Anime & Manga > Slam Dunk
Segui la storia  |       
Autore: HeavenIsInYourEyes    16/05/2015    4 recensioni
Ci sono scene in cui si ributterebbe per riviverle in ogni minimo dettaglio, senza spostare neppure una virgola; altre vorrebbe cancellarle, modificarle, rispondere "Ma" anziché "Beh", dire "Sì" invece di "No".
Mitsui continua a chiedersi cosa sarebbe successo se non avesse abbandonato il basket, se, se… Ne è talmente schiacciato da sentire l’aria mancare e più ci pensa, meno riesce a trovare una via d’uscita.
Ed è così che si sente anche quando apre la porta della palestra; poco, è solo uno spiraglio ma gli basta per sentire la testa girare, il cuore pulsare e tutto il resto farsi effimero.
Il suo "se" più grande se ne sta lì, trasportata dalla musica e leggera come l’aria.
Shibahime è… Da dove può cominciare per descriverla?
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akira Sendoh, Hisashi Mitsui, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
capitolo 7

Shiba si rigira fra le lenzuola appiccicate al corpo nudo. Quelle mattine i cuscini, il copriletto a scacchi, l’intera stanza sanno di Mitsui, dei suoi baci, dei suo gemiti sottili.
Sparisce nel silenzio quando il sole sta per sorgere e l’unica cosa che le lascia è un bacio fra i capelli rossicci, un «Ci vediamo dopo.» sussurratole con un sorriso.
Quel tiepido mattino di fine luglio le lascia una foto nella porzione di letto vuota. Nell’angolo destro sul retro c’è un “Mo chùisle” scarabocchiato. Il cuore le esplode nel petto, si sente amata.
Mitsui riesce a farla sentire a casa, dopo tanto tempo.

La realtà di Shiba è fatta di palleggi che hanno cullato i suoi sogni.
Suo fratello non c’è, la sua porzione di materasso è gelida.
Si alza su di un gomito e getta un’occhiata fuori, scostando la leggera tendina vicino al letto.
Akira si sta allenando.

 

Mo Chùisle

Capitolo 7
(S)He took the midnight train goin’ anywhere

“Nate: Le relazioni non sono mai semplici, ci devi lavorare ogni giorno. Non puoi aspettarti che tutto sia sempre perfetto e non restarne scosso quando non lo è. Quando mi sento imprigionato, devo solo pensare a tutti quei momenti in cui mi sono sentito sano e salvo e ricordarmi che questo può far passare i momenti di prigionia.
Brenda: Restare solo è la vera prigionia. Pensa a te, intrappolato in questo cazzo di vortice in cui pensi solo a te stesso. Che credo vada bene se sei interessante ma la verità è: nessuno è davvero così interessante.
                     
                                                               -The Trap [3.05], Six Feet Under-

                                 
23 maggio, mattina.
Il sole splende su Kanagawa e sul suo umore uggioso.
Poggiata contro la colonna della veranda, Shibahime osserva la figura di Akira che zigzaga sul campetto di basket, quello nel cortile dietro casa.
La brezza leggera scompiglia i suoi lunghi capelli scuri, trascinando dietro sé un mucchio di ricordi che le lasciano solo tanta malinconia.
Rivede la sé stessa di nove anni che tenta vanamente di smarcarsi da un Akira di otto, alto il doppio di lei, che fa finte che nemmeno un professionista e segna con una maestria degna di Bryant. E lei è lì, con due stecchi
che ricadono lungo i fianchial posto delle braccia, gli occhi scuri pieni di lacrime e in sottofondo c'è la sua risata limpida, priva di schernimento.
E poi ci sono i suoi «Vedrai che col tempo migliorerai!» e il suo crederci, perché Akira non le avrebbe mai detto una bugia. Fino a che non crescono e Koshino, con la sua fine garbatezza, le fa notare quanto schiappa sia in realtà. Da allora ha smesso anche solo di palleggiare, che tanto non c’è portata.
«Ti ho svegliato?» la palla entra nel canestro senza sbavature, Akira osserva le catene tintinnare.
«Nah, stavo fissando il soffitto.» mente, alzando le spalle.
«Un brutto sogno?»
Le labbra di Shiba si spiegano in un accenno di sorriso. Ma i sogni non dovrebbero essere belli? No, perché solitamente Mitsui li aveva sempre riempiti tutti e, Kami, non ricorda di essersi mai svegliata di colpo, con brividi e sudori freddi. C’era sempre stato il batticuore, un fiotto di calore che non accennava a spegnersi nemmeno se apriva la finestra e la costante sensazione di bruciare per il troppo desiderio.
«Una brutta realtà.» butta lì con noncuranza, scuotendo la nuca quando vede le sue sopracciglia aggrottarsi.
Vorrebbe accennargli del ritorno di Mitsui e di come tutto, ma proprio tutto, sembri esserle ritornato alla mente con una prepotenza che non può sopportare. Ogni via di Kanagawa le ricorda i baci spesi, le risate sprecate e le parole taciute o ingoiate per paura di rovinare quella bolla di perfezione in cui si rinchiudevano ogni volta che stavano insieme. A volte le pare di sentire ancora il "pluff!" che la bolla ha fatto poco prima di scoppiare, mostrandole quanto labile fosse ciò che credeva avessero costruito.
«Ho sentito mamma. Dice che tra poco arriveranno.» Akira spezza i suoi pensieri, un leggero sorriso gli addolcisce i tratti.
Shiba ricambia lieve, mormorando un «Bene…» poco convinto.
Un senso di vuoto si impadronisce di lei al pensiero che la voce acuta di sua madre riempirà i corridoi di casa, che le cene a tavola saranno incentrate solo su Akira, che ogni cosa che farà o dirà verrà meticolosamente sminuzzata e analizzata, così da far nascere una nuova discussione che si concluderà con uno sfiancato
«Dovresti tornare dalla dottoressa Nakamura. Fallo, per il tuo bene».
Quando Akira l’ha strattonata per le scale del Sacro Cuore con sottofondo la risata cristallina di Madoka e la mano di Kyosuke posata sulla spalla, Shiba ha creduto per un attimo di aver trovato il Paradiso o qualcosa che ci assomigliasse vagamente. Non avrebbe più dovuto fingere di essere una bambina perfetta perché i suoi nuovi genitori l’avrebbero amata incondizionatamente per quella che era, con tutto ciò che era incluso nel pacchetto: lacrime, incubi che non se ne vanno nemmeno con la lucina accessa nella camera da letto, solitudine che divora ogni brandello di gioia e quella scomoda sensazione di essere un'estranea, qualunque cosa sarebbe potuto accadere.
Altrimenti non l’avrebbero scelta, no?
Eppure gli occhi di sua madre si sono fatti più cupi nel corso degli anni, quasi non fosse quella che si era aspettata. Da quando è approdata in quella casa, si respira quello stesso senso di inadeguatezza che la perseguitava ogni volta che nuove famiglie venivano all’orfanotrofio e alla fine la scartavano.
«Oi, che hai?» la palla entra nel canestro, le catenelle che tintinnano la fanno fremere.
«Nulla.»
Akira è qualche gradino più in basso di lei, ciononostante Shiba sembra comunque una nana da giardino. L’abbraccia senza nemmeno lasciarle il tempo di pensare, giocherellando con i lunghi capelli scuri.
La sua guancia si posa sul suo addome, le servirebbe una scala per poterlo guardare negli occhi.
E pensare che un tempo questi gesti le facevano venire le palpitazioni, credeva seriamente di essersi presa una sbandata per quel bontempone di Akira.
Fino a che non si è accorta che la parola fratelli risuonava un po’ troppo spesso fra le mura di casa.
Fino a che un ragazzo dai capelli a scodella non le ha chiesto di restare in palestra, perché tanto non gli dava fastidio. Per poi invitarla a vedere una partita, un'amichevole con una scuola di cui mai aveva sentito parlare. Andarci accompagnata da Nanaka perché 
«Col piffero che ti lascio andare da sola. E se fosse un maniaco?!». E incrociarla per i corridoi e invitarla fuori per festeggiare la vittoria anche se ormai sono passate più di due settimane ma chi se ne frega, una scusa vale l'altra pur di stare insieme.
Gli abbracci di Mitsui l’hanno sempre fatta sentire protetta, anche se le cose andavano male lui sapeva sempre risollevarla.
Aggrotta le sopracciglia. Ma perché anche in un momento di quiete come questo deve per forza pensare a quel demente?!


