Shiba
si rigira fra le lenzuola appiccicate al corpo
nudo. Quelle mattine i cuscini, il copriletto a scacchi,
l’intera stanza sanno
di Mitsui, dei suoi baci, dei suo gemiti sottili.
Sparisce nel silenzio quando il sole sta per sorgere e
l’unica cosa che le lascia è un bacio fra i
capelli rossicci, un «Ci vediamo
dopo.» sussurratole con un sorriso.
Quel tiepido mattino di fine luglio le lascia una foto
nella porzione di letto vuota. Nell’angolo destro sul retro
c’è un “Mo chùisle”
scarabocchiato. Il cuore le esplode nel petto, si sente amata.
Mitsui riesce a farla sentire a casa, dopo tanto
tempo.
Suo fratello
non c’è, la sua porzione di materasso è
gelida.
Si alza su di
un gomito e getta un’occhiata fuori, scostando la leggera
tendina vicino al
letto.
Akira si sta
allenando.
Mo
Chùisle
Capitolo 7
(S)He took the midnight train
goin’ anywhere
“Nate:
Le
relazioni non sono mai semplici, ci devi lavorare ogni giorno. Non puoi
aspettarti che tutto sia sempre perfetto e non restarne scosso quando
non lo è.
Quando mi sento imprigionato, devo solo pensare a tutti quei momenti in
cui mi
sono sentito sano e salvo e ricordarmi che questo può far
passare i momenti di prigionia.
Brenda:
Restare
solo è la vera prigionia. Pensa a te, intrappolato in questo
cazzo di vortice
in cui pensi solo a te stesso. Che credo vada bene se sei interessante
ma la verità
è: nessuno è davvero così interessante.”
-The Trap [3.05], Six Feet Under-
Il
sole splende su Kanagawa e sul suo umore uggioso.
Poggiata
contro la colonna della veranda, Shibahime osserva la figura di Akira
che
zigzaga sul campetto di basket, quello nel cortile dietro casa.
La
brezza leggera scompiglia i suoi lunghi capelli scuri, trascinando
dietro sé un
mucchio di ricordi che le lasciano solo tanta malinconia.
Rivede
la sé stessa di nove anni che tenta vanamente di smarcarsi
da un Akira di otto,
alto il doppio di lei, che fa finte che nemmeno un professionista e
segna con una maestria degna di Bryant. E
lei è lì, con due stecchi che
ricadono lungo i fianchial
posto delle braccia, gli occhi scuri pieni di
lacrime e in sottofondo c'è la sua risata limpida, priva di
schernimento.
E
poi ci sono i suoi «Vedrai che col
tempo
migliorerai!» e il suo crederci, perché
Akira non le avrebbe mai detto una bugia. Fino a che non crescono e
Koshino, con la
sua fine garbatezza, le fa notare quanto schiappa sia in
realtà. Da allora ha
smesso anche solo di palleggiare, che tanto non
c’è portata.
«Ti
ho svegliato?» la palla entra nel canestro senza sbavature,
Akira osserva le
catene tintinnare.
«Nah,
stavo fissando il soffitto.» mente, alzando le spalle.
«Un
brutto sogno?»
Le
labbra di Shiba si spiegano in un accenno di sorriso. Ma i sogni non
dovrebbero
essere belli? No, perché solitamente Mitsui li aveva sempre
riempiti tutti e,
Kami, non ricorda di essersi mai svegliata di colpo, con brividi e
sudori
freddi.
«Una
brutta realtà.» butta lì con
noncuranza, scuotendo la nuca quando vede le sue
sopracciglia aggrottarsi.
Vorrebbe
accennargli del ritorno di Mitsui e di come tutto, ma proprio tutto,
sembri
esserle ritornato alla mente con una prepotenza che non può
sopportare. Ogni
via di Kanagawa le ricorda i baci spesi, le risate sprecate e le parole
taciute
o ingoiate per paura di rovinare quella bolla di perfezione in cui si
rinchiudevano ogni volta che stavano insieme.
«Ho
sentito mamma. Dice che tra poco arriveranno.» Akira spezza i
suoi pensieri, un
leggero sorriso gli addolcisce i tratti.
Shiba
ricambia lieve, mormorando un «Bene…»
poco convinto.
Un
senso di vuoto si impadronisce di lei al pensiero che la voce acuta di
sua madre
riempirà i corridoi di casa, che le cene a tavola saranno
incentrate solo su
Akira, che ogni cosa che farà o dirà
verrà meticolosamente sminuzzata e
analizzata, così da far nascere una nuova discussione che si
concluderà con uno sfiancato «Dovresti
tornare dalla dottoressa Nakamura. Fallo, per il tuo bene».
Quando
Akira l’ha strattonata per le scale del Sacro Cuore con
sottofondo la risata
cristallina di Madoka e la mano di Kyosuke posata sulla spalla, Shiba
ha
creduto per un attimo di aver trovato il Paradiso o qualcosa che ci
assomigliasse vagamente. Non avrebbe più dovuto fingere di
essere una bambina
perfetta perché i suoi nuovi genitori l’avrebbero
amata incondizionatamente per
quella che era, con tutto ciò che era incluso nel pacchetto:
lacrime, incubi che non se ne vanno nemmeno con la lucina accessa nella
camera da letto, solitudine che divora ogni brandello di gioia e quella
scomoda sensazione di essere un'estranea, qualunque cosa sarebbe potuto
accadere.
Altrimenti
non l’avrebbero scelta, no?
Eppure
gli occhi di sua madre si sono fatti più cupi nel corso
degli anni, quasi non
fosse quella che si era aspettata. Da quando è approdata in
quella casa, si respira quello stesso senso
di inadeguatezza che la perseguitava ogni volta che nuove famiglie
venivano
all’orfanotrofio e alla fine la scartavano.
«Oi,
che hai?» la palla entra nel canestro, le catenelle che
tintinnano la fanno
fremere.
«Nulla.»
Akira
è qualche gradino più in basso di lei,
ciononostante Shiba sembra comunque una
nana da giardino. L’abbraccia senza nemmeno lasciarle il
tempo di pensare,
giocherellando con i lunghi capelli scuri.
La
sua guancia si posa sul suo addome, le servirebbe una scala per poterlo
guardare negli occhi.
E
pensare che un tempo questi gesti le facevano venire le palpitazioni,
credeva
seriamente di essersi presa una sbandata per quel bontempone di Akira.
Fino
a che non si è accorta che la parola
fratelli risuonava un po’ troppo spesso fra le mura
di casa.
Fino
a che un ragazzo dai capelli a scodella non le ha chiesto di restare in
palestra, perché tanto non gli dava fastidio. Per poi
invitarla a vedere una partita, un'amichevole con una scuola di cui mai
aveva sentito parlare. Andarci accompagnata da Nanaka
perché «Col
piffero che ti lascio andare da sola. E se fosse un maniaco?!».
