."

La tirò al suo fianco e attese che il suo respiro tornasse regolare; con un colpo di reni si posizionò su di lei, sistemando fra le sue gambe schiuse, il bacino. La penetrò ancora, stavolta stoccando un colpo dalla rapidità glaciale, seguito da altri affondi della stessa intensità. Elena gemeva ad occhi aperti, provocandolo, mordendosi il labbro succoso, invogliandolo a spingere sempre di più forte; tirò in alto le gambe fino alle sue spalle, dove si posò, completamente rannicchiata e in balia della sua possenza e delle sue stoccate.

Guido raggiunse il piacere in un boato di gridolii eccitati ed eccitanti, mantenendo il ritmo fino alla fine.

Quando spalancò gli occhi, Elena rise.

"Non crollare proprio ora, in bagno, forza!"

Il ragazzo prese il respiro e scese dal letto; le gambe erano cedevoli ma sentiva un'assurdo fuoco nelle vene.

"Andiamo." Disse fermamente, prendendo Elena per mano.

Aveva ragione, niente sarebbe stato più come prima.



L'ultimo bottone della camicia restò aperto, mentre guardava Elena rivestirsi e prendere le sue cose.

La donna era incredibilmente seria e concentrata, mentre passava le mani fra i capelli, sistemandoli.

Non sapeva dire che ore fossero o quanto tempo erano rimasti lì, sapeva solo che era incredibilmente euforico, in quella stanza che a guardarla bene, era davvero pacchiana e molto disco club anni ottanta, con tutti quei neon soffusi.

Non era più vergine.

Si trovarono a guardarsi, sull'uscio. "Ho una frase fatta per questo momento, ma non la userò."

"Se è come quella d'entrata, lascia stare."

"Questo è carattere. Ricordalo e non farti schiacciare da nessuno."

Guido la trattenne. "Non ti ho mai vista in città."

"Ci sono delle regole Guido.." Rispose schiva.

"E' tornata la principessa di Troia."

Elena rise. "Bravo, vai a fare incazzare papino, adesso. Scommetto non si divertirà quando saprà di dover spuntare questa voce, dalla sua tabella da primatista del cazzo." Gli fece l'occhiolino, ed aprì la porta.

Distacchi brevi, sempre. Questa una delle regole, ma chissà perchè, si guardò indietro prima di andare via.




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La luce del sole inondava la stanza facendola apparire sbiadita.

Era pieno giorno, non avrebbe chiuso occhio, lo sapeva, raramente riusciva a dormire dopo mezzogiorno.

Si lasciò cadere sul letto e guardò fuori. Cielo terso, una rarità.

Quasi automaticamente chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare dal silenzio e rimase a fluttuare nell'oblio.

Marcello la ridestò bussando alla porta. Riconosceva subito il suo tocco; burbero e ostentato.

"E' aperto." Biascicò con la faccia sul cuscino.

Lui aprì silenziosamente, era ben vestito, il viso rasato e profumato. "Dovresti chiuderla sempre."

"Sei troppo paranoico. A parte te non vedo altri molestatori in giro." Si sentiva stranamente cordiale e spiritosa.

"Sei felice." Berciò lui, un tono ostico, la infastidì. "Vedo che le ripetute attività notturne ti hanno giovato all'umore.. e non solo. Sei bellissima stamattina."

"Arriva al dunque." Disse indossando la faccia di bronzo consueta.

"Te le ricordi le regole, vero?"

"Come dimenticarle." Sorrise sghemba.

"Beh quel tizio, il ragazzino di stanotte.." Sottolineò la frase con malcelato disappunto "..ti vuole come accompagnatrice ai suoi eventi."

Elena non tradì la minima emozione. "Hai accettato?" Rispose fredda.

"Mi ha lasciato cinquantamila motivi per accettare." Mimò un cinque con la mano.

La ragazza sorrise, inchiodandolo con lo sguardo. "Allora di cosa ti preoccupi? Regole? Abbiamo appurato che sono una formalità, quando applicate a te. Stila un contratto e fammelo avere domani, adesso voglio dormire."

Marcello restò seduto sul bordo del letto a riflettere. "Ti hanno vista insieme all'ispettore Colonna."

Sapeva sarebbe successo, non credeva dopo così tanto tempo. "Credevo di aver perso la mia patente e così me lo sono arruffianato un pò, per continuare a farmi i cazzi miei." Sorrise apertamente, quel sorriso che sapeva, era la sua debolezza. "Dovresti dire ai tuoi spioni di farsene altrettanti dei loro." Marcello annuì e s'alzò, sapeva che non sarebbe bastato, ma era il piccolo prezzo messo in conto, per la sua amica Marishka. "Per quanto riguarda noi due, questo favorirà non poco la tua posizione ambigua riguardo a questo posto.. se la parola ambigua bastasse. Anche se non ne hai certo bisogno, a quanto vedo dai frequenti andirivieni di personaggi assai bizzarri, godi già di protezione. O forse hai qualcosaltro da nascondere, che ti preoccupi delle mie frequentazioni?" Prima che le rispondesse, azzardò. "Sì lo so che non vuoi casini, ma non sono una sprovveduta anzi, ti ho tirato fuori dai guai quando ne avevi bisogno. Ti sei scordato ancora quanto valgo per te, eh? Quei cinquantamila potrebbero ricordartelo."