«Sai? Pensavo che dovremmo riandarci, quando mamma torna.»
«Dove?»
«Allo zoo… Come ai bei vecchi tempi.»
Shiba ridacchia «Non siamo un po’ troppo cresciuti per quello?»
«Ah, già…»
Sorride appena.
Il rumore del clacson li fa dividere. I loro genitori sono tornati.

 
26 maggio, mattina.
Il momento prima di un’esibizione è la parte peggiore.
L’ansia che si respira è palpabile, la costringe a sedersi.
Un’enorme stanzone bianco contiene decine e decine di ragazze che gridano, strepitano e richiedono l’aiuto delle coach o delle madri per sistemare i capelli, il body o il trucco. Ci sono pianti nervosi, scatti isterici e lanci di sfida che puntualmente rischiano di finire in rissa.
Ha imparato a convivere con il caos che le rimbomba nella testa, quel caos che le fa invertire i passi dei movimenti, che la fa sentire impreparata nonostante le ore e il sudore spesi per arrivare fino a lì, al limite della perfezione.
Le luci al neon degli specchi danno fastidio alla vista e risaltano il trucco che tenue copre i loro volti. Shiba vorrebbe togliersi quel lillà che le colora le palpebre; lo odia, la fa sembrare un cadavere.
Getta un’occhiata a Nanaka, intenta a sistemarsi. È placida e la sua priorità è far sì che la linea di eyeliner sull’occhio destro combaci con quella dell’occhio sinistro.
Shiba invidia la sua freddezza. Lei ha la nausea, le mani le sudano e le gambe le formicolano.
«I tuoi verranno?»
«Mh? Oh, no. C’è la partita di Akira, oggi» torna a sistemarsi il rossetto «Dov’è la coach?»
«A fumare. Agitata?» Nana la guarda di sbieco «Non esserlo, la maggior parte di quelle che ci sono qui non sanno neppure tenere in mano una clavetta. E poi basta che entriamo fra le prime dieci in ogni disciplina, non c’è bisogno di strafare» si guarda allo specchio, un sorrisetto compiaciuto le dipinge le labbra color ciliegia «Ricordati che sei brava, ok? E ora stai ferma che ti aggiusto, hai i capelli tutti da schifo.»
Shiba le sorride appena, la vista però le si appanna mentre le sue dita affusolate le sciolgono lo chignon fatto alla bene e meglio.
Preferirebbe che fosse Madoka ad aggiustarla.

 

 
Il momento prima di un’esibizione è la parte migliore.
L’adrenalina le scorre in vena, si propaga per tutto il corpo. Le dita si stringono intorno alle clavette rosse e nere, dello stesso colore del body con paiette che la fascia.
C’è un sottile velo di ansia che tende ogni muscolo, ha la stessa consistenza di quella pre-esame o di quella che la fa sempre deglutire quando Akira la guarda in quella maniera assolutamente mozzafiato, prima di chinarsi a baciarla nel buio del suo soggiorno pieno di vasi rotti, con quel demente di Spock che miagola perché ha fame o è semplicemente invidioso che un tale splendore si dedichi completamente a lei.
Nella mente ha ben impressi i passi che deve compiere ma li ripercorre uno ad uno, timorosa di averne perso qualcuno mentre si truccava o rassicurava le matricole tutte tremanti sulla panca.
Nanaka sente il petto gonfiarsi quando il giudice l’annuncia, viene travolta dagli applausi di quei fan che si è guadagnata nel corso degli anni e ad ogni passo che compie impettita, si lascia dietro un po’ di quell’agitazione che l’attesa ha prodotto.
Gli sguardi sono tutti su di lei, sulla sua figura rigida che regge le clavette mentre punta i piedi a terra, ma lei non li avverte.
E’ quello il momento che più le piace.
Quello che dura un respiro, uno sfarfallio di ciglia.
E’ un istante, sfuma nel flebile suono della sirena e il silenzio si fa musica, l’aria si fa elettricità e lei ne diviene un tutt’uno. Si libra leggera, le clavette ruotano, si incrociano, rigano l’aria e riatterrano fra le sue mani.
Prima c’è la rovesciata, un Arabesque, quella capriola all’indietro che ha sempre sbagliato agli allenamenti ma che per qualche miracolo le viene durante la gara.
Quel minuto e quarantadue secondi dura un’eternità ma quando la musica ritorna silenzio, il tempo torna a scorrere normalmente.
Allora si ricorda che sua madre dovrebbe essere lì, fra il pubblico che l’applaude; glielo ha promesso l’altra sera mentre preparava un grafico per la riunione del mattino, con la mano appoggiatta sulla fronte e i capelli arruffati e l'aria di chi vorrebbe solo della ricina nel proprio bicchiere.
Nana si guarda attorno, lo sguardo disperso sugli spalti.
Sua mamma non è venuta a vederla.
Quello è decisamente il momento peggiore.