E incrociarla per i corridoi e invitarla fuori per festeggiare la
vittoria anche se ormai sono passate più di due settimane ma
chi se ne frega, una scusa vale l'altra pur di stare insieme.
Gli
abbracci di Mitsui l’hanno sempre fatta sentire protetta,
anche se le cose
andavano male lui sapeva sempre risollevarla.
Aggrotta
le sopracciglia. Ma perché anche in un momento di quiete
come questo deve per
forza pensare a quel demente?!
«Dove?»
«Allo
zoo… Come ai bei vecchi tempi.»
Shiba
ridacchia «Non siamo un po’ troppo cresciuti per
quello?»
«Ah,
già…»
Sorride
appena.
Il
rumore del clacson li fa dividere. I loro genitori sono tornati.
♠
26
maggio, mattina.
Il momento prima di un’esibizione è la
parte peggiore.
L’ansia che si respira è palpabile, la
costringe a sedersi.
Un’enorme stanzone bianco contiene
decine e decine di ragazze che gridano, strepitano e richiedono
l’aiuto delle
coach o delle madri per sistemare i capelli, il body o il trucco. Ci
sono pianti nervosi,
scatti isterici e lanci di sfida che puntualmente rischiano di finire
in rissa.
Ha imparato a convivere con il caos
che le rimbomba nella testa, quel caos che le fa invertire i passi dei
movimenti, che la fa sentire impreparata nonostante le ore e il sudore
spesi
per arrivare fino a lì, al limite della perfezione.
Le luci al neon degli specchi danno
fastidio alla vista e risaltano il trucco che tenue copre i loro volti.
Shiba vorrebbe togliersi quel lillà
che le colora le palpebre; lo odia, la fa sembrare un cadavere.
Getta un’occhiata a Nanaka, intenta a
sistemarsi. È placida e la sua priorità
è far sì che
la linea di eyeliner sull’occhio destro combaci con quella
dell’occhio sinistro.
Shiba invidia la sua freddezza.
«I tuoi verranno?»
«Mh? Oh, no. C’è la partita di Akira,
oggi» torna a sistemarsi il rossetto
«Dov’è la coach?»
«A fumare. Agitata?» Nana la guarda di
sbieco «Non esserlo, la maggior parte di quelle che ci sono
qui non sanno
neppure tenere in mano una clavetta. E poi basta che entriamo fra le
prime
dieci in ogni disciplina, non c’è bisogno di
strafare» si guarda allo specchio,
un sorrisetto compiaciuto le dipinge le labbra color ciliegia
«Ricordati che
sei brava, ok? E ora stai ferma che ti aggiusto, hai i
capelli tutti da schifo.»
Shiba le sorride appena, la vista però
le si appanna mentre le sue dita affusolate le sciolgono lo chignon
fatto alla
bene e meglio.
Preferirebbe che fosse Madoka
ad aggiustarla.
♠
Il momento prima di un’esibizione è la
parte migliore.
L’adrenalina le scorre in vena, si
propaga per tutto il corpo. Le dita si stringono intorno alle clavette
rosse e
nere, dello stesso colore del body con paiette che la fascia.
C’è un sottile velo di ansia che tende
ogni muscolo, ha la stessa consistenza di quella pre-esame o di quella
che la
fa sempre deglutire quando Akira la guarda in quella maniera
assolutamente
mozzafiato, prima di chinarsi a baciarla nel buio del suo soggiorno
pieno di
vasi rotti, con quel demente di Spock che miagola perché ha
fame o è semplicemente invidioso che un tale splendore si
dedichi completamente a lei.
Nella mente ha ben impressi i passi
che deve compiere ma li ripercorre uno ad uno, timorosa di averne perso
qualcuno
mentre si truccava o rassicurava le matricole tutte tremanti sulla
panca.
Nanaka sente il petto gonfiarsi quando
il giudice l’annuncia, viene travolta dagli applausi di quei
fan che si è
guadagnata nel corso degli anni e ad ogni passo che compie impettita,
si lascia
dietro un po’ di quell’agitazione che
l’attesa ha prodotto.
Gli sguardi sono tutti su di lei,
sulla sua figura rigida che regge le clavette mentre punta i piedi a
terra, ma
lei non li avverte.
E’ quello il momento che più le piace.
Quello che dura un respiro, uno
sfarfallio di ciglia.
E’ un istante, sfuma nel flebile suono
della sirena e il silenzio si fa musica, l’aria si fa
elettricità e lei ne
diviene un tutt’uno. Si libra leggera, le clavette ruotano,
si incrociano,
rigano l’aria e riatterrano fra le sue mani.
Prima c’è la rovesciata, un Arabesque, quella
capriola all’indietro che ha sempre sbagliato agli
allenamenti ma
che per qualche miracolo le viene durante la gara.
Quel minuto e quarantadue secondi dura
un’eternità ma quando la musica ritorna silenzio,
il tempo torna a scorrere
normalmente.
Allora si ricorda che sua madre
dovrebbe essere lì, fra il pubblico che
l’applaude; glielo ha promesso l’altra
sera mentre preparava un grafico per la riunione del mattino, con la
mano appoggiatta sulla fronte e i capelli arruffati e l'aria di chi
vorrebbe solo della ricina nel proprio bicchiere.
Nana si guarda attorno, lo sguardo
disperso sugli spalti.
Sua mamma non è venuta a vederla.
Quello è decisamente il momento
peggiore.
♠
«Non
ci verrei nemmeno se mi promettessi donne e birra a volontà,
è inutile che me
lo ripeti. E poi si può sapere che cazzo ci fai qui? Sbaglio
o avevo detto di
non farti più vedere?!» Tetsuo si solleva sui
gomiti, osserva la schiena larga
di Hisashi che, da bravo moccioso combina guai qual è,
ovviamente non lo ha
ascoltato. Tsk!, quel coglione non lo ascolterebbe neppure se fosse in
punto di
morte.
Si
è presentato a casa sua con della birra, convinto di poterlo
corrompere e prima
che potesse sbatterlo fuori a suon di calci in culo, quello si era
già fiondato
in cucina alla ricerca del cavatappi. Tetsuo si è arreso
quando si è spalmato
sulla poltrona cominciando a ciarlare di basket, di Sakuragi che ha
scambiato
la pallacanestro per un incontro di box e di come il suo allenatore,
quel
vecchio panzone di cui ha dimenticato il nome, lo abbia guardato con
orgoglio
prima di dirgli «Hai giocato bene,
figliolo.»
Hisashi
sghignazza di fronte alla sua reticenza, gli ripete qualcosa come
«Tanto so che
cederai.» riprendendo a straparlare di incontri e tiri da tre
punti. A quanto
pare sono la sua specialità ma lui nemmeno ha idea di cosa
siano ma evita di
chiederglielo, gli è venuto mal di testa dopo appena tre
secondi di
conversazione.
Eppure
c’è qualcosa che gli impedisce di
zittirlo.