Il volto dell'uomo si chiazzò di venature rossastre, divampate dal collo come rami di un albero.

Lo aveva fatto incazzare.

Marcello tornò sui suoi passi e si arrampicò sul letto, sgusciandole contro il volto; Elena già pronta, si era issata con il busto e le gambe quasi fuori dal letto.

"Fino a quando farai parte di questa giostra, io avrò il pieno controllo di te!" Ringhiò.

Eccola la vera natura da capo branco, la forza del leone e la sua possessività.

Non abbassò le difese, anzi protese ancor di più il volto verso il suo, gli occhi accecati di rabbia.

"Puoi avermi comprato e credere di vendermi come e più ti piace, ma io apparterrò solo e per sempre a me stessa." Balzò in avanti, spingendolo oltre il bordo. "Sei lacerato dal senso di colpa, che ti culla fra odio e amore, mi desideri e mi disprezzi con la stessa intensità, perchè non sai quanto ti disprezzo io!"

Marcello la tirò giù per le spalle, improvvisamente; quella forza improvvisa la terrorizzò, ma reagì colpendolo alle gambe con dei calci. L'uomo la sovrastò completamente, schivando i colpi. Le era sopra, l'aveva immobilizzata mentre cingeva i suoi polsi al di sopra della testa, riusciva a sentire indistintamente il calore del suo corpo oltre la sottile stoffa della vestaglia che indossava. "Sei una stronza! Mi mandi fuori di testa. E non voglio farti del male!"

Elena sentiva la gola bruciare, gli occhi velati. "Che cazzo vuoi, allora?"

"Il tuo rispetto." Gemette.

"Mi hai tolta dalla strada, eppure mi hai fatto crescere quì. Di che rispetto parli?" Chinò il capo fra i suoi capelli, sconvolto dalla durezza delle sue parole. "Vuoi scoparmi? Fallo adesso, vedi dove può arrivare la tua depravazione." Lo incitò, strusciando le gambe sul suo membro, gli occhi sempre più rossi. Marcello la bloccò, lo sguardo da pazzo, eccitato e triste, sconvolto. "Non sei migliore di altri."

Quell'ultima frase fu come un campanello che lo ridestò; le lasciò andare i polsi e veloce si tirò su.

Era viva, sentiva i polmoni gonfiarsi d'aria, eppure non riusciva a muoversi dalla paura.

Le lacrime le solcarono le guance, Marcello sempre più sconvolto, immobile, la fissava senza riuscire a dire nulla.

Quando fu calma, tornò anche egli a respirare.

"Gira una foto di una ragazza che ti somiglia, dicono che qualcuno la sta cercando e che quel qualcuno sia disposto a sborsare un'ingente somma di denaro, purchè le venga consegnata. Ti sono stato addosso e ti ho tenuta quì, perchè é il solo posto in cui posso proteggerti. Solo ora capisco che è anche quello in cui rischio d'ucciderti. Vattene adesso, prima che ci ripensi."

Elena si alzò in piedi tentando di replicare, ma la testa vacillò, perse i sensi e svenne.



Rinsavì sentendo delle mani che le tastavano la fronte.

War Machine era tesa su di lei a rinfrescarle il volto. "Credevo fossi morta."

Si stirò e notò che era nella sua stanza. Dei ricordi sbiaditi si confusero con il sole accecante del giorno.

"Che è successo?"

"Sei svenuta e hai dormito un giorno intero. Il verginello ti ha spompata, oppure cominci a cedere terreno."

Le labbra di Elena si contrassero in una smorfia, tentando di ridire, un martello alla tempia le ordinò di non farlo.

Non era stato un sogno dunque, quei ricordi erano pura realtà. Rabbrividì. "Marcello dov'è?"

Mercedes sospirò. "E' da ieri che non si vede. Mi sembra una casa di cura questa, mica un bordello."

"Smettila di farmi ridere, ti prego sto soffrendo."

La donna annuì e fece per alzarsi. "Fatti una doccia e mangia qualcosa, ti hanno segnato il giorno libero."

La situazione cominciava a farsi pesante. I suoi occhi vagarono dall'armadio alle finestre, poi al bagno.

Doveva andarsene.. non avrebbe avuto una seconda possibilità.

"Ah.. Mercedes, aspetta."

"Sono quì, dimmi."

"Grazie." Era il suo addio e l'altra chissà come, lo capì.

"Quelle come noi sono le più indifese, la fuori. Sta attenta. Mi stai simpatica, nonostante quella lingua velenosa."

Elena rise ancora,nonostante tutto. "Addio War Machine."

"Adios pincesa de Troia."

  
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