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Autore: Beatrix Bonnie    17/05/2015    1 recensioni
Dublino, gennaio 2002.
Maryon, Chris e Colin sono alle prese con un compito davvero difficile: devono risistemare il vecchio teatro della scuola in tempo per la recita su "Sogno d'una notte di mezza estate" di Shakespeare, preparata per la festa di saint Patrick. Ma l'ardua impresa è resa quasi impossibile da un misterioso sabotatore che rallenta i lavori e che riesce addirittura a far sembrare colpevole Chris. I tre amici riusciranno a risolvere il mistero in tempo per la recita? E se la loro ricerca li portasse a scoprire che le antiche tradizioni dell'Irlanda non sono poi così lontane dalla realtà? Forse i folletti non vivono solo nella fantasia delle opere di Shakespeare...
Genere: Commedia, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ciclo di Faerie'
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CAPITOLO 5
Graunt, l'esiliato




Maryon


Fu senza dubbio una decisione sofferta. I tre amici sapevano che tornare di nascosto nel teatro era molto pericoloso, ma ormai la loro fedina penale era stata compromessa e dovevano giocare il tutto per tutto nel tentativo di ripulirla. Portare a termine l'impresa o morire nel tentativo.
Colin si lagnò per un po' dicendo che aveva promesso a sua madre che non si sarebbe più cacciato nei guai, ma Maryon lo convinse a rischiare: se avessero avuto successo, il guaio si sarebbe trasformato in gloria eterna.
Sfuggirono al controllo rigoroso della mamma di Chris dicendo che andavamo al parco a giocare e che ovviamente sarebbero tornati per cena (tra parentesi, che raccomandazione inutile! Quale bambino sano di mente avrebbe volontariamente saltato la cena?). Invece del parco, i ragazzini si diressero verso la porta segreta del teatro, quella volta muniti di due torce elettriche. Il corridoio che li aveva tanto spaventati, sembrava molto più corto e meno pauroso una volta illuminato con le pile. Giunti nella prima stanza, Maryon si diresse con sicurezza verso le scale, ma Chris la bloccò. «È lì che dobbiamo andare» disse, indicando la botola.
La torcia illuminò il volto perplesso della ragazzina, così Chris fu costretto a spiegarsi: «Ricordate la prima volta? Ho osservato il pavimento e ho notato che la parte che conduceva alla botola non era coperta di polvere. Significa che qualcuno frequenta spesso questo posto e che si dirige esattamente lì.»
«Uauh, è meglio di un film poliziesco» sussurrò Colin, eccitato. Aveva già dimenticato la promessa fatta alla madre, a quanto pareva.
Maryon si affrettò a levare gli stracci che ricoprivano la botola e sollevò il coperchio. Tre teste si sporsero nel buco a osservarne la profondità. Chris illuminò una scala a pioli che scendeva nell'oscurità.
«Dispari!» annunciò Colin, pronto a giocarsi chi doveva scendere per primo.
«Vado io, cuor di leone» borbottò invece Maryon, calandosi nella botola. Per fortuna che lei aveva coraggio per tutti e tre!
La scala non era lunga quanto sembrava: dopo una ventina di pioli, la ragazzina toccò terra. Lanciò una rapida occhiata alla stanza e ordinò ai suoi compagni di scendere, visto che era tutto a posto. Fu Chris a trovare l'interruttore per accendere la luce: una misera lampadina attaccata al soffitto con qualche filo elettrico colorato, illuminò una stanza piuttosto piccola, ingombra di una scrivania disordinata, uno scaffale alquanto infermo e una serie di scatoloni. I tre amici si scambiarono degli sguardi perplessi. Di chi poteva essere un posto del genere?
Maryon puntò la torcia elettrica verso un calendario appeso alla parete, la cui immagine rappresentava una seducente signorina ben poco vestita.
«Che schifo!» commentò Colin, storcendo il naso.
«Non volevo farti vedere quello, idiota!» sbottò Maryon. Si avvicinò al calendario e indicò mese e anno.
«È di quest'anno» osservò Colin, avvicinandosi e sfiorando con la punta del dito i giorni, alcuni dei quali erano evidenziati con colori diversi. Indugiò per qualche attimo sulla data del giorno, circondato con un pennarello azzurro. «Chissà cosa vorrà dire...» sussurrò, ma fu subito interrotto.
«Dobbiamo andarcene. All'istante!» esclamò Chris con la voce rotta dall'ansia.
Maryon e Colin si girarono verso di lui, allarmati: il loro amico reggeva in mano un sacchettino di plastica contenente una polvere bianca, che aveva prelevato da uno degli scatoloni. Aveva gli occhi sgranati e il volto pallido per l'angoscia. Più pallido del solito.