Sarà quel fuoco combattivo che
neppure durante le risse ha visto ardere nei suoi occhi scuri o magari
è la
vitalità con cui parla e gesticola a fargli ingoiare ogni
bestemmia.
Mitsui
è vivo come non lo era da tempo e lui non può che
esserne felice.
È
cresciuto dal giorno in cui si è presentato da lui con la
divisa sporca di
sangue e polvere, con quei suoi capelli lunghi da donnicciola e
l’aria di chi
vuole fare a pezzi ogni cosa che incontra per strada. Glie è
parso di rivedere il sé stesso
di tanto tempo fa, quello sbandato che non sapeva che cazzo farne della
propria
vita e ha deciso di mandare tutto a puttane, che tanto non gli usciva
neppure
male.
Per
questo l’ha preso sotto la propria ala protettiva e gli ha
insegnato tutto ciò
che c’è da sapere nel mondo della malavita,
mostrandogli però solo la
superficie.
Sapeva
che quel ragazzo era destinato a ben altro, che
quell’esistenza fatta di botte
e scorribande non faceva per lui.
Approfitta
di quel momento di pausa per fargli una domanda qualsiasi, tutto pur di
non
sentir parlare di palle e canestri «A scuola come
va?»
Mitsui
arcua un sopracciglio «Mi stai davvero chiedendo come va a
scuola?»
«Ehi,
ci tengo alla tua istruzione» ghigna «E poi voglio
assicurarmi che non ti metta
più nei casini.»
Il
ragazzo rigira la bottiglia fra le mani, il sorriso gli penzola dalle
labbra
«Tranquillo, ho smesso di fare a botte. Ormai sono solo
casa-basket,
basket-casa.»
«E
a donne come sei messo?»
Rotea
gli occhi «Ancora con questa storia?»
«Tengo
anche alla tua vita sessuale, cosa credi?»
Mitsui
si gratta la nuca, imbarazzato «Ti ho detto che non ne ho il
tempo!» le sue
labbra si attaccano alla bottiglia con troppa foga, quasi volesse
soffocare un
mucchio di parole pericolose.
«Tutti
hanno tempo per il sesso.»
«Beh,
io no.»
«Dovresti.
Potrebbe essere un ottimo metodo di sfogo contro lo stress.»
«Ma
non sono stressato!»
«Presto
lo sarai. La scuola, gli esami, le partite, i tuoi… Porti
già la dentiera» Mitsui
alza un amorevole dito medio e lui non può fare a meno di
ridergli
rumorosamente in faccia; le sue guance rosse lo stanno facendo morire,
sembra
un moccioso beccato a guardare i giornaletti porno del padre
«Oi, va che sono
serio. Una ragazza non sarebbe male come idea.»
«Ma
non eri tu quello che diceva che le donne portano solo guai e sono
buone solo
per scopare?»
«Beh,
almeno sono buone in quello» ravana nella tasche per cecare
le sigarette
«Andiamo, ci sarà pure qualcuna che ti interessa.
La manager della squadra mi
sembra un bel bocconcino.»
Sgrana
gli occhi «Ma chi, Ayako? Tu sei tutto scemo!»
sventola una mano davanti alla
faccia «Quella picchia peggio di un uomo, fidati! E poi
è proprietà di Miyagi.
Se provo ad avvicinarmi, quello è capace di staccarmi i
coglioni.»
«Beh,
non c’è mica solo lei in tutta la
scuola» si gratta la barba incolta «Una
compagna di classe o che so io.» Tetsuo gliela butta
lì senza convinzione ma la
reazione di Mitsui è troppo plateale perché possa
ignorarla.
Si
sta strozzando con la birra, boccheggia cose senza senso e quando
riacquista un
po’ di lucidità sbotta un caustico «No
che non c’è.» che gli fa cascare le
palle.
«Si
vede lontano un miglio che c’è qualcuna.»
«Se
ho detto che non c’è, non
c’è.»
Testuo
si mette a sedere, assume un’aria da genitore incazzoso
pronto a farla pagare
al figlio ribelle «Senti, mi hai frantumato i coglioni sul
basket per tre ore»
Mitsui sbuffa «Ora: o mi dici chi cazzo è questa o
ti faccio uscire dalla
finestra.»
Il
ragazzo si chiude in un mutismo ostinato, conta i mozziconi sul tappeto
e
rifugge il suo sguardo fino a che non si lascia andare
«E’ la solita.»
«La
solita.»
«Sì,
la solita!»
«Ma
la solita chi?! Avrà un cazzo di nome!»
Le
dita strette intorno alla bottiglia rendono bianche le nocche
«… Shibahime.»
«Ah…
La solita.»
«Eh.»
Mitsui
non ha mai raccontato per filo e per segno cosa sia successo tra loro
ma nella
mente di Tetsuo è ancora vivido il ricordo di quando lei lo
ha piantato. Si è
presentato a casa sua conciato da far schifo, ubriaco fradicio e
grondante di
sangue. «Ho fatto a
botte» gli ha
detto fra le risate convulse e amare e ai suoi perché e
percome, quello se ne
era uscito con un rabbioso «Quella
stronza di Shiba se n’è andata. Anche lei, come
tutti.». I giorni a seguire sono stati una
tortura, un susseguirsi di scazzottate e sbronze, fino a
che non gli ha confessato di essersela lasciata alle spalle.
Più o meno… Era
chiaro come il sole che non riuscisse a scordarsi di lei,
c’era sempre qualcosa
che lo tormentava.
Il
modo in cui ne parlava, il modo in cui gli occhi si riempivano di qualcosa quando si pronunciava il suo
nome… Lui non se ne era mai accorto, ma bastava
nominargliela per aggiustargli
la giornata.
«E’
in classe con te?» annuisce «Che sfiga.»
«Già…»
«Vi
parlate?»
«Macché.
Ci ignoriamo.»
«E
che aspetti a parlarle?»
Il
ragazzo aggrotta le sopracciglia «Perché dovrei
essere io a parlarle per
primo?! E’ stata lei a mollarmi!»
«E
tu sei quello che ha combinato i casini» Hisashi si fa
minuscolo sulla
poltrona, borbotta come una teiera «Dille che ti dispiace e
amici come prima.
Cosa vuoi che sia?»
«Non
è così facile.» mormora sconsolato. Gli
si legge in faccia che vorrebbe
ritornare ad avere un qualsivoglia tipo di rapporto con lei ma qualcosa
lo blocca.
Tetsuo
si arrende; gli toccherà fare da Dottor
Stranamore quella notte «Certo che lo
è» si accende la sigaretta
«Perché
non dovrebbe?»
Si
massaggia il collo «Perché è lei a non
esserlo» si stropiccia il volto «Hai
presente quelle che sono tue ma non lo sono mai completamente? Lei
è una di
quelle…» le dita strisciano sui jeans scuri e
larghi «Lei è stata adottata, te
l’ho mai detto?» gli sorride leggero, quasi volesse
scacciare la frustrazione.
