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Autore: Akilendra    17/05/2015    1 recensioni
"Come si può fermare un cuore innamorato? Come gli si può dire che deve smetterla? Smetterla di amare, perché un cuore innamorato è un cuore malato e l'amore è la sua unica malattia, l'amore è la sua unica cura. Come si può fermare un cuore innamorato?
Non si può.
Continuerà ad amare sempre, si farà male, si farà bene. Togligli l'amore e appassirà. Diventerà arido e ghiacciato, duro come il marmo. Togligli l'amore e guarirà, ma sarà morto.
Loro erano vivi. Malati di amore, ma vivi."
Questa è la storia di due parabatai: iniziata a scrivere quando avrei tanto voluto leggerla, interrotta quando ho saputo che c'era e che sarebbe uscita, completata nell'attesa dell'unica ed originale scritta dalle ben più degne mani di Cassandra Clare.
Questa è la storia di Ben e Lena.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I'm here
Eh già di nuovo io... Questo è per Mirrine, le cui parole mi hanno provocato un piacere paragonabile ad un cioccolatino dopo tre mesi di dieta. Mi hai dato una botta di puro e calorico buonumore e mi hai fatto venir voglia di aggiornare, perciò grazie. Qualcosa mi dice che gradirai questo capitolo... O almeno lo spero, perché ho davvero bisogno dei tuoi cioccolatini ahahahah 









7. Solo per sempre

Per sempre 
solo per sempre 
c'è un istante che rimane lì, piantato eternamente 
per sempre 
solo per sempre
(Ligabue~Per sempre)



Andare in giro di notte sembrava essere diventata un'abitudine ormai, come se la luna e le stelle portassero loro consiglio, Lena e Ben non facevano altro che camminare nel buio.
Quella sera non sembrava diversa, la luce dei lampioni che illuminava la strada stretta dove camminavano disegnava figure allungate sull'asfalto e mentre uno tirava calci ai sassolini che incontrava per terra, l'altra cercava di spazzarli via a sua volta prima che lui potesse raggiungerli.
- Dobbiamo smetterla di andarcene in giro di notte, sembriamo due succhiasangue - Ben fece una smorfia alle sue stesse parole.
- È di notte che succedono tutte le cose interessanti - ribatté Lena.
- Cose interessanti? Intendi che da un momento all'altro potrebbe spuntar fuori una vampira spogliarellista? - Gli diede un calcio su uno stinco per il quale lui si lamentò in modo esagerato.
- Mh, fammi pensare... No. Intendo cose come due cacciatori che mentre camminano su una strada stretta trovano un prezioso indizio che gli fa venire un'intuizione geniale con cui salvano tutto il Mondo Invisibile dall'essere carbonizzato - rispose tutto d'un fiato, la voce che trasudava sarcasmo.
- Una vampira? - chiese però, dopo un attimo di silenzio, ripensando alle parole del suo parabatai - Le trovi attraenti? Beh, sì... insomma, la pelle pallida e le labbra rosse hanno il loro fascino, ma sono così fredde e poi... - Non la lasciò finire, sul suo viso si dipinse uno dei suoi classici sorrisetti maliziosi. Girò la testa per guardarla in viso, sfacciato.
- O magari una Nephilim... - Lena, sentendo il sangue affluirle in faccia, cercò di dissimulare l'imbarazzo con una risata nervosa. Quando ebbe ripreso un po' di contegno, non perse l'occasione di alzare gli occhi al cielo. 

Era davvero curioso come Ben riuscisse sempre a trovare la cosa più inappropriata da dire in momenti come quelli. Da quella bocca arrogante non sapevi mai cosa aspettarti. Era capace di far uscire parole che la facevano sciogliere, che la facevano arrabbiare, che la facevano arrossire fino alla punta delle orecchie... In tutti i casi, imbarazzanti, equivoche, dolci, sbruffone che fossero, riuscivano sempre a darle una scossa, a scuoterla profondamente.