«Via di qui!» ripeté abbandonando il sacchetto in terra che, cadendo, alzò una nuvoletta di polvere bianca.
Chris era famoso per non essere proprio come Braveheart, però quella volta qualcosa nell'urgenza dei suoi gesti fece capire agli amici che era proprio il caso di seguire il suo consiglio e darsela a gambe: i ragazzini si precipitarono a rotta di collo verso la scala a pioli. Sbucarono uno alla volta dalla botola, aiutandosi a vicenda a uscire. Chris la richiuse con un calcio violento e poi si fermò per riprendere fiato dalla corsa e soprattutto dallo spavento.
«Si può sapere che diavolo ti è preso?» domandò Colin, stingendosi la milza che doleva.
«Quella... quella roba era... era droga» balbettò, intervallato da respiri profondi.
Ci fu un attimo di silenzio, poi Maryon scoppiò in una risata isterica che non aveva nulla di divertente. «Stai scherzando, vero?» domandò con una vocina più acuta del normale. Ma, in effetti, non sembrava proprio un argomento su cui scherzare.
Chris scosse lentamente la testa.
Un rumore improvviso fece gelare il sangue nelle vene ai tre amici: la porta del corridoio segreto si stava aprendo lentamente. Un brutto ceffo, con la barba sfatta e i capelli unticci, fece comparsa sull'uscio. Li guardò un attimo perplesso, poi notò che si trovavano in parte alla botola, dalla quale erano stati levati gli stracci e capì.
«Brutti sudici marmocchi...!» cominciò, frugandosi sotto la giacca alla ricerca di qualcosa.
«Via!» strillò Maryon, come se ce ne fosse davvero bisogno. I ragazzini si fiondarono verso le scale traballanti e, incuranti del pericoloso spacciatore che avevano alle spalle, corsero a perdifiato alla cieca. Gli urli senza senso dell'uomo li seguivano a poca distanza, rendendo disperata la loro fuga.
Giunsero quasi per caso sul palco. Qualcosa di sporgente urtò la gamba di Maryon, che ruzzolò in terra. Colin si fermò nel tentativo di farla alzare, ma lo spacciatore accese d'improvviso la luce e puntò una pistola contro di loro. «Cucù!» ridacchiò divertito.
I tre amici retrocessero lentamente fino a che non furono con le spalle al muro. Maryon si era sempre vantata del suo grande coraggio, della sua spavalderia nell'affrontare i pericoli, ma quella volta il cuore le batteva all'impazzata e non trovava alcuna via d'uscita. Sarebbero morti lì, su quello stesso palco dove erano stati incoronati di gloria?
«Ho cercato di tenervi lontani da questo teatro, ma siete stati così cocciuti» commentò l'uomo biascicando le parole, come se avesse in bocca una grossa gomma. «Ma forse un bell'omicidio porrebbe fine al problema una volta per tutte?» domandò sarcastico agitando la pistola che aveva in mano.
«Sarebbe un'idiozia» commentò Chris, con voce sicura e ferma.
Maryon lo guardò allibita: perché la persona più codarda che conoscesse aveva deciso di provocare uno spacciatore che stava puntando contro di loro una pistola? Era forse ammattito?
Ma Chris continuò imperterrito. «Se ci fosse un omicidio, la polizia verrebbe ad indagare e il tuo nascondiglio verrebbe sicuramente scoperto» spiegò, cercando di usare parole semplici e logiche.
L'uomo scoppiò in una sonora risata.
In quel medesimo istante, gli occhi di Chris guizzarono velocemente verso qualcosa alle spalle di Maryon. La ragazzina si girò lentamente: una corda spessa era stretta con qualche nodo ad un anello di metallo. Seguì con lo sguardo la traiettoria della corda, fino ad individuare una grossa luna di cartapesta che penzolava esattamente sopra la testa dello spacciatore. Maryon allora incontrò nuovamente lo sguardo di Chris e, con un breve cenno della testa, gli fece capire che aveva inteso il suo piano. Si avvicinò con movimenti lenti alla corda e slacciò i nodi che la tenevano fissata all'anello.
Primo nodo... l'uomo si stava avvicinando, le sue parole le sfuggivano. Secondo nodo... una gocciolina di sudore le attraversò la fronte: lo spacciatore era sempre più vicino... terzo nodo. Era fatta!