Tetsuo scuote la nuca, lo lascia parlare «Non ne so
granché, non ha mai voluto approfondire la cosa. Sua madre
è morta quando aveva sei anni, suo padre è
scappato poco
dopo. C’erano giorni in cui le cose andavano bene, altri in
cui aveva delle
crisi che duravano ore e non c’era modo di tranquillizzarla.
Era convita che i
suoi genitori adottivi l’avrebbero abbandonata e che
l’avrei fatto anche io
perché era sbagliata e cazzate del genere» si
gratta la nuca «Ha sempre
mantenuto una distanza tra noi e non sono mai riuscito a colmarla.
Pensavo che una volta che ci fossimo lasciati mi sarei sentito meglio
ma non è andata così.» finisce
il tutto con un sorriso tirato, quasi bastasse a spiegare
perché vuole tenersi
lontano da lei.
Tetsuo
si gratta il mento «E com’è che
è andata?»
Alza
le spalle «Continuo a pensare che sia colpa mia. E’
come se avessi fallito, no?
Alla fine l’ho abbandonata.»
«E’
stata lei a lasciarti.»
«Non
è che abbia fatto molto per fermarla… Senti,
possiamo non parlare più di lei?»
ha lo sguardo sofferente, continua a sfregarsi le mani quasi avesse
voglia di
spaccargli la casa.
Tetsuo
teme che possa sfasciargli quei pochi mobili sani che ha, decide quindi
di
cambiare argomento «Parliamo d’altro,
ok...»
«Mh.»
«Coi
tuoi tutto a posto?»
«Ma
argomenti più felici no, eh?»
«Non
rompere e rispondi.»
«Nh,
la solita merda. Sono convinti che me ne vada in giro a spaccare i
denti alla
gente.»
«Te
ne stai in giro fino a quest’ora…» getta
un’occhiata all’orologio, segna le 22.45
«Non ti chiedono dove te ne vai tutte le sere?»
Alza
le spalle «Dico loro che sono da compagni di classe ma tanto
non mi crederebbero
neppure se fosse vero. Non parliamo, a malapena ci salutiamo. Lo sai
che non
sono venuti neppure ad una partita?» sorride appena
«Forse è quello che mi
merito dopo tutto il male che gli ho procurato.» le sue
parole sfumano in rassegnazione.
Mitsui
sembra fatto di cristallo, in quel momento.
Gli pare sia la cosa più fragile
che ci sia in quella casa e ha la sensazione che la parola sbagliata
possa
creare una crepa distruttiva, di quelle che lo farebbero crollare in
mille
pezzettini non ricomponibili.
Spegne
la sigaretta e un’idea del cazzo gli frulla in testa.
«Quando
hai detto che giochi?»
«Eh?»
«La
prossima partita. Quando ce l’hai?»
«Settimana
prossima, perché?»
Alza
le spalle «Mah, magari passo.»
Mitsui
sghignazza eppure la gioia nei suoi occhi non gli è sfuggita
«Sempre se non ti
mettono in galera prima.»
«Cercherò
di evitare i casini.»
Quel
demente si merita qualcosa di più dei sensi di colpa.
♠
Shiba
odia mangiare fuori. Di sabato, quando i locali sono pieni di gente.
Il
ristorante chic in cui si sono infilati è talmente perfetto
da darle il
voltastomaco. Akira le carezza una mano sotto il tavolo, dandole un
briciolo di
conforto che ha smesso di provare da quando i suoi sono tornati.
L’aria
in casa è tornata irrespirabile, non parla per evitare liti
e sta fuori fino a
tardi pur di sfuggire alle cene o ai rimproveri di Madoka. L'unico
momento di pace lo trova nella camera oscura di suo padre, il suo santuario come ama
definirlo; le piace osservare la sua schiena curva sulla
vaschette, con le pinze che reggono la foto appena sviluppata, studiare
ogni singolo cambiamento della sua espressione mentre studia la
fotografia, così come adora i suoi sorrisi alla Akira quando
le dice «Vuoi darmi una
mano?», insegnandole passo per passo come
fare.
«E’
stata fortuna» Akira sventola una mano «In
realtà è merito di Hikegami-senpai,
ha fatto un buon passaggio.»
«Oh,
beh, ma il tiro l’hai fatto tu mica lui.» la sua
capacità di smontare l’abilità
altrui è strabiliante, Shibahime ne rimane sempre sorpresa.
Akira stiracchia un
sorriso poi riprende a mangiare il suo Dobin mushi.
«Beh,
che fai, non racconti a tua sorella com’è andata
la partita?»
Shiba
gli rivolge uno sguardo addolorato, Akira per poco non si strozza con
la zuppa.
«Non
credi che abbiamo parlato un po’ troppo di Akira?»
Kyouske si intromette, ha
quel sorriso rincuorante che la fa sempre sentire a suo agio; le fa un
occhilino
«Shiba, non ci dici com’è andata la tua
gara?»
«Mi sarebbe piaciuto vederti perdere il nastro.»
sghignazza suo fratello, ricevendo una
sberla sulla spalla che lo fa scoppiare a ridere.
Madoka la guarda con occhi brillanti «E’ andata
bene?»
Annuisce
«Ho commesso qualche errore qua e là ma tutto
sommato me la sono cavata. Sono arrivata terza!»
«E
Nanaka?»
«Oh,
è stata bravissima come sempre!»
«Quella
ragazza è adorabile, oltre che brava. E’ stupendo
vederla ballare. A proposito, dovresti invitarla a cena qualche
volta.» il commento inopportuno di Madoka
la fa sentire minuscola, ha una zuccherosità che le fa
venire la
nausea.
Shiba annuisce, rigira le bacchette nell'Udon.
«Immagino
tu sia stata brava.» seguita Kyosuke, scompigliandole la
frangetta.
«Già…»
«Peccato
che le abbiano fatte lo stesso giorno...» la guarda
preoccupato
La
ragazza spinge lontano il piatto «Non ho molta
fame.»
Madoka
storce le labbra pitturate di rosso «Devi mangiare, tesoro.
Vuoi scomparire, per caso?»
Shiba
ingoia un pezzo di pane pur di tacerle un Sì.
♠
Tetsuo
lo ha cacciato di casa quando una donna lo ha chiamato al telefono.
Mitsui
entra nel primo vagone vuoto che trova, decidendo come passare la
serata. Per
il momento si accontenta di viaggiare senza meta in metropolitana.
A
casa non ci vuole tornare, si sente soffocare.
Viaggia
senza meta in metropolitana, non sa come passare la serata ma qualsiasi
cosa
andrà bene.
A
casa non ci vuole tornare, si sente soffocare.
♠
Quando
apre gli occhi, la stazione di Shibuya gli ricorda che la sua
è passata da ben tre fermate.
Si
sistema sullo scomodo sedile, si stringe la borsa degli allenamenti
contro il
petto e cerca di far mente locale per capire cosa ci faccia
lì e quale sia la
sua destinazione.
