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Autore: BukowskiGirl2    15/05/2015    1 recensioni
E' dalla noia, da quel sentimento angoscioso e innocente, che nasce tutto.
Marzia ha intenzione di vivere la sua vita da sola, perchè nessuno la capisce. Lei, con il suo "problema", non va proprio d'accordo. Lorenzo è italo-americano, rigido ma ingenuo. Troveranno la salvezza insieme, perdendo però di vista, la loro meta. Sogni, false ambizioni, aria di depressione, momenti invisibili di felicità, attimi infantili. Cos'ha il futuro in serbo per loro?
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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-Parlami di tua madre, e di quanto meraviglioso deve essere vivere in America.
-Devo essere sincero, non ne abbiamo mai parlato. Lei non ama quella parte della sua vita. C’era mia nonna, la sua casa, le foto, il cane. Ma lei non ha mai voluto raccontare.
-E tu non le hai mai chiesto niente?
-No.
Si fermò. La fissai stranito, allungando il collo come a chiederle cosa stava accadendo. Sbatté i piedi a terra come una bambina: -Aaah! Ma come fai? Come fai a vivere una vita e non interessarti nemmeno a quello che è successo prima? Pensi di essere nato dal nulla?-
-Perché ti stressi così? Perché ti fai domande che gli altri nemmeno si sognano di fare?
La tirai per una mano.
-Mi fai male!
-Stavi per farti investire, per esempio.
-Adesso sei arrabbiato.
-Dio santo, non sono arrabbiato. Me lo chiedi sempre, sempre. Devi tranquillizzarti.
-Ma guarda che quello nevrotico sei tu.
Mi preparavo a rispondere, in quella conversazione che sembrava dover finire infantilmente male. Ma scoppiai a ridere. Sì, esatto, ridere di gusto. Mi fermai giusto prima che lei mi schiaffeggiasse.
-Ti porto in braccio.
-Tu sei scemo, vuoi rimanerci secco.
-Ma per favore, Mortisia, pesi al massimo cinquanta chili.
Così la accompagnai. Poggiò la testa sulla mia spalla e si lasciò andare. Tremava dal freddo ma, in piena estate, non avevo con me una giacca che sarebbe servita a riprodurre una scena da perfetto gentiluomo.
Non addormentarti…”, sussurrai, senza che mi sentisse. Premette le sue labbra sul mio collo, lasciandomi un leggero segno di quel suo orribile rossetto.
-Marzia, come si apre la porta qui?
-Lasciami giù, la apro io.
Posò i piedi a terra come fosse ubriaca, iniziavo a farci l’abitudine con questo suo modo di fare. Salimmo in camera “mia”. Tutti e due sapevamo che lei non avrebbe dormito in soggiorno.
-Io…sono abituata a dormire nel mio letto… e sai…
-Tranquilla, stavo per dirtelo. Io vado in soggiorno.
-Resta.
Sotto il vestito non aveva nulla, solo gli slip. Si stese sul letto, a pancia in giù e fece per prendere un libro dal cassetto.
-Ti dà imbarazzo il fatto che dorma nuda? Se vuoi mi rivesto.
Con lo sguardo confuso di uno che cerca di non guardare in quella direzione, dissi che no, mi sarebbe andato benissimo e che comunque lei avesse deciso di dormire, era la sua casa. Un po’ per abitudine, un po’ per spirito di compagnia, mi spogliai anch’io e restai solo in boxer.
-Anche i boxer adesso.
Mi guardai, non avevo nulla di male: -Cosa, cosa c’è?-
Si mise a ridere, tappandosi gli occhi e guardandomi tra le fessure delle sue dita.
Mi sdraiai accanto a lei, con la leggiadria di un fotomodello.
-Cosa leggi?
-E’ un diario di mia madre, gliel’ho rubato da casa, quando prendevo le mie cose.
-Perché l’hai fatto?
-Perché lei è tragica. Descriveva il suo primo appuntamento con papà, come se fosse una visita alla regina.
-Vuol dire che lo ama molto.
-Lo amava.
-Non c’è più?
-Loro sono separati, parlano in maniera civile ma come due estranei.
-Da quanto?
-Da quando avevo 10 anni. Ormai ci sono abituata. Quando andavo ai colloqui con i professori, venivano tutti e due. A volte non parlavano nemmeno, altre lei rideva alle sue battute ed era come se non fosse mai successo nulla. Quando ho compiuto 14 anni ho chiesto come regalo che loro tornassero insieme, dato che non ci vedevo nulla di sbagliato. Lei si inventò la cazzata del “ormai sei grande, capisci che non hai bisogno di due genitori uniti’”. Da lì ho rinunciato a qualsiasi discussione che finisse con la mia, diciamo, vittoria. Qualunque cosa dica, ha ragione lei. Non mi importa molto.
-E’ importante che tu prenda la tua posizione.
-Per lei non ho mai avuto posizione. Per lei non ero in grado di scegliermi il liceo. Per lei non sono in grado di scegliermi l’indirizzo di studio, il lavoro, gli amici. Ma ho smesso di fregarmene. Ho troppi attacchi panico, troppa frustrazione. Danneggiarmi ancora di più, con cose che non mi danno risultati, sarebbe controproducente.
Le strinsi la mano.
-Ma basta tragicità, Lorenzo.
-Ti è costato tanto usare il mio nome, si legge nei tuoi occhi.
-Stupido.
Si sistemò per bene sul letto, mostrandosi. Lo feci anch’io, per evitare l’imbarazzo. La guardai, lasciando di lato tutto quello che pensavo sarebbe successo.
-Mi guardi come se non avessi mai visto una donna nuda.
Risi. Perché non l’avrei mai giudicata “una donna”. Un po’ per il suo modo di fare, un po’ per il suo modo di parlare, lei era e sarebbe continuata ad essere una bambina.
-Pensi ancora a quella cosa della fotografia? Pensi ancora io possa essere una fotografia?
-Non pensavo a quello, no.
Si spensero le luci, senza che noi facessimo niente. Un blackout, avrei detto.
-Porca miseria! Dovevo ricordarlo! Alle 2 toglievano la luce…
-Non fa niente, dai. Si vede la luna.
-Ho paura del buio, Lorenzo.
-Ma cosa dici?
Si strinse a me. L’aria gelida entrava dalla finestra. L’estate non era ancora abbastanza inoltrata per dormire nudi. La avvolsi con le mie braccia, spaventato. Non sapevo come comportarmi, non sapevo se quella fosse veramente paura o avesse finto. Avevo una bomba, in mano, che in qualsiasi momento sarebbe potuta scoppiare.  
   
 
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