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Autore: _Ricordami_    16/05/2015    0 recensioni
"Se vuoi che me ne vada va bene ma sappi che non ti amo più e non ti amerò mai più perché tutto quello che mi hai fatto é troppo, ma allo stesso tempi ti vorrò sempre bene perché ti ho amata. Quindi ciao. Stammi bene." Mi girai e una lacrima solitaria mi rigo il viso, impedii alle altre di scendere. Stavo per aprire la porta quando mi sentii chiamare. Mi voltai sorridendo. "Ti voglio bene anche io."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ero a letto con il termometro infilato sotto la lingua, aspettavo che emettesse quel terribile suono che tanto odiavo. Non so perché lo odiavo così tanto. Alla fine non è così fastidioso, non è assordante, eppure non l'avevo mai sopportato.  Me ne stavo sul letto, sotto il piumone, anche se era maggio, a fissare il soffitto bianco della mia stanza. Sembravo una povera ragazza malata di qualche strana malattia che se ne sta in ospedale ad aspettare di morire. Con le occhiaie lunghe fino ai piedi e nere, troppo nere. Con gli occhi socchiusi, come se le palpebre pesassero troppo per essere tenute completamente aperte.  Tirai fuori il termometro dalla bocca e stoppai l'odioso suono. 38.7 Perfetto. Febbre di venerdì sera. Mi sono sentita una sfigata in quel momento. E probabilmente il lunedì non sarei andata a scuola. E non avrei recuperato le materie con l'insufficienza. E sarei bocciata.  Sfigata, mi ripetevo. Non avevo la forza di alzarmi dal letto quindi presi il cellulare e chiamai mia mamma che stava in cucina. "Maya?" "Mamma, ho la febbre. Non mangio da ieri....mi fai il brodo?" "Va bene, te lo porto tra poco." "Grazie"  Da quando mio padre se n'era andato da casa io e mia mamma avevamo legato sempre di più.  Da piccola andavo più d'accordo con mio padre, ma crescendo iniziavo a comprendere di più mia madre e il fatto di doverci convivere mi aveva convinta a parlarle più spesso. Avevamo scoperto molte cose in comune. Mi aveva raccontato molte cose della sua vita.  Ricordai la prima volta che mi parlò del suo primo amore. Io stavo piangendo perché avevo appena perso il mio. Lei mi consolava abbracciandomi e raccontandomi la sua storia mi calmò. E mi fece anche ridere perché il nome del suo primo amore era molto buffo. Tanto che non lo ricordo più.  Le nostre storie erano simili, tranne che per il fatto che il mio primo amore era una ragazza. Si. Lesbica, questa era l'etichetta che mi avevano affibbiato. Io non sapevo bene cosa ero, sapevo solo che lei era stata tutto il mio mondo, ma poi era finito tutto. Non era riuscita a reggere la tensione. L'ansia e la paura di stare con una ragazza e di essere giudicata l'avevano portata ad odiarsi e ad odiare il mondo tanto che aveva iniziato a farsi del male fisico, con tutto quello che le passava per la testa. Una volta, mi ricordavo, aveva iniziato a picchiare la testa contro il muro. Gli era venuto un bernoccolo enorme ed un ematoma proprio in mezzo alla fronte. Non era uscita di casa per molto tempo. E di certo i suoi genitori non l'avevano aiutata per nulla. Non gli piaceva il fatto che lei fosse lesbica. L'avevano rinchiusa in un'ospedale psichiatrico e mi avevano vietato di rifarmi viva. Lei aveva dato retta a loro. E io avevo dovuto farmi forza per mettere da parte il mio amore e il mio dolore. Dovevo farla scomparire dalla mia testa. Ma adesso, a tre mesi di distanza, ancora non ne era uscita. Se ne stava li, in un angolino, nascosta. Qualche volta si faceva sentire e tutti i ricordi riaffioravano insieme alle lacrime. Ma succedeva sempre di meno, per fortuna. Ma in quel momento, a fissare il soffitto, con la testa che mi scoppiava e il corpo che mi bruciava, lei si fece sentire. Venne fuori da quell'angolino nascosto della mia mente e da quell'angolino di cuore che le avevo riservato e in cui sarebbe rimasta fino alla mia morte. D'altronde, anche se mi aveva fatta soffrire, era comunque la persona che avevo amato di più nella mia breve vita. Mi passò in mente la prima volta che avevamo fatto l'amore. In una camera di un albergo. Era stato magnifico, anche se non eravamo molto esperte.  "Maya ecco il brodo" "Grazie" Mi aiutò a mettermi a sedere e mi posò il brodo sulle gambe. Iniziai a mangiarlo ma lei mi fissava. Non capivo perché ma feci finta di nulla, non avevo le forze per discutere.  "Hai pianto?" Chiese. "No" risposi secca, mi sentivo svenire. "Si, sei tutta bagnata in viso, e non è sudore." Non mi ero accorta di aver pianto. Possibile? "Pensavi a qualcosa in particolare che ti ha fatto piangere?" "Pensavo a Isabel" risposi continuando a mangiare, anzi bere, il brodo molto lentamente. Non avevo per niente fame ma sapevo che se non avessi mangiato sarei svenuta. "Amore devi smetterla di pensare a lei, ti fai solo del male." " lo so" non mi piaceva parlare di lei, ero sempre fredda su questo argomento, specialmente con la febbre. Mamma mi diede un bacio in fronte e uscì da camera mia. Appena chiuse la porta una lacrima minacciò di uscire nuovamente dal mio occhio ma la cacciai dentro. Non volevo piangere, non per lei, non ancora. Mia mamma era appena uscita ma rientrò subito in camera mia. "Vorresti andare a trovarla?" Mi chiese velocemente. "Non lo so...forse" "Se vuoi ti ci porto una volta, ma solo una, così ti renderai conto che non la ami più" "E tu come lo sai?" "Lo so, ti ha fatto troppo male per amarla ancora" "Mm" "Quando ti passa la febbre andiamo" Non mi lasciò il tempo di rispondere, uscì subito dalla stanza.  L'avrei rivista un ultima volta. Avremmo avuto l'ultima volta che non avevamo avuto. Non sapevo cosa provare, se essere contenta o spaventata. Misi da parte il brodo avanzato e mi misi a dormire, stavo troppo male per stare sveglia. Chiusi gli occhi. 10 giorni dopo "Sei nervosa?"  "Molto"  Stavo percorrendo il corridoio d'ingresso dell'ospedale. L'infermiera a cui avevamo chiesto informazioni non era stata molto cordiale, cosa che mi aveva messo ancora più ansia. E più mi guardavo intorno più mi sembrava che tutti mi fissassero come se sapessero dove stavo andando e chi stavo per incontrare. Odiavo quegli sguardi. Gli stessi che ricevevo quando stavo per mano a Isabel o quando la baciavo. Odiavo la gente, con tutto il cuore.  Raggiungemmo l'ascensore e aspettammo di arrivare al quinto piano.  "Stanza 258" aveva detto l'infermiera. Pensai che se la stanza era la 258 ci dovevano essere davvero tante persone con problemi psichici.  "Io resto ad aspettare fuori ok?" Chiese mia mamma. "Ok" Arrivammo nel corridoi delle stanze che andavano dalla 240 alla 260. Percorremmo il corridoio e arrivammo alla stanza di Isabel. Sperai con tutto il cuore che dentro non ci fossero i suoi genitori a farle visita. Bussai. "Avanti" sentii dire dalla sua dolce voce. Aprii la porta piano e quando me la ritrovai davanti aveva la faccia più incredula che avessi mai visto.  Era così bella. Aveva tagliato i capelli. Prima li aveva molto lunghi, adesso erano proprio corti, più corti del caschetto. Le stavano benissimo. Le incorniciavano il visino da bambina perfetto che aveva. Quel nasino a patatina e quelle labbra carnose ma non troppo. E i suoi occhi marroni. Quegli occhi che tanto avevo amato, adesso erano spenti, privi della loro luce. Anche i capelli castani erano più spenti di come li ricordavo. "Che ci fai tu qui?" Mi chiese quasi urlando. "Ti stanno bene i capelli corti." Fu la prima cose che riuscii a dire. "Perché sei qui? I miei genitori erano stati chiari, non dovevamo mai più vederci. E nemmeno io voglio più vederti. Quindi vattene. Subito." Lo disse con un tono così profondo e arrabbiato che mi fece paura, volevo quasi mettermi a piangere ma mi costrinsi a non farlo.  "Volevo solo salutarti e vedere come stai" "Sto bene, ora vai."  La Isabel che conoscevo io non mi avrebbe mai detto queste cose, era completamente diversa, l'avevano cambiata. Forse mia mamma aveva fatto bene a portarmi li. In quel momento sentivo odio verso di lei, per il modo in cui mi stava trattando. Mia mamma aveva ragione, mi stavo davvero accorgendo che non la amavo più. Sorrisi. "Se vuoi che me ne vada va bene ma sappi che non ti amo più e non ti amerò mai più perché tutto quello che mi hai fatto è troppo, ma allo stesso tempo ti vorrò sempre bene perché ti ho amata. Quindi ciao. Stammi bene." Mi girai e una lacrima solitaria mi rigò il viso, impedii alle altre di scendere. Stavo per aprire la porta quando mi sentii chiamare. Mi voltai sorridendo. "Ti voglio bene anche io."  Le sorrisi e me ne andai. Senza dire nulla a mia mamma mi incamminai verso l'ascensore e con un grande sorriso tornai a casa. Anche se mi aveva trattata male mi sentivo libera, felice. Sapevo di non amarla più e sapevo che mi voleva comunque bene. Adesso potevo riniziare una nuova vita felice. Non desideravo altro. Avevo sentito dire che il secondo amore è sempre meglio del primo e non vedevo l'ora di incontrare questo secondo amore. Mi addormentai con il sorriso sulle labbra quella sera. Mi sentivo libera, leggera, dopo tanto tempo.  SPAZIO AUTORE Prima OS. Spero piaccia. Alcune cose sono riprese dalla mia esperienza. Lasciate qualche commento per farmi sapere cosa ne pensate, grazie :) 
   
 
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