Gli
basta ingoiare un po’ di saliva per ricordarsi di tutto: non
può tornare a casa
a quell’ora con il rischio di incappare nei suoi; se
scoprissero che ha bevuto
della birra comincerebbero ad assillarlo con sciocche domande e Mitsui
non ha
proprio voglia di litigare. Il vagone è vuoto, fatta
eccezione per un gruppetto di teppistelli che fanno cerchio intorno
alla malcapitata vittima.
«Andiamo
piccola, non vuoi venire a giocare con noi?»
Ah,
le care, vecchie tecniche di abbordaggio in teppista style. Ora che ci
pensa,
non gli mancano granché, anche perché non ha mai
riscosso tutto ‘sto successo…
«Cos’è,
non parli?»
«Le
ragazze che non parlano sono le migliori.»
Nh,
vorrebbe intromettersi nella loro discussione e affermare per
esperienza che le
ragazze che non parlano sono decisamente le più complicate
ma dubita
fortemente che quei tre saprebbero andare oltre il “Chi
sta sotto e chi sta sopra?”
«Gentilmente,
potreste levarvi dalle scatole?» la voce sottile che riga
l’aria ha un non sa
che di familiare. Trattiene una risata nel sentire tanta garbatezza
rivolta a
dei bifolchi, probabilmente qualche madamigella indifesa della Kanagawa
bene
deve essere finita lì per sbaglio. Si sporge leggermente per
godersi la scena
e—Oh Buddah santissimo!
«Shiba?!»
I
tre smettono di tormentarla, si guardano tra loro e poi gli rivolgono
uno
sguardo sorpreso.
«Ah,
Mitsui-kun!» bofonchia uno di loro, mollando il polso della
ragazza. E’ un
ragazzetto basso e minuto, uno di quelli di cui a malapena ti ricordi
il nome.
Si scervella per capire dove lo abbia incontrato ma è lui a
fugargli ogni
dubbio «Tetsuo ha detto che non bazzicavi più da
queste parti.» c’è un velo di
durezza nelle sue parole ma appena lo sovrasta ecco che il fastidio
sgattaiola
via.
«Che
stavate facendo?» ignora volutamente la sua constatazione,
non ha voglia di
dilungarsi in futili spiegazioni davanti a Shiba; Shibahime che lo
fissa con un
misto tra la sorpresa e la voglia di buttarsi sotto le rotaie. Ho
accettare le proposte indecenti di questi tre.
«Volevamo
divertirci un po’…» il secondo, quello
allampanato, sorride furbamente verso la
ragazza «Ma non vuole collaborare.»
«Ci
credo che non vuole, sta con me.» le parole gli escono prima
ancora che le
abbia pensate, lasciandolo spiazzato. C’è che quel
Sta con me
per anni lo ha
fatto sentire il padrone del mondo, mentre ora lascia solo tanto amaro
da
fargli salire la birra in gola.
«Sta
con te?»
«Già…»
«Oh,
beh, non pensavamo che fosse di tua proprietà.»
«Proprietà?» squittisce incredula.
«Mhm,
lo è, quindi levatevi dalle palle,
d’accordo?»
«Proprietà?!»
gracida ancora, guardandoli tutti e quattro con occhi saettanti.
Mitsui
rotea gli occhi e non appena la metro si ferma, la prende per il polso,
tirandosela dietro «Sì, beh, noi scendiamo qui! A
mai più.» soffia mentre
le porte si chiudono. La trascina fino fuori, lasciandola non appena le
luci del lampione rischiarano la sua figurina tutta ben vestita. Gli fa
uno stranno effetto ritrovarsela tra i piedi di sera, senza la divisa
scolastica, è come venir catapultati nei loro bei giorni
felici.
«Che
ne dici di una villa con piscina?»
«Mistui--»
«Ehi, con
quelli bisogna usare un certo linguaggio» sventola la mano
che fino a qualche
istante prima ha stretto il suo polso fin troppo sottile «E
poi ti ho salvata,
no? Basta un grazie.»
«Me
la sarei cavata benissimo da sola!»
Scocca
la lingua «Gentilmente, potreste levarvi dalle
scatole?» la imita malamente,
con la voce incrinata da un principio di risa.
Shibahime
guarda il cielo buio,
ignora la sua scadente imitazione «Con gli asini va
usata la carota.»
«Sì
e con le api il miele…»
C’è
un istante di tremendo imbarazzo, con una spruzzatina di rancore e
rabbia che non
guasta mai. L’ostilità di Shiba è
visibile, tutto di lei sembra volerlo spingere un
po’ più in là ma
c’è qualcosa nel suo lento tremolio che lo
induce a non voltarle le spalle. Lasciarla lì sarebbe di
gran lunga più semplice, si eviterebbe un mal di testa e
qualche bestemmia.
Ma se decide di restare, forse può ancora salvare il
salvabile.
E' un pensiero che lo attraversa veloce e lo fa sentire a disagio.
Tossisce,
un po’ per tagliare la tensione e un po’ per farle
credere
che voglia
effettivamente dirle qualcosa, ma Shiba lo anticipa con un incuriosito
«Quei tre…
Uscivate nella stessa banda?» che lo spiazza. E non
è che
lo spiazza solo un
po’, è molto più di un
po’…
E’… E’ l’apoteosi
dell’assurdo, ecco.
Shibahime che
decide di affrontare un discorso per prima, con lui e sul suo passato
è davvero
assurdo.
Annuisce,
esala un incerto «Mhm, non spesso. A volte.»
«Vedo
che sei ancora temuto.» la sua ironia non è
tagliente, c’è qualcosa che non va
nel suo continuo carezzarsi le braccia. Gli ricorda la Shiba delle
giornate no,
quella che si rinchiudeva nel buio della camera e lo costringeva a
starsene lì,
con lei, continuando a ripeterle che i suoi non l’avrebbero
di certo abbandonata,
non dopo averla adottata.
Il
senso di colpa lo punzecchia «Ti
hanno fatto male?» scuote la nuca; Mitsui la guarda per
qualche secondo poi
alza le mani in segno di resa «Coraggio, ti accompagno a
casa--»
«No!»
«Che?»
«No,
non voglio! Non ci torno a casa!» Shiba scoppia a piangere
come quando avevano sedici
anni e sua madre l’aveva cazziata per chissà cosa.
O l’aveva trattata come la
figlia indesiderata.
Mitsui
si massaggia il collo prima di affiancarla, anche se è
tentato di abbandonarla
al suo destino giusto per ripagarla con la propria moneta.
Ma
prima ancora che possa anche solo pensarlo sul serio, la sua mano
è già sulla sua spalla.
Da
tempo non le sta così vicino e si riscopre ancora incapace
di saper gestire le
proprie emozioni, facendo i conti con tutto quel miscuglio di cazzate -come amabilmente le definisce-
che gliel’hanno resa cara e al contempo spaventosa.