 
«Dovresti venire a vedermi, sono fantastico!»
«Non ci verrei nemmeno se mi promettessi donne e birra a volontà, è inutile che me lo ripeti. E poi si può sapere che cazzo ci fai qui? Sbaglio o avevo detto di non farti più vedere?!» Tetsuo si solleva sui gomiti, osserva la schiena larga di Hisashi che, da bravo moccioso combina guai qual è, ovviamente non lo ha ascoltato. Tsk!, quel coglione non lo ascolterebbe neppure se fosse in punto di morte.
Si è presentato a casa sua con della birra, convinto di poterlo corrompere e prima che potesse sbatterlo fuori a suon di calci in culo, quello si era già fiondato in cucina alla ricerca del cavatappi. Tetsuo si è arreso quando si è spalmato sulla poltrona cominciando a ciarlare di basket, di Sakuragi che ha scambiato la pallacanestro per un incontro di box e di come il suo allenatore, quel vecchio panzone di cui ha dimenticato il nome, lo abbia guardato con orgoglio prima di dirgli «Hai giocato bene, figliolo.»
Hisashi sghignazza di fronte alla sua reticenza, gli ripete qualcosa come «Tanto so che cederai.» riprendendo a straparlare di incontri e tiri da tre punti. A quanto pare sono la sua specialità ma lui nemmeno ha idea di cosa siano ma evita di chiederglielo, gli è venuto mal di testa dopo appena tre secondi di conversazione.
Eppure c’è qualcosa che gli impedisce di zittirlo. 
Sarà quel fuoco combattivo che neppure durante le risse ha visto ardere nei suoi occhi scuri o magari è la vitalità con cui parla e gesticola a fargli ingoiare ogni bestemmia.
Mitsui è vivo come non lo era da tempo e lui non può che esserne felice.
È cresciuto dal giorno in cui si è presentato da lui con la divisa sporca di sangue e polvere, con quei suoi capelli lunghi da donnicciola e l’aria di chi vuole fare a pezzi ogni cosa che incontra per strada. Glie è parso di rivedere il sé stesso di tanto tempo fa, quello sbandato che non sapeva che cazzo farne della propria vita e ha deciso di mandare tutto a puttane, che tanto non gli usciva neppure male.
Per questo l’ha preso sotto la propria ala protettiva e gli ha insegnato tutto ciò che c’è da sapere nel mondo della malavita, mostrandogli però solo la superficie.
Sapeva che quel ragazzo era destinato a ben altro, che quell’esistenza fatta di botte e scorribande non faceva per lui. Nh, dubita che quel demente diventerà dirigente d’azienda o banchiere come il padre ma saperlo fuori dall’ospedale e lontano dalla galera è già qualcosa.
Approfitta di quel momento di pausa per fargli una domanda qualsiasi, tutto pur di non sentir parlare di palle e canestri «A scuola come va?»
Mitsui arcua un sopracciglio «Mi stai davvero chiedendo come va a scuola?»
«Ehi, ci tengo alla tua istruzione» ghigna «E poi voglio assicurarmi che non ti metta più nei casini.»
Il ragazzo rigira la bottiglia fra le mani, il sorriso gli penzola dalle labbra «Tranquillo, ho smesso di fare a botte. Ormai sono solo casa-basket, basket-casa.»
«E a donne come sei messo?»
Rotea gli occhi «Ancora con questa storia?»
«Tengo anche alla tua vita sessuale, cosa credi?»
Mitsui si gratta la nuca, imbarazzato «Ti ho detto che non ne ho il tempo!» le sue labbra si attaccano alla bottiglia con troppa foga, quasi volesse soffocare un mucchio di parole pericolose.
«Tutti hanno tempo per il sesso.»
«Beh, io no.»
«Dovresti. Potrebbe essere un ottimo metodo di sfogo contro lo stress.»
«Ma non sono stressato!»
«Presto lo sarai. La scuola, gli esami, le partite, i tuoi… Porti già la dentiera» Mitsui alza un amorevole dito medio e lui non può fare a meno di ridergli rumorosamente in faccia; le sue guance rosse lo stanno facendo morire, sembra un moccioso beccato a guardare i giornaletti porno del padre «Oi, va che sono serio. Una ragazza non sarebbe male come idea.»
«Ma non eri tu quello che diceva che le donne portano solo guai e sono buone solo per scopare?»
«Beh, almeno sono buone in quello» ravana nella tasche per cecare le sigarette «Andiamo, ci sarà pure qualcuna che ti interessa. La manager della squadra mi sembra un bel bocconcino.»
Sgrana gli occhi «Ma chi, Ayako? Tu sei tutto scemo!» sventola una mano davanti alla faccia «Quella picchia peggio di un uomo, fidati! E poi è proprietà di Miyagi. Se provo ad avvicinarmi, quello è capace di staccarmi i coglioni.»
«Beh, non c’è mica solo lei in tutta la scuola» si gratta la barba incolta «Una compagna di classe o che so io.» Tetsuo gliela butta lì senza convinzione ma la reazione di Mitsui è troppo plateale perché possa ignorarla.
Si sta strozzando con la birra, boccheggia cose senza senso e quando riacquista un po’ di lucidità sbotta un caustico «No che non c’è.» che gli fa cascare le palle.
«Si vede lontano un miglio che c’è qualcuna.»
«Se ho detto che non c’è, non c’è.»
Testuo si mette a sedere, assume un’aria da genitore incazzoso pronto a farla pagare al figlio ribelle «Senti, mi hai frantumato i coglioni sul basket per tre ore» Mitsui sbuffa «Ora: o mi dici chi cazzo è questa o ti faccio uscire dalla finestra.»
Il ragazzo si chiude in un mutismo ostinato, conta i mozziconi sul tappeto e rifugge il suo sguardo fino a che non si lascia andare «E’ la solita.»
«La solita.»
«Sì, la solita!»
«Ma la solita chi?! Avrà un cazzo di nome!»
Le dita strette intorno alla bottiglia rendono bianche le nocche «… Shibahime.»
«Ah… La solita.»
«Eh.»
Mitsui non ha mai raccontato per filo e per segno cosa sia successo tra loro ma nella mente di Tetsuo è ancora vivido il ricordo di quando lei lo ha piantato. Si è presentato a casa sua conciato da far schifo, ubriaco fradicio e grondante di sangue. «Ho fatto a botte» gli ha detto fra le risate convulse e amare e ai suoi perché e percome, quello se ne era uscito con un rabbioso «Quella stronza di Shiba se n’è andata. Anche lei, come tutti.». I giorni a seguire sono stati una tortura, un susseguirsi di scazzottate e sbronze, fino a che non gli ha confessato di essersela lasciata alle spalle. Più o meno… Era chiaro come il sole che non riuscisse a scordarsi di lei, c’era sempre qualcosa che lo tormentava.
Il modo in cui ne parlava, il modo in cui gli occhi si riempivano di qualcosa quando si pronunciava il suo nome… Lui non se ne era mai accorto, ma bastava nominargliela per aggiustargli la giornata.
«E’ in classe con te?» annuisce «Che sfiga.»
«Già…»
«Vi parlate?»
«Macché. Ci ignoriamo.»
«E che aspetti a parlarle?»
Il ragazzo aggrotta le sopracciglia «Perché dovrei essere io a parlarle per primo?! E’ stata lei a mollarmi!»
«E tu sei quello che ha combinato i casini» Hisashi si fa minuscolo sulla poltrona, borbotta come una teiera «Dille che ti dispiace e amici come prima. Cosa vuoi che sia?»
«Non è così facile.» mormora sconsolato. Gli si legge in faccia che vorrebbe ritornare ad avere un qualsivoglia tipo di rapporto con lei ma qualcosa lo blocca.
Tetsuo si arrende; gli toccherà fare da Dottor Stranamore quella notte «Certo che lo è» si accende la sigaretta «Perché non dovrebbe?»
Si massaggia il collo «Perché è lei a non esserlo» si stropiccia il volto «Hai presente quelle che sono tue ma non lo sono mai completamente? Lei è una di quelle…» le dita strisciano sui jeans scuri e larghi «Lei è stata adottata, te l’ho mai detto?» gli sorride leggero, quasi volesse scacciare la frustrazione. Tetsuo scuote la nuca, lo lascia parlare «Non ne so granché, non ha mai voluto approfondire la cosa. Sua madre è morta quando aveva sei anni, suo padre è scappato poco dopo. C’erano giorni in cui le cose andavano bene, altri in cui aveva delle crisi che duravano ore e non c’era modo di tranquillizzarla. Era convita che i suoi genitori adottivi l’avrebbero abbandonata e che l’avrei fatto anche io perché era sbagliata e cazzate del genere» si gratta la nuca «Ha sempre mantenuto una distanza tra noi e non sono mai riuscito a colmarla. Pensavo che una volta che ci fossimo lasciati mi sarei sentito meglio ma non è andata così.» finisce il tutto con un sorriso tirato, quasi bastasse a spiegare perché vuole tenersi lontano da lei.
Tetsuo si gratta il mento «E com’è che è andata?»
Alza le spalle «Continuo a pensare che sia colpa mia. E’ come se avessi fallito, no? Alla fine l’ho abbandonata.»
«E’ stata lei a lasciarti.»
«Non è che abbia fatto molto per fermarla… Senti, possiamo non parlare più di lei?» ha lo sguardo sofferente, continua a sfregarsi le mani quasi avesse voglia di spaccargli la casa.
Tetsuo teme che possa sfasciargli quei pochi mobili sani che ha, decide quindi di cambiare argomento «Parliamo d’altro, ok...»
«Mh.»
«Coi tuoi tutto a posto?»
«Ma argomenti più felici no, eh?»
«Non rompere e rispondi.»
«Nh, la solita merda. Sono convinti che me ne vada in giro a spaccare i denti alla gente.»
«Te ne stai in giro fino a quest’ora…» getta un’occhiata all’orologio, segna le 22.45 «Non ti chiedono dove te ne vai tutte le sere?»
Alza le spalle «Dico loro che sono da compagni di classe ma tanto non mi crederebbero neppure se fosse vero. Non parliamo, a malapena ci salutiamo. Lo sai che non sono venuti neppure ad una partita?» sorride appena «Forse è quello che mi merito dopo tutto il male che gli ho procurato.» le sue parole sfumano in rassegnazione.
Mitsui sembra fatto di cristallo, in quel momento. 
Gli pare sia la cosa più fragile che ci sia in quella casa e ha la sensazione che la parola sbagliata possa creare una crepa distruttiva, di quelle che lo farebbero crollare in mille pezzettini non ricomponibili.
Spegne la sigaretta e un’idea del cazzo gli frulla in testa.
«Quando hai detto che giochi?»
«Eh?»
«La prossima partita. Quando ce l’hai?»
«Settimana prossima, perché?»
Alza le spalle «Mah, magari passo.»
Mitsui sghignazza eppure la gioia nei suoi occhi non gli è sfuggita «Sempre se non ti mettono in galera prima.»
«Cercherò di evitare i casini.»
Quel demente si merita qualcosa di più dei sensi di colpa.

