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Autore: Salice_    17/05/2015    6 recensioni
SEQUEL de “Il lato oscuro della luna”.
A distanza di cinque anni dalla sparizione di Zakuro a causa della maledizione di Cordelia, Kisshu non ha ancora rinunciato a ritrovare l’amata. L’alieno dagli occhi dorati sarà costretto a far fronte ad una situazione disperata, combattendo un destino avverso che priva di ricordi e di volti.
Perché se il cammino che ti porta dritto fra le braccia dell’amata è tortuoso e pieno di ostacoli, allora vuol dire che lei è la persona giusta.
Lei si passò una mano fra i capelli corti.
- La amavi tanto, non è vero? –
Kisshu rimase in silenzio. C’era qualcosa in quella frase che lo faceva stare male; forse era l’uso del tempo passato, forse la consapevolezza di aver perso tutto.
Dopo un tempo che parve interminabile, Kisshu riuscì a rispondere.
- Sì. –
La ragazza prese a fissare un punto imprecisato sopra alla spalla di lui, come se fosse assorta nei propri pensieri. Kisshu la lasciò fare, attendendo con pazienza che si concentrasse nuovamente su di lui, quando lei finalmente parlò.
- Solo una ti insegnerà ad amare. Le altre ti ricorderanno come si fa quando lei se ne sarà andata. -
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kisshu Ikisatashi/Ghish, Zakuro Fujiwara/Pam
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Maschere e pioggia.'
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Così vicino, così lontano.





Il mattino seguente, Minto si ritrovava a spazzare le foglie secche via dall’ingresso del Caffè. Si arrestò per riprendere fiato, sbuffando sommessamente e sfiorandosi con aria assorta le braccia lasciate scoperte, dove rilucevano alcuni piccoli graffi, segni della furia cieca di Kisshu del giorno precedente.
In quel momento, la ragazza in blu avvertì lo scricchiolare del ghiaino alle sue spalle e si voltò per vedere chi si stesse avvicinando; con andatura fiera e risoluta, Soledad si dirigeva verso Minto, il busto eretto e le mani affondate nella tasca del grembiule da cameriera. Le braccia interamente tatuate creavano un forte contrasto fra la sua pelle e il viola della divisa.
Inconsciamente, Minto fece un passo indietro; la presenza di quella ragazza dal taglio di capelli maschile e dagli occhi impenetrabili non mancava mai di provocarle un brivido lungo la schiena.
La spagnola le scoccò un’occhiata che era un misto fra il divertito e lo sdegnoso, prima di proferire parola.
- Minto. –
Il suo solo nome, pronunciato da quella voce roca, le fece rizzare i peli sulla nuca.
- Che cosa vuoi? – rispose Minto con astio.
- Hey, riponi pure le armi! – esclamò Soledad fermandosi e esponendo teatralmente le mani in vista – Vengo in pace stamane. –
Poi proseguì, e questa volta il tono non aveva nulla di canzonatorio: - Sono qui per chiederti scusa. –
Minto rimase in silenzio, con l’espressione di chi ha appena ricevuto uno schiaffo senza alcun preavviso.
- Kisshu mi ha fatto capire di aver sbagliato a comportarmi in quel modo. – andò avanti Soledad, come se non avesse notato (o forse fingendolo) l’espressione di completo stupore della sua interlocutrice. – Anzi, ad essere sinceri mi ha urlato addosso, probabilmente sperando che in questa maniera fosse chiaro il concetto che devo farmi “i maledetti affaracci miei”, comportarmi da “persona civile” ed evitare di “rompere le palle al prossimo”.  –
- Classico di Kisshu. – si lasciò sfuggire Minto con amarezza, pentendosi quasi subito di aver abbassato la guardia con Soledad.
La corvina, dal canto suo, vide nella risposta di Minto una nota positiva che le fece sollevare impercettibilmente un angolo delle labbra carnose. – Mi dispiace per aver perso il controllo e so benissimo che, se voglio trascorrere del tempo con voi, devo adeguarmi e imparare a conoscervi. Non ricapiterà. –
Soledad concluse e, senza attendere risposta, si voltò e riprese la sua marcia in direzione del Caffè. Minto non richiamò la sua attenzione, ma un sorriso soddisfatto le stirò le labbra mentre assaporava quella che aveva tutta l’aria di sembrare una tregua. O forse qualcosa di più.