I
suoi silenzi in cui poteva galleggiare senza sentirsi a disagio, la
malinconia
che traspariva dai suoi occhi e comunque vi si sarebbe smarrito
volentieri, i
suoi sorrisi mai pieni eppure sempre presenti.
Vorrebbe
sorridere e dirle «Ti ricordi quando
mangiavamo sul divano quando i tuoi non c’erano?», oppure «Ti ricordi quando hai vinto le regionali e
abbiamo festeggiato in camera tua fino al mattino?», «Ti ricordi che per un po’ ci siamo
piaciuti?», ma lei tira su con il
naso, facendo svanire i buoni propositi di chiudere ogni conflitto per
sempre.
«Oi,
tutto bene?» la ragazza scuote la nuca, tiene la testa bassa
e trema «Sicura che non ti hanno fatto niente? Vuoi
andare all’ospedale? Vuoi—»
Lo
guarda con i suoi grandi occhi scuri pieni di lacrime e le parole si
rituffano
in gola, intimorite. Non la vede così da anni, è
un’immagine che ha accantonato
nel dimenticatoio e che ora è tornata indietro con tutta la
prepotenza che
possiede.
Shiba
è straziante, le sue parole lo spiazzano.
«Ho
fame... Ho una fame tremenda.»
«Vuoi
anche la macedonia?»
«Vuoi
farmi credere che vendete anche robe salutari?»
«La
vuoi o no?!»
«Seh,
seh, va bene… Ah! E dammi anche quella che dovrebbe essere
insalata.»
«Non:
dovrebbe, lo è.»
«…
Friggete anche quella, per caso?»
Gli
sorride tirata, con una vena pulsante sulla tempia «Porti
tutto a casa o ci fai
l’onore di mangiare qui?»
«La
tua simpatia è compresa nel prezzo?» la ragazza
sputa raggi laser dagli occhi
«Mangio qui, mangio qui!» quella batte le ultime
cose e gli lascia lo
scontrino, mandando le ordinazioni alla cucina «Kami, che
caratteraccio.»
Mitsui
si gratta la nuca e mentre attende alla cassa, sbircia la figura di
Shibahime
seduta ad uno dei tavoli vicino alla finestra, giusto per accertarsi
che non
sia scappata o che non si sia tagliata la carotide con una forcina.
E’
intenta a sciogliersi lo chignon, vede le sua braccia esili sollevarsi
sulla
nuca mentre le dita sfilano le mollettine sparpagliate sul tavolo, le
dita sciano fra i lunghi capelli scuri, giocherellano con le punte,
fino a che
non si stanca e si perde nel rimirare le vie poco trafficate.
"Forse ho esagerato con le porzioni"
Nh,
probabilmente dovrà mangiarsi lui tutta quella roba e quella
demente non toccherà
nemmeno la macedonia...
Mitsui
paga senza nemmeno curarsi di quanto abbia effettivamente speso e se ne
va al
tavolo, assaporando il gusto delle infinite discussioni che, lo sa
bene,
nasceranno una volta stufi.
Lo
guarda con un sopracciglio arcuato «Devono arrivare i tuoi
compagni caproni?»
Ecco,
appunto.
«E’
per noi.» rimbrotta
secco, posando i
vassoi sul tavolo. Deglutisce l’amaro sapore che quel noi gli ha lasciato sul palato, non
badando alle lamentele della
ragazza. Nh, forse è meglio se copre lo schifo con un panino.
«Non
posso, ricordi? Sono a dieta.»
«Ma
se prima ti lagnavi che avevi fame?»
«Sì,
beh, non parlavo di cibo spazzatura.» la ragazza si tasta la
pancia quando un
gorgoglio ovattato riga il silenzio.
«Al
tuo stomaco va.» ghigna in sua direzione, beandosi del
porpora che ha invaso le
sue guance.
Ora
che la scorge avvolta nel suo vestitino elegante, si accorge di quanto
magra
sia effettivamente diventata nel corso dei suoi anni di assenza. La
divisa
scolastica le dona un po’ di massa che, a ben vedere, non
c’è; il seno è meno
di quanto ricordi e… No, ma davvero le sta guardando le
tette?! Dannazione, c’è
cascato ancora! Nh, e comunque gli sembra di star cenando con una
mocciosa
delle medie.
«Tutta
questa roba contiene il triplo delle calorie che dovrei ingerire in una
giornata.» sbotta asciutta, rovistando fra le cartacce e le
scatole.
«Forse
dovresti, invece» addenta il cheeseburger «Si
può sapere quanto pesi?»
«…
43.»
La
Coca cola gli va di traverso «Che cosa?! Ma sei impazzita?!
Vuoi scomparire per
caso?!»
«Non
sarebbe una cattiva idea…» mormora con un leggero
sorriso, alzando poi le
spalle «Ehi, ci si sacrifica per amore dello sport.»
«La
Itou non mi sembra ridotta così…»
«Deduco
tu l’abbia guardata bene.» gli sorride affabile e
Mitsui avrebbe solo tanta
voglia di decapitarla.
«Ti
prego, vuoi farmi salire il panino?»
«Addirittura?!
Nanaka è una bella ragazza!»
«Se
ti piacciono le streghe.»
«Esagerato…
Ai nostri compagni di classe piace. Credo che per molti sia una specie
di sogno
erotico o qualcosa del genere.»
«Ma
chi? Quella tavola da surf con le gambe?»
«Tavola…
Ha una terza abbondante.» e mentre quella disegna un paio di
tette nell’aria,
lui tenta di non strozzarsi con le patatine.
«Po-Possiamo
smetterla di parlare delle tette della Itou?! Mi fa senso!»
«Le
sue tette?»
«No,
lei e—Ah, mangia e taci!» le scaravenmta contro una
patatina.
Shiba
lo fissa con sopracciglia arcuate, i suoi occhi sono pregni di
derisione, forse
per le sue guance rosse o per il suo mangiare compulsivamente. Fatto
sta che
scoppia a ridere senza ritegno, con la fronte poggiata sulle braccia
conserte.
Si
era dimenticato il suono limpido della sua risata, il modo in cui gli
perfora
i timpani e si incastra fra le pieghe del cervello. Di come i lati dei
suoi occhi si
arriccino, delle minuscole rughe intorno…
Si era dimenticato della
parte bella di Shiba e la cosa
peggiore è che rivederla non lo fa stare bene.
E’
avvolto dal drappo dell’incertezza, ha il terrore di dire la
parola sbagliata e
veder tutto sfumare in un bel nulla. E pensare che parlarle era
così facile,
una volta.
«Scusami,
volevo solo stuzzicarti un po’.» si asciuga le
lacrime.
«Come
sono fortunato.»
«Era
solo per rompere il ghiaccio.»
«Le
palle. Pensavo fosse per rompermi le palle.»
Il
battibecco si perde nel chiacchiericcio di una banda di ragazzini che
fa casino
a pochi metri da loro; qualcuno sta facendo commenti su Shiba e su come
vorrebbe portarsela in branda ma la ragazza sembra non accorgersene e
lui ripone
la forchetta di plastica della macedonia.