 

 

Shiba odia mangiare fuori. Di sabato, quando i locali sono pieni di gente.
Il ristorante chic in cui si sono infilati è talmente perfetto da darle il voltastomaco. Akira le carezza una mano sotto il tavolo, dandole un briciolo di conforto che ha smesso di provare da quando i suoi sono tornati.
L’aria in casa è tornata irrespirabile, non parla per evitare liti e sta fuori fino a tardi pur di sfuggire alle cene o ai rimproveri di Madoka. L'unico momento di pace lo trova nella camera oscura di suo padre, il suo santuario come ama definirlo;  le piace osservare la sua schiena curva sulla vaschette, con le pinze che reggono la foto appena sviluppata, studiare ogni singolo cambiamento della sua espressione mentre studia la fotografia, così come adora i suoi sorrisi alla Akira quando le dice 
«Vuoi darmi una mano?», insegnandole passo per passo come fare. 
«Oh, e quando hai segnato dalla linea dei tre punti? Sei stato fantastico!» la voce compiaciuta di Madoka è uno strattone che la riporta alla realtà. Il suo volto è illuminato da orgoglio, quello stesso orgoglio che le ha letto quando la coach della palestra in cui si allenava le ha detto
«Sua figlia è straordinaria, dovrebbe puntare all'agonismo».
«E’ stata fortuna» Akira sventola una mano «In realtà è merito di Hikegami-senpai, ha fatto un buon passaggio.»
«Oh, beh, ma il tiro l’hai fatto tu mica lui.» la sua capacità di smontare l’abilità altrui è strabiliante, Shibahime ne rimane sempre sorpresa. Akira stiracchia un sorriso poi riprende a mangiare il suo Dobin mushi.
«Beh, che fai, non racconti a tua sorella com’è andata la partita?»
Shiba gli rivolge uno sguardo addolorato, Akira per poco non si strozza con la zuppa.
«Non credi che abbiamo parlato un po’ troppo di Akira?» Kyouske si intromette, ha quel sorriso rincuorante che la fa sempre sentire a suo agio; le fa un occhilino «Shiba, non ci dici com’è andata la tua gara?»
«Mi sarebbe piaciuto vederti perdere il nastro.» sghignazza suo fratello, ricevendo una sberla sulla spalla che lo fa scoppiare a ridere.
Madoka la guarda con occhi brillanti «E’ andata bene?»
Annuisce «Ho commesso qualche errore qua e là ma tutto sommato me la sono cavata. Sono arrivata terza!»
«E Nanaka?»
«Oh, è stata bravissima come sempre!»
«Quella ragazza è adorabile, oltre che brava. E’ stupendo vederla ballare. A proposito, dovresti invitarla a cena qualche volta.» il commento inopportuno di Madoka la fa sentire minuscola, ha una zuccherosità che le fa venire la nausea.
Shiba annuisce, rigira le bacchette nell'Udon. A volte ha la sensazione che sua madre preferisca Nanaka a lei. 
«Immagino tu sia stata brava.» seguita Kyosuke, scompigliandole la frangetta.
«Già…»
«Peccato che le abbiano fatte lo stesso giorno...» la guarda preoccupato «Shiba, non hai toccato nulla.»
La ragazza spinge lontano il piatto «Non ho molta fame.»
Madoka storce le labbra pitturate di rosso «Devi mangiare, tesoro. Vuoi scomparire, per caso?»
Shiba ingoia un pezzo di pane pur di tacerle un .

 
Tetsuo lo ha cacciato di casa quando una donna lo ha chiamato al telefono.
Mitsui entra nel primo vagone vuoto che trova, decidendo come passare la serata. Per il momento si accontenta di viaggiare senza meta in metropolitana.
A casa non ci vuole tornare, si sente soffocare.