 
 
- E’ tutto? – mormorò Ryan passandosi una mano sugli occhi stanchi, la luce della lampada al neon che illuminava la sua chioma bionda.
- Temo di sì. – rispose Kei, esausto quasi quanto lui. – L’esito della ricerca è semplicemente il fatto che il DNA di Soledad corrisponde in tutto e per tutto a quello delle altre combattenti Mew Mew, ma non a quello di Zakuro, come se si trattasse di due persone differenti. Null’altro. –
Ryan sospirò sonoramente e Kei gli gettò un’occhiata laconica.
- Dopotutto, - proseguì il bruno – che cosa ci aspettavamo? –
- Non lo so Kei. –
Anche se, in realtà, sapeva benissimo in cosa sperava.
 
 
La settimana seguente trascorse in un’atmosfera rilassata, pervasa da una calma quasi irreale: le ragazze si davano da fare al Caffè tutti i giorni e Soledad non aveva più avuto scontri con nessuna di loro. Allo stesso tempo, non si erano verificati nuovi attacchi da parte di alieni.
Tutte le notti, Kisshu sprofondava nel matrimoniale che, anni prima, divideva con Zakuro, abbracciando non più la sua figura esile, ma la parte vuota ed insopportabilmente fredda del letto. Per lui era inaccettabile pensare a Soledad che occupava la cameretta dalle pareti verdi, ponendo una distanza straziante tra di loro.
Più di una volta, Kisshu provò l’impulso di abbandonare il suo letto e precipitarsi in camera di Soledad, per poter sentire nuovamente il calore della sua pelle e riassaggiare il sapore della sua bocca. Avrebbe voluto tanto scoprire se le sue dita diafane e affusolate erano ancora in grado di colmare il vuoto che si creava tra quelle di lei.
Ma non lo fece. Durante la terza notte che Soledad trascorse nella vecchia casa di Zakuro, Kisshu venne colpito da una nuova certezza, tanto ovvia quanto devastante: Soledad non lo amava. Capì che, nonostante fosse riuscito a trovare la ragazza che celava la sua amata, lei non era in grado di ricambiare il suo sentimento, e forse non ne sarebbe mai stata capace. L’amore che Zakuro provava per Kisshu non esisteva più.
Fu anche convinto, in un attimo di profonda disperazione, che sarebbe stato in grado di farla innamorare nuovamente di lui, così come anni prima era accaduto con Zakuro, in modo da poterla riavere indietro; lo sconforto, però, tornò in breve tempo ad abbattersi sull’alieno: per quanto tempo Kisshu aveva tentato di obbligare Ichigo a ricambiare il suo amore, così che lei accettasse di seguirlo sul suo pianeta?
Solo durante quella notte, Kisshu comprese appieno come sia impossibile obbligare una persona a provare un sentimento non spontaneo. Lo capì quella sera ed ebbe il timore di non essersi sbagliato durante i giorni successivi, quando gli occhi verdi di Soledad incrociavano i suoi con una scintilla amichevole nello sguardo. E lui continuava a fissarli quegli occhi verdi, inquieti, in cerca non più dello zaffiro che tanto amava, ma di una qualsiasi ancora di salvezza.
 
Era un pomeriggio in cui il locale era particolarmente affollato e le ragazze si facevano in quattro per servire al meglio tutti i clienti. Tra un servizio e l’altro, Soledad scambiava alcune battute con Ichigo e Purin, con le quali aveva cominciato piacevolmente a prendere confidenza.
Kisshu se ne stava placidamente seduto alla cassa, battendo svogliatamente gli scontrini e facendo tintinnare il registratore.
Ryan e Kei si trovavano nel laboratorio ad analizzare pigramente i filmati visti e rivisti delle battaglie trascorse in cerca di dettagli precedentemente sfuggiti, quando il monitor principale prese a lampeggiare con insistenza riscuotendo i due ragazzi dal loro torpore. Il radar aveva rivelato una presenza aliena nel pieno centro della città, dove era comparso un Chimero dalle sembianze di un grosso pitone viola dalla coda biforcuta, intento a seminare il panico.