Smise di pensare all'effetto che avevano le parole del suo parabatai su di lei quando si accorse che dal buio emergeva qualcuno.
Man mano che si avvicinava la luce delle lampade ne illuminavano la figura rendendola più chiara. Quando fu abbastanza vicina, proprio sotto il bagliore di un lampione, Lena vide che era una ragazza; doveva avere più o meno la sua età, forse qualche anno in più. Nonostante non facesse caldo, indossava solo un paio di jeans e una maglietta leggera, le maniche leggermente arrotolate lasciavano intravedere all'interno del polso il marchio di appartenenza al branco di licantropi di San Francisco. In effetti, ora che la guardava meglio in viso, Lena aveva come la sensazione di averla già vista. I tratti delicati del viso, il taglio allungato degli occhi nocciola e i capelli bruni le risultavano vagamente famigliari, le parve di averla intravista tra la gente che era davanti alle rovine del covo del branco a Garden Street. Lena ricordava come quegli stessi occhi l'avessero guardata a lungo, ricordava di sentirli appiccicati alla schiena anche mentre se ne andava. Anche in quel momento la ragazza la stava guardando.
- Oppure una licantropa...- fece Ben, inopportuno come al solito.
- Non credo che sia una spogliarellista, Ben - L'espressione sul viso della ragazza sconosciuta la diceva lunga sul fatto che non aveva voglia di scherzare. 
- Chi sei? - chiese Lena, il tono rigido di chi esigeva spiegazioni.
- Mi chiamo Nadia - rispose senza staccare un attimo gli occhi dal ragazzo e già questo pensò Lena, pur avendola appena conosciuta, non deponeva a suo favore. 
- Nomina sunt consequentia rerum - In uno slancio di di fanatismo, la cacciatrice citò un detto latino con aria sofisticata, sicura che non avrebbe capito. I nomi sono consequenziali alle cose.
- Mi è piaciuta questa. Un punto per Lena - Cercò di ignorare il commento del suo parabatai ancora concentrata sulla ragazza.
- Non voglio sapere il tuo nome. Voglio sapere chi sei, da dove vieni, perché ti sei avvicinata a noi e cosa vuoi - La licantropa la guardò un attimo ma non si scompose, sembrava quasi che non fosse l'unica lupa nei paraggi...
- Appartengo al branco di licantropi il cui covo è stato incendiato pochi giorni fa, è stato là che vi ho visti. Mi sono avvicinata a voi perché siete gli unici Nephilim che si sono interessati a quello che è successo - 
- Manca l'ultima domanda: cosa vuoi da noi? - 
- Non sono venuta a chiedervi niente, bensì ad offrirvi qualcosa - Sul viso di Lena apparve un'espressione scettica.
- Non vedo cosa potresti avere da offrirci - Quella sorrise scoprendo i denti bianchi.
- Il mio aiuto -. 

- Non se ne parla nemmeno! - capitolò con il tono irremovibile di chi non era minimamente interessato a riconsiderare le proprie posizioni.
- Ma ragiona, Lena cara, un aiuto esterno potrebbe essere prezioso - cercò di convincerla Nicholas.
- Finora non siete riusciti a cavare un ragno dal buco, magari questa Nadia ha qualche informazione utile. Io dico che dovreste accettare di incontrarla - tentò Eleanor. Lena mise sù un'espressione indignata. 
- Secondo te riuscirebbe dove non sono riusciti due cacciatori? Io e Ben diamo la caccia ai demoni da anni, siamo nati per questo - Non negava di aver assunto un tono acido, ma su questa faccenda si sentiva piuttosto estremista.
- Nessuno ha detto questo, Alena. Sappiamo tutti quanto tu e Ben siate degli ottimi Shadowhunters e in alcun modo stiamo cercando di sminuirvi, quello che vogliamo farti notare è che non c'è nessuna vergogna a ricevere informazione o aiuti, anche da chi non è un cacciatore - Nicholas spiegò con calma il suo punto di vista e a Lena per la prima volta quella calma che manteneva in ogni situazione diede fastidio, le impediva di scoppiare come una granata e la costringeva a ragionare, solo che lei non voleva ragionare.
- Il fatto che sia una Nascosta ti infastidisce? - C'era stato un tempo, quand'era solo una bambina, in cui le era stato insegnato che gli shadohunters fossero ciò che di più nobile potesse mai esistere sulla terra e che tutto il resto, mondani compresi, non meritavano la sua considerazione. Era una Silverkey, persino molti shadohunters non meritavano la sua considerazione.
Scosse la testa, per scacciare quei ricordi appannati e per rispondere a Nicholas.
- Beh, allora mi pare che siamo d'accordo - disse Eleanor con ritrovato entusiasmo - Ben? - chiese il parere del figlio, il quale era compdamente seduto sul divano nell'altro lato della stanza; gli occhi di tutti si puntarono su di lui. Lena incrociò le braccia al petto, lo vide sospirare.
Avanti, diglielo anche tu.
- Sentiamo cos'ha da dire la ragazza-lupo - Lena non aveva mai avuto così tanta voglia di strangolare il suo parabatai. 