Shibahime si è defilata con una scusa quando i suoi si sono alzati da tavola. Akira le ha chiesto se volesse uscire con lui e i suoi amici a festeggiare ma ha preferito scappare.
Viaggia senza meta in metropolitana, non sa come passare la serata ma qualsiasi cosa andrà bene.
A casa non ci vuole tornare, si sente soffocare.

 

Quando apre gli occhi, la stazione di Shibuya gli ricorda che la sua è passata da ben tre fermate.
Si sistema sullo scomodo sedile, si stringe la borsa degli allenamenti contro il petto e cerca di far mente locale per capire cosa ci faccia lì e quale sia la sua destinazione.
Gli basta ingoiare un po’ di saliva per ricordarsi di tutto: non può tornare a casa a quell’ora con il rischio di incappare nei suoi; se scoprissero che ha bevuto della birra comincerebbero ad assillarlo con sciocche domande e Mitsui non ha proprio voglia di litigare. Il vagone è vuoto, fatta eccezione per un gruppetto di teppistelli che fanno cerchio intorno alla malcapitata vittima.
«Andiamo piccola, non vuoi venire a giocare con noi?»
Ah, le care, vecchie tecniche di abbordaggio in teppista style. Ora che ci pensa, non gli mancano granché, anche perché non ha mai riscosso tutto ‘sto successo…
«Cos’è, non parli?»
«Le ragazze che non parlano sono le migliori.»
Nh, vorrebbe intromettersi nella loro discussione e affermare per esperienza che le ragazze che non parlano sono decisamente le più complicate ma dubita fortemente che quei tre saprebbero andare oltre il “Chi sta sotto e chi sta sopra?”
«Gentilmente, potreste levarvi dalle scatole?» la voce sottile che riga l’aria ha un non sa che di familiare. Trattiene una risata nel sentire tanta garbatezza rivolta a dei bifolchi, probabilmente qualche madamigella indifesa della Kanagawa bene deve essere finita lì per sbaglio. Si sporge leggermente per godersi la scena e—Oh Buddah santissimo!
«Shiba?!»
I tre smettono di tormentarla, si guardano tra loro e poi gli rivolgono uno sguardo sorpreso.
«Ah, Mitsui-kun!» bofonchia uno di loro, mollando il polso della ragazza. E’ un ragazzetto basso e minuto, uno di quelli di cui a malapena ti ricordi il nome. Si scervella per capire dove lo abbia incontrato ma è lui a fugargli ogni dubbio «Tetsuo ha detto che non bazzicavi più da queste parti.» c’è un velo di durezza nelle sue parole ma appena lo sovrasta ecco che il fastidio sgattaiola via.
«Che stavate facendo?» ignora volutamente la sua constatazione, non ha voglia di dilungarsi in futili spiegazioni davanti a Shiba; Shibahime che lo fissa con un misto tra la sorpresa e la voglia di buttarsi sotto le rotaie. Ho accettare le proposte indecenti di questi tre.
«Volevamo divertirci un po’…» il secondo, quello allampanato, sorride furbamente verso la ragazza «Ma non vuole collaborare.»
«Ci credo che non vuole, sta con me.» le parole gli escono prima ancora che le abbia pensate, lasciandolo spiazzato. C’è che quel Sta con me per anni lo ha fatto sentire il padrone del mondo, mentre ora lascia solo tanto amaro da fargli salire la birra in gola.
«Sta con te?»
«Già…»
«Oh, beh, non pensavamo che fosse di tua proprietà.»
«Proprietà?» squittisce incredula.
«Mhm, lo è, quindi levatevi dalle palle, d’accordo?»
«Proprietà?!» gracida ancora, guardandoli tutti e quattro con occhi saettanti.
Mitsui rotea gli occhi e non appena la metro si ferma, la prende per il polso, tirandosela dietro «Sì, beh, noi scendiamo qui! A mai più.» soffia mentre le porte si chiudono. La trascina fino fuori, lasciandola non appena le luci del lampione rischiarano la sua figurina tutta ben vestita. Gli fa uno stranno effetto ritrovarsela tra i piedi di sera, senza la divisa scolastica, è come venir catapultati nei loro bei giorni felici.
«Proprietà…» Shiba spezza il silenzio, lo fissa con un sopracciglio arcuato «Cosa sono? Una casa?»
«Che ne dici di una villa con piscina?»
«Mistui--»
«Ehi, con quelli bisogna usare un certo linguaggio» sventola la mano che fino a qualche istante prima ha stretto il suo polso fin troppo sottile «E poi ti ho salvata, no? Basta un grazie.»
«Me la sarei cavata benissimo da sola!»
Scocca la lingua «Gentilmente, potreste levarvi dalle scatole?» la imita malamente, con la voce incrinata da un principio di risa.
Shibahime
guarda il cielo buio, ignora la sua scadente imitazione «Con gli asini va usata la carota.»
«Sì e con le api il miele…»
C’è un istante di tremendo imbarazzo, con una spruzzatina di rancore e rabbia che non guasta mai. L’ostilità di Shiba è visibile, tutto di lei sembra volerlo spingere un po’ più in là ma c’è qualcosa nel suo lento tremolio che lo induce a non voltarle le spalle. Lasciarla lì sarebbe di gran lunga più semplice, si eviterebbe un mal di testa e qualche bestemmia.
Ma se decide di restare, forse può ancora salvare il salvabile.
E' un pensiero che lo attraversa veloce e lo fa sentire a disagio.
Tossisce, un po’ per tagliare la tensione e un po’ per farle credere che voglia effettivamente dirle qualcosa, ma Shiba lo anticipa con un incuriosito «Quei tre… Uscivate nella stessa banda?» che lo spiazza. E non è che lo spiazza solo un po’, è molto più di un po’… E’… E’ l’apoteosi dell’assurdo, ecco. Shibahime che decide di affrontare un discorso per prima, con lui e sul suo passato è davvero assurdo.
Annuisce, esala un incerto «Mhm, non spesso. A volte.»
«Vedo che sei ancora temuto.» la sua ironia non è tagliente, c’è qualcosa che non va nel suo continuo carezzarsi le braccia. Gli ricorda la Shiba delle giornate no, quella che si rinchiudeva nel buio della camera e lo costringeva a starsene lì, con lei, continuando a ripeterle che i suoi non l’avrebbero di certo abbandonata, non dopo averla adottata. Ha la stessa espressione tormentata e spaventata, quella che l’ha fatto innamorare –o rincoglionire, come amava ripetere Tetsuo- e per quanto abbia dimenticato parecchie cose su di lei, queste restano impresse nella mente nemmeno fossero state marchiate a fuoco.
Il senso di colpa lo punzecchia «Ti hanno fatto male?» scuote la nuca; Mitsui la guarda per qualche secondo poi alza le mani in segno di resa «Coraggio, ti accompagno a casa--»
«No!»
«Che?»
«No, non voglio! Non ci torno a casa!» Shiba scoppia a piangere come quando avevano sedici anni e sua madre l’aveva cazziata per chissà cosa. O l’aveva trattata come la figlia indesiderata.
Mitsui si massaggia il collo prima di affiancarla, anche se è tentato di abbandonarla al suo destino giusto per ripagarla con la propria moneta.
Ma prima ancora che possa anche solo pensarlo sul serio, la sua mano è già sulla sua spalla.
Da tempo non le sta così vicino e si riscopre ancora incapace di saper gestire le proprie emozioni, facendo i conti con tutto quel miscuglio di cazzate -come amabilmente le definisce- che gliel’hanno resa cara e al contempo spaventosa.
I suoi silenzi in cui poteva galleggiare senza sentirsi a disagio, la malinconia che traspariva dai suoi occhi e comunque vi si sarebbe smarrito volentieri, i suoi sorrisi mai pieni eppure sempre presenti.
Vorrebbe sorridere e dirle
«Ti ricordi quando mangiavamo sul divano quando i tuoi non c’erano?», oppure «Ti ricordi quando hai vinto le regionali e abbiamo festeggiato in camera tua fino al mattino?», «Ti ricordi che per un po’ ci siamo piaciuti?», ma lei tira su con il naso, facendo svanire i buoni propositi di chiudere ogni conflitto per sempre.
«Oi, tutto bene?» la ragazza scuote la nuca, tiene la testa bassa e trema «Sicura che non ti hanno fatto niente? Vuoi andare all’ospedale? Vuoi—»
Lo guarda con i suoi grandi occhi scuri pieni di lacrime e le parole si rituffano in gola, intimorite. Non la vede così da anni, è un’immagine che ha accantonato nel dimenticatoio e che ora è tornata indietro con tutta la prepotenza che possiede.
Shiba è straziante, le sue parole lo spiazzano.
«Ho fame... Ho una fame tremenda.»