- Dobbiamo mandare subito le ragazze! – fece Ryan alzandosi di scatto dalla sedia e dirigendosi a passo di marcia verso le scale, prima che la voce del compagno lo bloccasse.
- Ryan, aspetta! –
- Che c’è Kei? – domandò il biondo, una nota di malcelata impazienza nella sua voce.
- Dimentichi che c’è Soledad con le altre; lei non deve ancora venire a conoscenza di tutta questa storia. –
Ryan si passò una mano fra i capelli, esasperato. – E allora che cosa vuoi che faccia? Che attenda che quel mostro rada al suolo mezza Tokyo? –
Kei scosse la testa. – Basta che tu allontani Soledad con una scusa. Portala il più possibile lontana dal Caffè e dal luogo della battaglia, in modo che la squadra possa intervenire senza destare sospetti. – E poi aggiunse, anticipando la domanda di Ryan: - Ti seguirà, non preoccuparti. –
Pochi minuti dopo, Kei scivolò al fianco di Kisshu, sempre abbandonato con fare annoiato alla cassa, mormorandogli un rapidissimo ordine alle orecchie: - Ci attaccano. Ryan porterà via Soledad, non appena li vedi uscire fai in modo che tutti i clienti se ne vadano. –
Mentre Kisshu annuiva rapidamente alle parole del moro, pensò che forse si sarebbe dovuto sentire preoccupato per via della notizia: dopotutto, aveva appena ricevuto la notizia di uno scontro capitanato da un nemico sconosciuto. Nonostante ciò, però, la preoccupazione era forse l’ultima cosa che l’alieno provasse in quel momento.
Kisshu attese con impazienza di vedere Soledad, non più in divisa da cameriera, uscire dalla porta sul retro scortata da Ryan; dopodiché si alzò e convinse pacificamente i clienti a congedarsi dal locale. Una volta rimasti solamente lui, le quattro Mew Mew e Kei, quest’ultimo diede le direttive alla squadra, intimando di entrare in azione il più velocemente possibile.
- Forza, andiamo! – ringhiò Kisshu, un guizzo di furore negli occhi dorati e già pronto ad uscire dal Caffè, guadagnandosi però un’occhiata perplessa dai suoi cinque compagni.
- Ma scusami Kisshu, anche tu vuoi lottare? – chiese Ichigo, dando voce alla comune domanda inespressa.
L’alieno aggrottò le sopracciglia; una sottile ruga verticale si creò sulla sua fronte, in mezzo agli occhi dai tratti felini.
- Non mi pare che questa sia una grande novità Micetta. – rispose lui con sarcasmo, occhieggiando in direzione della leader.
Si sarebbe gettato nello scontro con rabbia, frustrazione, in maniera quasi disperata; forse così, con le armi e il sangue, avrebbe potuto alleviare quel senso di impotenza e oppressione che gli occludeva il petto.
E, mentre i volti delle quattro Mew Mew si aprivano in un soddisfatto sorriso complice, Kisshu estraeva i due vecchi nastri per capelli dalla tasca della divisa.
 
 
 
- Puoi ricordarmi per quale assurdo motivo stiamo procedendo a piedi? – sbuffò Ryan con una vena di irritazione, calciando distrattamente un sassolino sul marciapiede; Soledad, che ora camminava di fianco a lui, le mani affondate in maniera noncurante nelle tasche dei jeans strappati, lo fulminò con lo sguardo: si era rifiutata di salire sulla moto di Ryan, cosa che lui aveva profondamente disapprovato. “Avremmo impiegato molto meno tempo ad allontanarci se soltanto fosse voluta salire su quella dannata moto.”
- Te l’ho detto Shirogane: o sono io a guidare, o non salgo su nessun veicolo a due ruote. –
Ryan scoppiò a ridere di fronte alla naturalezza della risposta di Soledad.