Maryon sentì uno strattone potentissimo alle braccia. Il contraccolpo fu troppo forte e la ragazzina si ritrovò appesa ad una corda a tre metri d'altezza. Il suo primo pensiero fu che i suoi amici le potevano vedere le mutande perché indossava una stupidissima gonna. Incredibile! Sotto di lei c'era uno spacciatore pronto a spararle e lei si preoccupava delle sue mutande!
Tutto accadde troppo velocemente: nel giro di una frazione di secondo, la luna di cartapesta iniziò a precipitare, l'uomo alzò la testa e si spostò appena in tempo perché il proiettile cadesse a terra sfracellandosi. In mancanza del contrappeso, Maryon precipitò sul palco con un urlo. Per fortuna era una tipa tosta, abituata alle cadute, e non si fece nulla, tolto che qualche botta, ma sul momento il dolore sembrava insopportabile.
Colin si inginocchiò in parte a lei per controllare che stesse bene, ma Maryon lo scacciò con un gesto isterico della mano.
«Sciocchi e pulciosi! Pensavate che bastasse un trucchetto del genere per mettermi fuori gioco?» ridacchiò divertito lo spacciatore, ripulendosi velocemente dalla polvere di cartapesta della luna distrutta.
Maryon sentì le tempie che pulsavano e il cuore che batteva forte, non solo per il dolore, ma soprattutto perché non poteva fare a meno di pensare che il loro unico piano era andato in fumo. Eppure, sollevando leggermente lo sguardo, notò che Chris stava sorridendo. Era uno scherzo della luce o forse aveva gli occhi troppo appannati per il dolore?
«Salutami l'inferno» sussurrò Chris, rubando la frase ad effetto da chissà quale film. Aveva ragione Colin, era proprio un tipo melodrammatico.
Con un movimento brusco del braccio, Chris alzò al massimo la leva del contatore generale, in modo che partisse una scarica elettrica attraverso tutto l'impianto. Lo spacciatore si accorse troppo tardi che, essendosi spostato per evitare la luna di cartapesta, era finito proprio su dei fili elettrici che erano rimasti scoperti dopo il sabotaggio. La carica gli attraversò il corpo alla sua massima potenza e l'uomo stramazzò a terra.
Piombò il silenzio. I tre amici si scambiarono qualche occhiata intimorita, ma lo spacciatore non si mosse.
Fu Colin a rompere quel momento di stallo. «Ehi, è stato quasi meglio di “Mamma ho perso l'aereo”» esclamò con un ridolino isterico.
«È... morto?» domandò invece Maroyn, alzandosi lentamente da terra.
«No, è solo svenuto» la rassicurò Chris, mentre tirava fuori dalla tasca il cellulare per chiamare la polizia. Dopo una breve telefonata, lo richiuse con uno scatto secco.
«Sarà meglio andarsene di qui, prima che si svegli» osservò Colin, con l'aria di chi la sa lunga.
I ragazzini stavano per abbandonare il palco, quando una voce gracida li bloccò: «Fermi dove siete! Su le mani!»
Oh, no! Ci risiamo!, pensò Maryon sconsolata e sollevò le mani al cielo.

Christopher


Christopher non era un uomo d'azione. Certo, aveva l'invidiabile capacità di rimanere lucido e di riflettere velocemente anche in situazioni di pericolo ma, di solito, le situazioni di pericolo lui preferiva osservarle sui suoi schermi, al sicuro seduto alla scrivania in camera sua. Eppure, da quando aveva conosciuto Maryon e Colin, si era sempre cacciato in un mare di guai. Di solito, la sua risposta di base di fronte a qualsiasi rischio era la fuga. Ma con quelle due zavorre ai piedi che si ostinavano contro ogni ragionevolezza a fare i coraggiosi, toccava poi a lui trovare il modo di risolvere la situazione a loro favore.
Come quella volta.
L'uomo che aveva ordinato loro di arrendersi stava risalendo la platea, ma lui non poteva vederlo perché gli dava le spalle. «Dimmi chi è» ordinò allora a Maryon, cercando di muovere le labbra il meno possibile.
La ragazzina si sporse oltre di lui e spiò l'individuo in platea. Poi abbassò le mani di colpo, con l'aria scocciata. «Non ha nemmeno una pistola!»
Christopher allora si voltò per capire cosa stesse succedendo e si trovò davanti una scena bizzarra: quello che doveva essere un uomo piccolo e tarchiato, con un cappuccio calato sulla testa, gambe corte e tozze e piedi enormi fasciati da bende grigiastre, si stava avvicinando verso di loro, con le mani chiuse a pugno e l'indice alzato a formare una pistola.
«Non ci puoi sparare» puntualizzò Christopher, con una smorfia.