«Due Cheesburger, due patatine grandi… Anzi, fammene tre, è meglio. E due Coca Cola maxi e due crocchette e—No, al posto delle crocchette dammi un altro Cheesburger...» la ragazza batte lo scontrino arcuando un sopracciglio.
«Vuoi anche la macedonia?»
«Vuoi farmi credere che vendete anche robe salutari?»
«La vuoi o no?!»
«Seh, seh, va bene… Ah! E dammi anche quella che dovrebbe essere insalata.»
«Non: dovrebbe, lo è.»
«… Friggete anche quella, per caso?»
Gli sorride tirata, con una vena pulsante sulla tempia «Porti tutto a casa o ci fai l’onore di mangiare qui?»
«La tua simpatia è compresa nel prezzo?» la ragazza sputa raggi laser dagli occhi «Mangio qui, mangio qui!» quella batte le ultime cose e gli lascia lo scontrino, mandando le ordinazioni alla cucina «Kami, che caratteraccio.»
Mitsui si gratta la nuca e mentre attende alla cassa, sbircia la figura di Shibahime seduta ad uno dei tavoli vicino alla finestra, giusto per accertarsi che non sia scappata o che non si sia tagliata la carotide con una forcina.
E’ intenta a sciogliersi lo chignon, vede le sua braccia esili sollevarsi sulla nuca mentre le dita sfilano le mollettine sparpagliate sul tavolo, le dita sciano fra i lunghi capelli scuri, giocherellano con le punte, fino a che non si stanca e si perde nel rimirare le vie poco trafficate.

"Forse ho esagerato con le porzioni"

