Mi piacevano i tramonti.
In fondo, esiste davvero qualcuno a cui non piacciono?
Mi piaceva quella sensazione che trasmettevano a chiunque li stesse guardando.
Ci sono infinite situazioni per cui qualcuno si può trovare a guardare un tramonto.

Magari uno, per dire, si sente come abbandonato dal mondo, e sa che non c'è niente che possa fargli più male di ciò che sta provando in quel momento, e sta davanti ad uno spettacolo di calde luci arancioni, mentre non viene lasciato un attimo in pace da quel dolore che lo tortura, che lo tormenta. Ma quel fottuto tramonto è stupendo, e magari guardandolo si sente ancora peggio, però non può fare a meno di restarsene lì, incantato, con gli occhi spalancati, troppo stanchi per buttar fuori nuove lacrime.

O magari qualcuno che si trova nella città dove ha sempre voluto vivere, quella città che sta stampata nella testa di ognuno di noi da quando è bambino, e sa che quello è il suo posto, e sa anche che magari non ne farà mai davvero parte, ma l'importante è essere lì un quel dannato momento perfetto, quel momento maledettamente meraviglioso, ad osservare il panorama della città più bella del suo mondo, con una voce in testa che dice: "sono a casa" e un sentimento nel cuore che conferma: "ed è qui che devi restare". Ma sai che non puoi.

O per fare un esempio banalissimo, un qualcuno preso a caso da un frizzante gruppo di amici che se ne sta seduto sulla spiaggia alla fine della vacanza più assurda della sua vita, insieme a quegli squinternati compagni di avventure, che ridono sommessamente stando attenti a non farsi sfuggire nemmeno una lacrima, perchè certi momenti vanno ricordati così e in nessun altro modo. Con i piedi impastati di sabbia umida, il rumore dolce delle onde e l'odore del sole caldo che tramonta su uno dei capitoli più incredibili della tua vita. 

Prendiamo adesso tre o quattro amici, grandi amici, amici per la pelle, amici che ci manca poco per essere fratelli. Che ascoltano una canzone che trovano stupenda, seduti a gambe incrociate su una terrazza, e rimangono per qualche attimo incantati a guardare il cielo, lasciando consumare pian piano le sigarette che tengono in mano, e per qualche altro attimo si fermano anche a pensare a come ci sono finiti, al termine di quella giornata, a fumare su un tetto, e a ridere, con il sole che gli tramonta davanti agli occhi, e lascia spazio ad una nuova notte e poi ad un nuovo giorno, nel quale ognuno di loro sa che troverà ancora e ancora gli altri.

Oppure c'era qualcuno come me.
Ero stato ognuna di queste persone, nella vita che avevo vissuto fino ad allora.
Ogni volta, ogni volta che mi ero sentito bene, ogni volta che questo buco nero che le persone chiamano vita per me aveva avuto un senso, era stato davanti ad un tramonto.
Avevo sempre pensato che anche la mia morte avrebbe dovuto avere un senso.
Per me era diventato un pensiero quasi ossessivo, la morte. Era la pace, era la metafora del tramonto della vita.
E se questo lungo periodo di schifosa autocombustione della felicità e delle speranze poteva scoparire come la palla infuocata del sole dietro all'orizzonte, allora l'avrei fatto.

C'ero io, e un tramonto davanti ai miei occhi.

Poi solo un tramonto.

Io non c'ero più.