Il luogo dell'incontro era praticamente dietro l'angolo, nel parco di Washington Square, a North Beach, dove l'Istituto era collocato. Ma certo, la licantropa era insolente, gli dava appuntamento a casa loro, nella loro terra, nel luogo più famigliare... Sì, e magari si sarebbe accucciata vicino un albero e avrebbe marchiato il territorio proprio come un cane.
Basta Lena, devi smetterla di fare la difficile, si disse. Ma non smise.

Nadia arrivò con sette minuti di ritardo, Lena li aveva cronometrati meticolosamente in caso si fosse presentata l'occasione per rinfacciarglieli. Mentre si avvicinava all'albero sotto il quale si erano fermati i due cacciatori, Ben si chinò su Lena per dirle qualcosa all'orecchio.
- Non fare la scontrosa, cerca di dire solo cose carine, d'accordo? - Questo poi era il colmo: lui che le chiedeva di non essere scontrosa...ci mancava solo che scendesse la neve dal cielo di San Francisco!
- Vorrà dire che starò zitta - replicò piccata incrociando le braccia sul petto e mettendo il broncio, il cacciatore scosse la testa divertito.
- Siete venuti - constatò Nadia appena fu abbastanza vicina - Mi fa piacere, ho molte cose da dirvi - Ben le sorrise affabile com'era stato pochissime volte in vita sua, Lena si limitò ad alzare gli occhi al cielo.

- E questo cosa significherebbe? - chiese Magnus assottigliando i suoi occhi da gatto.
- Significa che il nostro piromane misterioso è molto più misterioso di quanto pensavamo - Le risposte di Ben come al solito erano molto poco esaustive.
- Significa che c'è qualcosa che non sappiamo, un dettaglio che ci sfugge. Abbiamo detto che deve per forza servirsi dell'aiuto di uno stregone o di un demone, ma Nadia era lì poco prima che scoppiasse l'incendio al covo dei licantropi, l'ha visto ed era solo - aggiunse Lena, lo stregone annuì.
- E voi, avete notato qualcuno vicino a lui al Golden-jug? -.
- No. Ma c'era troppa gente e come al solito un casino infernale. Quella sera invece il covo dei licantropi era deserto, erano quasi tutti fuori, se il nostro uomo avesse avuto vicino un complice Nadia lo avrebbe certamente visto - Gli altri due annuirono all'unisono e per un po' regnò il silenzio.
Dopo qualche minuto Lena alzò lo sguardo dall'eccentrico tavolo a forma di margherita intorno al quale li aveva fatti sedere Magnus e batté il palmo della mano su un petalo.
- Abbiamo detto che è un cacciatore, io e Ben abbiamo visto la runa della resistenza al fuoco che aveva sul dorso della mano - disse cercando un punto di partenza per ricominciare la discussione.
- Ma i Nephilim non sono soliti esercitare la magia e tu hai detto che i due incendi sono stati causati sicuramente da fuoco magico - Lena annuì scoraggiata alle parole di Ben.
- Non può essere uno stregone perché i Nascosti non possono ricevere marchi e penso sia inutile dire che è impossibile che sia un demone con sembianze umane per lo stesso identico motivo - considerò il ragazzo - Quindi la domanda è: cos'è? - Nessuno rispose.
- Mi raccomando, non tutti insieme! - Il sarcastico gli sembrava l'unico modo per poter allentare la tensione che quel silenzio aveva creato, purtroppo il suo si rivelò un vano tentativo.
Era frustrante, Lena sentiva che stavano tralasciando qualcosa, riusciva a percepire chiaramente il madornale errore che stavano commettendo, eppure non avrebbe saputo dire di cosa si trattasse. C'era un minuscolo ma fondamentale dettaglio che non riuscivano a vedere, ogni volta che credeva di averlo afferrato e serrava la mano convinta di avercelo in pugno, si trovava a riaprirla e a dover ammettere che non aveva concluso niente. Quello che stava cercando di catturare era scivolato via da lei come sabbia fra le dita.