Nh, probabilmente dovrà mangiarsi lui tutta quella roba e quella demente non toccherà nemmeno la macedonia...
Mitsui paga senza nemmeno curarsi di quanto abbia effettivamente speso e se ne va al tavolo, assaporando il gusto delle infinite discussioni che, lo sa bene, nasceranno una volta stufi.
Lo guarda con un sopracciglio arcuato «Devono arrivare i tuoi compagni caproni?»
Ecco, appunto.
«E’ per noi.» rimbrotta secco, posando i vassoi sul tavolo. Deglutisce l’amaro sapore che quel noi gli ha lasciato sul palato, non badando alle lamentele della ragazza. Nh, forse è meglio se copre lo schifo con un panino.
«Non posso, ricordi? Sono a dieta.»
«Ma se prima ti lagnavi che avevi fame?»
«Sì, beh, non parlavo di cibo spazzatura.» la ragazza si tasta la pancia quando un gorgoglio ovattato riga il silenzio.
«Al tuo stomaco va.» ghigna in sua direzione, beandosi del porpora che ha invaso le sue guance.
Ora che la scorge avvolta nel suo vestitino elegante, si accorge di quanto magra sia effettivamente diventata nel corso dei suoi anni di assenza. La divisa scolastica le dona un po’ di massa che, a ben vedere, non c’è; il seno è meno di quanto ricordi e… No, ma davvero le sta guardando le tette?! Dannazione, c’è cascato ancora! Nh, e comunque gli sembra di star cenando con una mocciosa delle medie.
«Tutta questa roba contiene il triplo delle calorie che dovrei ingerire in una giornata.» sbotta asciutta, rovistando fra le cartacce e le scatole.
«Forse dovresti, invece» addenta il cheeseburger «Si può sapere quanto pesi?»
«… 43.»
La Coca cola gli va di traverso «Che cosa?! Ma sei impazzita?! Vuoi scomparire per caso?!»
«Non sarebbe una cattiva idea…» mormora con un leggero sorriso, alzando poi le spalle «Ehi, ci si sacrifica per amore dello sport.»
«La Itou non mi sembra ridotta così…»
«Deduco tu l’abbia guardata bene.» gli sorride affabile e Mitsui avrebbe solo tanta voglia di decapitarla.
«Ti prego, vuoi farmi salire il panino?»
«Addirittura?! Nanaka è una bella ragazza!»
«Se ti piacciono le streghe.»
«Esagerato… Ai nostri compagni di classe piace. Credo che per molti sia una specie di sogno erotico o qualcosa del genere.»
«Ma chi? Quella tavola da surf con le gambe?»
«Tavola… Ha una terza abbondante.» e mentre quella disegna un paio di tette nell’aria, lui tenta di non strozzarsi con le patatine.
«Po-Possiamo smetterla di parlare delle tette della Itou?! Mi fa senso!»
«Le sue tette?»
«No, lei e—Ah, mangia e taci!» le scaravenmta contro una patatina.
Shiba lo fissa con sopracciglia arcuate, i suoi occhi sono pregni di derisione, forse per le sue guance rosse o per il suo mangiare compulsivamente. Fatto sta che scoppia a ridere senza ritegno, con la fronte poggiata sulle braccia conserte.
Si era dimenticato il suono limpido della sua risata, il modo in cui gli perfora i timpani e si incastra fra le pieghe del cervello. Di come i lati dei suoi occhi si arriccino, delle minuscole rughe intorno… 
Si era dimenticato della parte bella di Shiba e la cosa peggiore è che rivederla non lo fa stare bene.
E’ avvolto dal drappo dell’incertezza, ha il terrore di dire la parola sbagliata e veder tutto sfumare in un bel nulla. E pensare che parlarle era così facile, una volta.
«Scusami, volevo solo stuzzicarti un po’.» si asciuga le lacrime.
«Come sono fortunato.»
«Era solo per rompere il ghiaccio.»
«Le palle. Pensavo fosse per rompermi le palle.»
Il battibecco si perde nel chiacchiericcio di una banda di ragazzini che fa casino a pochi metri da loro; qualcuno sta facendo commenti su Shiba e su come vorrebbe portarsela in branda ma la ragazza sembra non accorgersene e lui ripone la forchetta di plastica della macedonia.
«Cosa ci facevi qua in giro?» glielo chiede con placidità, giocherellando con un tovagliolino.
«Non stavo cercando guai.» si difende con scontrosità, vedendola sbatacchiare le palpebre pitturate di rosa chiaro.
«Non stavo facendo insinuazioni…» mormora sventolando una mano, portandosela poi sulle labbra.
Nh, forse è anche un po’ colpa propria se non riescono a parlare. L’attacca prima che possa attaccarlo, si nasconde dietro giustificazioni preventive prima che lei possa farsi castelli per aria.
Ingoia l’enorme boccone di panino «Ero a trovare un amico. Sai, Tetsuo…»
«Ah, sì. Riuscite a vedervi ancora?»
«Diciamo che sono io a vederlo, lui vorrebbe prendermi a calci ogni volta che mi presento a casa sua.» ghigna al pensiero delle sue minacce di morte.
«Come mai?»
«Boh, dice che la mia vita è cambiata, cazzate del genere» ravana fra le cartacce «Cioè, solo perché non faccio più a botte non vuol dire che debba tagliarlo fuori così, no? Insomma… C’è sempre stato quando avevo bisogno.» non si chiede subito se le sue parole provocheranno un’eruzione di recriminazioni o si perderanno come loro solito ma quando solleva lo sguardo e incrocia quello malinconico di Shiba, comincia ad analizzare ogni sillaba spesa.
Tagliare fuori, esserci quando qualcuno ha bisogno… Che oratore di merda, sul serio.
«Tu piuttosto? Che ci facevi qui?»
«Avevo voglia di un po’ di azione.» solleva i pugni chiusi, li muove nell'aria.
«Prendi per il culo?»
Shiba sbuffa «Non volevo tornare a casa, va bene? Che pesantezza…»
Mitsui reprime il desiderio di strozzarla «Si può sapere che è successo?»
«Nulla di importante.»
«Per questo frignavi in mezzo alla strada?»
«Frignavi… Vedo che la tua delicatezza è rimasta intatta.»
«Cosa vuoi? Certe qualità sono innate» rimbrotta zuccheroso, ricevendo una stortura di naso «Hai litigato ancora con i tuoi?»
«No.»
«Magari tuo fratello ha tagliato il cordone ombelicale e ha finalmente deciso di trovarsi una fidanzata?»
Il volto di Shiba diventa una maschera di freddezza «Non tirarlo in mezzo, lui non c’entra.»
«E allora qual è il problema?»
Lo guarda come se da un momento all’altro dovesse dirgli
«Sei tu il problema» ma la sua figurina si rilassa sulla sedia e dopo due panini e due pacchetti di patatine che gli tocca mangiarsi, ecco che la ragazza decide di rispondergli «Oggi ho gareggiato. Mi sono qualificata tra le prime dieci, sono stata ammessa alle altre eliminatorie.»
La fronte di Mitsui si riempi di piccole dune mentre la confusione modella il suo viso mascolino «E non dovrebbe essere una bella cosa?»
Si gratta la punta del naso «Sì… Ma i miei non c’erano.»
«Neppure i miei vengono a vedermi ma mica ne faccio un dramma.»
«I miei sono tornati qualche giorno fa, hanno detto che sarebbero venuti.»
Ah… Già. Ricorda che spesso i suoi sono via per lavoro; suo padre fa il fotografo per delle riviste tipo National Geographic o cose del genere e sua moglie lo segue in capo al mondo; non ha mai capito se lo fa per amore o solo per visitare le città in cui si infilano.
«Ma…?»
«Ma c’era la partita di Akira…»
Mitsui apre il panino, scarta le zucchine «Dovresti esserci abituata. I tuoi non scelgono sempre tuo fratello?»
«Pensavo che oggi sarebbe stato diverso. Mi fanno passare la voglia di continuare…» i suoi occhi si rifanno lucidi.
Mitsui arcua un sopracciglio; queste zucchine sono infinite! «Vorresti smettere perché i tuoi non vengono a vederti?»
Scuote la nuca, i suoi boccoli ondeggiano in maniera ipnotica. Se solo ci pensa, può ancora rivedere le proprie dita che si incastrano fra quei fili ora scuri, ci giocano, ne seguono il contorno ondulato.
Si ridesta quando le sue parole escono più spezzate di quanto dovrebbero «Non importa a nessuno. Che io vinca, che perda, non importa a nessuno. Non importa a loro e non importa neppure a me» sventola le mani «Non ha più alcun senso.»
«E allora perché hai cominciato?»
«Perché la mia mamma mi diceva che ero brava» Shiba giocherella con un acino d’uva della macedonia ancora intaccata «Non ti manca mai l’aria quando giochi a basket?» lo guarda senza ostilità per la prima volta in tutta la serata e Mitsui non sa come reagire.
Si ritrova a masticare con lentezza, con l’insalata che gli pende dalle labbra sporche di salsa tartara e lo sguardo confuso.
«No.» è l’unica risposta che riesce a darle, incapace di poter aggiungere qualsiasi altra cosa. Ma come le salta in mente una cazzata del genere?! Lui sente mancare l’aria quando pensa ai due anni di vuoto, alla palla che non entra nel canestro o ad una partita che finisce in una clamorosa sconfitta.
Giocare per lui è… E’ vita.
È come se si risvegliasse, ogni volta che la palla entra nel canestro.
Shiba gli sorride placida «Che domanda stupida…» Mitsui vorrebbe dirle che ha ragione ma il casino fuori in strada lo fa zittire. Lampeggianti e sirene attirano la loro pigra attenzione; a quanto pare c’è un inseguimento «Non ti manca mai quella vita?»
Mitsui la guarda di striscio e un A volte appena pensato rischia di scappargli di bocca. Ma passandosi una mano sul mento avverte le grinze della piccola cicatrice e subito i ricordi del sangue, delle botte, dei calci e delle nottate passate a medicarsi sotto le urla di sua madre, tornano a galla come spettri mai spariti.
E allora scuote la nuca.
Non tornerebbe indietro nemmeno se fosse Shiba stessa a chiederglielo.