«Cosa
ci facevi qua in giro?» glielo chiede con
placidità, giocherellando con un
tovagliolino.
«Non
stavo cercando guai.» si difende con scontrosità,
vedendola sbatacchiare le
palpebre pitturate di rosa chiaro.
«Non
stavo facendo insinuazioni…» mormora sventolando
una mano, portandosela poi
sulle labbra.
Nh,
forse è anche un po’ colpa propria se non riescono
a parlare. L’attacca prima
che possa attaccarlo, si nasconde dietro giustificazioni preventive
prima che
lei possa farsi castelli per aria.
Ingoia
l’enorme boccone di panino «Ero a trovare un amico.
Sai, Tetsuo…»
«Ah,
sì. Riuscite a vedervi ancora?»
«Diciamo
che sono io a vederlo, lui vorrebbe prendermi a calci ogni volta che mi
presento a casa sua.» ghigna al pensiero delle sue minacce di
morte.
«Come
mai?»
«Boh,
dice che la mia vita è cambiata, cazzate del
genere» ravana fra le cartacce
«Cioè, solo perché non faccio
più a botte non vuol dire che debba tagliarlo
fuori così, no? Insomma… C’è
sempre stato quando avevo bisogno.» non si chiede
subito se le sue parole provocheranno un’eruzione di
recriminazioni o si
perderanno come loro solito ma quando solleva lo sguardo e incrocia
quello
malinconico di Shiba, comincia ad analizzare ogni sillaba spesa.
Tagliare
fuori, esserci quando qualcuno ha bisogno… Che
oratore di merda, sul serio.
«Tu
piuttosto? Che ci facevi qui?»
«Avevo
voglia di un po’ di azione.» solleva i pugni
chiusi, li muove nell'aria.
«Prendi
per il culo?»
Shiba
sbuffa «Non volevo tornare a casa, va bene? Che
pesantezza…»
Mitsui
reprime il desiderio di strozzarla «Si può sapere
che è successo?»
«Nulla
di importante.»
«Per
questo frignavi in mezzo alla strada?»
«Frignavi… Vedo
che la tua delicatezza è
rimasta intatta.»
«Cosa
vuoi? Certe qualità sono innate» rimbrotta
zuccheroso, ricevendo una stortura
di naso «Hai litigato ancora con i tuoi?»
«No.»
«Magari
tuo fratello ha tagliato il cordone ombelicale e ha finalmente deciso
di
trovarsi una fidanzata?»
Il
volto di Shiba diventa una maschera di freddezza «Non tirarlo
in mezzo, lui non
c’entra.»
«E
allora qual è il problema?»
Lo
guarda come se da un momento all’altro dovesse dirgli «Sei tu il problema»
ma la sua figurina si rilassa sulla sedia e dopo
due panini e due pacchetti di patatine che gli tocca mangiarsi, ecco
che la
ragazza decide di rispondergli «Oggi ho gareggiato. Mi sono
qualificata tra le
prime dieci, sono stata ammessa alle altre eliminatorie.»
La
fronte di Mitsui si riempi di piccole dune mentre la confusione modella
il suo
viso mascolino «E non dovrebbe essere una bella
cosa?»
Si
gratta la punta del naso «Sì… Ma i miei
non c’erano.»
«Neppure
i miei vengono a vedermi ma mica ne faccio un dramma.»
«I
miei sono tornati qualche giorno fa, hanno detto che sarebbero
venuti.»
Ah…
Già. Ricorda che spesso i suoi sono via per lavoro; suo
padre fa il fotografo per delle riviste tipo National Geographic
o cose del genere e
sua moglie lo segue in capo al mondo; non ha mai capito se lo fa per
amore o
solo per visitare le città in cui si infilano.
«Ma…?»
«Ma
c’era la partita di Akira…»
Mitsui
apre il panino, scarta le zucchine «Dovresti esserci
abituata. I tuoi non
scelgono sempre tuo fratello?»
«Pensavo
che oggi sarebbe stato diverso. Mi fanno passare la voglia di
continuare…» i
suoi occhi si rifanno lucidi.
Mitsui
arcua un sopracciglio; queste zucchine sono infinite!
«Vorresti smettere perché
i tuoi non vengono a vederti?»
Scuote
la nuca, i suoi boccoli ondeggiano in maniera ipnotica. Se solo ci
pensa, può
ancora rivedere le proprie dita che si incastrano fra quei fili ora
scuri, ci
giocano, ne seguono il contorno ondulato.
Si
ridesta quando le sue parole escono più spezzate di quanto
dovrebbero «Non
importa a nessuno. Che io vinca, che perda, non importa a nessuno. Non
importa
a loro e non importa neppure a me» sventola le mani
«Non ha più alcun senso.»
«E
allora perché hai cominciato?»
«Perché
la mia mamma mi diceva che ero brava» Shiba giocherella con
un acino d’uva
della macedonia ancora intaccata «Non ti manca mai
l’aria quando giochi a
basket?» lo guarda senza ostilità per la prima
volta in tutta la serata e
Mitsui non sa come reagire.
Si
ritrova a masticare con lentezza, con l’insalata che gli
pende dalle labbra
sporche di salsa tartara e lo sguardo confuso.
«No.»
è l’unica risposta che riesce a darle, incapace di
poter aggiungere qualsiasi
altra cosa. Ma come le salta in mente una cazzata del genere?! Lui
sente
mancare l’aria quando pensa ai due anni di vuoto, alla palla
che non entra nel
canestro o ad una partita che finisce in una clamorosa sconfitta.
Giocare
per lui è… E’ vita.
È
come se si risvegliasse, ogni volta che la palla entra nel canestro.
Shiba
gli sorride placida «Che domanda
stupida…» Mitsui vorrebbe dirle che ha ragione
ma il casino fuori in strada lo fa zittire. Lampeggianti e sirene
attirano la
loro pigra attenzione; a quanto pare c’è un
inseguimento «Non ti manca mai
quella vita?»
Mitsui
la guarda di striscio e un A volte
appena pensato rischia di scappargli di bocca. Ma passandosi una mano
sul mento
avverte le grinze della piccola cicatrice e subito i ricordi del
sangue, delle
botte, dei calci e delle nottate passate a medicarsi sotto le urla di
sua madre,
tornano a galla come spettri mai spariti.
E
allora scuote la nuca.
Non
tornerebbe indietro nemmeno se fosse Shiba stessa a chiederglielo.
♠
C’è
un mucchio di gente in metro eppure le pare che ci siano solo loro due
e una
stupida vocina che le intima di dire qualcosa, qualsiasi cosa che possa
fargli
capire come le cose si possano sistemare.
Non
subito, non solo perché gli ha offerto da
mangiare… Ma possono.
«Dovresti
parlarne con loro.»
Lo
guarda di sottecchi; credeva si fosse addormentato
«Cosa?»