- Ah, è fuori discussione che io lascia guidare la mia moto ad una donna. –
- Maledetto misogino. – soffiò Soledad con tono forzatamente offeso, scoccando un’occhiata divertita al suo interlocutore – Al contrario, penso che potrei tranquillamente darti alcune utili lezioni di guida. –
- Quando vuoi bellezza. – rispose Ryan stando allo scherzo ed abbandonandosi ad un’altra risata.
Si stavano dirigendo verso la baia di Tokyo e i pensieri del biondo continuavano a tornare alla battaglia in corso a kilometri da loro.
La voce calda della spagnola riportò bruscamente il giovane al presente.
- Per quale motivo di punto in bianco hai deciso di concedermi un pomeriggio libero con tanto di guida turistica? – scherzò ancora lei, strappando l’ennesimo sorrisetto all’americano.
- Per il semplice fatto che non mi piacerebbe procurarti eccessivo stress; in più, penso ti sia utile iniziare a conoscere la città. – rispose il biondo lasciandosi cadere su di una panchina di ferro che dava proprio sul molo. Soledad lo imitò, sedendosi sulla sua destra. Appoggiò la caviglia destra al ginocchio sinistro e si abbandonò contro lo schienale. Dopodiché prese a frugare nelle tasche dei jeans, estraendone un pacchetto di sigarette mezzo accartocciato.
- Non sapevo fumassi. – buttò lì Ryan guardandola incuriosito.
Soledad estrasse con i denti una sigaretta dal pacchetto. – Solo una volta ogni tanto. –
La accese ed aspirò una profonda boccata; soffiò poi via il fumo con fare assorto, lo sguardo che vagava lungo il profilo del porto di fronte a loro. Ryan a sua volta rimase in silenzio, studiando ogni tanto la ragazza con la coda dell’occhio; Soledad si portava lentamente la sigaretta alle labbra, mentre una lieve brezza le scompigliava i capelli color della pece sulla fronte. Lo sguardo del biondo in quel momento cadde inevitabilmente sulle sue braccia tatuate, e per un momento volle domandarle che cosa significassero per lei. Ma fu solo un momento che passò in fretta e Ryan ricordò di quando l’aveva vista sulla soglia dell’appartamento di Kisshu, tremante e fradicia di pioggia che le colava a gocce dai capelli lungo il collo sottile. Anche Zakuro, parecchi anni prima, aveva lasciato che la pioggia la tormentasse mentre lei, seduta su di una panchina con un ombrello chiuso al fianco, si domandava per quale motivo Kisshu l’avesse abbandonata. Si ricordò di come avesse trovato fragile Soledad nel momento in cui il suo sguardo si era soffermato sui suoi abiti bagnati, appiccicati alla pelle di lei, e sulla sua fronte appoggiata alla spalla dell’alieno. Gli sembrava quasi strano immaginare che il frutto della maledizione di una donna spregevole come Cordelia potesse essere così umano. Ma in quel momento, su quel molo, tutto ciò che Ryan riusciva a scorgere era una donna che aveva innalzato prontamente una barriera attorno a se stessa, con la sua postura spavalda, lo sguardo assorto e il viso rivolto alle increspature della corrente. Con quell’osservazione, pensò anche che sarebbe stato tremendamente difficile tirare fuori Zakuro da lei.
Gli sembrava quasi che ci fosse qualcosa che gli sfuggiva, un concetto così terribilmente afferrabile ma incomprensibile appieno; in quel momento, però, Soledad attirò la sua attenzione spegnendo la sigaretta sotto la suola e rivolgendogli un sorrisetto mesto.
- Sei sempre di poche parole Shirogane? – domandò lei affabile.
Il ragazzo sorrise suo malgrado, gli occhi azzurri ora rivolti di fronte a sé, verso un punto imprecisato dell’orizzonte. – Oh sì, assolutamente. Come te d’altro canto mi pare di notare. – Le labbra di Soledad si incresparono in un sorriso furbo, e Ryan continuò cautamente: - Sai, per certi versi mi ricordi parecchio una mia vecchia amica: anche lei molte volte sembrava isolarsi, come se avesse pensieri molto più importanti, che andavano oltre il qui ed ora. Ma con lei quei minuti trascorsi in silenzio non avevano un peso, al contrario: lei riusciva a farti avvertire la sua vicinanza senza dover dire una parola o muovere un dito, essendoci semplicemente. – Ryan sospirò, prima di concludere: - Ho sempre pensato fosse una cosa bellissima. –
- Dovevate avere un gran bel rapporto. – osservò la corvina.