 
Shiba stringe le braccia intorno alla vita sottile, le dita conficcate nella carne pur di non sfiorare Mitsui che le siede a pochi millimetri.
C’è un mucchio di gente in metro eppure le pare che ci siano solo loro due e una stupida vocina che le intima di dire qualcosa, qualsiasi cosa che possa fargli capire come le cose si possano sistemare.
Non subito, non solo perché gli ha offerto da mangiare… Ma possono.
«Dovresti parlarne con loro.»
Lo guarda di sottecchi; credeva si fosse addormentato «Cosa?»
«Dovresti parlare con i tuoi. Dirgli che non possono pensare solo a tuo fratello, che esisti anche tu. Digli che sei stanca della ginnastica… Magari capirebbero.»
Scuote la nuca «Non lo faranno. Perché dovrebbero?»
«Perché sono i tuoi genitori.»
«Genitori...»
«Ehi, ti hanno scelta loro. Mica li hai inseguiti fino a casa.»
Il modo brusco con cui le dice ogni suo pensiero le strappa un sorriso, solletica tutte le urla e le grida che trattiene ogni volta che sua madre le rivolge la parola.
Da quel momento si rilassa, si accorge che averlo così vicino non è poi una specie di tortura cinese e la consapevolezza che Mitsui sa trovare le parole giuste al momento giusto la fa sentire protetta.
«Hai mai provato a parlare con loro? Parlare davvero? Poi oh, fai come ti pare…» il fruscio della sua tuta la ridesta «E’ la mia fermata. Sicura di non volere che ti accompagni?
» scuote la nuca «Come ti pare... Ci si becca.»
Shibahime non risponde. 
Vorrebbe dirgli grazie per averla aiutata da quei dementi, per averle offerto una cena che non ha toccato e per non aver provato a riprendere fra le mani il loro passato. Per essere stato un estraneo a cui frega poco di lei e dei suoi trascorsi dandole comunque qualche buon consiglio. Ma nessun suono esce dalle sue labbra e quando sente che il momento è giunto, altrimenti poi sarà troppo tardi, le porte si sono già chiuse e Mitsui è una sagoma in mezzo a tante altre sagome fuori dal vagone.
Si affloscia sul sedile e porta una mano sullo stomaco brontolante, maledicendosi per non aver almeno accettato la macedonia. Si rende però conto che quel babbeo di un cestista ha lasciato il sacchetto del Mc con gli avanzi vicino a lei e allora sospira, perché quello ha la testa piena di palle arancioni e Buddah solo sa quante altre cazzate.
Ma poi tutto assume un senso quando scorge uno scarabocchio sulla confezione, che scaccia via ogni insulto e lascia solo un alone di imbarazzo e un batticuore che non riesce a frenare.
Mitsui resta un idiota di dimensioni megagalattiche ma porca misera se ci sa ancora fare con lei…

 
«Oh, sei tornata» Akira infila la testa nel frigorifero «Dove sei stata?»
«In giro.»
«In giro…» tira fuori dell’acqua e scruta il sacchetto sul tavolo «Da quando vai al Mc?!»
«Avevo fame.» addenta l’insalata.
Suo fratello legge stranito lo scarabocchio in penna «Mangia…» lo sventola «Non dovresti mangiare queste schifezze. E butta tutto quando hai finito e non farti scoprire da mamma.»
Shiba sorride.
Ha la sensazione che quel sacchetto non finirà in spazzatura tanto presto.


Kobe Bryant: Giocatore di pallacanestro statunitense. Milita nei Los Angeles Lakers e gioca prevalentemente come guarda tiratrice.

Arabesque: passo base del balletto in cui una gamba è allungata all’indietro e le braccia sono distese in direzioni opposte.

Dobin mushi: Zuppa classica della cucina giapponese servita nella teiera chiamata dobin e contiene diversi ingredienti a piacere, tra cui pesce, funghi matsutake, germogli di bambù ecc. Viene solitamente insaporita con succo di limone.

Udon: Spaghetti di grano tenero spessi. Si servono in brodo in varie versioni: guarniti con tofu fritto o gamberi tempura.


Buondì
Essere costrette ad alzarsi presto nel weekend è sicuramente un bene per voi, perché almeno non vi faccio attendere ere geologiche prima di pubblicare e un male per me, che vorrei ronfarmela alla grande.
Ad ogni modo, per farmi perdonare per il ritardo dell’altra volta e per aver pubblicato un capitolo corto e insulso, vi lascio con questo che è decisamente lungo. Molto lungo. Sono stata più volte sul punto di spezzettarlo ma sarebbe solo stato un allungamento di capitoli inutile che non voglio permettermi, dato che ho una scaletta ben precisa in mente. Perciò beccatevelo tutto intero, che magari vi fa anche più piacere.
E poi è pieno di cose importanti… Cioè solo la chiacchierata tra Mitsui e Shiba ma va beh, è già qualcosa! Probabilmente non vi aspettavate che avvenisse così presto ma, a ben vedere, non si dicono poi molto e non è che questo cambi qualcosa nel loro rapporto. È qualcosa, facciamocelo bastare ;)
Tengo a precisare una cosuccia sul peso di Shibahime, mica che si arrivi a parlare di anoressia –tasto che non intendo assolutamente toccare, non ho abbastanza tatto per affrontarlo, se così vogliamo chiamarlo-: ho fatto una ricerca –non chiedetemi dove perché è passato del tempo e ritrovare il sito è stata un’impresa titanica caduta nel vuoto- ma a quanto pare il peso delle ginnaste deve essere proporzionato alla loro altezza e, facendo i calcoli, usciva qualcosa come 45 -Shiba è una tappa, già-. Toltole qualche chilo per il suo non mangiare o mangiare male, arriviamo a 43. Tutto qui. Se lì fuori ci fosse qualcuno di esperto e volesse correggermi, è il benvenuto :)
Uh, che note lunghe! Passiamo ai ringraziamenti: ringrazio infinitamente pinkjude,
Ice_DP, ReginaMills89 e LuMiK per aver recensito lo scorso capitolo. Spero non me ne vogliate se ancora non vi ho risposto ma purtroppo le cose a lavoro si fanno complicate e gran parte delle mie energie se ne vanno. Questa poi è stata una settimana che definire infernale è poco. Ero talmente sotto pressione e incazzata che quando mi hanno detto che tutta la merce urgente è stata consegnata, mi sono sgonfiata sulla scrivania come un palloncino, ho proprio sentito la stanchezza crollarmi addosso. E rispondere alle recensioni è passato in secondo piano, ahimè. Sappiate solo che ho visto, ho letto, ho apprezzato e gongolato come una scema e mi fate sentire sempre un po’ più brava e vi adoro per questo. Siete davvero la cosa bella nella giornata odiosa.
Aaaah, vi manderei un personaggio di Slam Dunk a casa ad ognuna per dimostrarvi quando vi adori
♥ 
Conto e prometto di farlo in questi giorni. 
Ringrazio poi i lettori silenziosi -se aveste voglia di farvi sentire sappiate che non mordo, nah scherzo, se avete voglia bene se no vi voglio bene lo stesso!- e chi ha inserito la storia fra le seguite/ricordate/preferite. 

Alla prossima! 
HeavenIsInYourEyes.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Slam Dunk / Vai alla pagina dell'autore: HeavenIsInYourEyes