Erano tornati all'Istituto come due anime in pena, il sole che sorgeva gli feriva gli occhi mentre scoraggiati trascinavano i piedi portando sulle spalle il peso di quei dubbi, di quelle certezze che gli sfuggivano. Ben e Lena erano Shadowhunters, cacciatori, nobili guerrieri il cui sangue era mescolato a quello degli angeli, destinati a combattere il buio armati di luce, eppure si sentivano come due bambini buttati in un burrone di tenebra con solo una torcia elettrica in mano. Neanche una stregaluce...
- Ehi - Ben diede una leggera spallata a Lena, che assorta nei suoi pensieri camminava a testa china e da quando avevano lasciato casa di Magnus non aveva spiccicato parola. 
- Ehi - disse ancora e stavolta la ragazza alzò di poco lo sguardo. Ciocche disordinate di capelli ambrati le sfuggivano da dietro le orecchie e le nascondevano il viso creando disegni d'ombra sugli zigomi alti.
Aveva un'aria stanca e forse non solo quella, lo dicevano le linee sotto i suoi occhi, tracce scure che macchiavano la sua pelle chiara. Le sue spalle erano curve, appesantite dagli stessi pensieri che aveva il ragazzo, ma in più Lena portava in spalla un peso tutto suo, il peso di ricordi scomodi che le rubavano il sonno di notte e l'attenzione di giorno.
Lo colse all'improvviso un violento bisogno di abbracciarla, un'incontrollabile voglia di portarsela al petto e di soffocare ogni pensiero. Avrebbe voluto stringerla fino a farsi male, baciarla fino a rimanere senza respiro.
Non lo fece. Quello che le diede non era l'abbraccio che avrebbe voluto, era l'abbraccio di un fratello.
Quando le braccia di Ben si chiusero delicatamente attorno a lei non seppe dire cosa ci fosse di sbagliato. Era premuroso, gentile e attento come se tenesse tra le braccia un petalo di rosa, ma Lena non era un petalo di rosa. Era una cacciatrice, una guerriera, una ragazza che era più simile ad una donna che ad una bambina. Avrebbe voluto che se la portasse al petto e soffocasse ogni pensiero, avrebbe voluto essere stretta fino a farsi male, baciata fino a rimanere senza respiro.
Non lo fece. Quell'abbraccio non era quello che avrebbe voluto, era l'abbraccio di un fratello.
- Vieni dentro? - le aveva chiesto quando si erano staccati, lei aveva scosso la testa.
- Sto ancora un po' fuori - aveva risposto guardando gli alberi prosciugati dall'inverno che aveva davanti.

L'istituto era immerso in un parco bellissimo, i Mondani che passeggiavano, facevano jogging, portavano fuori il cane, mentre camminavano tra l'erba verde si ritrovavano davanti quest'enorme cattedrale, che era uno spettacolo, anche se quella che i loro occhi umani vedevano era solo la metà della sua reale bellezza.
A Lena era sempre piaciuto quel parco, specialmente d'inverno. Le piaceva come il vento frusciava tra i rami secchi degli alberi, le scompigliava i capelli e lei glielo lasciava fare, come la nebbia che avvolgeva perennemente San Francisco faceva lo slalom fra i tronchi, le piaceva il ticchettio della pioggia che cadeva sui ciottoli dei vialetti, ma soprattutto le piaceva camminare da sola, circondata da così tanta gente, eppure da sola.
Mentre metteva un passo dietro l'altro cercava di tenere fuori dalla testa qualsiasi pensiero che non riguardasse il parco, l'erba, la pace che c'era in quell'angolo di mondo che sembrava così lontano da tutta la sua vita.
Ma non ci riusciva. Il suo viso spuntava fuori all'improvviso. Si girava a guardare un albero e sul tronco apparivano a tradimento due occhi dello stesso colore della corteccia, dai rami germogliavano foglie fatte di capelli color ebano e Lena distoglieva lo sguardo, cambiava direzione, cercava senza successo di svuotare la mente, ma niente da fare, lui era sempre lì. Qualsiasi cosa facesse, qualsiasi cosa pensasse, lui era sempre lì.
Che poi, lì dove? Lena non avrebbe saputo dirlo con precisione. Ben era in lei come un'onda è nel mare, qualcosa di inscindibile, un tutt'uno con se stessa. E lo sentiva come si sente il proprio braccio, lo percepiva dentro, incastonato in un punto imprecisato, troppo stretto e profondo perché qualcun altro potesse entrarci, troppo per credere di poter tornare indietro. Ben le scavava dentro, la scuoteva, la faceva vibrare di strane emozioni e Lena si sentiva debole, esposta, nuda e vulnerabile sotto il suo sguardo, bruciava quando la toccava, si sentiva diversa ogni volta che stavano insieme. Con Ben era come ballare su un filo, un equilibrio precario che si sarebbe potuto spezzare da un momento all'altro facendoli precipitare a terra. Ben e Lena non sapevano ballare su quel filo, erano goffi, impacciati, si pestavano i piedi e si scontravano, eppure non riuscivano a smettere di muoversi al tempo di quella musica che sentivano solo loro. Forse un giorno avrebbero imparato a ballare, forse un giorno quella musica avrebbe suonato per davvero e avrebbero volteggiato leggeri e con grazia e quel filo non gli sarebbe sembrato più tanto sottile.
Forse, un giorno. Nel frattempo però, Lena si allenava.