L'uomo, o qualunque cosa fosse, scoppiò in una risata rauca. «Chi ti dice che io non sia pericoloso per qualche altro motivo, cucciolo umano?»
Colin si girò verso i suoi amici sollevando un sopracciglio solo. Sulle sue labbra Christopher lesse le parole 'cucciolo umano', corredate da sguardo interrogativo e faccia perplessa.
Intanto l'ometto sgraziato era salito sul palco e si era inginocchiato accanto allo spacciatore per controllare che fosse ancora vivo. «Essere inutile» commentò, levandosi il cappuccio per ascoltare meglio il battito cardiaco.
Christopher soffocò un urlo. La COSA che si era levata il cappuccio non aveva nulla di umano: la pelle era verde smeraldo, il naso enorme e schiacciato, gli occhi nocciola sporgenti come due palline da golf e le orecchie a sventola raggiungevano dimensioni spaventose.
Ragiona, sii logico e razionale, si disse Christopher. «Ok. Molto bene» disse a voce alta, per aiutarsi a sgrovigliare i suoi pensieri. «Si tratta di un'allucinazione collettiva post-trauma. Molto rara, ma è comunque studiata dalla psicoanalisi. Il modo migliore per farla scomparire, è fingere che non esista» annunciò ai suoi amici con voce tremolante, indeciso se credere o meno a quello che lui stesso aveva detto.
La creatura, vera o allucinazione che fosse, si alzò da terra e squadrò Chris con un ghigno derisorio sulla bocca enorme. «Allucinazione post-trauma? Ma che diavolo blateri? E io che credevo che fossi intelligente!» lo schernì con quella sua voce gracida.
Christopher si offese parecchio. Un'allucinazione che in teoria veniva creata dal suo stesso subconscio si permetteva di insultarlo? Era assurdo.
«Sembri uno di quei goblin che sono raffigurati nei libri di folclore di mio papà» intervenne Colin, che aveva sempre avuto una certa passione per quelle cose assurde di fate e folletti, forse perché suo padre gli leggeva le storie tradizionali dell'Irlanda fin da quando era piccolo.
«Ma bravo, il mio biondino! Io sembro un goblin, perché sono un goblin» rispose la creatura. «Sei più sveglio di quanto credessi: forse avrei fatto meglio ad incastrare te» aggiunse poi, con una certa ammirazione.
«Come sarebbe “incastrare”?» intervenne Christopher, con la fronte corrugata e lo sguardo crucciato. Dopotutto, la tecnica dell'ignorare non sembrava stesse funzionando. «Sei tu che mi hai incastrato?»
Il goblin sorrise, mostrando una serie di denti giallognoli. «Certamente! Pensi forse che quell'idiota – e indicò lo spacciatore, – fosse in grado di architettare un piano così complesso da solo? Pensi che avrebbe sabotato l'impianto elettrico se non glielo avessi suggerito io? Che ti avrebbe rubato il fermacravatta scontrandosi con te se non glielo avessi consigliato? Credi che quel piccoletto di Ernie avrebbe accusato te e cercato le prove se io non gli avessi mandato un SMS anonimo con tutte le istruzioni?»
Christopher si indignò parecchio: era stato gabbato in modo così plateale da un maledetto goblin pelleverde?
«E perché volevi incastrare Chris?» intervenne Maryon, acquisendo una linea aggressiva. Aveva sempre quell'atteggiamento nei confronti di chi prendeva di mira i suoi amici.
La creatura si avvicinò a Christopher e gli tirò un pugno scherzoso sul braccio, strizzando contemporaneamente uno dei due grossi occhi nocciola. «Perché è intelligente, questo cicciolo di umano, e sapevo che prima o poi avrebbe scoperto il covo dello spacciatore, se non l'avessi messo fuori gioco prima.»
«E che ti frega a te?» indagò ancora Maryon. «Non sarai mica un drogato?»
Il goblin sorrise... e non fu un gran bello spettacolo. «Per noi goblin la coca non è una droga, ma un inibitore» spiegò.
«Cosa vuol dire inibitore?» chiese allora Colin, che sembrava prenderci gusto a chiacchierare con una creatura mostruosa.
«Significa che mi blocca i flussi di magia involontari che entrerebbero in funzione per salvaguardarmi dagli umani» rispose paziente il goblin. «A vivere in questo schifo, con tutto 'sto inquinamento e sporcizie varie, è logico che la mia specie abbia elaborato delle tecniche involontarie per difendersi. Ma non posso mica andare in giro sparando scintille blu.»
Logico, è evoluzionismo, pensò Christopher. E poi: Aspetta, i goblin e la magia NON esistono.
