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Autore: akirakirara    16/05/2015    0 recensioni
Credo di avere un problema. Voglio il mio divano.
Ma non sembrava che la mia muta preghiera sarebbe stata ascoltata presto, specialmente non da Matt. Quello stronzo era dannatamente bravo a far credere alle persone cose non vere...
”Partecipante a Il contest delle 48 ore – Non vedo, non sento, non parlo, scrivo!” indetto sul forum di EFP da Shizue Asahi.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Gender Bender
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Credo di avere un problema. Voglio il mio divano.
Ma non sembrava che la mia muta preghiera sarebbe stata ascoltata presto, specialmente non da Matt. Quello stronzo era dannatamente bravo a far credere alle persone cose non vere, come per esempio che un'adolescente il cui sport preferito era dondolare un topo finto davanti al suo gatto, che aveva un fisico adatto a ballare in mezzo a un gruppo di fotomodelli. Mi ripromisi di vendicarmi in qualche modo sul quel tonico culo da frocetto, e se si fosse azzardato a correggermi che quella merda chiamata zumba non era danza non solo il suo fondoschiena avrebbe risentito della mia ira. Avevo il senso del ritmo e la coordinazione di una monetina caduta: dondolavo pericolosamente in tondo, facevo un sacco di rumore inutile e alla fine morivo immobile sdraiata per terra.
Sbattei il gomito contro il fianco del ragazzo alla mia destra, mi lanciò un'occhiataccia e si spostò più in là. Impedita e lebbrosa, i miei pregi aumentavano di minuto in munito, e questi sembravano non finire.
La musica finalmente cessò, dovevo ringraziare qualche santo ma visto che non ne conoscevo ringraziai il pavimento, era il più comprensivo con me in quel posto.
Mi diressi contro il muro destreggiandomi tra il folto gruppetto che si era formato proprio lì, a parlare con Matt. Non avrei dovuto mettere la sacca accanto alla sua. La afferrai e mi allontanai lungo il corridoio, lontano dal chiasso. Mi infilai nello spogliatoio pieno di altre ragazze che non parevano tanto volersi cambiare quanto spettegolare e mostrare la biancheria intima appena acquistata.
Mi spostai nell'angolo vicino alla porta e mi cambiai a tempo record, se ci avessi messo lo stesso tempo ogni volta mio padre si sarebbe messo a piangere di gioia.
Sgattaiolai via, nessuna sembrò notarlo, e andai in strada sedendomi sul marciapiede. Nonostante tutto non potevo mollare miss popolarità, dopotutto guidava lui. Dovevo decidermi a farmi quel centinaio di stupidi test e prendere finalmente la patente.
Un leggero picchiettio mi distrasse dal fissare i fili d'erba dall'altra parte della strada e un Matt felice e sorridente mi tirò su per il braccio.
Lo guardai male e andai verso la macchina, probabilmente lui aveva rimorchiato mentre io cercavo di raccogliere le briciole della mia autostima. L'auto si aprì prima che tirassi la maniglia con prepotenza ed ebbe la decenza di rimanere in un silenzio pseudo pentito per tutto il viaggio verso casa mia. Davanti al condominio scesi e mi sbattei la porta rabbiosamente dietro senza preoccuparmi di salutare. Forse stavo esagerando un po' ma non poteva credere di cavarsela sempre sbattendo un paio di volte le sue lunghe ciglia, facendo brillare i due smeraldi che si ritrovava sotto di esse e sistemarsi i lunghi capelli rossicci. Non ero abbastanza in fase ormonale per farmi abbindolare da quella stupida tinta.
Salii i tre piani di scale e aprì con qualche protesta della serratura l'entrata. Mio padre ovviamente non era a casa, era troppo presto. Buttai la sacca vicino al divano e nella mia stanza sprofondai nel letto. Osservai le pareti immacolate e alte, in quell'appartamento c'erano solo due problemi: la serratura della porta e che non aveva un'aria da casa. Era un complesso spazioso, papà guadagnava bene, e sapevo perfettamente che non mi mancava niente materialmente ma era comunque tutto vuoto.
Un bussare insistente alla porta mi svegliò, mi ero assopita senza accorgermene. Mi alzai con poca voglia e aprì a Matt che mi guardava di sottecchi con fare colpevole, dovevo dirgli prima o poi che non era così bravo come credeva a fingere.
Ero tentata di sbattergli la porta in faccia ma i quattro sacchetti di cibo da asporto tra le sue mani mi causarono un momento di esitazione. Glieli strappai e chiusi porta. Un lamento indignato mi fece ridere, emetteva davvero dei suoni strani quando era arrabbiato. Era stata fatta tregua.
Prima che potesse entrare però, mentre gli riaprivo l'uscio, il suo cellulare emise un suono e alzai gli occhi al cielo. «Scusa,» e corse giù dalle scale.
Lo aspettai per un quarto d'ora ma la cosa cominciava ad annoiarmi, avevo bisogno di un po' di movimento. Scesi in strada e osservai i dintorni in cerca di qualche segno del mio migliore amico. Fu allora che lo vidi.
Dall'altra parte della strada, nascosto all'ombra degli edifici nel crepuscolo, un grosso muso allungato si definiva. Dei enormi occhi scuri si spostarono su di me, si era appena accorto di essere osservato. Non c'erano mai stati dei cavalli in quella zona. L'animale nitrì infastidito e indietreggiò ma qualcosa alla mia destra attrasse la sua attenzione. Nitrì più forte e si impenno nella mia direzione.

   
 
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