Non si era accorta di chi le stava arrivando incontro, era andata a sbattere contro di lui come un treno su un muro di mattoni. Aveva fatto cadere i suoi libri, si era scusata e abbassata per raccoglierli.
- Non ti preoccupare, faccio io - le aveva detto lui con quella sua voce gentile e quell'accento British. Era allora che aveva sollevato la testa, incrociato i suoi occhi celesti e l'aveva riconosciuto.
Se Ben aveva una qualche dote per dire sempre la cosa più inappropriata in tutti i momenti, Alaric aveva la dote di spuntare fuori ogni volta che stava pensando a Ben ma non era vicino a lei. 
- Grazie - aveva detto riprendendosi i libri che Lena aveva raccolto da terra.
- Grazie per cosa? Ti sono venuta addosso io, il minimo che potevo fare era raccogliere i tuoi libri - Era stata brusca, o almeno non educata come avrebbe dovuto essere con Alaric che invece con lei era sempre stato gentile. Ma anche se si fosse offeso, non lo diede a vedere, anzi, cambiò subito discorso.
- Vedo che hai apprezzato il mio regalo. Ti sta d'incanto - disse alludendo al ciondolo che portava ancora al collo. Lena annuì impacciata. Seguì un silenzio imbarazzante, che Alaric ruppe riportando l'attenzione sui libri che teneva fra le braccia.
- Sono nuovi, li ho appena comprati - A Lena dovevano essere brillati involontariamente gli occhi, perché il ragazzo capì che aveva toccato il tassello giusto e si tuffò in una dettagliata descrizione delle trame dei suoi ultimi acquisti. Lena, che già si sentiva in colpa per come aveva risposto all'inizio, fu più espansiva e condiscendente del previsto. Ma non era solo quello, c'era qualcos'altro nei modi gentili di Alaric che la spingeva ad aprirsi in un modo piuttosto strano per lei. Una dolcezza inaspettata, eppure della quale aveva così tanto bisogno. Era così rispettoso, disponibile, affabile, premuroso e poi c'erano i libri. Quei libri nuovi che aveva appena comprato. Libri. E chissà di quante parole erano pieni, chissà quante storie raccontavano, chissà quale profumo avrebbe odorato mettendo il naso in quelle pagine. Dio, come avrebbe voluto odorare quelle pagine! 
Sì, erano sicuramente stati i libri. Era per i libri che aveva sorriso mentre parlavano e riso alle sue battute dall'umorismo inglese. Era per i libri che gli aveva parlato del cielo della Bulgaria così simile a quello di San Francisco quel giorno. Era per i libri, sicuramente per i libri. Altrimenti per cosa aveva accettato di accompagnarlo in giro per la città, con un motivo pateticamente inventato sul momento, se non per i libri?
Lena adorava leggere, aveva vissuto altre mille vite tra le pagine scritte. Anche ad Alaric piaceva leggere e mentre camminavano insieme le aveva raccontato della grande biblioteca che aveva nella sua casa a Londra. Le aveva anche confessato di sentire la mancanza della compagnia di quei libri e che quando si sentiva particolarmente solo andava in una libreria di San Francisco a fare rifornimento. Dopo un po' di chiacchiere avevano scoperto di avere perfino gli stessi gusti in quanto a romanzi. Anche Ben leggeva molto, ma storie molto diverse da quelle che piacevano a Lena, quando parlavano di libri finivano sempre a scannarsi a vicenda per difendere ognuno i suoi gusti ed era interessante quando... No, non doveva pensare a Ben, era con Alaric e si stava divertendo e lui stava parlando in un modo così adorabile dei suoi libri preferiti e...non doveva pensare a Ben! 
- Hai fame? - Lena scosse la testa - Sono le due, dovresti mangiare qualcosa - insistette premuroso. Le due? Non si era accorta che fosse già tanto tardi, quando era andata a sbattergli contro era mattina presto.
- Dai, andiamo, conosco un posticino...- e si impegnò nella minuziosa descrizione di un ristorante che aveva scoperto qualche giorno prima. Lena avrebbe voluto dire che era tardi e che dovevano tornare all'Istituto e che, e che...si rese conto di essere abbastanza a corto di scuse, perciò, senza troppo dispiacere, lasciò che Alaric la portasse ovunque voleva.