«E allora, visto che ti fa così schifo vivere qui, perché non te ne torni da dove sei venuto, qualsiasi posto sia, qualsiasi cosa tu sia?» lo rimbeccò Maryon, che provava una naturale avversione per chiunque insultasse la sua amata Dublino.
Il goblin gli rispose prima con una linguaccia; o meglio, sparò fuori dai denti una lingua camaleontica che si riavvolse velocemente in bocca. «Prima di tutto non sono una 'cosa' ma un goblin, e ho anche un nome: Graunt» rispose stizzito. «Piace molto alle femmine, sai» aggiunse. «E comunque tornerei volentieri a Faerie, se non fossi stato esiliato.»
«Faerie?» gli fece eco Colin, eccitato. «È tutto come nei libri di mio papà!»
«Be', Fearie, il paese degli elfi. Si trova... boh, dall'altra parte dei portali. In un mondo parallelo, penso. Non le ho mai capite bene queste cose» spiegò Graunt, in modo confuso.
Il broncio di Christopher sparì in un istante: quell'informazione era straordinaria! Se esisteva davvero un mondo parallelo, tutte le basi della fisica e delle scienze erano sbagliate... o almeno inesatte! Non sarebbe bastata una vita intera per studiare tutte le implicazioni scientifiche di quella rivelazione. «L'equazione spazio-temporale di Einstein è scorretta... o meglio, incompleta!» esclamò estasiato. «Non si tratta di un'equazione, ma di un sistema!»
Colin lanciò all'amico un'occhiata compassionevole, poi decise di ignorarlo. «Perché sei stato esiliato?» domandò rivolto al goblin.
Graunt sbuffò sonoramente. «Be' ecco... ho truffato la Banca Centrale dei Leprecauni» rivelò. «È che loro sono così schifosamente ricchi che derubarli è quasi un dovere morale.»
«Sei un ladro» commentò Colin, improvvisamente meno ben disposto verso il goblin. Aveva tutta una sua scala morale, Colin, che era pura come quella di un bambino di sei anni.
Graunt si stizzì. «Be', che vi aspettavate? Sono un goblin, mica una fatina! Non dovrei nemmeno stare qui a parlare con voi tre umani... potrei mangiarvi, per esempio!»
«Non credo che ci riusciresti» replicò Maryon, assumendo la sua posa da dura. Lo faceva sempre quando qualcuno metteva in discussione il suo primato di più ganza della scuola. «Sono più alta di te di ben cinque centimetri.»
«Posso sempre provarci...» ripose il goblin, ridacchiando.
Non riuscirono mai a sapere se Graunt, il goblin esiliato, potesse mangiare una bambina più alta di lui, perché sentirono in lontananza il suono delle sirene della polizia. Il goblin si calò velocemente il cappuccio sulla testa e si allontanò di corsa dal palco, dirigendosi verso l'entrata segreta. Il corridoio non fece in tempo a risucchiarsi il suo “Ci vediamo, marmocchietti!”, che una squadra di poliziotti fece irruzione in platea.
«Fermi dove siete! Su le mani!»
Per la seconda volta nel giro di un quarto d'ora, i tre ragazzini si ritrovarono con le mani sollevate al cielo. Solo che quella volta, per lo meno, non c'erano pelleverde esiliati da un mondo fatato, ma semplici poliziotti che avevano risposto alla chiamata. Gli uomini in divisa raggiunsero di corsa il palco e ispezionarono velocemente la situazione.
«Roba da pazzi!» commentò un panzone dai capelli rossicci. «'Sta roba finirà sicuramente sul telegiornale.»
Ma a Christopher, come ai suoi amici, per una volta, non importava la gloria o l'essere riusciti a risolvere il mistero. Le loro menti erano occupate da ben altri pensieri: avevano scoperto qualcosa di sensazionale ed eccitante allo stesso tempo. Gli occhi di Christopher erano lucenti per il piacere e il desiderio di conoscenza.
Sulle labbra di Colin comparve un sorriso complice, mentre Maryon sussurrava ai suoi amici una sola parola: «Eldorado.»






Eccoci giunti all'ultimo capitolo della storia (che partecipa al contest Tutti in scena, di cui fra un po' avremo i risultati).

Il mistero si è finalmente risolto: insomma, aveva ragione Colin a credere che i folletti non esistessero solo nella fantasia di Shakespeare! ;)
Vi lascio ancora le due solite immagini: QUI quella dove dove sono rappresentati Chris, Maryon e Colin e QUI invece l'immagine che rappresenta la DDD (David, Dorian e Daniel).
Alla prossima!
Beatrix B.

   
 
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