- Era qualcosa di complesso da spiegare. –
- Ciò mi fa capire che ora non è più la stessa cosa…? –
Ryan sospirò nuovamente. – Purtroppo no; non ci vediamo da parecchio tempo ormai. –
- Mi dispiace. – iniziò Soledad, per poi domandare: - Avete litigato? –
Malgrado tutto, Ryan si ritrovò a sorridere. – Non precisamente. Diciamo solo che alcuni eventi della nostra vita ci hanno portati a separarci e non riesco ancora a capacitarmi di quanto sia successo. So soltanto che mi porto dentro un grande rimpianto. –
Il biondino si voltò e notò che Soledad stava prestando lui tutta la sua attenzione; sinceramente interessata, gli gettò uno sguardo come per spingerlo a continuare.
- C’è una cosa che non le ho mai detto, ma solo ora mi rendo conto di quanto mi avrebbe fatto sentire meglio esprimermi a tempo debito. –
- Eri innamorato di lei? – incalzò Soledad, nel tentativo di tirargli fuori le parole a forza.
- No, assolutamente no. – Ryan abbassò lo sguardo sulle proprie mani, - Avrei solo voluto farle sapere che lei era la cosa più vicina ad una sorella che io avessi mai avuto. –
Ryan non sapeva con precisione per quale motivo si ritrovasse a parlare di tutto ciò, soprattutto con Soledad; paradossalmente però, aver appena fatto quella confessione proprio a lei lo fece sentire di colpo più leggero, come se fosse appena riuscito a regolare un conto rimasto in sospeso da troppo tempo.
E Soledad, con i capelli scuri che le ricadevano sugli occhi a causa della brezza marina, rimase in silenzio ad assorbire le parole di quel ragazzo enigmatico del quale continuava a fissare il profilo.

 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Salve a tutti. Comincio col dire che ho esaurito le parole per scusarmi per i miei soliti ritardi, anche se quest’ultimo immagino sia stato il peggiore. Come avevo scritto ad alcuni lettori, cercando di rassicurarli sullo stato della storia, ribadisco che non ho alcuna intenzione di lasciarla incompiuta, nonostante la mia imperdonabile e duratura assenza dal fandom. Sono sempre stata abituata a portare a termine tutto ciò che inizio, e questa serie non fa alcuna eccezione, anzi: ci sono troppo legata per poter anche solo minimamente pensare di abbandonare. Anzi, durante questi mesi ho avuto alcune illuminazioni sulla trama e sull’impostazione dei capitoli, illuminazioni che hanno quasi stupito anche me stessa (è bello il fatto che io mi faccia enormi monologhi…!)
In ogni caso, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, nonostante non presenti avvenimenti sbalorditivi a livello di suspense o altro, ma io lo trovo molto introspettivo e, come ben sapete, amo dedicare paginate alla psicologia contorta dei personaggi. Tralasciando ciò, volevo spostare la vostra attenzione su alcuni punti, o più precisamente similitudini (le amo parecchio):
- il paragone che si ritrova a fare Ryan fra Soledad e Zakuro, entrambe abbandonatesi sotto la pioggia battente in un momento di estrema umanità dei due personaggi femminili;
- la confessione finale di Ryan. Se ricordate bene, nel finale di IL LATO OSCURO DELLA LUNA Zakuro, nel momento in cui attende che si compia il suo destino e di offrirsi in sacrificio a Cordelia, tra la lista di cose che non potrà mai fare prima di morire c’è esattamente questa: far sapere a Ryan che è la cosa più simile ad un fratello che lei abbia mai avuto.
Bene, con questo penso di aver detto tutto. Spero che siate ancora interessati alla storia, nonostante tutto il tempo trascorso. Nel caso così non fosse, probabilmente non potrei biasimarvi.
Un abbraccio forte,
Salice_
   
 
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