«Dovresti
parlare con i tuoi. Dirgli che non possono pensare solo a tuo fratello,
che
esisti anche tu. Digli che sei stanca della ginnastica…
Magari capirebbero.»
Scuote
la nuca «Non lo faranno. Perché
dovrebbero?»
«Perché
sono i tuoi genitori.»
«Genitori...»
«Ehi,
ti hanno scelta loro. Mica li hai inseguiti fino a casa.»
Il
modo brusco con cui le dice ogni suo pensiero le strappa un sorriso,
solletica
tutte le urla e le grida che trattiene ogni volta che sua madre le
rivolge la
parola.
Da
quel momento si rilassa, si accorge che averlo così vicino
non è poi una specie
di tortura cinese e la consapevolezza che Mitsui sa trovare le parole
giuste al
momento giusto la fa sentire protetta.
«Hai
mai provato a parlare con loro? Parlare davvero? Poi oh, fai come ti
pare…» il
fruscio della sua tuta la ridesta «E’ la mia
fermata. Sicura di non volere che ti accompagni?»
scuote la nuca «Come
ti pare... Ci
si becca.»
Shibahime
non risponde.
Vorrebbe dirgli grazie per averla aiutata da quei dementi, per
averle offerto una cena che non ha toccato e per non aver provato a
riprendere
fra le mani il loro passato. Per essere stato un estraneo a cui frega
poco di
lei e dei suoi trascorsi dandole comunque qualche buon consiglio. Ma
nessun
suono esce dalle sue labbra e quando sente che il momento è
giunto, altrimenti
poi sarà troppo tardi, le porte si sono già
chiuse e Mitsui è una sagoma in
mezzo a tante altre sagome fuori dal vagone.
Si
affloscia sul sedile e porta una mano sullo stomaco brontolante,
maledicendosi
per non aver almeno accettato la macedonia. Si rende però
conto che quel babbeo
di un cestista ha lasciato il sacchetto del Mc
con gli avanzi vicino a lei e allora sospira, perché quello
ha la testa piena
di palle arancioni e Buddah solo sa quante altre cazzate.
Ma
poi tutto assume un senso quando scorge uno scarabocchio sulla
confezione, che
scaccia via ogni insulto e lascia solo un alone di imbarazzo e un
batticuore
che non riesce a frenare.
Mitsui
resta un idiota di dimensioni megagalattiche ma porca misera se ci sa
ancora fare con lei…
«In
giro.»
«In
giro…» tira fuori dell’acqua e scruta il
sacchetto sul tavolo «Da quando vai al
Mc?!»
«Avevo
fame.» addenta l’insalata.
Suo
fratello legge stranito lo scarabocchio in penna «Mangia…» lo sventola
«Non dovresti mangiare queste schifezze. E
butta tutto quando hai finito e non farti scoprire da mamma.»
Shiba
sorride.
Ha
la sensazione che quel sacchetto non finirà in spazzatura
tanto presto.
♠
Kobe
Bryant:
Giocatore di pallacanestro statunitense. Milita nei Los Angeles Lakers
e gioca
prevalentemente come guarda tiratrice.
Arabesque:
passo base del balletto in cui una gamba è
allungata all’indietro e le
braccia sono distese in direzioni opposte.
Dobin
mushi:
Zuppa classica della
cucina giapponese servita nella teiera chiamata dobin e
contiene diversi ingredienti a piacere, tra cui pesce, funghi matsutake,
germogli di bambù ecc. Viene solitamente insaporita con
succo di limone.
Udon:
Spaghetti di grano
tenero spessi.
Si servono in brodo in
varie versioni: guarniti con tofu fritto o
gamberi tempura.
Buondì
♥
Essere costrette ad alzarsi presto nel
weekend è sicuramente un bene per voi, perché
almeno non vi faccio attendere
ere geologiche prima di pubblicare e un male per me, che vorrei
ronfarmela alla
grande.
Ad ogni modo, per farmi perdonare per
il ritardo dell’altra volta e per aver pubblicato un capitolo
corto e insulso,
vi lascio con questo che è decisamente lungo. Molto lungo.
Sono stata più volte
sul punto di spezzettarlo ma sarebbe solo stato un allungamento di
capitoli
inutile che non voglio permettermi, dato che ho una scaletta ben
precisa in
mente. Perciò beccatevelo tutto intero, che magari vi fa
anche più piacere.
E poi è pieno di cose importanti… Cioè
solo la chiacchierata tra Mitsui e Shiba ma va beh, è
già qualcosa!
Probabilmente non vi aspettavate che avvenisse così presto
ma, a ben vedere,
non si dicono poi molto e non è che questo cambi qualcosa
nel loro rapporto. È qualcosa,
facciamocelo bastare ;)
Tengo a precisare una cosuccia sul
peso di Shibahime, mica che si arrivi a parlare di anoressia
–tasto che non intendo
assolutamente toccare, non ho abbastanza tatto per affrontarlo, se
così
vogliamo chiamarlo-: ho fatto una ricerca –non chiedetemi
dove perché è passato
del tempo e ritrovare il sito è stata un’impresa
titanica caduta nel vuoto- ma
a quanto pare il peso delle ginnaste deve essere proporzionato alla
loro
altezza e, facendo i calcoli, usciva qualcosa come 45 -Shiba
è una tappa, già-.
Toltole qualche chilo per il suo non mangiare o mangiare male,
arriviamo a 43.
Tutto qui. Se lì fuori ci fosse qualcuno di esperto e
volesse correggermi, è il
benvenuto :)
Uh, che note lunghe! Passiamo ai ringraziamenti:
ringrazio infinitamente pinkjude,
Ice_DP, ReginaMills89 e LuMiK
per aver recensito lo
scorso capitolo. Spero non me ne vogliate se ancora non vi ho risposto
ma
purtroppo le cose a lavoro si fanno complicate e gran parte delle mie
energie
se ne vanno. Questa poi è stata una settimana che definire
infernale è poco. Ero
talmente sotto pressione e incazzata che quando mi hanno detto che
tutta la
merce urgente è stata consegnata, mi sono sgonfiata sulla
scrivania come un
palloncino, ho proprio sentito la stanchezza crollarmi addosso. E
rispondere
alle recensioni è passato in secondo piano,
ahimè. Sappiate solo che ho visto,
ho letto, ho apprezzato e gongolato come una scema
e mi fate sentire
sempre un po’ più brava e vi adoro per questo.
Siete davvero la cosa
bella nella giornata odiosa.
Aaaah, vi manderei un personaggio di Slam Dunk a casa
ad ognuna per dimostrarvi quando vi adori ♥
Conto e prometto di farlo in questi
giorni.
Ringrazio poi i lettori silenziosi -se aveste voglia di farvi sentire
sappiate che non mordo, nah scherzo, se avete voglia bene se no vi
voglio bene lo stesso!- e chi ha inserito la storia fra le
seguite/ricordate/preferite.
Alla
prossima!
HeavenIsInYourEyes.