Il ristorante era davvero carino come lo aveva descritto il ragazzo, si mangiava benissimo e nonostante avesse insistito fino allo sfinimento si ritrovò il pranzo pagato.
Mentre tornavano all'Istituto avevano continuato a parlare del più e del meno. Conversare con Alaric era piacevole come lo era la sua compagnia e Lena doveva ammettere che le erano piaciute quelle ore passate insieme, si era sentita sollevata e rilassata e per la prima volta dopo tanto tempo era riuscita a svuotare la testa. 
Poi era successo. Le labbra di Alaric si erano poggiate timide sulle sue, quasi a volerle chiedere il permesso, in un bacio delicato come una carezza. Erano morbide, fresche e leggere e Lena, spiazzata dal gesto improvviso, era rimasta immobile, senza sapere bene cosa fare. Non le aveva dato nemmeno il tempo di connettere il cervello, si era staccato subito riempiendola di scuse e non aveva fatto altro per tutto il tragitto di ritorno fino all'Istituto.
Alaric era fatto così, era il tipo che chiedeva scusa.

Quando era tornata, Ben la stava aspettando nella sua camera.
- Alla buon ora! Finalmente ti sei degnata di tornare, dov'eri? - Non dirglielo, non dirglielo, non dirglielo.
- Ero in giro con Alaric - L'espressione sul suo viso cambiò di botto, da divertita e leggermente canzonatoria diventò brusca.
- Di nuovo? A fare cosa? - abbaiò. Ora avrebbe fatto partire un terzo grado dei suoi.
- A fare un giro, cosa sennò? - Gli aveva risposto acida e stizzita, tesa come una corda di violino ed evidentemente sospetta, perché il ragazzo si alzò dal letto di lei dov'era comodamente sbracato per raggiungerla.
- Non lo so, devi dirmelo tu, Alena. A fare cosa? - Incrociò le braccia sul petto, i muscoli si tesero sotto la maglietta, guizzando mentre compieva il movimento. Lena non poté fare a meno di notarli e quando lui la beccò le sue labbra si piegarono in un sorrisetto compiaciuto. Arrogante come al solito fece un passo nella sua direzione, sicuro di avere la situazione in pugno, sicuro di aver già vinto. Lena avrebbe fatto qualsiasi cosa per strappargli dalla faccia quell'espressione soddisfatta.
- Mi ha baciata - sbottò allora. Le sopracciglia del ragazzo fecero un salto in alto ed il suo viso si tinse di uno strano colore cinereo.
- Lui cosa? - domandò con la voce arrochita di chi sta per scoppiare.
- Mi ha baciata - ripeté Lena soddisfatta di averlo preso contropiede. Alzò il mento orgogliosa ed incrociando anche lei le braccia sul petto lo fissò in maniera sfacciata.
Ben assomigliava ad un vulcano pronto ad eruttare: i pugni serrati lungo i fianchi, i denti stretti così forte che Lena temeva si sarebbero sgretolati da un momento all'altro, una vena sul collo pulsava minacciosa, ci mancava solo che cominciasse ad uscirgli fumo dalle orecchie. 
- E com'è stato? - chiese inchiodando gli occhi in quelli di lei. Lena non rispose. In un attimo le fu davanti, a separarli solo un respiro.
- Ho chiesto: com'è stato? - tuonò.
- Piacevole - lo disse in un bisbiglio. Ben sollevò le sopracciglia.
- Mmh, immagino...- rispose in un modo sarcastico che fece infuriare Lena.
- Invece mi è piaciuto il bacio - Lui incassò il colpo, il petto si gonfiò, le narici si allargarono in cerca di più aria e Lena capì di stare in vantaggio - E mi piace anche lui - aggiunse sfacciata. Ben fece un passo indietro.
- Non è vero - sbottò e lo disse con una tale sicurezza da convincerla che se avesse mollato ora, avrebbe davvero vinto lui.
Si mise sulla difensiva e tutto quello che riuscì a fare fu gridare.
- Come fai a dire che non è vero? Cosa ne sai tu? Credi di conoscermi così bene, eh? Credi di sapere quello che sento meglio di me? - , avrebbe voluto rispondere Ben. , avrebbe voluto ammettere Lena.
- Lui non ti piace e non ti è piaciuto nemmeno il suo bacio - gli tenne testa sicuro avanzando di un passo. I loro petti si toccavano, il battito furioso dei loro cuori si fondeva anche attraverso i vestiti.
- Tu non...- cercò di dire Lena, ma le sue erano solo deboli proteste e Ben sembrava forte in quel momento, così forte.
- Ti conosco, Alena - disse ed ogni ulteriore barriera della ragazza crollò al sentire il suo nome completo pronunciato dalle sue labbra - Ti conosco come conosco me stesso - ed era sciolta, acqua liquida e inerme di quello che prima era un solido iceberg. Ben l'aveva sciolta, il fuoco scioglie il ghiaccio.
- Ti sento -.
In un ultimo inutile tentativo di fuga puntò le sue mani sul petto di lui per scansarlo, ma non sarebbe riuscita a smuoverlo di un millimetro neanche se l'avesse voluto con tutta se stessa, e non lo voleva, perciò...
In quel momento Lena capì che avrebbe vinto, e lo lasciò vincere.

Le labbra di Ben erano bollenti, proprio come aveva sempre immaginato. Calde di un calore che non era solo fisico, ruvide, carnose. Le labbra di Ben non accarezzavano: bruciavano, divoravano, spazzavano via ogni incertezza, carbonizzavano ogni dubbio.
E non era delicato mentre la sbatteva contro la porta, non era delicato mentre la baciava fino a toglierle il respiro. 
Ben non le aveva chiesto il permesso. Lena non voleva che lo avesse fatto.
Se l'era preso e basta, come quei baci, se li prendeva e basta, come qualcosa che era sempre stata sua, Lena era sempre stata sua. Non esitava, non si risparmiava, non la lasciava respirare, non la lasciava pensare. Non era delicato, non era gentile, era Ben e non la trattava come fosse stata una bambola di porcellana, non aveva paura di romperla.
Non voleva che fosse delicato, non voleva che fosse gentile, era Lena e non era una bambola di porcellana, non si sarebbe rotta.
E bruciava, Lena bruciava, voleva bruciare e consumarsi e gridare e correre e scappare e lottare e piangere e ridere e vivere. Lena voleva vivere e non si era mai sentita tanto viva come ora, mentre bruciava fra le braccia di Ben.
I baci si mescolarono ai morsi, i loro tocchi diventarono un aggrapparsi disperato l'uno all'altra, le mani di entrambi vagavano avide sulla pelle dell'altro a carpire ogni più piccolo dettaglio. Perché ne avevano terribilmente bisogno, perché temevano che fosse tutto un sogno dal quale si sarebbero potuti svegliare da un momento all'altro, perché per troppo tempo avevano sofferto una fame atroce ed ora sembrava che niente avrebbe potuto saziarli.
Non riuscivano a fermarsi, crollati tutti i muri, tutte le barriere, crollati i freni inibitori e la decenza, crollato il senso del giusto e dello sbagliato che tanto ossessionava Lena, in quel momento era crollato tutto. E non reggeva più neanche la storia del "è come se fossimo fratello e sorella", per un istante, per il tempo di quei baci, non esisteva neanche più quello. Per un istante, si concessero di vivere come non avevano mai fatto, di essere liberi come non erano mai stati, per un istante sperimentarono l'ebrezza di non pensare a niente, per un istante si regalarono quell'istante. Quell'istante che, lo sapevano entrambi, sarebbe rimasto lì, piantato eternamente.
E chiusero gli occhi senza pensare a cosa avrebbero fatto quando li avessero riaperti, chiusero la porta in faccia alla coscienza e le chiesero, con i modi bruschi e quello strano talento di Ben di dire sempre la cosa meno appropriata, di ripassare più tardi. Rimandarono l'incontro con i sensi di colpa, solo per il tempo di quei baci, solo per il tempo di una boccata di vita, solo per un istante. Per sempre, solo per sempre.
  
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